sabato 8 luglio 2017

La Repubblica 07.07.17
La mamma di Charlie a Mitocon: "Stanno per staccargli la spina. Stasera, forse domani"
Di Redazione Online
Roma
Lo riferisce il presidente dell'associazione, che le ha parlato e lancia l'appello alle autorità britanniche: "Fermatevi, pronto il protocollo"
Il piccolo Charlie con i genitori (ansa)
ROMA - "Stanno per staccare le macchine di Charlie, ci ha detto stasera la mamma, Connie Yates" ha riferito Piero Santantonio, presidente dell'associazione Mitocon che si occupa proprio di malattie mitocondriali come quella di cui è affetto il bambino di 10 mesi e che rivolge un appello alle autorità inglesi: "Fermatevi, il protocollo scientifico di trattamento sperimentale è pronto".
Connie Yates "ci ha chiesto aiuto - spiega l'associazione Mitocon in una nota -, dice che dall'ospedale stanno per staccare le macchine che tengono in vita il bambino. Già stasera o forse domani. Mitocon, insieme alla mamma e al papà di Charlie, fa dunque appello alle autorità del Regno Unito e ai medici dell'ospedale Gosh affinché sospendano ogni iniziativa di attuare i disposti della sentenza e chiede che sia assicurata ogni cura al piccolo affinché gli sia concesso di poter essere sottoposto alla terapia sperimentale i cui dettagli saranno resi noti a brevissimo".
Mitocon, associazione delle famiglie e dei pazienti mitocondriali italiana, in questi giorni è stata in contatto costante con la famiglia di Charlie Gard e con l'equipe internazionale di scienziati che sta lavorando sulle sindromi da deplezione del Dna mitocondriale, e nello specifico su quelle indotte dalla mutazione RRM2B, che ha colpito il piccolo Charlie. Con i genitori del bambino si è schierato Papa Francesco, il presidente degli Usa Donald Trump si è detto pronto "ad aiutare". Si parla anche di un bilaterale chiesto per domani dalla Casa Bianca al Regno Unito nel corso del G20 di Amburgo, durante il quale Trump tenterebbe di convincere la premier Theresa May, non intenzionata a interferire con le decisioni dei medici e dei tribunali inglesi, a intervenire.
Più concreta l'offerta dell'ospedale "Bambino Gesù" di Roma di prendersi cura di Charlie, declinata con il definitivo "no" a un trasferimento di Charlie in Italia nella telefonata intercorsa tra il ministro degli Esteri britannico Boris Johnson e l’omologo italiano Angelino Alfano: "Ragioni legali non consentono lo spostamento del piccolo". In realtà, aveva spiegato la presidente del "Bambino Gesù" Mariella Enoc, "lo trasferirebbero solo se noi fossimo disposti a eseguire la sentenza della Corte Suprema: quindi a non curare più il bimbo e a staccare la spina. Ovvio che a questo abbiamo risposto di no, che noi non intendiamo farlo”.
Nell’intervista a Repubblica, la presidente Enoc aveva accennato al lavoro dell'equipe internazionale, di cui fa parte anche un ricercatore del "Bambino Gesù", per lo sviluppo di una cura sperimentale per Charlie. "In queste ore sono in stretto contatto tra loro per sottoscrivere il trattamento da inviare poi alla madre". L'associazione Mitocon aggiorna sullo stato del progetto: "Oggi pomeriggio si è tenuta una riunione tra i medici e i ricercatori dell'equipe internazionale e tra poche ore sarà resa nota una posizione ufficiale rispetto alle possibilità terapeutiche percorribili per il piccolo Charlie".
In particolare, scrive l'associazione, "sono stati riconsiderati una serie di dati di efficacia della terapia nucleosidica che ha già dato dimostrazione di efficacia in un numero significativo di casi clinici trattati, con particolare riferimento ai risultati che dimostrano la possibilità dei nucleosidi di superare la barriera ematoencefalica. In base a queste ulteriori e nuove valutazioni il gruppo di lavoro è dunque giunto alla conclusione che la terapia nucleosidica possa essere efficace nel caso del piccolo Charlie. Abbiamo informato la famiglia Gard degli esiti di questa riunione e del fatto che a breve verrà pubblicato uno statement scientifico che farà il punto su questo argomento".
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere della Sera 07.07.17
Charlie Gard, la mamma: «Stanno per staccargli la spina»
Il presidente Mitocon ha parlato con la donna e lanciato un ultimo appello all’ospedale, «Fermatevi, è pronto un protocollo per il trattamento sperimentale»

di Redazione Online
Roma,
«Stanno per staccare le macchine di Charlie, ci ha detto stasera la mamma, Connie Yates»: a parlare è Piero Santantonio, presidente dell’associazione Mitocon che si occupa di malattie mitocondriali come quella del piccolo Charlie. E ha lanciato un nuovo appello alle autorità inglesi: «Fermatevi, il protocollo scientifico si trattamento sperimentale è pronto».
La lotta dei genitori e il no dei giudici
Al piccolo, a cui è stata diagnosticata una rara malattia all’età di dieci mesi (la sindrome da deperimento mitocondriale, che causa il progressivo indebolimento dei muscoli), doveva essere staccata la spina alcuni giorni fa. Poi l’ospedale in cui è ricoverato ha rimandato la procedura: i genitori volevano portarlo negli Usa per farlo sottoporre a una cura sperimentale, ma i giudici britannici hanno sentenziato per il no. Il loro ricorso è stato respinto tre volte, prima dal giudice di un’Alta corte, poi da una corte d’appello e infine dalla corte suprema che valutano il criterio di ‘tutela de bambino’. E nemmeno la corte europea dei diritti umani a Strasburgo ha dato loro ragione, autorizzando i medici a interrompere le cure.
La mobilitazione per Charlie
Per il piccolo è scattata una mobilitazione mondiale. Papa Francesco ha chiesto una preghiera per il bambino: “rispettate il desiderio dei genitori” e gli ospedali cattolici come il Gemelli e il Bambin Gesù si sono attivati per offrire accoglienza e cure al bambino. Ma anche il presidente usa, Donald Trump, è rimasto coinvolto dalla vicenda: secondo i media inglesi, il capo della Casa Bianca avrebbe intenzioni di fare pressioni direttamente sulla premier britannica Theresa May, durante il vertice del G20 in Germania, per farle dare il via libera al trasferimento del neonato in un ospedale negli Usa.
Il Fatto quotidiano 07.07.17
L’ultimo grido della madre: “Staccano la spina a Charlie”
I genitori chiamano la fondazione Mitcon che afferma: “Pronto il protocollo di cure”

Di Fabrizia Caputo
Roma
“Stanno per staccargli la spina”. Le parole di Connie, la mamma di Charlie Gard, questa volta arrivano attraverso Piero Santantonio, presidente dell’associazione Mitocon, la Onlus che si occupa di malattie mitocondriali come quella di cui è affetto il piccolo Charlie, di soli10 mesi.
Tra i centri di riferimento l’associazione ha l’ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma, che si era reso disponibile ad accogliere il piccolo Gard, offerta poi declinata per motivi legali, e l’ospedale Agostino Gemelli (entrambi legati al Vaticano). Connie Yates “ci ha chiesto aiuto - spiega l’associazione - dice che nell’ospedale stanno per staccare le macchine che tengono in vita il bambino. Potrebbe accadere già stasera o forse venerdì”. Il presidente Piero Santantonio lancia allora un appello alle autorità inglesi, ma in realtà anche un annuncio: “Fermatevi, il protocollo scientifico del trattamento sperimentale è pronto”. IN QUESTI GIORNI, fa sapere, Mitocon è stata in contatto costante con la famiglia di Charlie e Santantonio ha dichiarato che dopo una riunione che si è tenuta ieri “tra i medici e i ricercatori dell’equipe internazionale, tra poche ore sarà resa nota una posizione ufficiale rispetto alle possibilità terapeutiche percorribili per il piccolo Charlie”. Gli scienziati stanno lavorando sulle sindromi da deplezione del Dna mitocondriale e nello specifico, su quelle indotte dalla mutazione RRM2B, che ha colpito il piccolo Charlie. Per il presidente di Mitocon “la terapia nucleosidica ha già dato dimostrazione di efficacia in un numero significativo di casi, ed il gruppo di lavoro è dunque giunto alla conclusione che possa essere efficace nel caso del piccolo Charlie”. Se così fosse, sarebbe una novità che potrebbe cambiare le cose. Anche il presidente Donald Trump si è detto “pronto ad aiutare” e sul caso è intervenuta anche la premier britannica Teresa May, dichiarandosi fiduciosa nel fatto che l’ospedale possa considerare “tutte le offerte”. Inoltre, è possibile un bilaterale chiesto per oggi dalla Casa Bianca al Regno Unito nel corso del G20 di Amburgo.
TGCOM 07.07.17
Charlie, la famiglia pubblica la lettera dellʼospedale Bambin Gesù: la terapia può funzionare
Il testo del documento, in cui si chiede ai medici inglesi di poter somministrare la terapia al bimbo, è stata postata dalla zia del piccolo su Facebook. Lʼospedale di Londra chiede una nuova udienza allʼAlta Corte

Di Redazione online
"Ci sono evidenze in laboratorio che il protocollo per la cura di Charlie Gard può funzionare". E' quanto scritto in una lettera su carta intestata dell'Ospedale di Roma Bambin Gesù indirizzata al Great Ormond Street Hospital. Il testo del documento, in cui si chiede ufficialmente ai medici inglesi di poter somministrare la terapia al bimbo, è stato postato dalla zia del piccolo sul profilo Facebook di sostegno, Charlie's Army. Gli esperti dell'equipe internazionale che ha redatto il documento propongono una terapia a base di deossinucleosidi, delle molecole simili ai "mattoni" del Dna. Nel documento dimostrano che queste molecole sono in grado di superare la barriera emato-encefalica, quella che separa i vasi sanguigni dal cervello, e quindi avere effetto sull'encefalopatia che ha colpito il piccolo. "Esistono evidenze scientifiche - scrivono - a sostegno del fatto che i deossinucleotidi esogeni applicati a cellule umane con mutazione RRM2B in coltura, accrescono la replicazione e favoriscono il miglioramento della sindrome da deplezione del DNA". La mutazione a cui si riferiscono i medici è la stessa che colpisce il piccolo. "Siamo consapevoli - concludono gli esperti - del fatto che la terapia con deossinucleotidi per il deficit RRM2B sia sperimentale e, in teoria, dovrebbe essere testata su modelli murini. Tuttavia, non c'è tempo sufficiente per svolgere questi studi e giustificare il trattamento per Charlie Gard, che è affetto da una grave encefalopatia dovuta a mutazioni RRM2B. Alla luce di questi importanti nuovi risultati riguardanti la biodisponibilità dei deossinucleotidi somministrati per via esogena nel sistema nervoso centrale, chiediamo rispettosamente che questa terapia possa essere somministrata a Charlie Gard". L'ospedale di Londra chiede una nuova udienza - Dopo la ricezione della lettera del Bambin Gesù, il Great Ormond Street Hospital di Londra si è rivolto all'Alta Corte per una nuova udienza "alla luce delle richieste relative a possibili altri trattamenti". Un ospedale di New York si offre di aiutare Charlie - Il New York Presbyterian Hospital/Columbia University Medical Center si è offerto di curare il piccolo Charlie con una terapia sperimentale negli Stati Uniti, studiata proprio per la sindrome da deplezione del Dna mitocondriale. Non ci sono barriere legali che impediscano il trasferimento e sarebbe possibile trasportare il bambino in modo totalmente sicuro. I ricercatori della Columbia University hanno già sperimentato il trattamento proposto per Charlie su un bambino di Baltimora, Art Estopinan Jr. che soffre della stessa malattia. Il bambino statunitense aveva diciotto mesi quando, nel 2012, gli venne diagnosticata la sindrome del Dna mitocondriale. Oggi Art, grazie alla cura sperimentale, muove alcuni arti, anche se ancora non può camminare. I genitori di Charlie hanno già raccolto circa 1,7 milioni di dollari per pagare il trattamento e volare negli Stati Uniti.
Il Giornale online 07.07.17
La mossa del Vaticano per non far staccare la spina a Charlie Gard
Secondo le indiscrezioni del Sun, Papa Francesco potrebbe concedere la cittadinanza vaticana a Charlie Gard: la mossa permetterebbe di trasferire il piccolo al Bambin Gesù

Di Ginevra Spina
Roma
L'indiscrezione arriva dal tabloid britannico The Sun, secondo il quale Papa Francesco vorrebbe concedere la cittadinanza vaticana al bambino condannato. Questo escamotage permetterebbe di superare la limitazione legale che ha avanzato la Gran Bretagna per negare il trasferimento verso il Bambin Gesù, l'ospedale romano che aveva offerto ospitalità al piccolo malato.
Da quando la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha stabilito che i medici britannici possono staccare la spina al bambino di 10 mesi anche se i genitori si oppongono, Connie Yates e Chris Gard contano le ore prima di dover dire addio per sempre al loro unico figlio. A Charlie è stata diagnosticata una rarissima malattia genetica (esistono solo 16 casi al mondo), la sindrome di deperimento mitocondriale, che provoca il progressivo e inesorabile indebolimento dei muscoli.
Non esiste una cura e il piccolo è destinato a morire: per questo i medici dell'ospedale pediatrico Great Ormond Street Hospital di Londra avevano deciso di staccare la spina ai macchinari che lo tengono in vita per risparmiare al bambino ulteriori sofferenze. I genitori si sono sempre opposti e, anche dopo aver perso la loro battaglia legale, hanno continuato a lanciare appelli per cercare di salvare Charlie, o per lo meno di fargli guadagnare più tempo. L'appello è arrivato anche in Vaticano, commuovendo Papa Francesco che aveva commentato pubblicamente la vicenda più volte. L'ospedale cattolico Bambin Gesù aveva risposto all'appello del Papa offredo ospitalità al piccolo, ma da Londra era arrivato il no al trasferimento. Ora che il tempo di Charlie sta per scadere e si rincorrono le voci sul distacco delle macchine vitali, secondo il Sun, il Pontefice potrebbe passare dalle parole ai fatti. "Sarebbe un fatto senza precedenti, ma si sta valutando - avrebbe spiegato una fonte di alto livello al tabloid - I parametri legali impediscono che venga spostato e curato all'estero. Se questo può essere superato, allora sia così". Il Sun ricorda anche che il segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, aveva detto che la Santa Sede avrebbe fatto il possibile per superare gli ostacoli legali al trasferimento di Charlie al Bambin Gesù.
Un aiuto anche dagli Usa
Mentre in Italia e in Vaticano si sta studiando ogni possibilità per salvare il piccolo Charlie Gard, anche un ospedale americano offre aiuto al bimbo. La nuova speranza arriva dal New York-Presbyterian Hospital/Columbia University Medical Centre, che, secondo quanto riportano i media internazionali, ha messo a disposizione un farmaco sperimentale non ancora approvato dall'agenzia regolatoria Food and Drug Adimistration. Il nosocomio statunitense si dice "disponibile ad accogliere e valutare Charlie", facendo quanto necessario per "trasferirlo in sicurezza nella nostra struttura" e per trattarlo con il farmaco per cui la Fda potrebbe dare un'autorizzazione d'emergenza. Un ospedale di New York si è offerto anche di spedire un farmaco sperimentale a Londra per aiutare il piccolo Charlie. Il farmaco in questione è in attesa dell'approvazione della Food and Drug Administration (Fda). "Siamo disposti ad accogliere Charlie e a valutarne lo stato, a condizione che vengano attivate misure per trasferirlo in modo sicuro nella nostra struttura, in assenza di ostacoli legali e dopo aver ricevuto l'approvazione d'emergenza dalla Fda per un trattamento sperimentale", hanno spiegato in un comunicato congiunto il New York Presbyterian Hospital e la divisione medica della Columbia University . "In alternativa - prosegue il comunicato - se sarà approvato dalla Fda, possiamo organizzare la spedizione del farmaco all'ospedale Great Ormond Street e offrire una consulenza al personale medico, se sono disposti a somministrarlo".
La Stampa online 07.07.17
L’ospedale di Londra chiede un’altra udienza per Charlie dopo i possibili nuovi trattamenti  
I medici londinesi inoltre «ringraziano le offerte di aiuto da Casa Bianca, Vaticano e dai nostri colleghi in Italia e Usa e altrove»

Di Redazione online
Londra
Il Great Ormond Street Hospital di Londra si è rivolto all’Alta Corte per una nuova udienza sul caso del piccolo Charlie Gard «alla luce delle richieste relative a possibili altri trattamenti». Lo riportano Bbc e Sky News dopo che il Bambino Gesù di Roma ha inviato una lettera all’ospedale londinese chiedendo ufficialmente ai medici inglesi di poter somministrare al bimbo un protocollo sperimentale «che può funzionare». I medici londinesi inoltre «ringraziano le offerte di aiuto da Casa Bianca, Vaticano e dai nostri colleghi in Italia e Usa e altrove». L’ospedale pediatrico della Santa Sede aveva infatti inviato all’ospedale, dove è ricoverato il piccolo, una lettera firmata da un gruppo di più di cinque scienziati internazionali in cui informavano la clinica di aver elaborato una terapia sperimentale per il bambino affetto da una grave malattia rara. Secondo il team di medici, guidati dall’ospedale pediatrico Bambino Gesù, la terapia studiata per il piccolo potrebbe funzionare. Intanto la mamma del bimbo, Connie Yates, non demorde e continua sui vari media del Regno Unito a lottare per suo figlio. In una serie di interviste ha detto che il neonato di 11 mesi ricoverato a Londra non sta soffrendo e che lei non potrebbe in nessun modo vederlo patire. La donna ha lanciato un appello direttamente alla premier britannica Theresa May: «Ci sostenga come stanno facendo gli altri», ha detto. «Noi non siamo genitori cattivi, siamo lì per tutto il tempo, siamo completamente devoti» a Charlie, «non ha dolori e sofferenze e prometto a tutti che non vorrei stare lì a guardare mio figlio nel dolore e nella sofferenza, non potrei farlo», ha detto la madre, aggiungendo che cinque dottori da tutto il mondo credono che ci sia una possibilità su 10 di migliorare i suoi sintomi se il piccolo viene sottoposto al nuovo trattamento offerto in America. La donna è appesa a ogni speranza e ricorda anche il caso di due bimbi con malattie genetiche simili a quella del figlio, che «stanno vivendo vite normali» pur con il supporto della ventilazione. Connie dice che ci sono nuove evidenze del fatto che farmaci sperimentali potrebbero salvare la vita di Charlie. Inoltre è emerso che esperti della Columbia University, l’ateneo associato all’ospedale che si è offerto di accogliere Charlie Gard, hanno sottoposto a una terapia sperimentale un bambino di Baltimora, Art Estopinan, che soffre di una forma simile ma meno grave della malattia con cui è nato il bimbo britannico. I genitori di Art hanno detto al New York Times di esser stati contattati da quelli di Charlie. Ad Art erano stati dati due mesi di vita quando a 18 mesi gli fu diagnosticata la sindrome che ha colpito Charlie. La terapia non è approvata dalla FDA ma può essere richiesta e autorizzata caso per caso per ragioni umanitarie. Art ha adesso sei anni e non può camminare ma muove mani e piedi. Respira assistito da un ventilatore, è nutrito artificialmente e ha bisogno di assistenza 24 ore su 24. I genitori Estopinan hanno detto di aver accettato di uscire allo scoperto perché «convinti che Charlie debba avere una chance» e perché ritengono che «ci sia speranza».
La Repubblica online 07.07.17
Charlie, l'ospedale inglese riceve protocollo sperimentale e riapre il caso
La cura approntata dall'equipe internazionale sotto la direzione del "Bambino Gesù" è stata sottoposta al Great Ormond Street Hospital di Londra, che si è rivolto all'Alta Corte per una nuova udienza "alla luce delle richieste relative a possibili altri trattamenti" 

Di Redazione online
Londra
LONDRA - Il Great Ormond Street Hospital di Londra si è rivolto all'Alta Corte per una nuova udienza sul caso del piccolo Charlie Gard "alla luce delle richieste relative a possibili altri trattamenti". Lo riportano Bbc e Sky News dopo che il Bambino Gesù di Roma ha inviato una lettera all'ospedale londinese chiedendo ufficialmente ai medici inglesi di poter somministrare al bimbo un protocollo sperimentale "che può funzionare". L'ospedale britannico, in una nota, chiarisce: "La condizione di Charlie è eccezionalmente rara, con danni cerebrali catastrofici e irreversibili. I nostri medici hanno esplorato ogni trattamento medico, comprese le terapie nucleosidiche sperimentali. Esperti esterni hanno convenuto con il nostro team che il trattamento sarebbe ingiustificato. Hanno detto che sarebbe inutile e prolungherebbe la sofferenza di Charlie. Non si tratta di una questione di denaro o di risorse, ma soltanto di ciò che è giusto per Charlie. La nostra visione non è cambiata. Riteniamo opportuno ricercare la posizione della Corte di giustizia alla luce delle nuove dichiarazioni. La nostra priorità è sempre stata e sarà sempre l'interesse di Charlie Gard". "Ma la nostra cura e compassione - aggiungono i medici - vanno anche alle famiglie di tutti i bambini che ci occupiamo. Ci sforziamo di assicurarci di offrire loro un supporto illimitato in questi momenti più difficili. Al Great Ormond Street Hospital, ci sforziamo di fornire la migliore assistenza medica possibile per ogni singolo bambino che trattiamo. E 'per questo che siamo riconosciuti come uno degli ospedali per bambini più importanti del mondo, impiegando i medici e infermieri più qualificati e curati che sono assolutamente dedicati ai loro pazienti. Siamo orgogliosi dei nostri colleghi e siamo orgogliosi del lavoro che fanno. Siamo anche immensamente orgogliosi del sostegno pubblico che abbiamo guadagnato durante le generazioni. Lo rispettiamo molto e sappiamo quanto sia prezioso. L'ultima cosa che vogliamo è che un paziente soffra. Siamo rispettosamente riconoscenti delle offerte di aiuto della Casa Bianca, del Vaticano e dei nostri colleghi in Italia e negli Stati Uniti. Vorremmo rassicurare tutti che l'ospedale di Great Ormond continuerà a prendersi cura di Charlie e della sua famiglia con il massimo rispetto e la dignità in questo momento molto difficile". Si apre così uno spiraglio, dopo che ieri la mamma di Charlie, Connie Yates, aveva dato all'associazione Mitocon la drammatica notizia: "Stanno per staccargli la spina” oggi, forse domani". L'associazione delle famiglie e dei pazienti mitocondriali italiana aveva quindi lanciato l'appello alle autorità britanniche a fermare la procedura, perché il protocollo per il trattamento sperimentale a cui sottoporre il bambino era ormai pronto. E in effetti oggi, in una nuova giornata di questa corsa straordinaria contro il tempo, il Great Ormond Street Hospital ha ricevuto dall'Ospedale Bambino Gesù la comunicazione: "Ci sono evidenze" in laboratorio che il protocollo può funzionare. Con annessa richiesta ufficiale ai medici inglesi di poterla somministrare al bambino. Il testo del documento, su carta intentata dell'Ospedale romano, dove sono state omesse le firme dei medici, è stato postato dalla zia di Charlie sul profilo Facebook di sostegno Charlie's Army. L'equipe internazionale di esperti che, guidata dall'ospedale pediatrico della Santa Sede, ha redatto il documento, propone una terapia a base di deossinucleosidi, delle molecole simili ai "mattoni" del DNA. "Esistono evidenze scientifiche - scrivono i ricercatori - a sostegno del fatto che i deossinucleotidi esogeni applicati a cellule umane con mutazione RRM2B in coltura, accrescono la replicazione e favoriscono il miglioramento della sindrome da deplezione del DNA", la mutazione di cui è affetto il piccolo. "Siamo consapevoli - concludono gli esperti - del fatto che la terapia sia sperimentale e, in teoria, dovrebbe essere testata su modelli murini. Tuttavia, non c'è tempo sufficiente per svolgere questi studi e giustificare il trattamento per Charlie Gard. Alla luce di questi importanti nuovi risultati, chiediamo rispettosamente che questa terapia possa essere somministrata a Charlie Gard".
Il Giornale online 07.07.17
La mossa del Vaticano per non far staccare la spina a Charlie Gard
Secondo le indiscrezioni del Sun, Papa Francesco potrebbe concedere la cittadinanza vaticana a Charlie Gard: la mossa permetterebbe di trasferire il piccolo al Bambin Gesù

Di Ginevra Spina
Roma
La storia di Charlie Gard ha commosso il mondo, ma ormai il piccolo ha le ore contate: il Papa, però, potrebbe intervenire per evitare che gli venga staccata la spina. L'indiscrezione arriva dal tabloid britannico The Sun, secondo il quale Papa Francesco vorrebbe concedere la cittadinanza vaticana al bambino condannato. Questo escamotage permetterebbe di superare la limitazione legale che ha avanzato la Gran Bretagna per negare il trasferimento verso il Bambin Gesù, l'ospedale romano che aveva offerto ospitalità al piccolo malato. Da quando la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha stabilito che i medici britannici possono staccare la spina al bambino di 10 mesi anche se i genitori si oppongono, Connie Yates e Chris Gard contano le ore prima di dover dire addio per sempre al loro unico figlio. A Charlie è stata diagnosticata una rarissima malattia genetica (esistono solo 16 casi al mondo), la sindrome di deperimento mitocondriale, che provoca il progressivo e inesorabile indebolimento dei muscoli.
Non esiste una cura e il piccolo è destinato a morire: per questo i medici dell'ospedale pediatrico Great Ormond Street Hospital di Londra avevano deciso di staccare la spina ai macchinari che lo tengono in vita per risparmiare al bambino ulteriori sofferenze. I genitori si sono sempre opposti e, anche dopo aver perso la loro battaglia legale, hanno continuato a lanciare appelli per cercare di salvare Charlie, o per lo meno di fargli guadagnare più tempo. L'appello è arrivato anche in Vaticano, commuovendo Papa Francesco che aveva commentato pubblicamente la vicenda più volte. L'ospedale cattolico Bambin Gesù aveva risposto all'appello del Papa offredo ospitalità al piccolo, ma da Londra era arrivato il no al trasferimento. Ora che il tempo di Charlie sta per scadere e si rincorrono le voci sul distacco delle macchine vitali, secondo il Sun, il Pontefice potrebbe passare dalle parole ai fatti. "Sarebbe un fatto senza precedenti, ma si sta valutando - avrebbe spiegato una fonte di alto livello al tabloid - I parametri legali impediscono che venga spostato e curato all'estero. Se questo può essere superato, allora sia così". Il Sun ricorda anche che il segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, aveva detto che la Santa Sede avrebbe fatto il possibile per superare gli ostacoli legali al trasferimento di Charlie al Bambin Gesù. Un aiuto anche dagli Usa. Mentre in Italia e in Vaticano si sta studiando ogni possibilità per salvare il piccolo Charlie Gard, anche un ospedale americano offre aiuto al bimbo. La nuova speranza arriva dal New York-Presbyterian Hospital/Columbia University Medical Centre, che, secondo quanto riportano i media internazionali, ha messo a disposizione un farmaco sperimentale non ancora approvato dall'agenzia regolatoria Food and Drug Adimistration. Il nosocomio statunitense si dice "disponibile ad accogliere e valutare Charlie", facendo quanto necessario per "trasferirlo in sicurezza nella nostra struttura" e per trattarlo con il farmaco per cui la Fda potrebbe dare un'autorizzazione d'emergenza. Un ospedale di New York si è offerto anche di spedire un farmaco sperimentale a Londra per aiutare il piccolo Charlie. Il farmaco in questione è in attesa dell'approvazione della Food and Drug Administration (Fda). "Siamo disposti ad accogliere Charlie e a valutarne lo stato, a condizione che vengano attivate misure per trasferirlo in modo sicuro nella nostra struttura, in assenza di ostacoli legali e dopo aver ricevuto l'approvazione d'emergenza dalla Fda per un trattamento sperimentale", hanno spiegato in un comunicato congiunto il New York Presbyterian Hospital e la divisione medica della Columbia University . "In alternativa - prosegue il comunicato - se sarà approvato dalla Fda, possiamo organizzare la spedizione del farmaco all'ospedale Great Ormond Street e offrire una consulenza al personale medico, se sono disposti a somministrarlo".
LA RASSEGNA STAMPA DAL 24.06.17 AL 30.06.17


CINA





Left 24.06.2017
Hong Kong e Shanghai 

affascinanti rivali
di Federico Masini
qui








Xinhua Net 26.06.2017
Xi: "One country, two systems" the best arrangement for HK
qui

South China Morning Post 26.06.2017

Joshua Wong and other activists cover iconic Golden Bauhinia statue in black cloth ahead of Xi Jinping visit
di Elizabeth Cheung e Clifford Lo
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The New York Times 26.06.2017

Liu Xiaobo, Chinese Nobel Laureate, Leaves Prison for Cancer Care
di Chris Buckley e Austin Ramzy
qui

Ioni al litio, la corsa della Cina per la produzione di batterie per auto elettriche
Bloomberg 28.06.2017

China Is About to Bury Elon Musk in Batteries
di Joe Ryan
qui

La Mongolia al voto: in lizza tre candidati in odore di corruzione
Le Monde 26.06.2017
qui

Nikkei 25.06.2017

Mongolian presidential election neck and neck
Corruption allegations dog front-runner as rival stokes patriotism
di Shunsuke Tabeta
qui

LimesOnline 30.06.2017

Banche e Taiwan: così gli Usa premono sulla Cina
di Federico Petroni
qui

Cina, nuove generazioni e cultura “sang”
Sixth Tone 26.06.2017
Turn Off, Drop Out: Why Young Chinese Are Abandoning Ambition
di Zeng Yuli
qui


MONDO

Le Monde 29.06.2019

L’argentier du Vatican inculpé d’abus sexuels en Australie
di Cécile Chambraud et Caroline Taïx
qui

The New York Times 28.06.2017

Australian Cardinal and Aide to Pope Is Charged With Sexual Assault
di Jacqueline Williams
qui

Oliver Stone e lo “scandaloso” documentario su Putin
L’Obs (Le Nouvelle Observateur) 25.06.2017
Le scandaleux documentaire d'Oliver Stone sur Vladimir Poutine
di Vincent Jauvert
qui

LimesOnline

Tre anni di Califfato: lo Stato Islamico in Siraq e nel mondo
qui

CULTURA

La notte, i sogni: la Francia si interroga, tra filosofia e neuroscienze
Le Monde 30.06.2017
Michaël Fœssel: « La nuit est propice aux expériences égalitaires »
di Damine Dubuc
qui

La Rivoluzione Democratica 25.06.2017

Scienza e Credenza
di Carlo Patrignani
qui

Le Monde 29.06.2017

Comment faire pour se souvenir de ses reves?
di Sylvie Chayette
qui

Bnf (Biblioteque Nationale de France)
La bibliothèque, la nuit
Bibliothèques mythiques en réalité virtuelle
qui

Esiste la realtà? La “distanza” tra linguaggio e verità
The New Yorker 28.06.2017
A Parable for the Distance Between Language and Truth
di Nicole Rudick
qui

E in Italia? C’è la neurobiologia del tempo…
Radio 3 Scienza 30.06.2017
di Rossella Panarese
qui

POLITICA E SOCIETA’

MicroMega

Il governo turco cancella Darwin
di Francesco Suman
qui

PrimaOnline 29.06.2017

Dubbi del Governo inglese sull’acquisizione di Sky da parte di Fox. Il ministro della Cultura, Bradley, chiede l’intervento dell’Antitrust
qui

SCIENZA E MEDICINA

La misteriosa “potenza” del sole
The New York Times 23.05.2017
Solving the Scorching Mystery of the Sun’s Erupting Plasma Jets
di Nicholas St. Fleur
qui

L’Obs (Le Nouvelle Observateur)

L'astéroïde qui a changé la face du monde (et éradiqué les dinosaures)
di Jean-Paul Fritz
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SETTIMANALI
 
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Genitori che odiano lo Stato
Contro i vaccini, le mense, l'educazione alla parità: storia di una rivolta Il nemico è lo Stato storie di genitori arrabbiati Tendenze Urlano al regime contro i vaccini, credono che la scuola pubblica manipoli i giovani, non vogliono il cibo delle mense. Una galassia dominata da individualismo, fake news, autonomismo e cattolicesimo radicale
di SAMUELE CAFASSO
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HOMESCHOOLING fuori dalle classi: i bimbi si educano a casa
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Usa, prima regola diffidare del governo
Scelte Oltre due milioni di ragazzi sono educati dai genitori. E, dalle identità sessuali agli stili di vita, domina l'eccezione. Perché qui la prassi è dubitare della norma
di PAOLO PONTONIERE
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la sinistra americana? sotto l'antiTrumpismo, niente
Usa L'eredità di Obama e Clinton è un partito senza leader né idee.
I democratici non sanno più cosa dire su lavoro, salari, globalizzazione.
Resta Zio Bernie, ma fa scappare i moderati
di ANGELO PAURA
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Dimenticare non è poi così male
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Libri
I giornalisti secondo Gramsci
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Libri
Un ’intellighenzia sinistra
•Scompartimento per lettori e taciturni
•Grazia Cherchi
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Serie TV
The Leftovers 3 lo scontro tra fede e ragione
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Internazionale 30.6.17

Storia di un dissidente cinese
Le Monde, Francia
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Internazionale 30.6.17
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Una mentalità arretrata opprime l’India
La cultura rurale porta con sé un bagaglio di disuguaglianza, oppressione e sessismo. E mette a rischio la battaglia per la modernità nel paese. L'opinione di uno scrittore indiano di Manu Joseph, LiveMint, India
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Internazionale 30.6.17

Hong kong Vent’anni con Pechino
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Internazionale 30.6.17
Economia e lavoro
Gli investimenti cinesi che preoccupano Pechino
da Frankfurter Allgemeine Zeitung, Germania
Il governo ha messo sotto controllo le operazioni con cui i grandi gruppi comprano aziende all’estero. teme la fuga di capitali, ma soprattutto rischi seri per il sistema finanziario
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Internazionale 30.6.17

No agli aiuti fiscali alla chiesa
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il manifesto 8.7.17
Il Museo della Resistenza di Torino rischia la chiusura
Memoria . Finanziamenti ridotti e ritardi nell'erogazione di quelli del passato. Nel frattempo appelli e un crowdfunding per scongiurare la chiusura
di Luciano del Sette

Il rischio più grande è quello di una lenta agonia. Esordisce così Guido Vaglio, direttore del Museo Diffuso della Resistenza di Torino. Da un paio di settimane, intorno al museo, si sono diffuse voci di una possibile chiusura, cui sono subito seguiti appelli, firmati, tra gli altri, da Gustavo Zagreblesky, Marco Revelli, Aldo Agosti, Luciano Violante. Il perché, almeno in apparenza, sembra rientrare in un copione ormai classico quando ha come soggetto le istituzioni culturali e la cultura in generale. Sopra ogni altra cosa i contributi pubblici, puntualmente in ritardo e progressivamente tagliati. Ma nello specifico, altri problemi complicano il quadro.
IL MUSEO, allestito in uno dei due palazzi dei quartieri Militari progettati a inizi Settecento da Filippo Juvarra, apre i battenti nel 2003 su iniziativa del comune. Nel 2006 nasce un’associazione di cui fanno parte comune, provincia, regione, Istituto Storico della Resistenza e Archivio Cinematografico della Resistenza. Il finanziamento istituzionale annuo erogato ammonta a cento e sessantamila euro, ai quali si sommano affitto e utenze gratuiti, accanto a ottantamila euro dalla Compagnia di San Paolo. Ad aprile 2016 viene inaugurato, nel secondo palazzo dei Quartieri, il Polo del Novecento, che raduna diciannove realtà, tra di esse l’Anpi, L’Istituto Gramsci, il Centro Piero Gobetti. Restauri e lavori sono finanziati per intero dalla Compagnia. Si volatilizzano, di conseguenza, gli ottantamila euro destinati al museo. Tagli e ritardi (la Regione è debitrice delle quote 2015 e 2016) hanno portato i conti in rosso, fino a esaurire il fido bancario e a mettere a repentaglio gli stipendi dei dipendenti. Questo nonostante l’intervento della giunta Appendino, pochi giorni fa. Ma, afferma Vaglio, le difficoltà non sono solo di carattere economico: «Abbiamo posto ai soci fondatori il problema del mandato politico che il museo ha. Vorremmo che si pronunciassero sui progetti di sviluppo. L’attuale mancanza della piena operatività del Polo del Novecento ha determinato una situazione di stallo, che ricade anche su di noi. Infine, c’è un problema di sovrapposizione di ruolo e funzioni». Intanto, al museo sono stati tolti lo spazio per le mostre temporanee e la sala conferenze, poiché queste attività sono divenute prerogative del Polo.
ESISTE UNA VIA D’USCITA? «La proposta, per altro concordata con Comune e Regione, sarebbe di una nostra integrazione all’interno del progetto globale. Nonostante il pubblico via libera e le promesse del Polo di convocare un tavolo di confronto politico e tecnico, tutto è fermo».
Stanno invece facendo qualcosa di concreto i torinesi. La sottoscrizione lanciata dal museo sul web ha raccolto in brevissimo tempo dodicimila euro. Un segnale forte di solidarietà, un no deciso alla chiusura di un luogo che difende memorie sempre più fragili. Evocate ormai soltanto nella retorica delle cerimonie da calendario.
Il Fatto 8.7.17
Pirandello, il fascino del disinganno dietro a tutto il suo Caos
150 anni fa in Sicilia nasceva uno dei più grandi letterati della cultura italiana, Nobel nel 1934: i suoi testi tradotti nel mondo
 di Pietrangelo Buttafuoco

L’involontario soggiorno sulla terra di Luigi Pirandello inizia il 28 giugno 1867, giusto 150 anni fa. L’uomo della distruzione dell’Io – Uno, nessuno e centomila – non gode della totale disillusione di attribuirsi, senza rimorso, il fallimento sul meglio delle sue stesse illusioni.
E’ l’infelicità – com’è facile a intendersi – a ghermirlo. Nel giorno dopo giorno della realtà, fino all’ultimo – all’ombra della bella pergola sull’incannucciata del Caos, a casa sua – Pirandello gusta lo sfascio del disinganno: “Proprio quell’inganno per cui ora dico a voi che n’avete un altro davanti.”
Si chiude la porta alle spalle – è ancora bambino, quindi studente a Bonn, poi promettente letterato a Roma, infine è in Svezia, insignito del premio Nobel per la letteratura – e la cupa malia di un destino doppio, il volto e la maschera, gli rende grave il peso di ogni cosa.
In una dedica – “a Marta Abba, per non morire” – Pirandello fronteggia l’estenuante mutevolezza dell’apparire.
Lei è l’amore suo mai vissuto, la musa per cui lui scrive, l’attrice che sul palcoscenico del Teatro Argentina, a Roma, durante le prove gli sta accanto al modo che conosce solo lui e nessun altro. E lei però non è adesso polvere accanto a lui, all’ombra del suo pino, ad Agrigento, segnata ai posteri con quella “rozza pietra” che per essere tale – in forma di sepolcro – è di certo chic, non convenzionale, ma è tomba di un’anima sola. E solitaria.
L’albero, erto a modo di Croce, lascia passare in silenzio la morte ma non certo l’angoscia i cui artigli invisibili – dal dicembre del 1961, quando dal cimitero del Verano le ceneri di Pirandello, vengono traslate in Sicilia – sussurrano ansia alle scolaresche in gita d’istruzione. E’ un’inquietudine che solo il sentimento del contrario, visitando la casa dello scrittore, può sciogliere nell’esito tutto umoristico di un foglio esposto, una reliquia tutta di comicità.
Ecco la storia: è il nove novembre 1934 e Luigi Pirandello – Accademico d’Italia – apre l’uscio e accoglie in casa una moltitudine di cronisti, operatori di ripresa dell’Istituto Luce, fotografi, funzionari di polizia e autorità prefettizie.
L’Agenzia Stefani comunica la notizia appena diramata dalla Casa Reale di Svezia, l’autore di Novelle per un Anno, di Maschere Nude, del Fu Mattia Pascal e di tante altre opere apprezzate nella scena internazionale, è insignito del premio Nobel per la Letteratura.
Affollati all’entrata, stanno ad attendere con facce ridenti gli accompagnatori, gli autisti, i curiosi e i vetturini che hanno lasciato le loro carrozzelle dove la traversa si veste di spuntoni e siepi. La petulanza degli entusiasti è insoffribile e Pirandello, che acconsente alla richiesta di fabbricare un’istantanea e un filmato che lo colga “dal vero”, così da raccontare al mondo la giornata operosa del sommo artista, batte sui tasti della macchina da scrivere – pesta al modo suo, proverbiale, con un solo dito – e per 27 volte, senza che né i fotografi e neppure i cameraman se ne accorgano, scrive la parola pagliacciate (con 24 punti esclamativi, un “paglia”, due tentativi di “pppp” e qualche “pagliaxxtte”).
L’unico filmato “dal vero” è quel foglio. L’esistere oltre l’apparire. La maschera, nella finzione, svela l’estraneo inseparabile che vive la condizione di ognuno. E a ciascuno, nel teatro visibile della storia, spetta esserci e sembrare contemporaneamente. E’ quel sentirsi vivere, oltre le convenzioni sociali, nella vita che non conclude.
La realtà d’oggi è l’illusione di domani. La parola ad Anselmo Paleari, la teoria della lanterninosofia, da Il Fu Mattia Pascal: “Nell’improvviso bujo, allora è indescrivibile lo scompiglio delle singole lanternine: chi va di qua, chi va di là, chi torna indietro, chi si raggira; nessuna più trova la via: si urtano, s’aggregano per un momento in dieci, in venti; ma non possono mettersi d’accordo, e tornano a sparpagliarsi in gran confusione, in furia angosciosa: come le formiche che non trovino più la bocca del formicaio, otturata per ispasso da un bambino crudele”.
L’illusione di oggi non è mai la realtà di domani. Alla rappresentazione s’affianca sempre un suo riflesso: la rappresentazione della rappresentazione. Ben tre corde – quella seria, quella civile e quella pazza, e sono quelle del Berretto a Sonagli – si fanno carico dell’intera coscienza giusto a impedire agli uomini quello che incombe sugli animali: l’immediata risoluzione del bramare. Pirandello – l’uomo che nel distruggere l’io diventa aggettivo – indica nella messa in scena pirandelliana la strada sbagliata da cui non c’è più uscita.
Chi scansa l’ora, scansa il pericolo, e Leonardo Sciascia, in Alfabeto Pirandelliano, alla voce psicoanalisi – dove Michel David lamenta nel pur cervellotico don Luigi un ritardo rispetto agli sviluppi delle scienze – può ben rallegrarsi. “Nel caso di Pirandello il proverbio è di splendente verità: l’avere scansato l’ora di Freud è stato un bel colpo di fortuna.”
Pirandello, di formazione culturale germanica, più che francese, rasenta infatti quegli stessi Holzwege (I sentieri interrotti di Martin Heidegger) che nella seconda metà del Novecento inoltrano l’estetica e la teoretica nell’aurora esistenzialista e nella fenomenologia.
Acuto scandagliatore dei segni, Pirandello non si sottrae all’incontro con Walt Disney, e tutto quel suo teatro – il suo prodigarsi perfino da capocomico, a farsi complice di Angelo Musco, ossia il supremo artista del riso a lui contemporaneo – non è un solco dove lui sta da epigono ad altri, fosse pure Carlo Goldoni o William Shakespeare, bensì dimora, luogo che dà origine.
Ancora una citazione dall’Alfabeto di Sciascia, giustappunto la voce teatro: “‘Cominciando, si era fermato su due parole ignote; nessuno, nell’ambito dell’Islam, aveva la più piccola idea di quel che volessero dire’. Le parole sono ‘tragedia’ e ‘commedia’: e Borges immagina lo smarrimento di Averroè quando, traducendo la Poetica di Aristotele, vi si imbatte. Come poteva penetrare il significato di quelle due parole, se tutto l’Islam non aveva nozione del teatro? Così – come ancora nell’Islam di cui Agrigento era parte – Pirandello il teatro lo inventa. Dirà Pitoëff: ‘Il teatro era in lui, egli era il teatro’”.
È teatro, dunque, il Pirandello che disegna il profilo elegante di Rossella Falk nell’allestimento dei Sei personaggi in cerca d’autore del 1954, con lei c’è – un monumento – Romolo Valli, ed è canone quello che si genera dall’orchestrazione di regia, parola e disinganno.
Com’è facile intendere, il fallimento sul meglio delle nostre stesse illusioni è nell’attesa, nell’assenza, nell’istante, nel compimento degli addii, nello struggimento di bellezza e grazia e nel mai più.
Il cervello nulla può, è come un mulinello, e l’amore muta in disperazione, fa bottino del cuore e lo incatena. A Marta Abba, “per non morire”, Pirandello destina quel che riserva a se stesso. Il mai più. Lo esprime in Romanza di Liolà ed è la più bella delle serenate.
Con Nicola Piovani, i versi, hanno trovato uno spartito dove poter volare (l’esecuzione più bella è quella del Maestro Antonio Vasta, la voce definitiva nel canto è quella di Mario Incudine) e fa così:
D’un regnu di biddizzi e di valuri
Avia essiri almenu na regina
Chidda ca m’avia a vinciri d’amuri
Chidda ca m’avia vinciri lu cori
Chidda ca m’avia a mettiri a catina
Ppi ciriveddu haiu un firrialoru
Lu ventu sciuscia e mi lu fa girari
E quannu sciuscia gira tuttu a coru
E non c’è versu ca si po fermari
L’amuri avi quattru arbuli ciuriti
Unu d’aranciu e l’autru di lumìa
Unu di gelsuminu spampanati
L’autru ca è a rama di la gilusia
Ca fa tutti l’amanti disperati
Ppi ciriveddu haiu un firrialoru
Lu ventu sciuscia e mi lu fa girari
E quannu sciuscia gira tuttu a coru
E non c’è versu ca si po fermari
Il Fatto 8.7.17
La scienza ha come bersaglio la paura
Quali timori condizionano la ricerca? Difficile dirlo. Ma la posta in gioco è enorme, perché riguarda direttamente noi: si tratta del nostro cervello, del suo funzionamento, della sua evoluzione e della sua unicità
di Andrea Moro

Cosa può far paura nella scienza? Non siamo abituati ad associare questi due termini – la paura e la scienza – eppure la storia della scienza è una storia di coraggio e il coraggio non si dà senza la paura. La paura e il coraggio non possono dunque non essere presenti nella ricerca scientifica ma non solo perché sono il contorno emotivo naturale delle imprese appassionanti e difficili ma perché spesso il coraggio nasce proprio per sconfiggere la paura; ha la paura come bersaglio. Di questo l’occidente ne è consapevole fino dagli esordi della riflessione sulla scienza come ci testimonia Lucrezio che elogia il coraggio della scienza di Epicuro come antidoto per la paura.
E poi c’è paura e paura: c’è la paura dell’ignoto, che Dante stesso ci dice è vinta dall’uomo per la sua naturale propensione alla curiosità, “l’ardore di divenir del mondo esperto”; c’è la paura delle conseguenze, come testimoniano le lettere di Einstein sull’impiego di bombe termonucleari; e c’è anche la paura della fatica, quella che prende Wiles, il grande matematico inglese quando, dopo essersi accorto di un buco nella sua dimostrazione della congettura di Fermat, entrò in una clausura metodica, una clausura che durò un anno ma che non sapeva né quando sarebbe finita, né se mai sarebbe finita.
Ma tutte queste paure sono paure dettate dal mondo; sono paure, cioè, che hanno in comune tra di loro il fatto di dipendere dalla natura delle cose, fisica e biologica, cioè, in sintesi: dalla realtà esterna all’uomo. Esiste, tuttavia, un altro tipo di paura che qui questa sera voglio evocare e considerare insieme a voi; si tratta di una paura diversa, una paura che dipende tutta dall’uomo e che implica un coraggio forse ancora più forte e che ci sfida costantemente: la paura di non riuscire a convincere gli altri quando si è capito ciò che è vero. Si tratta di una paura subdola ma che forse proprio per questo ci condiziona di più di ogni altra e non riconoscerla vorrebbe dire rimanerne vittime. Vediamone un esempio.
Ci fu un momento nella storia della scienza nel quale si giocò una partita importantissima, la partita che segnò la maturazione del metodo scientifico sbocciato come conseguenza del Rinascimento: quel metodo che al di là di ogni relativismo ha reso l’occidente il riferimento unico per la vita di tutti gli esseri umani. In questa partita il destino si giocò sulla vittoria verso questo tipo di paura della quale ho parlato. Mi riferisco alla legge di gravitazione di Newton quella che da sola spiega sia perché una mela cade per terra seguendo una linea retta sia perché la Luna si muove intorno alla Terra seguendo una linea curva. Cosa c’entra in questo la paura?
Al tempo di Newton la fisica aveva appena vissuto una rivoluzione epocale; una rivoluzione stupefacente e giusta ma che Newton si trovò addosso come limite. Cartesio aveva introdotto il principio fondamentale secondo il quale un fenomeno può condizionarne un altro a distanza solo se tra i due c’è una catena di fenomeni locali, dove qualche cosa entra a contatto con qualche cos’altro. Così, ad esempio, il suono dalla mia bocca esce e raggiunge le vostre orecchie trasportato da onde d’aria concentriche come un sasso gettato in uno stagno, e il profumo di un caffè passa dal liquido al vostro naso perché delle invisibili molecole di caffè toccano le mucose e da lì partono i segnali verso il cervello. Non esiste l’azione a distanza per i cartesiani; quella va bene solo per gli alchimisti.
Per Cartesio, dunque, la Luna, la Terra e tutti gli astri si muovono in cerchio perché catturati da un vortice di sostanza invisibile che si chiama etere. Ma la teoria dei vortici, che comunque deve ammettere l’esistenza di una sostanza che nessuno vede, non può essere applicata alla mela che cade. Newton, invece, capisce che i due fenomeni sono descrivibili con la stessa legge ma che, dovendo rinunciare alla teoria dei vortici, deve in qualche modo, sia pure temporaneamente, adottare un modello che descrive un’azione a distanza, ponendosi con ciò contro tutta la comunità scientifica.
Newton ebbe paura: buttare via tutto per non andar contro all’ortodossia scientifica o prendere un’altra strada sospendendo per il momento la validità della teoria cartesiana? Per anni Newton tenne chiusa nel cassetto la sua teoria ma alla fine, fidandosi della sua intelligenza e della sua intuizione, si decise e la pubblicò. L’annuncio di questa vittoria, che ha pochi eguali nella storia, arriva paradossalmente con una dichiarazione di resa che vale la pena ripetere: “Non sono stato in grado di scoprire le cause della forza di gravità e non fingo delle ipotesi. Per noi è sufficiente che la gravità esista veramente, che agisca in conformità con le leggi che ho spiegato e che serva per spiegare tutti i movimenti.” Quella paura fu vinta e la storia dell’umanità prese un nuovo corso.
Quali paure condizionano la ricerca scientifica oggi? Difficile dirlo: forse alcune sono così scontate che nessuno si cura di dichiararle; forse altre si pensa che siano insuperabili. Almeno in un caso, tuttavia, per quanto diverso, noi ci troviamo in una situazione simile a quella di Newton e la posta in gioco è enorme, forse anche maggiore rispetto a quella che riguardava il modello di universo fisico perché questa riguarda direttamente noi esseri umani: si tratta del nostro cervello, della comprensione del suo funzionamento, della sua natura, della sua evoluzione e della sua unicità. E, di tutti i fenomeni che riguardano il cervello, la struttura del linguaggio è il più rilevante perché costituisce lo spartiacque certo tra noi e tutti gli altri animali, l’impronta digitale della nostra mente. Questo è il problema: la grande scoperta delle regolarità matematiche universali delle lingue umane, la cosiddetta teoria delle grammatiche generative, non è al momento totalmente riconducibile alla “meccanica dei neuroni” e non sappiamo se mai lo sarà. Ci dobbiamo per questo fermare o conviene procedere nell’analisi del linguaggio rimandando l’unificazione dei due domini? Dovremo vegliare tutti insieme con coraggio perché non sia la paura a far tacere il prossimo Newton.
* Professore di linguistica generale alla Scuola Universitaria Superiore Iuss di Pavia © Andrea Moro 2017
Repubblica 8.7.17
Francesco: “Il mio grido al G20 No ad alleanze contro i migranti”
Intervista con il Papa: non fermate i poveri
L’Europa non dimentichi il suo colonialismo
di Eugenio Scalfari

GIOVEDÌ scorso, cioè l’altro ieri, ho ricevuto una telefonata da Papa Francesco. Era circa mezzogiorno e io ero al giornale, quando è squillato il mio telefono e una voce mi ha salutato: era di sua Santità. L’ho riconosciuta subito e ho risposto: Papa Francesco, mi fa felice sentirla. «Volevo notizie sulla sua salute. Sta bene? Si sente bene? Mi hanno detto che qualche settimana fa lei non ha scritto il suo articolo domenicale, ma poi vedo che ha ripreso».
Santità, ho tredici anni più di lei. «Sì, questo lo so. Deve bere due litri d’acqua al giorno e mangiare cibo salato». Sì lo faccio. Sono seguiti altri suoi consigli ma io l’ho interrotto dicendo: è un po’ che non ci parliamo, vorrei venire a salutarla, vado in vacanza tra pochi giorni ed è parecchio che non ci vediamo. «Ha ragione, lo desidero anche io. Potrebbe venire oggi? Alle quattro?». Ci sarò senz’altro.
Mi sono precipitato a casa e alle tre e tre quarti ero nel piccolo salotto di Santa Marta. Il Papa è arrivato un minuto dopo. Ci siamo abbracciati e poi, seduti uno di fronte all’altro, abbiamo cominciato a scambiare idee, sentimenti, analisi di quanto avviene nella Chiesa e poi, nel mondo.

IL PAPA viaggia incessantemente: a Roma, in Italia, nel mondo. Il tema principale della nostra conversazione è il Dio unico, il Creatore unico del nostro pianeta e dell’intero Universo. Questa è la tesi di fondo del suo pontificato, che comporta una serie infinita di conseguenze, le principali delle quali sono l’affratel-lamento di tutte le religioni e di quelle cristiane in particolare, l’amore verso i poveri, i deboli, gli esclusi, gli ammalati, la pace e la giustizia.
Il Papa naturalmente sa che io sono non credente, ma sa anche che apprezzo moltissimo la predicazione di Gesù di Nazareth che considero un uomo e non un Dio. Proprio su questo punto è nata la nostra amicizia. Il Papa del resto sa che Gesù si è incarnato realmente, è diventato un uomo fino a quando fu crocifisso. La “ Resurrectio” è infatti la prova che un Dio diventato uomo solo dopo la sua morte ridiventa Dio.
Queste cose ce le siamo dette molte volte ed è il motivo che ha reso così perfetta e insolita l’amicizia tra il Capo della Chiesa e un non credente.
Papa Francesco mi ha detto di essere molto preoccupato per il vertice del “G20”. «Temo che ci siano alleanze assai pericolose tra potenze che hanno una visione distorta del mondo: America e Russia, Cina e Corea del Nord, Putin e Assad nella guerra di Siria».
Qual è il pericolo di queste alleanze, Santità?
«Il pericolo riguarda l’immigrazione. Noi, lei lo sa bene, abbiamo come problema principale e purtroppo crescente nel mondo d’oggi, quello dei poveri, dei deboli, degli esclusi, dei quali gli emigranti fanno parte. D’altra parte ci sono Paesi dove la maggioranza dei poveri non proviene dalle correnti migratorie ma dalle calamità sociali; altri invece hanno pochi poveri locali ma temono l’invasione dei migranti. Ecco perché il G20 mi preoccupa: colpisce soprattutto gli immigrati di Paesi di mezzo mondo e li colpisce ancora di più col passare del tempo».
Lei pensa, Santità, che nella società globale come quella in cui viviamo la mobilità dei popoli sia in aumento, poveri o non poveri che siano?
«Non si faccia illusioni: i popoli poveri hanno come attrattiva i continenti e i Paesi di antica ricchezza. Soprattutto l’Europa. Il colonialismo partì dall’Europa. Ci furono aspetti positivi nel colonialismo, ma anche negativi. Comunque l’Europa diventò più ricca, la più ricca del mondo intero. Questo sarà dunque l’obiettivo principale dei popoli migratori».
Anch’io ho pensato più volte a questo problema e sono arrivato alla conclusione che, non soltanto ma anche per questa ragione, l’Europa deve assumere al più presto una struttura federale. Le leggi e i comportamenti politici che ne derivano sono decisi dal governo federale e dal Parlamento federale, non dai singoli Paesi confederati. Lei del resto questo tema l’ha più volte sollevato, perfino quando ha parlato al Parlamento europeo.
«È vero, l’ho più volte sollevato». E ha ricevuto molti applausi e addirittura ovazioni. «Sì, è così, ma purtroppo significa ben poco. I Paesi si muoveranno se si renderanno conto di una verità: o l’Europa diventa una comunità federale o non conterà più nulla nel mondo. Ma ora voglio farle una domanda: quali sono pregi e difetti dei giornalisti?».
Lei, Santità, dovrebbe saperlo meglio di me perché è un assiduo oggetto dei loro articoli.
«Sì, ma mi interessa saperlo da lei».
Ebbene, lasciamo da parte i pregi, ma ci sono anche quelli e talvolta molto rilevanti. I difetti: raccontare un fatto non sapendo fino a quale punto sia vero oppure no; calunniare; interpretare la verità facendo valere le proprie idee. E addirittura fare proprie le idee di una persona più saggia e più esperta attribuendole a se stesso. «Quest’ultima cosa non l’avevo mai notata. Che il giornalista abbia le proprie idee e le applichi alla realtà non è un difetto, ma che si attribuisca idee altrui per ottenere maggior prestigio, questo è certamente un difetto grave».
Santità, se me lo consente ora vorrei io porle due domande. Le ho già prospettate un paio di volte nei miei recenti articoli, ma non so come Lei la pensa in proposito. «Ho capito, lei parla di Spinoza e di Pascal. Vuole riproporre questi suoi due temi?».
Grazie, comincio dall’Etica di Spinoza. Lei sa che di nascita era ebreo, ma non praticava quella religione. Arrivò nei Paesi Bassi provenendo dalla sinagoga di Lisbona. Ma in pochi mesi, avendo pubblicato alcuni saggi, la sinagoga di Amsterdam emise un durissimo editto nei suoi confronti. La Chiesa cattolica per qualche mese cercò di attirarlo nella sua fede. Lui non rispondeva e aveva disposto che i suoi libri fossero pubblicati soltanto dopo la sua morte. Nel frattempo però alcuni suoi amici ricevevano copie dei libri che andava scrivendo. L’Etica in particolare, arrivò a conoscenza della Chiesa la quale immediatamente lo scomunicò. Il motivo è noto: Spinoza sosteneva che Dio è in tutte le creature viventi: vegetali, animali, umani. Una scintilla di divino è dovunque. Dunque Dio è immanente, non trascendente. Per questo fu scomunicato.
«E a lei non sembra giusto. Perché? Il nostro Dio unico è trascendente. Anche noi diciamo che una scintilla divina è dovunque, ma resta immune la trascendenza, ecco il perché della scomunica che gli fu impartita». E a me sembra, se ben ricordo anch’io, su sollecitazione
INTESE PERICOLOSE
Mi preoccupa la possibilità di intese pericolose tra alcune potenze: penso ad America e Russia, Cina e Corea del Nord, Russia e Assad nella guerra di Siria
EUROPA FEDERALE
L’Europa deve assumere al più presto una struttura federale. O l’Europa diventa una comunità federale oppure non conterà più nulla nel mondo”
BEATO PASCAL
Penso che Pascal meriti la beatificazione. Mi riservo di far istruire la pratica necessaria, accompagnata da un mio personale e positivo convincimento
dell’Ordine dei Gesuiti. «All’epoca di cui parliamo i Gesuiti erano stati espulsi dalla Chiesa, poi furono riammessi. Comunque, lei non mi ha detto perché quella scomunica dovrebbe essere revocata».
La ragione è questa: Lei mi ha detto in un nostro precedente colloquio che tra qualche millennio la nostra specie si estinguerà. In quel caso le anime che ora godono della beatitudine di contemplare Dio ma restano distinte da Lui, si fonderanno con Lui. A questo punto la distanza tra trascendente e immanente non esisterà più. E quindi, prevedendo questo evento, la scomunica si può già da ora dichiarare esaurita. Non le sembra, Santità?
«Diciamo che c’è una logica in ciò che lei propone, ma la motivazione poggia su una mia ipotesi che non ha alcuna certezza e che la nostra teologia non prevede affatto. La scomparsa della nostra specie è una pura ipotesi e quindi non può motivare una scomunica emessa per censurare l’immanenza e confermare la trascendenza».
Se Lei lo facesse, Santità, avrebbe contro di sé la maggioranza della Chiesa?
«Credo di sì, ma se solo di questo si trattasse ed io fossi certo di ciò che dico su questo tema, non avrei dubbi, invece non sono affatto certo e quindi non affronterò una battaglia dubitabile nelle motivazioni e persa in partenza. Adesso, se vuole, parliamo della seconda questione che lei desidera pormi».
Porta il nome di Pascal. Dopo una gioventù alquanto libertina, Pascal fu come improvvisamente invaso dalla fede religiosa. Era già molto colto, aveva letto ripetutamente Montaigne e anche Spinoza, Giansenio, le memorie del cardinale Carlo Borromeo. Insomma, una cultura laica e anche religiosa. La fede a un certo punto lo colpì in pieno. Aderì alla Comunità di Port-Royal des Champs, ma poi se ne distaccò. Scrisse alcune opere tra le quali i “Pensieri”, un libro a mio avviso splendido e religiosamente di grande interesse. Ma poi c’è la sua morte. Era praticamente moribondo e la sorella l’aveva fatto portare nella propria casa per poterlo assistere. Lui voleva morire nell’ospedale dei poveri, ma il suo medico negò il permesso, gli restavano pochi giorni di vita e il trasporto non era fattibile. Chiese allora che un povero tratto da un ospedale che gestiva i poveri pessimamente, anche in fin di vita, fosse trasportato nella casa dove stava e con un letto come quello che aveva lui. La sorella cercò di accontentarlo ma la morte arrivò prima. Personalmente penso che uno come Pascal andrebbe beatificato.
«Lei, caro amico, ha in questo caso perfettamente ragione: anch’io penso che meriti la beatificazione. Mi riserbo di far istruire la pratica necessaria e chiedere il parere dei componenti degli organi vaticani preposti a tali questioni, insieme ad un mio personale e positivo convincimento». Santità ha mai pensato di mettere per iscritto un’immagine della Chiesa sinodale? «No perché dovrei?». Perché ne verrebbe un risultato abbastanza sconvolgente, vuole che glielo dica? «Ma certo mi fa piacere anzi lo disegni». Il Papa fa portare carta e penna e io disegno. Faccio una riga orizzontale e dico questi sono tutti i vescovi che Lei raccoglie al Sinodo, hanno tutti un titolo eguale e una funzione eguale che è quella di curare le anime affidate alla loro Diocesi. Traccio questa linea orizzontale poi dico: ma Lei, Santità, è vescovo di Roma e come tale ha la primazia nel Sinodo perché spetta a Lei trarne le conclusioni e delineare la linea generale del vescovato. Quindi il vescovo di Roma sta sopra la linea orizzontale, c’è una linea verticale che sale fino al suo nome e alla sua carica. D’altra parte i presuli che stanno sulla linea orizzontale amministrano, educano, aiutano il popolo dei fedeli e quindi c’è una linea che dall’orizzontale scende fino a quello che rappresenta il popolo. Vede la grafica? Rappresenta una Croce.
«È bellissima questa idea, a me non era mai venuto di fare un disegno della Chiesa sinodale, lei l’ha fatto, mi piace moltissimo».
Si è fatto tardi. Francesco ha portato con sé due libri che raccontano la sua storia in Argentina fino al Conclave e contengono anche i suoi scritti che sono moltissimi, un volume di centinaia di pagine. Ci abbracciamo nuovamente. I libri pesano e li vuole portare lui. Arriviamo con l’ascensore al portone di Santa Marta, presidiato dalle guardie svizzere e dai suoi più stretti collaboratori.
La mia automobile è davanti al portico. Il mio autista scende per salutare il Papa (si stringono la mano) e cerca d’aiutarmi a entrare in automobile. Il Papa lo invita a rimettersi alla guida e ad accendere il motore. «L’aiuto io» dice Francesco. E accade una cosa che secondo me non è mai accaduta: il Papa mi sostiene e mi aiuta a entrare in macchina tenendo lo sportello aperto. Quando sono dentro mi domanda se mi sono messo comodo. Rispondo di sì, lui chiude la portiera e fa un passo indietro aspettando che la macchina parta, salutandomi fino all’ultimo agitando il braccio e la mano mentre io — lo confesso — ho il viso bagnato di lacrime di commozione.
Ho scritto spesso che Francesco è un rivoluzionario. Pensa di beatificare Pascal, pensa ai poveri e agli immigrati, auspica un’Europa federata e — ultimo ma non ultimo — mi mette in macchina con le sue braccia.
Un Papa come questo non l’abbiamo mai avuto.
Il Fatto 8.7.17
“Possono perquisire i cronisti solo in cerca di terroristi e pedofili”
L’ex giudice della Corte di Strasburgo sul caso Lillo
Vladimiro Zagrebelsky è stato giudice della Corte europea dei diritti umani dal 2001 al 2010. Già membro del Csm, dal 1998 all’aprile 2001, è stato a capo dell’Ufficio legislativo del ministero della Giustizia
di Alessandro Mantovani

Il nostro vicedirettore Marco Lillo è stato perquisito martedì: qualunque supporto informatico nella disponibilità sua o dei suoi congiunti è stato sequestrato dalla Finanza su ordine della Procura di Napoli che cerca le fonti di informazioni coperte da segreto pubblicate dal Fatto e nel libro Di padre in figlio (Paper First). Non è il primo caso e non sarà l’ultimo ma non si può fare. Ne abbiamo parlato con Vladimiro Zagrebelsky, giudice italiano alla Corte europea dei diritti umani dal 2001 al 2010.
Cosa dice la giurisprudenza di Strasburgo delle perquisizioni ai giornalisti alla ricerca delle loro fonti confidenziali, protette dal segreto professionale?
La Corte europea ritiene che la libertà della stampa di informare sui fatti di interesse per la pubblica opinione sia un pilastro delle democrazie e che quindi siano gravissimi i casi in cui quella libertà viene compressa. Condizione essenziale del lavoro dei giornalisti è la protezione delle loro fonti; se la confidenzialità del rapporto tra la fonte e il giornalista non fosse garantita le fonti si esaurirebbero e con esse la stessa possibilità della stampa di svolgere il suo ruolo. Questa è la giurisprudenza costante a partire da una fondamentale sentenza del 1996 (Goodwin c. Regno Unito), ove la Corte ha affermato che il segreto delle fonti può essere forzato dalle autorità pubbliche solo in presenza di un’esigenza preponderante di interesse pubblico. Come sempre nella giurisprudenza della Corte europea, la questione fondamentale è quella della proporzione, in concreto, nel bilanciamento tra l’esercizio di un diritto e le limitazioni possibili. Della proporzione dovrebbero occuparsi anche i magistrati italiani quando applicano la norma del codice di procedura penale (art. 200) che in certi casi consente loro di obbligare i giornalisti a comunicare le fonti. La Convenzione europea dei diritti umani, come si sa, è vincolante.
Quando questi interventi sono legittimi?
La Corte europea ha quasi sempre ritenuto sproporzionati perquisizioni e sequestri di materiali (specie informatici) dei giornalisti. Ma ha ritenuto giustificato l’agire delle autorità in un caso in cui la fonte era manifestamente un appartenente a organizzazioni terroristiche e in un altro in cui l’identificazione della fonte era indispensabile per smantellare una rete di pedofili.
Lillo, non indagato, viene perquisito per scoprire i responsabili di una violazione del segreto d’ufficio. Si può fare?
Il segreto delle fonti non è un privilegio del giornalista, ma un suo dovere professionale. Esso riguarda le fonti lecite come quelle illecite, che violano loro doveri di riserbo. Per esempio, in un caso del 2003 (Ernst c. Belgio), in cui alcuni magistrati erano sospettati di violazione del segreto istruttorio, la perquisizione e i sequestri nei confronti di giornali e giornalisti che avevano pubblicato le notizie sono stati ritenuti sproporzionati e la Corte europea ha ritenuto violata la libertà di espressione. Naturalmente il giudizio sulla necessità e sulla proporzione dell’interferenza statale nella libertà di informazione dipende dai particolari del caso concreto, ma perquisizioni e sequestri nei confronti di giornali e giornalisti non sarebbero giustificati per il solo fatto che essi hanno pubblicato notizie ancora segrete. Operazioni come quella del caso belga, simili per certi versi a quelle disposte dalla Procura di Napoli, sono estremamente pericolose sul piano generale. La Corte europea e tutti gli organismi europei che si occupano di democrazia e libertà di stampa si preoccupano del cosiddetto chilling effect, l’effetto di inibizione che si genera su tutta la professione giornalistica e sulle fonti da cui essa raccoglie le notizie. La questione non riguarda quindi questo o quel giornalista, questo o quel giornale, ma la libertà di stampa nel suo complesso.
Numerose sentenze della Cassazione hanno annullato perquisizioni e sequestri a giornalisti, dal nostro Antonio Massari a Fiorenza Sarzanini e a Sergio Rizzo. Ma è una vittoria morale. Il danno resta gravissimo. Anche per Lillo non c’è rimedio neppure a Strasburgo?
Il danno è compiuto. Le autorità ora conoscono tutta la rete di rapporti del giornalista, anche se nel procedimento penale utilizzeranno solo quello che è utile in quel procedimento. La sicurezza delle (future) fonti risulta non più garantita. Il danno è quindi generale, non riguarda solo il caso specifico. Il giornalista e il giornale possono ottenere un indennizzo, ma non l’eliminazione del danno. Se non lo ottengono in sede nazionale possono ricorrere alla Corte europea dei diritti umani.
E la Corte cosa può fare?
La Corte, se dichiara che c’è stata violazione dell’art. 10 della Convenzione (libertà di espressione) può ordinare un indennizzo economico, ma potrebbe anche indicare al governo che l’articolo 200 Cpp non è adeguato rispetto alle esigenze della Convenzione perché non specifica in quali circostanze il giudice può obbligare il giornalista e non contiene il criterio della proporzione rispetto all’esigenza che spinge a forzare il segreto delle fonti. L’Italia dovrebbe così modificare la legge e prima ancora i magistrati dovrebbero far uso della facoltà riconosciuta dall’art. 200 Cpp con grande cautela e solo quando la necessità di conoscere la fonte sia legata a gravi esigenze – come nei due esempi che ho fatto: fonte terrorista o fonte utile a smantellare rete pedofili – e non sia possibile altrimenti soddisfarla. Ma la Procura di Napoli è andata oltre, con un’operazione che mi pare molto grave.
Il Fatto 8.7.17
Contrada aiutò Cosa Nostra, ma non sapeva fosse reato
Per la Cedu e ora per la Cassazione, prima del ’92 il concorso esterno non era chiaro: “Ineseguibile ogni effetto penale”
di Giuseppe Lo Bianco

Bruno Contrada non doveva essere processato per concorso esterno in associazione mafiosa, nel ’92 il reato non era chiaro e nessuno poteva prevedere la sua evoluzione normativa: ribaltando la decisione della Corte d’appello di Palermo che aveva dichiarato inammissibile il ricorso, la Cassazione rende “ineseguibile e improduttiva di ogni effetto penale” la condanna all’ex numero 3 del Sisde applicando una sentenza della Corte europea. E, siccome tra carcere e arresti domiciliari, Contrada ha finito di scontare la pena, adesso può chiedere la cancellazione dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici, dell’iscrizione nel casellario giudiziale e anche la restituzione della pensione: per lui, inoltre, adesso è escluso che in un eventuale, successivo, procedimento penale gli venga contestata la recidiva.
Saranno le motivazioni, depositate tra qualche mese, a chiarire fino a che punto può vacillare il concorso esterno, indicando i motivi del recepimento della pronuncia europea atteso con speranza, adesso, da decine di politici condannati per concorso esterno ai quali, quelli almeno che hanno avuto contestato il reato prima del ’94, la pronuncia della Suprema Corte alimenta la prospettiva di una ineseguibilità. E se Contrada canta vittoria (“contro di me solo invenzioni di efferati criminali pagati dallo Stato”) e per il suo avvocato Vittorio Manes questa decisione gli “restituisce quantomeno la dignità”, in realtà per l’ex funzionario del Viminale sospettato di avere avuto un ruolo torbido in numerose vicende oscure è una vittoria a metà: la sentenza cancella la pena ma non i fatti contestati (e processualmente accertati) e non revoca il giudizio di responsabilità sui quei fatti, visto che si limita a prendere atto di una pronuncia europea sul rispetto di un principio giuridico fondamentale, e cioè che nessuna pena è irrogabile se non in forza di una legge. E il primo a comprenderlo è stato un giovane avvocato esperto di norme europee, Stefano Giordano, figlio del presidente del maxi-processo a Cosa nostra Alfonso, che su Facebook ha incassato le “entusiastiche congratulazioni” del padre: a lui si deve infatti il cambio di rotta che ha dato fiato alle aspirazioni di riabilitazione di Contrada, dopo che tre istanze di revisione presentate dai suoi legali erano state dichiarate inammissibili.
“Giustizia è fatta, è stata eliminata ogni macchia da un grande servitore dello Stato” ha detto a caldo Giordano, il primo a suggerire l’incidente di esecuzione, dopo che nel 2015 la Corte europea aveva sancito che il 110 e 416 bis non poteva essere contestato: nel ’92 il reato ancora non era chiaro.
Alla scelta dei pm della Procura di Palermo (poi avallata dai successivi giudici di merito e di legittimità) i giudici di Strasburgo contestavano un “difetto di prevedibilità”, visto che le condotte ipotizzate a carico di Contrada risalivano a un periodo tra il 1979 e l’88, e che la configurabilità del concorso esterno era stata riconosciuta per la prima volta dalla Cassazione nel 1987. Una configurabilità “ballerina”, più volte smentita dalla giurisprudenza della Suprema corte e poi stabilizzata dalla sentenza Demitry delle Sezioni Unite nel 1994. Ottenuta la vittoria in sede europea, i legali di Contrada avevano chiesto la revoca della condanna alla Corte di appello di Palermo, che nel settembre dello scorso anno aveva risposto picche, dichiarando l’istanza inammissibile: il giudice italiano è soggetto soltanto alla legge e non è certo un “mero esecutore dei dispostivi della Corte Edu” – avevano sostenuto i giudici di appello, riconoscendo all’incidente di esecuzione un’efficacia solo nel caso di riconosciuta illegittimità costituzionale della norma incriminatrice.
Dopo avere guidato la Squadra Mobile di Palermo negli anni 70 e avere lavorato a fianco di Boris Giuliano, Bruno Contrada è passato all’Alto commissariato per la lotta alla mafia e poi al Sisde, diventandone in breve tempo il numero 3. Venne arrestato alla vigilia di Natale ’92 chiamato in causa dalle accuse di numerosi pentiti che lo indicavano come una talpa di Cosa nostra all’interno della Mobile negli anni 80, vicino al boss Rosario Riccobono. Poco prima di finire in carcere, nell’estate ’92 firmò un’informativa sulle parentele del picciotto della Guadagna Vincenzo Scarantino, protagonista del clamoroso depistaggio, avvalorandone il ruolo nella strage di via D’Amelio. Venne poi condannato a dieci anni di reclusione, interamente scontati.
La Stampa 8.7.17
Caselli: l’ex del Sisde commise fatti gravissimi
“La Suprema Corte non ha capito: quel reato esiste da sempre”
di Giuseppe Legato

«Che il dottor Contrada sia felice per questa sentenza sul piano umano e personale è addirittura ovvio. A riguardo nulla da dire. Resta il dovere della critica argomentata. Soprattutto in un caso che per il suo lunghissimo iter processuale è più controverso di quanto sia possibile immaginare».
Gian Carlo Caselli, la Cassazione ha revocato la condanna a carico di Bruno Contrada. Come legge questa pronuncia?
«Occorre aspettare la motivazione. Se fosse basata (come sembra) sulla sentenza della Cedu (Corte europea dei diritti dell’uomo) - secondo me - come non aveva capito la Cedu allora, così oggi non capisce la Cassazione».
Cosa non avrebbero capito?
«L’una e l’altra ragionano in astratto, come in vitro, come se la mafia non esistesse».
Chiariamo subito: è una sentenza d’assoluzione?
«La Cedu e la Cassazione non prendono in esame i fatti specifici che portano alla responsabilità di Contrada. Quindi non si tratta di un’assoluzione per quanto riguarda i fatti. Che in ogni caso sono e restano gravissimi».
È corretto sostenere che anche se non fosse stato incriminato e condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, gli sarebbe stato contestato il favoreggiamento a Cosa Nostra?
«In teoria tutto è possibile ma nel caso concreto, il concorso esterno in associazione mafiosa (416 bis) ci stava tutto. E l’hanno confermato fior di sentenze sia di merito (una di Tribunale, due di Corte d’Appello) e che di Cassazione quando ha annullato l’unica sentenza che assolveva Contrada. Se anche fosse stato possibile ipotizzare il favoreggiamento o il concorso in associazione a delinquere semplice (art. 416), la configurabilità a pieno titolo del concorso in associazione mafiosa assorbiva, escludendola, ogni altra ipotesi».
Facciamo un esempio?
«Se si contesta un omicidio risponde di concorso anche chi ha fornito la pistola».
E quindi chi è stato Bruno Contrada?
«Tutte le sentenze di condanna a suo carico concludono dicendo che l’imputato ha dato il contributo sistematico e consapevole sia alla conservazione sia al rafforzamento di Cosa Nostra».
Quali furono i fatti contestati?
«Ci sono state “soffiate” per consentire la fuga di latitanti in occasioni di imminenti operazioni di polizia. Tre volte in favore del mafioso Saro Riccobono e una volta - nel 1981 - addirittura in favore di Salvatore Riina. Risulta che l’imputato si sia mosso con la Questura per far avere la patente a Stefano Bontate e a Michele Greco detto “Il Papa”. A monte delle soffiate c’erano amichevoli contatti con Bontate, Salvatore Inzerillo, Michele Greco e Salvatore Riina: tutti mafiosi ai vertici di Cosa Nostra. In sostanza, secondo un pentito, dire che Contrada era nelle mani di Cosa Nostra era come dire pane e pasta: tutti lo sapevano».
È sostenibile dire che Contrada non poteva sapere di commettere un reato visto che lo stesso non era - al tempo - sufficientemente chiaro?
«Contrada non poteva non sapere di violare la legge».
Strasburgo si è espressa, due anni fa, a favore di Contrada. Non andava processato né condannato perché il reato di concorso esterno in associazione mafiosa non era chiaro. Sbaglia anche la Corte Europea?
«Il concorso esterno in 416 bis esiste da sempre, non l’ha inventato nessuno. La Cedu dice che ha cominciato a esistere dopo alcune oscillazioni giurisprudenziali. A me sembra assurdo. Queste oscillazioni sono sopravvenute a partire dal 1991, cioè ben dopo i fatti contestati al dottor Contrada. E poi se ci sono stati processi e condanne nei confronti di molti imputati che non erano il dottor Contrada, vuol dire che il reato esisteva già. L’elaborazione può intervenire soltanto su un reato già esistente».
il manifesto 8.7.17
Le «rivelazioni» note a tutti di Emma Bonino
di Riccardo Magi

Ancora una volta, in queste ore, il dibattito pubblico sull’immigrazione dà il peggio di sé. Con la solita propaganda elettorale a basso costo stavolta costruita ad arte sulle dichiarazioni di Emma Bonino in merito agli accordi tra l’Italia e gli altri paesi Ue nel lancio dell’operazione Triton: nessuna rivelazione, ma fatti noti a tutti – ad esempio la deputata forzista Laura Ravetto, membro del Comitato Schengen, ricorda di averli denunciati da tempo – e noti soprattutto a quei parlamentari italiani che si sono così prodigati ad alimentare la polemica, evidentemente poco avvezzi a leggere documenti e atti ufficiali a loro disposizione. Né, come ricordava ieri Franco Bechis, tanto clamore hanno suscitato le medesime informazioni quando sono emerse due mesi fa nel corso dell’indagine conoscitiva del Senato sulle Ong: 5 Stelle, Lega, Forza Italia erano allora forse troppo concentrati ad accusare le Ong di essere in combutta con i trafficanti per ascoltare le parole delle più alte cariche militari intervenute.
Sarebbe, tuttavia, un grave errore rispondere con la stessa moneta a queste becere strumentalizzazioni, arretrare su posizioni difensive e di chiusura e contribuire ad alterare ancora la realtà sulle scelte operate all’epoca dal governo. Va piuttosto ricordata, e rivendicata con decisione, la scelta ammirevole fatta dal nostro Paese nel 2015, e prima ancora con l’operazione Mare Nostrum, di impegnarsi in tutte le sedi per evitare la morte in mare di decine di migliaia di persone in seguito alla tragedia di Lampedusa del 3 ottobre 2013 e alle successive: una posizione di cui essere orgogliosi e, da allora, sempre accompagnata dalla richiesta in sede europea di una maggiore condivisione e di meccanismi efficaci per un’equa redistribuzione dei profughi.
Oggi, di fronte alla crisi in corso e al rifiuto di alcuni paesi membri di assumersi le proprie responsabilità, non serve minacciare la chiusura dei porti, misura che sarebbe illegale oltre che disumana, o altre soluzioni propagandistiche ugualmente impraticabili. Al di là degli slogan, occorre invece uno strumento di maggiore pressione da parte dell’Italia verso gli altri Stati europei, che faccia leva anche sull’enorme credito che possiamo vantare grazie alle tante vite umane salvate e accolte. E questo strumento esiste già, come abbiamo ricordato nei giorni scorsi insieme a Luigi Manconi e alla Comunità di S. Egidio: si tratta della Direttiva europea 55 del 2001 sulla protezione temporanea, che in caso di afflusso massiccio di sfollati prevede innanzitutto meccanismi di solidarietà tra gli Stati membri attraverso uno smistamento nei diversi paesi. E per sfollati si intende chi fugge da guerre o violazioni di diritti umani come quelle che si consumano in Libia. Basterebbe, quindi che il governo italiano ne chiedesse l’attivazione al Consiglio europeo e, in attesa di una risposta, facesse quanto già fatto durante gli arrivi dalla Tunisia, nel 2011, procedendo con il rilascio alle persone, una volta identificate, di un permesso di soggiorno per motivi umanitari previsto dal testo unico sull’immigrazione: si consentirebbe così ai beneficiari di spostarsi all’interno dell’Ue. Sarebbero poi i singoli Stati membri a doversi assumere la responsabilità di respingere, alle frontiere con l’Italia, persone con un permesso di soggiorno valido in mano.
È arrivato il momento di far pesare ai nostri partner quanto fatto dell’Italia finora. E poi andare oltre, puntando a diventare per l’Europa un modello di governo dei fenomeni migratori. Come? Investendo in corridoi umanitari, creando canali legali di ingresso per lavoro, trasformando l’accoglienza in opportunità per prosciugare così il bacino di irregolarità, sfruttamento, lavoro nero a cui attingono le organizzazioni criminali e gli imprenditori della paura che lucrano consenso elettorale. Sono le proposte che in questi mesi, come Radicali Italiani con Emma Bonino e tante organizzazioni, stiamo portando nelle strade tra i cittadini raccogliendo le firme sulla legge popolare «Ero straniero – L’umanità che fa bene» per superare la Bossi-Fini.
*Segretario di Radicali Italiani
Il Fatto 8.7.17
“Altro che congiura, ormai Matteo è solo”
Marco Meloni - L’ultimo dei lettiani: “Non gli credono più neanche i suoi, non ha una linea”
di Luca De Carolis

“Questo non è uno scivolone, ma una lesione dei valori del Pd, che ci fa vergognare. ‘Aiutamoli a casa loro’ può dirlo CasaPound, non noi”. Per Marco Meloni, deputato del Pd, lettiano, la frase di Matteo Renzi sui migranti non ha scusanti. “Del resto non credo che la cancellerà dal suo libro”, scandisce dalla sua Sardegna. Tra vari incontri Meloni risponde, su tutto.
E così si riparte da una domanda: Renzi si incarta sull’immigrazione perché crede di aver perso le Comunali su questo tema? E il deputato va di sarcasmo: “Ma noi non abbiamo perso, lo ha detto il segretario nella Direzione, due giorni fa”. C’era anche il deputato sardo, ai lavori. E viene da chiedergli: si respirava il clima della congiura, per tirare giù il leader? Pausa, e risposta: “Non ho sentito aria di congiura, ma un generalizzato sconforto. Rassegnazione, anche tra tanti renziani. Non possono dirlo, ma ormai non gli credono più neanche loro. In pratica Renzi ripete un solo concetto: urlare – e “condividere” su Facebook – che si è fatto tutto bene”. Ma non è proprio così, sostiene il deputato: “Le politiche economiche a colpi di deficit e bonus, senza distinguere tra redditi, hanno fallito, visto che cresciamo meno di tutti. E proprio sull’immigrazione, lasciare l’operazione Mare Nostrum ci ha fatto risparmiare qualche soldo ma evidentemente non ha funzionato. Ora il tema andrebbe governato, ma non è inseguendo la Lega che si può farlo. Anche perché così non guadagni un voto, mentre perdi l’identità, l’anima”. Insomma, nulla da salvare? “Il problema è che la linea è erratica, su tutto. E non a caso dal 2014 ad oggi si è perso tutto il perdibile”. Ma i maggiorenti del Pd butteranno giù Renzi, magari dopo le elezioni in Sicilia di novembre, per candidare a Palazzo Chigi Gentiloni? “Non so cosa accadrà. Renzi è un segretario eletto alle primarie, legittimamente. Però Gentiloni sta lavorando bene, viste le condizioni date, ed è molto più popolare di lui”.
Quindi? “Il discorso sul candidato premier con questa legge elettorale proporzionale non ha senso. Piuttosto, il Pd si era impegnato a cambiarla, restituendo il diritto di scelta ai cittadini”. Pare difficile riuscirci, non crede? “Vedremo – ma il nodo resta quello. E comunque, Renzi ha detto di non essere interessato al suo destino personale: dunque se si rendesse conto che non è il più adatto a far vincere il Pd sarebbe il primo a farsi da parte, non crede?” sillaba Meloni. Ed è un’altra battuta al fiele. Intanto più d’uno invoca Enrico Letta come leader di un centrosinistra unito. Proprio lui, rimosso da Palazzo Chigi con un voto della direzione neorenziana. Fu congiura? “La direzione prese atto di un’indicazione del segretario, che smentendo se stesso decise di defenestrare Letta per prendersi quel posto. E fu un grave errore, più che una congiura”. Ma ora che farà Letta? “È molto impegnato nel suo lavoro di direttore della scuola di Affari internazionali di Parigi e nella scuola di Politiche qui in Italia. È una persona seria, rispetterà i suoi impegni. Poi, certo, è molto preoccupato per il Paese. Può dare ancora molto all’Italia”.