sabato 20 marzo 2010

Repubblica 20.3.10
Voto nel Lazio, Pdl diviso sul rinvio
Lo chiede Sgarbi, contraria la Polverini. Bonino: va bene a chi ha più soldi
di Giovanna Vitale

Anche Berlusconi favorevole allo slittamento di 15 giorni delle elezioni regionali
Attesa per oggi anche la decisione del Consiglio di Stato sulla lista regionale del Pdl

ROMA - Effetto Sgarbi sulle regionali del Lazio. «Berlusconi, avendo visto in noi la "zattera della libertà", l´ultima chanche dopo l´esclusione della lista del Pdl, mi ha detto "vai"», ha raccontato ieri il critico d´arte. E lui è andato: a depositare negli uffici della Regione l´istanza di rinvio delle consultazioni previste per il 28 e 29 marzo. «È un mio diritto, garantito dalla Costituzione», ha tuonato l´istrionico capolista dopo che il Tar, mercoledì scorso, ha deciso di far ritornare in corsa la sua Rete Liberal. «Dobbiamo recuperare i giorni di campagna elettorale persi e se non ce li concedono chiederemo l´annullamento delle elezioni».
Un ulteriore colpo di scena in una campagna elettorale già segnata dalla spirale di decreti, ricorsi e controricorsi suscettibile di mettere in forse l´esito stesso del voto. E che ora rischia di allungarsi di altri 15 giorni, facendo slittare l´apertura delle urne all´11 e 12 aprile. Ipotesi che, inizialmente benedetta e poi contraddetta da Berlusconi («La lista Sgarbi diritto di poter approfittare di altri giorni di campagna elettorale», aveva detto in mattinata, salvo frenare in serata: «Non intervengo mai in casa d´altri, è la Regione che deve decidere»), ha gettato scompiglio nel centrodestra. Diviso fra favorevoli e contrari. Da una parte il sindaco Alemanno secondo cui «quindici giorni in più sarebbero molto utili per parlare dei problemi dei cittadini» e i ministri Calderoli e Maroni: «Se spettasse a me decidere direi di sì». Dall´altra la Polverini e il leader della Destra Storace. Con l´aspirante governatrice a ribadire: «Io sono in corsa ormai da tre mesi, penso che si debba andare a votare alla data indicata». E Storace a dire stop: «Il rinvio chiesto da Sgarbi non ha alcun fondamento». Neutrale il leader dell´Udc Pierferdinando Casini: «Certo è uno spreco di denaro, ma se le regole sono quelle, le rispettiamo». Mentre la sfidante del centrosinistra, Emma Bonino, estenuata da questo balletto sbotta: «Il rinvio delle elezioni va bene per chi ha un sacco di soldi, per noi è più complicato».
La richiesta, formalizzata dalla lista Sgarbi all´ora di pranzo, è stata formulata in base all´articolo 11 punto 4) della legge statale 108/1968 in materia elettorale, richiamato integralmente dalla legge regionale 2/2005. Dice la norma: l´affissione del manifesto «con le liste dei candidati ed i relativi contrassegni» deve avvenire «entro il quindicesimo giorno antecedente a quello della votazione». È questa la durata ufficiale della campagna elettorale. Rivendicata infatti da Sgarbi per chiedere il rinvio delle elezioni. Il problema è, però, che il famoso decreto salva-liste ha più che dimezzato quel termine: «Non oltre il sesto giorno antecedente la data della votazione», recita l´articolo 2. Una differenza non da poco: applicando il decreto del governo, l´istanza di Sgarbi andrebbe rigettata; se invece il decreto, per qualsivoglia motivo, non fosse applicabile, rivivrebbe il termine dei 15 giorni e lui avrebbe diritto allo slittamento delle urne. Un bel rompicapo, anche giuridico, che rende fondata la minaccia di Sgarbi di invalidare le elezioni.
È per questo che il vicepresidente del Lazio, cui spetta firmare il decreto di rinvio, ha deciso di prendere tempo e dato mandato agli uffici di valutare «a norma di legge» la richiesta di Rete Liberal: «È una decisione tecnica non politica» e comunque arriverà entro stasera. Vuole aspettare, Esterino Montino. Cosa è evidente: l´esito dell´altro verdetto destinato a cambiare il volto di queste regionali. Oggi il Consiglio di Stato dovrà infatti esprimersi sulla eventuale riammissione della lista del Pdl a Roma e, di conseguenza, sulla applicabilità del decreto salva-liste già esclusa due volte dal Tar. Anche se in realtà non è così semplice. I giudici di Palazzo Spada hanno diverse possibilità: far ritornare in corsa o ri-bocciare tout court il Pdl; ammetterlo imponendo all´ufficio elettorale di esaminare la documentazione che non è mai stata vista perché mancava la prova della completa documentazione; rigettare o accogliere il ricorso ma rimettendo alla Corte Costituzionale il giudizio di legittimità sul decreto legge. Variabili che potrebbero compromettere la data del voto.

Repubblica Roma 20.3.10
Visita alla sinagoga: "Si rafforza un´amicizia di vecchia data"
Bonino: "Slittare di 15 giorni va bene per chi ha i soldi"
di Chiara Righetti

E a Guidonia parla del raddoppio della Tiburtina: "Vi capisco, ci ho messo due ore ad arrivare"

«È uno di quei momenti in cui si intrecciano lunghe amicizie politiche e nuovi impegni che spero di assumere presto». Sorride, Emma Bonino, al termine dell´incontro in sinagoga con i rappresentanti della comunità ebraica. Una visita che, per il rabbino capo Riccardo Di Segni, è «un segno di riconoscimento nei nostri confronti, ma soprattutto di interesse concreto». E «non formale», sottolinea il presidente della comunità Riccardo Pacifici, «perché con Emma c´è una lunga amicizia, non solo personale ma di tutta la comunità». Pacifici ricorda che «Bonino, Pannella e Spadolini furono gli unici ammessi in sinagoga dopo l´attentato del 1982, perché avevano espresso posizioni di vicinanza e denuncia della politica filoaraba di allora». Poi precisa: «Non facciamo scelte di campo, presentiamo valori», ma ricorda il buon rapporto con la giunta Marrazzo. «In un momento in cui razzismo e xenofobia sono sempre più radicati - osserva la candidata - è ancor più importante rilanciarlo, agire per la Memoria, ma con forte attenzione al futuro». E auspica che «questo legame sia uno strumento per allargare i contatti ad altre comunità religiose».
Mentre sull´ipotesi di rinviare il voto osserva che «va bene a chi ha un sacco di soldi, nelle condizioni attuali è più complicato». Però «chi deve decidere decida, nel rispetto della legalità». In serata, a Guidonia con Marini, si impegna sul raddoppio della Tiburtina: «Ci ho messo due ore per arrivare: non è difficile capire i vostri problemi».

ONU: l’IHEU accusa la Santa Sede di aver violato la Convenzione sui diritti dell’infanzia

Keith Porteous Wood, rappresentante dell’IHEU presso l’ONU, ha accusato la Santa Sede di aver violato la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia, da essa stessa sottoscritta. Il Vaticano, coprendo i preti pedofili e ostacolando le indagini delle magistrature di numerosi paesi contro di essi, ha, secondo l’IHEU, violato diversi articoli della Convenzione. L’IHEU è l’associazione internazionale in cui si riuniscono oltre cento associazioni secolariste di tutto il mondo, tra cui l’UAAR.
segnalazione di Francesco Troccoli

l’Unità 20.3.10
Il dottor Huth segnalò invano un caso alle gerarchie ecclesiastiche
Scandalo nel coro Si dimette parroco coinvolto. 160 violenze denunciate
Pedofilia in Germania Psichiatra denuncia: «Ai tempi di Ratzinger la Chiesa sapeva»
La Chiesa bavarese sapeva. Lo psichiatra che curò un prete pedofilo segnalò l’assoluta necessità di allontanarlo dai giovani. Ma il sacerdote fu trasferito e abusò di altri ragazzini. Nuovo scandalo nel coro dei passerotti.
di Marina Mastroluca

«Io dissi: “Per amor di Dio, deve assolutamente essere tenuto lontano dai bambini”. Sono molto triste per tutta questa storia». A parlare sulle pagine del New York Times è il dottor Werner Huth, lo psichiatra che alla fine degli anni 70 prese in un cura un prete che aveva abusato di ragazzini ad Essen, in Germania: l’«abate H.», lo ha ribattezzato la stampa tedesca nei giorni scorsi, quando si è saputo che quel sacerdote pedofilo era stato riammesso al servizio pastorale nella Baviera dell’allora arci-
vescovo Joseph Ratzinger, per venir condannato di lì a qualche anno per nuovi abusi sessuali.
Dell’abate H. oggi si conosce il nome, Peter Hullermann, e quello dello psichiatra che con la firma dell’arcidiocesi lo prese in cura, senza grandi risultati. «Non era né coinvolto né motivato», spiega il dottor Huth. Ma più che sulla storia personale di questo prete sospeso solo lunedì scorso per aver contravvenuto al divieto di lavorare a contatto con i giovani, impostogli dalla Chiesa appena nel 2008, il racconto dello psichiatra denuncia l’assoluta consapevolezza della Chiesa bavarese: le gerarchie ecclesiastiche erano state informate, se non nella persona di Ratzinger, in quella del suo vicario, Gerhard Grube, e del vescovo Heinrich Graf von Soden Fraunhofen. Sapevano che Hullermann era un pedofilo, sapevano che era un rischio tenerlo tra i bambini. Il dottor Huth aveva posto delle condizioni prima di prendere in cura il religioso: bisognava tenerlo lontano dai giovani e dall’alcol e permanentemente sotto controllo. Non è quello che è successo. Hullermann è stato trasferito, altri bambini hanno subito le sue attenzioni.
PASSEROTTI BRACCATI
Un trasferimento come un nuovo inizio, una passata di spugna sul passato. È così che è riuscito finora a farla franca anche un altro prete tedesco, Sturmius W., che denunciato in questi giorni ha ammesso di aver abusato di un ragazzino di 11 anni, membro del Coro dei passerotti di Ratisbona, a lungo diretto dal fratello del papa, Georg Ratzinger. Nel 1974 l’uomo ha lasciato la città e si è trasferito nella diocesi di Eichstaett, dove nessuno sapeva dei suoi precedenti. Solo oggi, travolto dal terremoto che sta scuotendo la Chiesa cattolica, ha lasciato l’incarico di parroco di Dietenhofen. La sua vittima, Alexander Probst, oggi 50enne, ha raccontato al settimanale Stern di essere stato abusato «per mesi».
Ora che si è aperta una breccia sul muro di omertà durato decenni, le denunce si moltiplicano, un fiume in piena. I casi di abusi commessi nei soli ambienti gesuiti in Germania sono saliti in poche settimane a 160, secondo quanto riferisce la legale dell’Ordine. Tra gli accusati non ci sono solo religiosi, ma anche insegnanti laici e due donne.
Lo scandalo coinvolge anche la vicina Austria, dove secondo radio Orf dai cento casi segnalati fino a pochi giorni fa si è saliti a circa 300 e cresce la sfiducia dei fedeli. Secondo un sondaggio dell’Istituto Integral, il 56% non affiderebbe il proprio figlio a istituzioni ecclesiastiche. Il 69% dubita anche della volontà della Chiesa di fare chiarezza. Oggi sarà pubblicata la lettera firmata ieri dal papa e indirizzata ai cattolici irlandesi, tra i più colpiti dallo scandalo. Il testo verrà letto in tutto le chiese del Paese. Ma lo sconcerto, e il dolore delle vittime, si allungano ben oltre i verdi confini d’Irlanda.

l’Unità 20.3.10
La pedofilia e il celibato
risponde Luigi Cancrini

Ritengo che la Chiesa abbia in passato sottovalutato il problema degli abusi sui minori da parte di alcuni preti, ma è anche vero che è in atto una campagna tendente a screditare l’immagine della Chiesa cattolica.
Goran Innocenti

RISPOSTA La Chiesa ha riconosciuto la gravità e l’ampiezza degli errori compiuti dai suoi sacerdoti stanziando 1,3 miliardi di dollari negli Usa e 2,1 miliardi di euro in Irlanda per il risarcimento dei minori abusati. Per evitare strumentalizzazioni il Papa dovrebbe ora abolire il Pontificium Segretum del 18 maggio 2001 che invitava i religiosi a tenere nascosta alle autorità civili la pedofilia dei preti. Quella che andrebbe avviata nello stesso tempo però è una riflessione seria sui problemi legati al celibato del prete. Emerge dall’esperienza di chi cura i preti pedofili, infatti, che fra le motivazioni della loro vocazione ci sia stata spesso una paura, più o meno consapevole, della sessualità e che il celibato come difesa dagli impulsi più o meno malati regge solo per un certo tempo. Dando luogo poi a comportamenti che costano sofferenze enormi (ed evitabili). In nome della chiarezza e della verità, il Papa non dovrebbe avere paura di affrontare questo problema. Accettando l’idea semplice per cui la sessualità non è il male ma solo un dono meraviglioso che il Signore ha fatto all’uomo (e alla donna).

Repubblica 20.3.10
Nel 1980 il dottor Huth aveva in cura don Peter Hullermann, poi condannato per molestie sessuali ai minori
"Allontanate quel sacerdote dai bambini" lo psichiatra avvisò l´arcidiocesi di Ratzinger
di Katrin Benhold, Nicholas Kulish

Il medico si rivolse ai vertici della Chiesa di Monaco, guidata allora dal futuro Papa
Il sacerdote fu trasferito, ma per anni continuò a lavorare accanto ai chierichetti

ESSEN - Uno psichiatra che aveva in cura un sacerdote accusato di abusi sessuali su bambini ha rivelato che, agli inizi degli anni ‘80, l´arcidiocesi tedesca guidata dal futuro papa Benedetto XVI aveva ignorato i suoi ripetuti avvertimenti: «Dissi loro, per l´amor di Dio, quell´uomo deve assolutamente essere tenuto lontano dai bambini», racconta lo psichiatra Werner Huth, da Monaco. «Ero molto preoccupato per quella vicenda». Tanto preoccupato, ricorda Huth, da stabilire tre condizioni per continuare a tenere in cura il sacerdote, il reverendo Peter Hullermann: che stesse alla larga dai bambini e dall´alcol, e fosse costantemente controllato da un altro sacerdote. Huth spiega di aver lanciato espliciti allarmi - sia per iscritto che a voce - prima che il futuro pontefice, allora arcivescovo di Monaco, lasciasse la Germania per il Vaticano, nel 1982.
Nel 1980, dopo che i genitori di alcuni ragazzi di Essen avevano accusato di abusi sessuali il sacerdote, che non ha negato le accuse, Ratzinger approvò la decisione di trasferire il prelato da Monaco perché venisse sottoposto a terapia psichiatrica. Tuttavia, al sacerdote fu consentito di tornare a lavorare in parrocchia, a contatto con bambini e adulti, poco dopo l´inizio della psicoterapia. Meno di cinque anni più tardi, l´uomo fu accusato di aver molestato altri bambini, e nel 1986 è stato condannato per violenza sessuale da un tribunale bavarese.
L´allora sostituto di Ratzinger, il vice-Vicario generale Gerhard Gruber, si è detto colpevole di quella decisione personale che definì «un grave errore». Lo psichiatra ha dichiarato di non aver avuto alcuna comunicazione diretta con Ratzinger e di non sapere se l´arcivescovo fosse a conoscenza dei suoi avvertimenti. Il suo principale contatto, all´epoca, fu un vescovo, Heinrich Graf von Soden-Fraunhofen, morto nel 2002.
Persino dopo la condanna del 1986, Hullermann, che oggi ha 62 anni, ha continuato a lavorare per anni accanto a dei chierichetti. Lunedì scorso è stato sospeso. E come lui, ieri, un altro parroco è stato allontanato poiché sospettato di aver commesso - all´inizio degli anni Settanta - abusi sessuali su un bambino del coro di Ratisbona, che fu diretto dal fratello maggiore del Papa, Georg Ratzinger.
Il portavoce dell´arcidiocesi di Monaco, Bernard Oostenryck, ha detto: «Trent´anni fa questo tema era trattato in modo molto diverso dalla società. Allora c´era la tendenza a credere che questo problema potesse essere curato con una terapia». Nel dicembre 1977, Hullermann fu trasferito alla chiesa di St. Andreas di Essen. Secondo una dichiarazione della diocesi di Essen rilasciata questa settimana, le tre coppie di genitori che si sono rivolte alla Chiesa hanno dichiarato che Hullermann aveva avuto «rapporti sessuali» con i loro figli nel febbraio del 1979.
Il dottor Huth ha spiegato di aver raccomandato a Hullermann di seguire delle sedute individuali e che questi rifiutò. Il sacerdote partecipò invece a delle sedute di gruppo, seduto in cerchio assieme ad altri otto pazienti affetti da vari disturbi psichiatrici, inclusa la pedofilia. Huth, che oggi ha 80 anni, spiega che Hullermann aveva problemi di alcolismo, per i quali era sotto cura, ma che nella sua terapia non era «né impegnato né motivato». «La seguiva per paura di perdere il posto e di essere punito», ricorda il medico.
Lo psichiatra dice di aver spesso condiviso con i superiori di Hullermann le proprie preoccupazioni. Spiega che le limitazioni che aveva imposto al sacerdote - quella di stare lontano dai bambini, di non bere alcool e di farsi accompagnare e controllare sempre da un altro prete - venivano osservate soltanto saltuariamente.
Non molto tempo dopo l´inizio della psicoterapia, Hullermann ritornò ad operare con i propri parrocchiani senza alcuna restrizione. Ratzinger era ancora a Monaco, ma gli alti prelati non spiegano se egli fosse stato tenuto aggiornato sulla vicenda. Dopo la partenza del futuro Papa, nel 1982, in settembre Hullermann fu trasferito in una chiesa della vicina cittadina di Grafing, dove insegnò religione in una scuola pubblica. Due anni dopo la polizia iniziò ad indagare su di lui per molestie sessuali.
(© New York Times/la Repubblica - traduzione di Antonella Cesarini)

Repubblica 20.3.10
La lettera ai vescovi irlandesi "Avete tradito la Chiesa"
Ratzinger ai preti pedofili "Vi condanno senza appello"
di Orazio La Rocca

Ecco la lettera di Benedetto XVI ai vescovi irlandesi: "Sdegno profondo"

Quei religiosi hanno tradito il mandato evangelico e messo a repentaglio la vita di tante giovani vittime Gli abusi sui minori sono un segno contrario al Vangelo della vita
Le ferite procurate da simili atti sono profonde ed è urgente ristabilire la fiducia e la verità di ciò che è accaduto in passato per evitare che simili drammi si ripetano in futuro

CITTÀ DEL VATICANO - «Lettera pastorale ai fedeli irlandesi per il tempo di Quaresima». Salvo sorprese dell´ultima ora, sarà questo il titolo della lettera scritta da Benedetto XVI alla Chiesa d´Irlanda travolta dallo scandalo dei preti pedofili. Sacerdoti che - scrive tra l´altro Ratzinger - con la loro «condotta» hanno tradito «il mandato evangelico» e messo a repentaglio la vita di tanti giovani vittime, «meritevoli» per questo di una «condanna senza appello» da parte della Chiesa e della giustizia civile dopo regolari processi.
Il Papa l´ha firmata ieri mattina, festività di S. Giuseppe, «custode della Sacra Famiglia e patrono della Chiesa universale», come lo stesso pontefice aveva specificato all´udienza generale di mercoledì scorso, preannunciando la pubblicazione della lettera col chiaro intento di sottolineare la non casualità del giorno scelto per firmare quello che viene universalmente considerato come il documento più sofferto del suo pontificato. Un testo in cui il Pontefice esprime tutto il suo «sdegno» per quanto avvenuto negli anni passati in Irlanda, dove - secondo anche 2 inchieste governative - nella diocesi di Dublino una quarantina di bambini e bambine hanno subito violenze sessuali da sacerdoti e religiosi. La lettera - 11 cartelle, tradotte in diverse lingue, tedesco compreso - sarà distribuita questa mattina, alle 11 nella Sala Stampa della Santa Sede dove il direttore e portavoce papale, padre Federico Lombardi, terrà anche un breve briefing per rispondere alle domande dei giornalisti. Stando a quanto trapelato ieri ufficiosamente in Vaticano, il Pontefice nel testo sintetizza quanto già detto sul drammatico tema delle violenze sessuali a minori nella Chiesa cattolica durante i recenti viaggi fatti negli Usa e in Australia, e nel corso delle due udienze concesse l´11 dicembre 2009 e il 16 febbraio scorso ai vescovi irlandesi. «Gli abusi sessuali sui minori - scrive tra l´altro Ratzinger - sono un segno contrario al Vangelo della vita», generano «dolore nella Chiesa» e procurano «danni indescrivibili alle vittime e alla comunità...». Ed ancora: gli abusi sessuali su minorenni «da parte di alcuni sacerdoti generano vergogna» sono atti di «grave tradimento della fiducia» loro riposta. Le vittime, per il Papa, non vanno mai «dimenticate». Chi ha subito violenza deve ricevere «compassione e cura», mentre i responsabili di atti così «abominevoli» vanno «portati davanti alla giustizia» per «essere condannati in modo inequivocabile».
Le «ferite» procurate da «simili atti» - scrive il Papa - «sono profonde ed è urgente ristabilire la fiducia e la verità di ciò che è accaduto in passato per evitare che simili drammi si ripetano in futuro». Ai cattolici irlandesi - ma il richiamo è estensibile anche in quegli altri paesi dove si sono verificati analoghe violenze come gli Usa, la Germania, l´Olanda, l´Austria - Benedetto XVI ricorda, comunque, che «il grande impegno della maggioranza di sacerdoti e religiosi di Irlanda non deve essere oscurato dalle trasgressioni e dai tradimenti di alcuni loro confratelli...». Per il futuro, Ratzinger alla Chiesa chiede un impegno maggiore per «la difesa dei bambini» e ai sacerdoti di sforzarsi ancora di più «nella preghiera e nella santificazione lungo il cammino tracciato da Gesù».

Repubblica 20.3.10
Il coraggio del mea culpa sugli abusi sessuali
risponde Corrado Augias

Caro Augias, ritengo che la Chiesa abbia in passato sottovalutato il problema degli abusi sui minori da parte di alcuni preti, ma è anche vero che c'è in atto una campagna tendente a screditare l'immagine della Chiesa cattolica. In questi giorni alcuni giornali tedeschi hanno riportato un discorso pronunciato dal ministro Goebbels nel 1937 che si inquadra nella campagna di linciaggio alla quale i preti cattolici furono sottoposti nei primi anni del regime nazista. Furono utilizzati alcuni scandali avvenuti in una congregazione religiosa per fare guerra ai preti cattolici i quali avevano assunto un atteggiamento apertamente critico nei confronti del nazismo. Non era più il singolo prete ad essere responsabile delle proprie azioni, ma l'intero clero. Non pretendo di fare un parallelo con quella situazione, ma è singolare che l'enfatizzazione sistematica sui media di tutto il mondo dei casi di preti pedofili, è iniziata dopo che la Chiesa ha espresso la propria contrarietà all'eutanasia, matrimonio gay e altri temi.
Goran Innocenti

Il paragone con il nazismo sembra a me non solo esagerato ma sbagliato. La vivace reazione mondiale nei confronti degli episodi di pedofilia credo che dipenda in primo luogo dalla vastità di un fenomeno che ha investito molti paesi in America e in Europa, per un periodo molto lungo e coinvolgendo migliaia di casi. C'è stata sicuramente anche una forte reazione di sorpresa perché nessuno (ritengo) si aspettava uno sfacelo di tali dimensioni da un'organizzazione che si definisce 'sacra' e tenta con frequenza d'imporre le sue regole morali. Credo infine che ci sia stata anche l'indignazione sollevata dalle ragioni che hanno determinato la segretezza sui casi fino a quando il fenomeno è esploso in modo non più contenibile. Ricordo che la Congregazione vaticana per la dottrina della fede dichiarò che erano e dovevano rimanere di sua esclusiva competenza tutti i casi di reati sessuali ad opera di religiosi. I casi relativi al periodo 1981-2005 furono esaminati dall'allora prefetto cardinale Ratzinger il quale inviò una circolare a tutti i vescovi del mondo ('Epistula de delictis gravioribus', 18 maggio 2001) nella quale si precisava che tutti i casi di abuso erano posti sotto il 'secretum pontificium', vincolo di tale peso che la sua violazione comporta una punizione ecclesiastica. Le deleterie conseguenze di tale segreto sono state, in numerosi casi accertati (anche in Italia), il semplice trasferimento del colpevole in altra sede dove spesso gli abusi si sono ripetuti. Giorni fa su questo giornale l'autorevole teologo (dissidente) Hans Küng chiedeva: «La Chiesa non dovrebbe quindi attendersi un "mea culpa" anche da parte del Papa, in collegialità con i vescovi?».

l’Unità 20.3.10
Biotestamento: riproviamo a discutere tra scienza e coscienza
di Carlo Alberto Defanti

Leggo con piacere la replica di Assuntina Morresi al mio breve articolo del 20 febbraio, ancora una volta sullo stato vegetativo. Il piacere mi deriva dai toni più distesi oltre che dalla serietà degli argomenti. Debbo tuttavia fare qualche puntualizzazione. La mia interlocutrice ribadisce la richiesta, contenuta nella sentenza della Cassazione sul caso Englaro, di escludere che «la persona abbia la benché minima possibilità di qualche, seppur flebile, recupero della coscienza». In proposito, non mi sono mai stancato di dire che la medicina – e la scienza più in generale – non è mai in grado di dare certezze assolute e che, calato nella realtà, il linguaggio giuridico va tradotto nel linguaggio medico, in cui certezza significa altissima probabilità. Temo inoltre che Morresi abbia mal interpretato le mie parole a proposito del sostegno vitale: io uso questo termine nel senso medico ordinario, in cui la nutrizione artificiale è sostegno vitale alla stessa stregua della ventilazione artificiale, della dialisi, di alcuni farmaci ecc. Considero perciò che essa possa essere interrotta qualora il paziente in precedenza si sia espresso in tal senso (oppure quando la sua volontà in questo senso sia stata ricostruita in modo attendibile, come è qui avvenuto). Osservo poi che Morresi si chiede chi può stabilire che una vita in stato vegetativo sia “invivibile” e chi sia autorizzato a decidere questo per altri quando siano inconsapevoli. Io dò una risposta semplice: solo il malato può prendere questa decisione, idealmente attraverso un testamento biologico (ma il disegno di legge attualmente in esame vorrebbe escludere proprio questa possibilità!). Nessuno ha sostenuto, per lo meno nel nostro Paese, che si debba sospendere la nutrizione artificiale dei soggetti in stato vegetativo, a meno che loro stessi non lo abbiano chiesto. La limpida battaglia civile sostenuta da Beppino Englaro non ha mai avuto altro scopo che quello di consentire che la volontà della figlia fosse rispettata ed eventualmente di offrire ad altri la stessa possibilità.
Infine spezzo ancora una lancia a favore di una discussione, che naturalmente non può essere condotta su queste colonne, sulla rilevanza morale dei nuovi risultati scientifici in tema di disturbi di coscienza. Mi preoccupa molto, ad esempio, l’eventualità che una parte (spero molto piccola!) dei malati che si trovano attualmente in stato vegetativo, di cui finora si pensava che non provassero dolore, possano invece soffrire e che la loro sofferenza non venga alleviata, ad esempio con l’uso regolare di analgesici. C’è qui un grave compito per le società scientifiche, che finora non hanno fatto sentire adeguatamente la loro voce.
Primario emerito Ospedale Niguarda di Milano Consulta di Bioetica onlus

l’Unità 20.3.10
Onu, Usa, Ue e Russia d’accordo sulla nascita dello Stato palestinese entro due anni
Dura reazione del ministero degli Esteri Lieberman. Netanyahu domani negli Stati Uniti
Il Quartetto contro le colonie L’ira di Israele: così addio pace
di Umberto De Giovannangeli

Stop totale agli insediamenti. È la richiesta del Quartetto (Usa, Ue, Onu, Russia). In questo modo si «allontana la pace» ribatte il ministro degli Esteri israeliano, Avigdor Lieberman. E domani Netanyahu vola in America...

«Il Quartetto esorta il governo israeliano a congelare tutte le attività di colonizzazione,comprese quelle destinare all'incremento demografico naturale, di smantellare tutti gli avamposti dopo il marzo 2001 e di astenersi a procedere con le demolizioni e le espulsioni da Gerusalemme Est». Scandisce le parole il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, mentre legge
il testo del documento che conclude il vertice di Mosca del Quartetto per il Medio
IMPEGNI CONCRETI
In una dichiarazione al termine del summit i capi degli Esteri di Usa, Hillary Clinton, della Russia, Serghiei Lavrov, l'Alta rappresentante della politica estera e di sicurezza dell'Ue, Catherine Ashton e il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, hanno espresso «profonda preoccupazione» per il deterioramento in atto a Gaza e hanno auspicato che «i colloqui debbano condurre a una soluzione negoziata tra le parti (Israele e l'Autorità palestinese, ndr) entro 24 mesi». Questa soluzione deve «mettere fine all'occupazione cominciata nel 1967 e avere per effetto la creazione di uno Stato palestinese indipendente, de-
mocratico e vivibile, che viva in pace e sicurezza accanto a Israele e ai suoi vicini». Il Quartetto «esorta il governo israeliano a congelare tutte le attività di colonizzazione, comprese quelle destinate all'incremento demografico naturale, a smantellare tutti gli avamposti costruiti dopo il marzo 2001 e ad astenersi dal procedere con le demolizioni e le espulsioni da Gerusalemme Est».
OFFENSIVA DIPLOMATICA
Per Israele la dichiarazione del Quartetto che chiede il congelamento delle colonie «allontana» la possibilità di un accordo di pace tra israeliani e palestinesi. A sostenerlo è il ministro degli Esteri dello Stato ebraico, Avigdor Lieberman. «La pace afferma Lieberman va edificata dal basso, con provvedimenti sul terreno e non può essere imposta in maniera artificiale, con scadenze irreali». Dichiarazioni come quella di ieri «allontanano la possibilità di raggiungere un vero accordo fra Israele e i palestinesi a prosegue il capo della diplomazia israeliana perché danno ai palestinesi la sensazione errata che “trascinando i piedi” e rifiutandosi di riprendere i negoziati adducendo pretesti arriveranno egualmente al loro obiettivo». Il governo israeliano è in questi giorni esposto a una vasta «offensiva» diplomatica. Dagli Stati Uniti, dopo la visita del vicepresidente, Joe Biden, compromessa da un improvvido annuncio sull'espansione di un progetto edilizio ebraico a Gerusalemme Est, sono giunti messaggi perentori, secondo i quali spetta adesso a Israele gettare basi adeguate per una ripresa di negoziati con l’Anp. L’altro ieri Netanyahu ne ha parlato al telefono con Hillary Clinton. Fra l’altro, secondo la stampa israeliana, avrebbe prefigurato la possibilità di liberare detenuti di al-Fatah, di accrescere le prerogative dei servizi di sicurezza dell' Anp, di ridurre i posti di blocco in Cisgiordania. Domani Netanyahu partirà per Washington, dove è atteso dalla Aipac (la lobby filo-israeliana) e dove spera di incontrare il presidente Barack Obama. In Israele non c'è per ora conferma circa un incontro fra i due che, secondo Fox News, dovrebbe aver luogo martedì. In Israele intanto è un via vai di delegazioni, tutte protese a far pressione su Netanyahu. L’altro ieri era stata la volta della Ashton; oggi arriverà Ban Ki-moon, mentre domani tornerà in zona George Mitchell, emissario personale di Obama.
PLAUDE ABU MAZEN
Come è comprensibile, il comunicato del Quartetto ha trovato il presidente dell'Anp, Mahmud Abbas (Abu Mazen) più che consenziente. Il congelamento delle colonie è assolutamente necessario per rimettere in moto un dialogo di pace, ha ribadito da Amman, dove è convalescente dopo essere scivolato nella sua abitazione riportando una lesione a una gamba.
Un sostegno bipartisan all’iniziativa del Quartetto viene dall’Italia. « Il ministro degli Esteri, Franco Frattini, comunica in un nota la Farnesina, ha avuto un colloquio telefonico con la segretaria di Stato Usa Hillary Clinton , nel corso del quale «a assicurato che il Presidente del Consiglio Berlusconi sosterrà, anche in occasione del prossimo Vertice della Lega Araba cui è stato invitato, le posizioni espresse dal Quartetto...». «Il primo ministro israeliano Netanyahu accolga l'appello lanciato da Ban Ki-moon, sospenda ulteriori insediamenti non solo in Cisgiordania ma anche a Gerusalemme Est e riapra l'accesso alla Striscia di Gaza», sottolinea a sua volta il responsabile esteri del Pd, Piero Fassino.
«L'esperienza ci dice aggiunge Fassino che nessun negoziato è possibile se non c'è fiducia tra le parti in conflitto. E la politica dei “fatti compiuti” è il peggior nemico della fiducia».

l’Unità 20.3.10
Intervista a Riyad Al-Maliki
«Bene i Grandi. Noi palestinesi pronti al negoziato»
Il ministro degli Esteri dell’Anp: importante il documento del vertice di Mosca. Netanyahu deve capire che colonie e pace non sono conciliabili
di U.D.G.

La presa di posizione del Quartetto è molto importante soprattutto perché molto puntuale nelle richieste avanzate a Israele. Al governo di Tel Aviv viene chiesto il blocco totale degli insediamenti in Cisgiordania e a Gerusalemme Est. A ciò si aggiunge l'indicazione di un arco temporale (due anni, ndr) entro cui un accordo globale fra Israele e Autorità palestinese deve essere raggiunto, Un accordo fondato sul principio di “due Stati per due popoli”» Sulla base delle indicazioni del quartetto siamo pronti a riaprire il tavolo del negoziato. La palla è a Israele. Sta al primo ministro Netanayahu rilanciare o affossare definitivamente il processo di pace”. A sostenerlo in questa intervista a l'Unità è Riyad Al-Maliki, ministro degli Esteri dell'Autorità nazionale palestinese. “Chiunque ritenga che sia possibile perpetuare l'attuale status quo – rimarca Al Maliki – coltiva una tragica illusione. Perché l'alternativa ad una pace giusta, globale, tra pari è una nuova escalation di violenza che investirebbe l'intero Medio Oriente».
Signor ministro, come valuta la presa di posizione del Quartetto (Usa,Ue, Onu, Russia) assunta nel vertice di Mosca?
«La nostra valutazione è molto positiva. Perché il Quartetto è esplicito nelle richieste avanzate a Israele e lo è altrettanto nel definire una data entro cui il negoziato di pace deve concludersi...».
Procediamo con ordine: una prima richiesta avanzata dal Quartetto a Israele è lo stop agli insediamenti. «Per la precisione, il Quartetto chiede esplicitamente a Israele il blocco totale degli insediamenti,compresa la cosiddetta “crescita naturale”. Un blocco che riguarda anche Gerusalemme Est. Colonizzazione e pace sono tra loro inconciliabili: è questo il segnale politico lanciato dal Quartetto. Sta ora a Israele raccoglierlo o respingerlo, assumendosi nel secondo caso una responsabilità pesantissima. Per quanto riguarda l'Autorità palestinese, la nostra linea è chiara: se il primo ministro Netanyahu accoglierà le indicazioni del Quartetto, siamo pronti a riaprire il tavolo del negoziato». Netanyahu ha però riaffermato che Israele non intende negoziare su Gerusalemme.
«Una affermazione che contraddice la sua asserita disponibilità a tornare al tavolo delle trattative senza pregiudiziali. Il primo ministro israeliano non può continuare a giocare con le parole. Ciò che la Comunità internazionale gli chiede è una disponibilità reale a una trattativa che includa tutte le questioni strategiche aperte, tra le quali i confini dei due Stati e lo statuto di Gerusalemme. Se guardiamo ai fatti, non c'è da essere ottimisti, il che, però, non vuol dire rinunciare a battersi per una pace giusta, duratura, fondata su quel principio “due Stati per due popoli” ribadito dal Quartetto».
Gli accordi, la storia mediorientale, lo insegna, vanno sottoscritti e poi sottoposti a verifica. E la verifica è spesso mancata...
«È questa mancata verifica è parte dei fallimenti passati. Per questo riteniamo che sia fondamentale l'impegno del Quartetto a monitorare sul campo l'effettiva realizzazioni degli accordi. Ma il primo passo resta il sì o il no di Israele al blocco totale degli insediamenti. Siamo al momento della verità. Per tutti».
Una verità rigettata da Israele: la posizione del Quartetto «allontana la pace», ha affermato il ministro degli Esteri israeliani Avigdor Lieberman...
«Ad allontanare la pace è l’unilateralismo d’Israele, sono i falchi come Lieberman...». Lieberman non crede che la dirigenza palestinese sia un interlocutore affidabile. «La delegittimazione della controparte non aiuta certo il dialogo. Israele pretende di scegliere anche i suoi interlocutori. Interlocutori di comodo.
In questo modo non si va da nessuna parte. Il Quartetto lo ha capito. Israele no».

venerdì 19 marzo 2010

l'Unità 19.3.10
Bonino: «La legalità ha preso giustamente il sopravvento»


«La situazione è ingarbugliata. La Corte Costituzionale ha respinto la sospensiva per cui il decreto legge è in vigore, poi ci sarà il Consiglio di Stato che deciderà sulla lista del Popolo della Libertà. L’ammissione della lista Sgarbi ha causato il rischio di un rinvio del voto, ancora non formalizzato, per questioni tecniche. Lascio alle corti di discuterne: in un paese normale esistono le corti giudiziarie. Non sono una teorica del disarmo giudiziario, tutt’altro, quindi seguiremo la situazione con attenzione». Queste le parole pronunciate ieri sera da Emma Bonino, candidata del centrosinistra alla presidenza della Regione Lazio, nel corso di un incontro con la federazione della sinistra in un locale del quartiere Ostiense di Roma.

Repubblica Roma 19.3.10
La candidata alla presentazione del libro sulla parabola della sua vita politica
Bonino: "Una giunta competente ma terrò conto delle alleanze"
"La mia squadra sarà costruita in base a criteri di onestà e meritocrazia"
di Laura Mari

Una lista di nomi già pronta per una «squadra competente, che tenga conto delle alleanze» e un impegno: «vincere». A pochi giorni dal voto, la candidata del centrosinistra Emma Bonino ha le idee ben chiare e le ha illustrate, ieri pomeriggio alla Galleria Alberto Sordi, nel corso della presentazione del libro "Alfabeto Bonino" (scritto da Cristina Sivieri Tagliabue per raccontare la vita, non solo politica, della radicale). Un incontro che si è inevitabilmente trasformato in un appuntamento-comizio elettorale. «Non lo so se si voterà tra dieci giorni o tra tre settimane - ha detto la Bonino riferendosi alla richiesta di Sgarbi di rinvio delle elezioni dopo la riammissione della sua lista - ma di sicuro io sto sempre qua, non mi muovo».
La volontà di andare avanti e di conquistare la Pisana, dunque, è sempre più forte. Al punto che la candidata del centrosinistra ha già in mente anche i nomi della sua possibile squadra di governo. «Ci ho già pensato certo - ammette la Bonino - e l´identikit dei futuri assessori è semplice, perché si basa su alcuni requisiti fondamentali: trasparenza, onestà e meritocrazia». Ma questo, da solo non basta. Perché nel Risiko delle alleanze e delle coalizioni poi, al momento di formare la squadra di governo, spesso entrano in gioco anche altri meccanismi. «Non sono Alice che viene dalla Nuova Zelanda - ha precisato la Bonino - e quindi so che, se vincerò, ci saranno altri elementi da tenere in considerazione prima di formare la giunta. E non sono nemmeno Attila - ha proseguito la candidata - sono cosciente che sia all´interno che all´esterno della coalizione ci sono persone brave, meritevoli e capaci». Un´evidente apertura, dunque, ai partiti della coalizione e una promessa di rispetto del sistema delle alleanze.
«Non so se è chiaro, ma io voglio vincere» ha ripetuto più volte la candidata del centrosinistra suscitando lunghi e ripetuti applausi da parte del pubblico, prevalentemente femminile. «La politica non è un mestiere, è un onore e un onere nei confronti del paese e degli elettori - ha proseguito la Bonino - cittadini che meritano il rispetto delle regole e della legalità perché, come diceva mia madre, la buona educazione è sempre rivoluzionaria».
Inevitabili, quindi, i riferimenti alla vicenda dell´esclusione della lista del Pdl e ai conseguenti ricorsi e controricorsi. «Come sono andate le cose è ormai chiaro - ha precisato Emma Bonino - il delegato del Pdl Alfredo Milioni stava correggendo le liste, stava commettendo un reato». Quindi, rispetto alla manifestazione «per la libertà» indetta dal Pdl per la giornata di domani, la candidata del centrosinistra ci ha tenuto a ribadire che «non esiste libertà senza regole, senza leggi o che non preveda la libertà altrui. E date queste premesse - ha concluso la Bonino - a naso non mi pare proprio che ci sia questo senso o questo intento di libertà tra i promotori della manifestazione del Pdl».

il Fatto 19.3.10
Chiesa e abusi, 80 anni di silenzi0
di Marco Politi

Il Cardinale Bertone: “Qualcuno cerca di minare la fiducia dei fedeli” Ma la situazione frana. Oggi la lettera ai vescovi irlandesi
L’omertà della Chiesa interpella Benedetto XVI. Alla fine si è arrivati al nodo: il silenzio sistematico, decennale, secolare sugli abusi sessuali commessi dal clero. Un silenzio che ha straziato le vittime due volte.
In Italia ci si comporta come se il fenomeno fosse lontano, ma 80 casi verificati imporrebbero maggiore allarme

Il caso di Monaco di Baviera, la diocesi dell’allora arcivescovo Joseph Ratzinger, è esemplare. Si guardino le date. 1980: un prete pedofilo viene mandato dal vescovo di Essen alla diocesi di Monaco. Ha costretto un ragazzo a fargli sesso orale. Il prete non viene allontanato dalla Chiesa, viene trasferito. L’arcivescovo Ratzinger lo accoglie perché segua una terapia. Poi il vicario generale della diocesi – all’insaputa di Ratzinger – decide il trasferimento del prete pedofilo in un’altra parrocchia. Nuovi abusi, persino una condanna in tribunale. E ciò nonostante il colpevole ha continuato ad esercitare il suo ministero fino a pochi giorni fa. 1980-2010: trent’anni affinché la Chiesa prenda una decisione. Le vittime in questa storia rimangono totalmente sullo sfondo, sembrano non contare.
Così è successo migliaia di altre volte. A volte il vescovo non sapeva oppure era disattento mentre la burocrazia ecclesiastica spostava i criminali da una parrocchia all’altra oppure approvava direttamente i trasferimenti come il cardinale Law di Boston. Spessissimo, negli accordi di risarcimento, le vittime erano costrette a firmare un impegno alla segretezza. Per non parlare dei casi innumerevoli, in cui la voce degli abusati non è stata ascoltata. Perché – alla fine – contava di più l’“immagine” dell’Istituzione che la giustizia da rendere alle vittime.
La storica Lucetta Scaraffia ha pronunciato sull’Osservatore Romano la parola dell’infamia: omertà. “Un velo di omertà maschile che spesso in passato ha coperto con il silenzio la denuncia dei misfatti”. Ha senso allora che in Vaticano si rispolveri la teoria della cospirazione? Lamenta il cardinale Bertone, segretario di Stato, che “qualcuno cerca di minare la fiducia dei fedeli nella Chiesa”. Era anche la posizione difensiva del cardinale Ratzinger nel 2002, quando accusava un’informazione manipolata, guidata dal “desiderio di discreditare la Chiesa”. Altri in Curia si avventurano in improbabili distinzioni tra abusi per fasce di età: meno di dodici anni, over 12, sedicenni. Come se lo squallore fosse attenuabile.
In Germania il delegato nazionale dell’episcopato tedesco per i casi di pedofilia, vescovo Ackermann di Treviri, riconosce onestamente: “Laddove non c’è stata reale volontà di fare luce sugli abusi e i colpevoli sono stati semplicemente trasferiti, dobbiamo riconoscere che in tutta una serie di casi si è praticato l’occultamento (dei fatti)”.
Eletto pontefice, Ratzinger ha imboccato fin dall’inizio una strategia chiara e intransigente: non sottovalutare le denunce, rimuovere i preti colpevoli, assistere le vittime, collaborare con i tribunali. Ora, tuttavia, molti fedeli chiedono che la Chiesa riconosca il suo peccato di omertà. Hans Küng, il teologo ribelle, esige dal pontefice un mea culpa per le responsabilità della Chiesa. Perché la situazione sta franando. Il primate d’Irlanda, cardinale Brady, domanda perdono per avere partecipato da sacerdote a una riunione, in cui si impose il silenzio a due piccole vittime di molestie. Forse si dimetterà. In Germania il vescovo di Osnabrück ha chiesto scusa ai fedeli per gli abusi degli anni passati.
C’è ancora nei Sacri Palazzi chi si fa scudo dell’argomento che il crimine è trasversale e avviene in tutti gli ambienti sociali. E’ vero, anzi più del 70 per cento degli abusi si scoprono nelle famiglie. Ma c’è una responsabilità specifica del mondo ecclesiastico. E’ la Chiesa che si presenta come la più alta autorità morale ed educativa, è nelle chiese che si predica dai pulpiti la purezza come principio supremo del sacerdozio. Il crollo di fiducia provocato dagli abusi è perciò ancora più devastante. Soprattutto perché il delitto si compie, mentre i genitori i fiducia affidano i figli alle parrocchie. In “Atti impuri”, un saggio documentatissimo sulle violenze sessuali nelle diocesi americane (ed. Raffaello Cortina), si ritrova tutta la straziante normalità degli abusi. Una via crucis di incubi. “Un giorno, dopo la messa, il prete si mise davanti al chierichetto con il pene eretto e guidò le sue mani fino a raggiungere l’orgasmo... Il dodicenne Julian fu abusato per tre anni da padre Scott, il quale gli aveva detto che per ricevere la cresima avrebbe dovuto partecipare a speciali sessioni di consulenza... All’età di cinque anni X cominciò ad essere prelevato dal letto e portato sul divano del sacerdote (ospite dei genitori), che lo stendeva sopra di sé... La chiesa nella quale fui violentata era la stessa in cui i preti ascoltavano le confessioni, in cui tutti i figli della mia famiglia si sono sposati, alcuni nipoti battezzati, e in cui sono sepolti i miei genitori”.
Ecco di cosa si sta parlando. Ecco perché il vicepresidente del Parlamento di Berlino, Wolfgang Thierse, membro del Comitato centrale dei cattolici tedeschi (l’organizzazione delle associazioni laicali), ha dichiarato che “la credibi-
lità della Chiesta sta traballando in modo assai grave” e che perciò la “Chiesa deve essere più onesta e più severa con se stessa e questo vale anche per il Papa”.
Nel frattempo la Chiesa in Italia sembra comportarsi come se il fenomeno avvenisse in terre lontane. Ancora nel 2002, nel pieno dello scalpore per gli scandali americani, il segretario della Conferenza episcopale mons. Betori dichiarava in conferenza stampa che “non sta alla Cei monitorare il problema... (che) il Consiglio permanente non ha mai parlato di casi di pedofilia e alla Cei non c’è nessun elenco in proposito e non abbiano né casi in evidenza né una procedura di monitoraggio”. Unici referenti: le singole diocesi e il Vaticano.
Da allora non si è saputo più nulla, a parte l’accenno a un servizio di assistenza tecnico-giuridica fornito dalla Cei ai vescovi interessati. Ottanta casi, già acclarati per un decennio, imporrebbero maggiore allarme. Betori stesso, diventato arcivescovo di Firenze, ha prontamente allontanato da una parrocchia un prete pedofilo. A Bolzano è bastato che il vescovo Golser indicasse un indirizzo mail per gli abusi e subito sono venuti a galla alcuni casi. Certo è singolare che mons. Charles Scicluna, “pubblico ministero” all’ex Sant’Uffizio, debba dichiarare su Avvenire: “Preoccupa una certa cultura del silenzio che vedo ancora troppo diffusa nella Penisola”. Forse per questo il presidente della Cei cardinale Bagnasco ha deciso di affrontare il tema al prossimo Consiglio permanente. Papa Ratzinger firma stamane la Lettera ai vescovi d’Irlanda. Indicherà certamente le misure per combattere gli abusi. Ma lo attende una prova anche più ardua: confessare i silenzi della Chiesa.

Repubblica 19.3.10
Pedofilia, altri abusi di religiosi nuovi casi in Germania e Svizzera
Il vescovo di Monaco: "Denunceremo tutti gli episodi"
A Meschede un benedettino confessa violenze su 19 minori. La confederazione elvetica sotto shock: un sacerdote abusò di 10 bimbi
di Andrea Tarquini

BERLINO - Ancora nuove denunce, ancora vittime che si decidono a rompere il silenzio, ancora confessioni e scoperte di abusi atroci. Mentre la Germania attende col resto del mondo la lettera del Papa, dal Gulag pedofilo emergono ogni giorno altri racconti e ricordi. Un monaco dell´abbazia benedettina di Koenigsmuenter a Meschede, in Germania, ha confessato secondo la magistratura di aver abusato di almeno 19 studenti minorenni. E la Svizzera è sotto shock per il caso di padre Gregor Mueller, che ha lasciato l´incarico nelle mani del vescovo di Coira, nel cantone dei Grigioni, ammettendo di aver usato violenza per anni su almeno una decina di bambini in scuole religiose in Germania e Austria.
«Non può esserci misericordia a buon mercato, d´ora in poi la Chiesa denuncerà tutti i casi, anche solo sospetti, alla giustizia», ha detto il vescovo di Monaco e Freising, Reinhard Marx, parlando ieri a una riunione religiosa. «Dobbiamo tutti trarre conseguenze dal male attuale, la preghiera deve andare alle vittime ma anche ai colpevoli».
Dei reati del monaco benedettino (non citato per nome, ma solo con l´iniziale B.,) riferisce la Frankfurter Allgemeine, in un reportage a piena pagina con vistoso richiamo in prima. Il monaco, secondo la magistratura, ha commesso diversi abusi fin dagli anni Settanta, «anche atti che il diritto definisce come atti sessuali». Una delle vittime, dietro l´anonimato, racconta. I genitori l´avevano inviato in quel convitto perché certi che avrebbe avuto un´istruzione di alto livello. Si erano fidati.
Allievo al convitto benedettino, l´ex vittima (indicata con l´iniziale K. per proteggerla con l´anonimato) aveva appena undici anni quando il monaco cominciò a corteggiarlo, a parlargli di sesso e vita intima, a regalargli dolci o calendari con banconote da 50 euro infilate dentro come regalo. A lui e ad altri giovani, il monaco amava offrire vino per disinibirli. Il ragazzo era alto, magro, grandi occhi azzurri, il monaco s´infatuò di lui. Il giovane aveva 13 anni quando il monaco decise di passare ai fatti.
«All´inizio cercai di difendermi, poi non ci riuscii più. A lungo mi dissi che non ne avrei mai parlato con nessuno». Dopo anni di silenzio del figlio, i genitori capirono e chiesero chiarimenti ai superiori dell´abbazia. Il monaco fu allora trasferito all´estero e sottoposto a terapie. Ma ora è di nuovo nel convento benedettino.
Agghiaccianti le testimonianze sul sacerdote svizzero, padre Gregor Mueller. «S´infilava di notte sotto i nostri lenzuoli e ci violentava», narrano ai media elvetici le sue vittime, ex allievi dei convitti di Mehrerau in Austria e Birnau in Germania. Abusava di scolari e chierichetti, e spesso li picchiava brutalmente.
Nelle scuole religiose dove lui insegnò, abusi e violenze erano pratica, narrano le vittime al quotidiano popolare svizzero Blick. «Ci infilavano la mano nei pantaloni, alcuni erano svegliati di notte e costretti a subire ogni tipo di sevizie e abusi». Padre Mueller chiamava le sue vittime «i miei capretti». Molti religiosi mostravano film porno agli allievi. E picchiavano anche, con rami e bastoni, fino a coprire di lividi i ragazzi.

Repubblica 19.3.10
La lettera al clero è pronta "Attacchi forti, serve reagire"
Il Papa "amareggiato" dalle parole di Küng
Anche Bagnasco stupito dalla durezza delle posizioni del teologo dissidente
di Marco Ansaldo

CITTA´ DEL VATICANO - Oggi la firma, e domani la pubblicazione. C´è «molta attesa» in Vaticano, ma anche «un forte senso di liberazione», come si coglie in un dialogo catturato dentro i Sacri Palazzi, per l´uscita della Lettera pastorale di Benedetto XVI ai cattolici irlandesi. La Santa Sede è ansiosa di difendersi sui casi di pedofilia nel clero. Ma soprattutto, diffondendo il pensiero del Papa, punta a «rimettere la barra nella giusta direzione», reimpostando la propria guida nella chiesa d´Irlanda e laddove gli scandali stanno minando la fiducia dei fedeli.
Proprio per questo il documento conterrà, oltre a concetti come «scuse», «pentimento» e «rinnovamento», non solo considerazioni religiose ma precise «indicazioni pratiche» su come sanare la piaga.
Il Papa questa mattina siglerà dunque il provvedimento con il suo sacro sigillo, convinto di un passo che tutto il mondo cattolico attende con trepidazione, per il messaggio universale che la Lettera rivestirà, ben oltre i riceventi irlandesi. Il pontefice infatti appare sconcertato dalla vicenda, e anche scosso dalle reazioni che il caso sta suscitando.
Due giorni fa Benedetto XVI ha esaminato con attenzione il commento del teologo svizzero Hans Küng, da sempre molto critico con il Vaticano, a pagina 2 della Süddeutsche Zeitung, quotidiano di Monaco di Baviera che ben conosce dai tempi in cui era arcivescovo nella città bavarese, e che sfoglia comunque dopo la Frankfurter Allgemeine, giornale di impostazione più conservatrice con cui ogni giorno preferisce aprire la sua lettura della stampa. Ieri mattina ha letto ancora il testo di Küng su Repubblica, dicendosi «deluso e amareggiato» dalla durezza delle posizioni del teologo, che lo richiamava alle sue «responsabilità» sui silenzi della Chiesa nei casi di abusi sessuali compiuti da sacerdoti, chiedendogli addirittura di pronunciare un «mea culpa».
Il testo di Küng non ha colpito solo il Papa. Anche la Conferenza episcopale italiana (Cei), guidata dall´arcivescovo di Genova, il cardinale Angelo Bagnasco, è apparsa stupita, come dice una fonte interna, «da un attacco portato direttamente al pontefice», al di là delle argomentazioni usate da Küng nel suo ragionamento. Una posizione, si cerca di spiegare, che potrebbe trovare motivo anche in «incomprensioni risalenti al passato fra i due», il Papa conservatore e il teologo progressista.
Il presidente della Cei, che ieri al Palasharp di Milano, in un intervento dal titolo "L´Avventura educativa" ha battuto su uno dei suoi concetti che stanno più a cuore del suo apostolato, aprirà lunedì prossimo i lavori del Consiglio Episcopale Permanente, il "parlamentino" dei vescovi. All´ordine del giorno l´Assemblea Generale di maggio, l´esame della bozza degli Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020, e l´approvazione della lettera della Commissione per la dottrina della fede, l´annuncio e la catechesi a quarant´anni dalla pubblicazione del documento base «Il rinnovamento della catechesi». Un appuntamento importante per i vescovi. Che nel frattempo avranno letto, e metabolizzato, la Lettera del Papa.

giovedì 18 marzo 2010

Repubblica 18.3.10
L’anatema della Merkel "Vogliamo la verità"
E l´inquisitore nominato dalla Conferenza episcopale tedesca per indagare ammette: "La Chiesa cattolica ha insabbiato per decenni"
di Andrea Tarquini

BERLINO - La cancelliera Angela Merkel condanna gli abusi pedofili nel modo più forte, e intanto il vescovo di Treviri Stepahn Ackermann, cioè l´inquisitore speciale nominato dalla Conferenza episcopale tedesca per indagare sulle violenze ai minori da parte di religiosi, ha ammesso per la prima volta che la Chiesa cattolica «ha insabbiato per decenni», limitandosi a trasferire da una diocesi all´altra i colpevoli. Per Benedetto XVI e per il prestigio e la credibilità del cattolicesimo la situazione si fa sempre più difficile, proprio nel paese natale del Papa.
«Gli abusi sessuali sui bambini», ha detto Angela Merkel parlando al Parlamento federale, «sono un crimine abominevole. La nostra società ha solo un modo per superarlo, e cioè conoscere tutta la verità su quanto è accaduto». Al tempo stesso la cancelliera ha sottolineato che è un errore ridurre il problema agli abusi avvenuti nell´ambito della Chiesa. Il problema «riguarda tutta la società».
Le parole della Merkel, e la dura ammissione del vescovo Ackermann, esasperano ed evidenziano le difficoltà della Chiesa cattolica tedesca. Il presidente della Conferenza espicopale di Germania, monsignor Robert Zollitsch, incontrando i parlamentari, ha garantito che la Chiesa farà assoluta chiarezza e garantirà piena trasparenza. Il problema però, ha tenuto ad aggiungere, non riguarda e non coinvolge solo la Chiesa cattolica. Il vescovo di Osnabrueck (Bassa Sassonia), monsignor Franz Josef Bode, ha chiesto pubblicamente scusa a tutti i fedeli per gli abusi sessuali perpetrati su minori in istituzioni religiose: «Sono sconvolto, senza parole, pieno di vergogna e di dolore». Ma ogni giorno emergono nuovi casi: in un convento francescano a Lingen era abitudine giocare allo spogliarello. Abusi sono stati denunciati anche nell´internato di Salem, il più prestigioso del paese.

Repubblica 18.3.10
Ratzinger reciti il mea culpa sulla pedofilia
di Hans Küng

Si è detto che dopo aver ricevuto in udienza l´arcivescovo Robert Zollisch il Papa era «profondamente scosso» e «sconvolto» per i numerosi casi di abusi. Dal canto suo, il presidente [della Conferenza episcopale tedesca] ha chiesto perdono alle vittime, citando nuovamente le misure già adottate e quelle previste. Ma nessuno dei due ha risposto a una serie di domande di fondo che non è più possibile eludere. Stando ai risultati dell´ultimo sondaggio Emnid, solo il 10% degli interpellati trova soddisfacente l´opera di rielaborazione della Chiesa, mentre per l´86% dei tedeschi l´atteggiamento degli alti livelli della gerarchia ecclesiastica manca di chiarezza. Le loro critiche troveranno peraltro conferma nell´insistenza con cui i vescovi continuano a negare ogni rapporto tra l´obbligo del celibato e gli abusi commessi sui minori.
Prima domanda: Perché il Papa continua, contro la verità storica, a definire il «santo» celibato un «dono prezioso», ignorando il messaggio biblico che consente espressamente il matrimonio a tutti i titolari di cariche ecclesiastiche? Il celibato non è «santo», e non è neppure una grazia, bensì piuttosto una disgrazia, dal momento che esclude dal sacerdozio un gran numero di ottimi candidati, e ha indotto molti preti desiderosi di sposarsi a rinunciare alla loro missione.
L´obbligo del celibato non è una verità di fede, ma solo una norma ecclesiastica che risale all´XI secolo, e avrebbe dovuto essere sospesa ovunque in seguito alle obiezioni dei riformatori dal XVI secolo.
In nome della verità, il Papa avrebbe dovuto quanto meno promettere un riesame di questa norma, da tempo auspicato dalla grande maggioranza del clero e della popolazione. Anche personalità come Alois Glück, presidente del Comitato centrale dei cattolici tedeschi, o Hans-Jochen Jaschke, vescovo ausiliare di Amburgo, si sono espresse in favore di un rapporto più sereno con la sessualità e della possibilità di far coesistere fianco a fianco sacerdoti celibi e sposati.
Seconda domanda: È possibile che «tutti gli esperti» abbiano escluso l´esistenza di qualsiasi rapporto tra la pedofilia e l´obbligo del celibato sacerdotale, come ha nuovamente asserito l´arcivescovo Zollitsch? Chi mai può conoscere il parere di «tutti gli esperti»!? Di fatto si potrebbero citare innumerevoli psicoanalisti e psicoterapeuti che al contrario hanno sottolineato questo rapporto: mentre l´obbligo del celibato impone ai preti di astenersi da qualunque attività sessuale, i loro impulsi sono però virulenti, col rischio che il tabù e l´inibizione sessuale li induca a ricercare una qualche compensazione.
In nome della verità, la correlazione tra l´obbligo del celibato e gli abusi non può essere semplicemente negata, ma va presa invece in seria considerazione. Lo ha ben chiarito ad esempio lo psicoterapeuta americano Richard Sipe, che a questi studi ha dedicato un quarto di secolo (cfr. «Knowledge of sexual activity and abuse within the clerical system of the Roman Catholic church», 2004): la forma di vita del celibato, e in particolare la socializzazione che la prepara (il più delle volte nei convitti e successivamente nei seminari) può favorire tendenze pedofile. Richard Sipe ha individuato un tipo di inibizione dello sviluppo psicosessuale più frequente nei celibi che nella media della popolazione; ma spesso la consapevolezza dei deficit dello sviluppo psicologico e delle tendenze sessuali si raggiunge solo dopo l´ordinazione al sacerdozio.
Terza domanda. Oltre a chiedere perdono alle vittime, i vescovi non dovrebbero finalmente riconoscere anche le proprie corresponsabilità? Per decenni, dato il tabù sulla norma del celibato, hanno occultato gli abusi, limitandosi a disporre il trasferimento dei responsabili. Tutelare i preti era più importante che proteggere bambini. C´è poi una differenza tra i casi individuali di abusi commessi nelle scuole, al di fuori della Chiesa cattolica, e gli abusi sistemici, spesso reiterati e frequenti, all´interno stesso della Chiesa cattolica romana, in cui vige tuttora una morale sessuale quanto mai rigida e repressiva, che culmina nella norma sul celibato.
In nome della verità, anziché porre un ultimatum di 24 ore al ministro federale della giustizia, sopravvalutando peraltro gravemente l´autorità ecclesiastica, il presidente della Conferenza episcopale avrebbe dovuto finalmente dichiarare con chiarezza che d´ora in poi, in caso di reati di natura penale le gerarchie della Chiesa non cercheranno più di eludere l´azione giudiziaria dello Stato. O dovremo aspettare che per ricredersi, la gerarchia sia costretta a pagare risarcimenti dell´ordine di milioni di euro? Negli Usa la Chiesa cattolica ha dovuto versare a questo titolo, nel 2006, ben 1,3 miliardi di dollari; e in Irlanda, nel 2009 il governo ha stabilito con gli ordini religiosi un accordo – rovinoso per questi ultimi – per un fondo risarcimenti di 2,1 miliardi di euro. Cifre del genere sono assai più eloquenti dei dati statistici sulle percentuali dei celibi tra gli autori di reati sessuali, citati nel tentativo di sdrammatizzare il dibattito.
Quarta domanda: Il papa Benedetto XVI non dovrebbe assumersi a sua volta le proprie responsabilità, anziché lamentarsi di una campagna che sarebbe in atto contro la sua persona? Nessuno finora, in seno alla Chiesa, si è mai trovato sulla scrivania un così gran numero di denunce di abusi. Vorrei ricordare quanto segue:
Per otto anni docente di teologia a Regensburg e in stretti rapporti col fratello Georg, maestro della cappella del Duomo (Domkapellmeister), Joseph Ratzinger era perfettamente al corrente della situazione dei Domspatzen, i piccoli cantori di Regensburg. E non si tratta qui dei ceffoni, purtroppo all´ordine del giorno a quei tempi, bensì anche di eventuali reati sessuali.
Arcivescovo di Monaco per cinque anni, in un periodo durante il quale un prete, trasferito nel suo episcopato, perpetrò una serie di ulteriori abusi che oggi sono venuti alla luce. Anche se Mons. Gerhard Gruber, suo vicario generale (oltre che mio ex collega di studi) si è assunta la piena responsabilità di questi episodi, la sua lealtà non poteva bastare a scagionare l´arcivescovo, responsabile anche sul piano amministrativo.
Per 24 anni Joseph Ratzinger è stato prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, nel cui ambito si prendeva atto dei più gravi reati sessuali commessi dal clero in tutto il mondo, per raccoglierli e trattarli nel più totale segreto («Secretum pontificium». Il 18 maggio 2001, con una lettera rivolta a tutti i vescovi sul tema delle «gravi trasgressioni», Joseph Ratzinger aveva confermato per gli abusi il «segreto pontificio», la cui violazione è punita dalla Chiesa).
Papa per cinque anni, non ha cambiato di una virgola questa prassi infausta.
In nome della verità Joseph Ratzinger, l´uomo che da decenni è il principale responsabile dell´occultamento di questi abusi a livello mondiale, avrebbe dovuto pronunciare a sua volta un «mea culpa». Così come lo ha fatto il vescovo di Limburg, Franz-Peter Tebartz-van Elst, che in un´allocuzione trasmessa per radio il 14 marzo 2010 si è rivolto a tutti i fedeli in questi termini: «Poiché un´iniquità così atroce non può essere accettata né occultata, abbiamo bisogno di cambiare strada, di invertire la rotta per dare spazio alla verità. Per convertirci ed espiare, dobbiamo incominciare col riconoscere espressamente le colpe, fare atto di pentimento e manifestarlo, assumerci le responsabilità e aprire così la strada a un nuovo inizio».

l’Unità 18.3.10
Il messaggio del Papa «Spero che aiuti un processo di pentimento e rinnovamento»
Le scuse Il cardinale Brady: «Mi vergogno di aver taciuto». Merkel: problema della società
Preti pedofili, dal Pontefice lettera ai cattolici d’Irlanda
di Marina Mastroluca

Attesa per domani la lettera del Papa ai cattolici d’Irlanda, dopo lo scandalo dei preti pedofili. «Spero che aiuti un processo di pentimento e rinnovamento». Angela Merkel: «Il problema riguarda tutta la società».

Soffia un’aria quaresimale sulla lettera annunciata da Benedetto XVI non a caso per domani, giorno di san Giuseppe, guardiano della sa-
cra famiglia. «La mia speranza è che essa aiuterà un processo di pentimento, guarigione e rinnovamento», ha spiegato il Pontefice davanti ad una folla di pellegrini. Lettera ai cattolici d’Irlanda, per affondare il coltello nella piaga della pedofilia che affligge la Chiesa. Ma allo stesso titolo potrebbe rivolgersi ai cattolici di Germania, Austria e Olanda. Il «male» non è prerogativa del clero irlandese, ma da qui si parte, anche se la cancelliera tedesca Angela Merkel ieri ha tenuto a ricordare che gli abusi non sono solo un problema della Chiesa ma «qualcosa che è accaduto nella società». Il guasto comunque c’è ed è ormai solo ora si potrebbe dire sotto agli occhi di tutti. La lettera o comunque un pronunciamento sulla crisi che sta scuotendo la chiesa cattolica per le ripetute denunce di abusi arrivate a lambire lo stesso pontefice tramite il fratello Georg e il coro dei passerotti di Regensburg era attesa da tempo, ma nei giorni scorsi in ambienti vaticani si cominciava a metterne in dubbio l’efficacia: perché fermarsi ad un solo caso e non allargare lo sguardo oltre ai 46 sacerdoti irlandesi accusati di aver abusato bambini e bambine nel corso di un trentennio?
«Sdegno e preoccupazione», sarà questo il cuore del messaggio del Papa, che in passato ha chiesto più volte di «stabilire che cosa sia avvenuto in passato», per evitare che si ripeta, indennizzando le vittime. «Il Santo Padre condivide l’oltraggio, il tradimento e la vergogna percepiti da così tanti fedeli in Irlanda», spiega la sala stampa vaticana, specificando che l’impegno della Chiesa sarà volto a «seguire la grave questione con la massima attenzione».
Non è chiaro se la lettera sarà confinata nei limiti della responsabilità morale dei preti pedofili, o se andrà oltre. In un’intervista ad Avvenire, l’attuale responsabile vaticano delle inchieste sulla pedofilia, mons. Charles J. Scicluna che ha esaminato 3000 casi nell’ultimo decennio, ma sostiene che solo un decimo di questi possono essere definiti episodi di pedofilia ha affermato che la Chiesa «incoraggia» i vescovi a rivolgersi alla giustizia civile per punire i responsabili degli abusi. La Chiesa cattolica quindi sembrerebbe orientata a rompere il muro del silenzio, che finora è stato la strategia dominante nell’affrontare il problema.
Suona quindi come un segnale di svolta il messaggio del cardinale Sean Brady, capo della Chiesa irlandese, che ieri si è pubblicamente scusato per aver coperto in passato gli abusi commessi da un giovane prete, Brendan Smyth, chiedendo ai due bambini che lo accusavano di tacere. In questo clima di omertà, Smyth ha potuto così continuare ad abusare di altri ragazzini per 18 anni. «Guardando indietro mi vergogno di non aver rispettato i valori che professo e nei quali credo», ha detto il cardinale.
«LA CHIESA HA TACIUTO»
Per una confessione di colpa all’interno della gerarchia ecclesiastica, c’è anche una denuncia. Il vescovo di Treviri, Ackerman, ha detto esplicitamente in un’intervista che la Chiesa ha «nascosto» i casi di pedofilia. Una responsabilità enorme, richiamata ieri anche dal teologo svizzero Hans Kueng, noto tra l’altro per le sue critiche al dogma dell’infallibilità papale. «Cinque anni di pontificato senza mai modificare queste pratiche funeste. La decenza esigerebbe ha sostenuto Kueng che il principale responsabile della dissimulazione da decenni, cioè Joseph Ratzinger, facesse un mea culpa». Il riferimento è ai 24 anni in cui il futuro papa ha guidato la Congregazione per la dottrina della fede: da qui, secondo Kueng, poteva essere spezzato l’incantesimo del silenzio. Ma non è avvenuto.❖

Repubblica 18.3.10
Omelia del cardinale Brady per San Patrizio: "Chiedo perdono, rifletterò sul mio ruolo"
Il primate d´Irlanda si scusa ora è a un passo dalle dimissioni
di Enrico Franceschini

LONDRA - Il primate d´Irlanda chiede «perdono» per il suo silenzio decennale nello scandalo dei preti pedofili e annuncia che rifletterà sul suo ruolo nel prossimo futuro, un´apparente allusione alle pressanti richieste di dimissioni che gli sono pervenute da parte di Amnesty International e di associazioni di vittime degli abusi sessuali commessi nella diocesi di Dublino e in altri istituti religiosi irlandesi.
Il cardinale Sean Brady, massima autorità della Chiesa cattolica in Irlanda, era un giovane sacerdote quando, a metà degli anni Settanta, partecipò alle sedute di un tribunale canonico che pretese il "voto del silenzio" da parte di due giovani vittime di violenze sessuali, un bambino di 10 anni e una bambina di 14, caduti preda di padre Brendan Smyth, un noto prete pedofilo, colpevole di centinaia di abusi, arrestato soltanto venti anni più tardi, processato e morto in carcere. Brady non riferì mai alla polizia o alla magistratura i reati commessi da padre Smyth, che continuò indisturbato a stuprare e abusare minorenni. Nei giorni scorsi una delle due vittime che testimoniarono davanti a Brady lo ha denunciato alla magistratura, accusandolo in sostanza di complicità nei confronti del prete pedofilo. Le organizzazioni di superstiti degli abusi e per la difesa dei diritti umani hanno reagito chiedendo al cardinale di dimettersi. Dapprima Brady ha sostenuto di avere solo «obbedito agli ordini» quando partecipò alle sedute del tribunale ecclesiastico, e affermato che si dimetterà solo se glielo chiederà il papa. Ma poi ha cambiato atteggiamento.
Nel giorno della festa di San Patrizio, patrono dell´Irlanda, il cardinale ha pronunciato un accorato mea culpa pubblico. «Questa settimana è emerso un doloroso episodio del mio passato», ha detto nel corso di un´omelia. «Ho ascoltato le reazioni della gente al mio ruolo in avvenimenti di 35 anni fa. Voglio dire a chiunque si sia sentito ferito da una mia manchevolezza che chiedo perdono dal più profondo del cuore. Chiedo perdono anche a quanti sentono che li ho delusi. Guardandomi indietro, mi vergogno di non avere sempre tenuto fede ai valori che professo e in cui credo. La Chiesa d´Irlanda deve continuare ad affrontare l´enorme dolore causato dall´abuso di bambini da parte di alcuni preti e religiosi e dalla risposta disperatamente inadeguata data a questi abusi in passato. Noi vescovi dobbiamo riconoscere i nostri errori e assumercene la responsabilità».
Il cardinale ha quindi reso noto che «rifletterà» sul suo ruolo. Resta da vedere se questo porterà alle sue dimissioni; e se vi siano pressioni in tal senso da parte del Vaticano. Proprio ieri papa Benedetto XVI ha annunciato che invierà presto una lettera pastorale ai fedeli irlandesi per affrontare la «dolorosa situazione» degli abusi sui minori, nella speranza che «aiuti il processo di pentimento, guarigione e rinnovamento». Il «mea culpa» del primate d´Irlanda sembra parte di questo desiderio di voltare pagina. Ma lo shock provocato da due rapporti governativi, che hanno rivelato migliaia di abusi sessuali su minori da parte di preti e suore nell´arco di decenni, non si è ancora spento nell´Isola di Smeraldo.

Repubblica 18.3.10
Pronta la lettera del Pontefice "Pedofilia, tolleranza zero"
Il messaggio alla Curia di Dublino sarà reso noto lunedì
d Orazio La Rocca

Papa Ratzinger parlerà di "dolore, pentimento e rinnovamento" Vaticano, nuovi incarichi di primo piano per Ruini

CITTA´ DEL VATICANO - «Scuse», «dolore», «sofferenza», «amarezza», «pentimento», «rinnovamento» e, soprattutto, un vibrante appello alla tolleranza zero. Questi alcuni dei probabili punti fermi che papa Ratzinger inserirà nella lettera ai cattolici d´Irlanda, uno dei paesi maggiormente sconvolti dallo scandalo dei preti pedofili. È stato lo stesso Benedetto XVI ad annunciarlo ieri durante l´udienza in piazza San Pietro. Un annuncio quasi a sorpresa, con cui il Papa ha messo definitivamente a tacere le voci che negli ultimi giorni in Vaticano avevano messo in dubbio l´uscita della stessa lettera per i tanti altri casi di violenze sessuali di preti su minori emersi anche in Germania, Olanda, Austria e Svizzera. Di fronte alla vastità del fenomeno, più che ad un testo per un solo paese, Oltretevere stava prendendo forma l´idea di una "Istruzione" contro la pedofilia destinata a tutta la Chiesa. Ma ieri Ratzinger ha spazzato via ogni esitazione, autonomamente, incurante delle riserve emerse in Curia sulla utilità di chiamare in causa solo l´Irlanda, dando l´impressione di voler "dimenticare" gli altri paesi colpiti da analoghi scandali.
La lettera sarà firmata domani e distribuita - forse - lunedì prossimo. «Come sapete - ha detto salutando un gruppo di irlandesi -, negli ultimi mesi la Chiesa in Irlanda è stata pesantemente scossa in conseguenza della crisi degli abusi sui minori. Come segno della mia profonda preoccupazione - ha aggiunto - ho scritto una Lettera pastorale che tratta di questa dolorosa situazione. La firmerò nella solennità di San Giuseppe, il Custode della Sacra Famiglia e patrono della Chiesa universale, e la invierò subito dopo». «Chiedo a tutti voi - ha poi concluso - che la leggiate con cuore aperto e in spirito di fede. La mia speranza è che essa aiuti nel processo di pentimento, guarigione e rinnovamento». I circa 11 mila fedeli presenti all´udienza hanno ascoltato le parole del Papa con grande attenzione, disturbati solo da una breve protesta ad alta voce di un antiabortista, prontamente fermato dalla vigilanza.
La lettera ai fedeli d´Irlanda era stata annunciata lo scorso dicembre dopo un incontro in Vaticano tra il Papa e il primate della Chiesa irlandese, il cardinale Sean Brady, in seguito alla pubblicazione di 2 rapporti-shock del governo che accusavano le gerarchie ecclesiastiche di aver coperto gli abusi sessuali commessi per decenni da sacerdoti nell´arcidiocesi di Dublino su centinaia di minori. «Il Santo Padre con questa lettera darà lucidamente le necessarie indicazioni ai cattolici d´Irlanda, ma anche a tutti gli episcopati, su come sradicare la piaga della pedofilia nella Chiesa, facendo leva sulla tolleranza zero per quanti si macchiano di un crimine tanto abominevole ed orrendo», commenta il cardinale Josè Saraiva Martins, prefetto emerito della Congregazione per le cause dei santi.
Intanto un altro cardinale, Camillo Ruini, presidente del Progetto Culturale ed ex presidente Cei, dopo che negli ultimi tempi era stato piuttosto in disparte, torna alla ribalta con due importanti incarichi papali, la scrittura delle meditazioni per la Via Crucis del prossimo Venerdì Santo al Colosseo e la presidenza di una commissione vaticana che indagherà sulle presunte apparizioni mariane di Medjugorje. Due incarichi con cui Benedetto XVI sembra voglia di nuovo affidarsi ad un porporato di lungo corso come Ruini in un momento tanto delicato per la Chiesa cattolica.

Repubblica 18.3.10
Celibato
Perché entra in crisi il vincolo dei sacerdoti
Quella di Paolo non è semplice sessuofobia, ma è legata alla fine del mondo e al ritorno di Cristo: a che serve sposarsi e mettere al mondo dei figli?
di Vito Mancuso

La Genesi insegna che la relazione uomo-donna è scritta dentro l´umanità: la vera immagine di Dio non è il monaco, ma la coppia che diventa una carne sola

Si riapre il dibattito sull´obbligo imposto dalla Chiesa cattolica ai suoi ministri: la norma nasce con San Paolo e si afferma con la tradizione mistica e ascetica

«Non è bene che l´uomo sia solo», dice Dio di fronte al primo uomo. Per rimediare crea gli animali, ma l´uomo non è soddisfatto. Allora gli toglie una costola, plasma la donna e gliela presenta. A questo punto l´uomo non ha più dubbi: «Questa è osso delle mie ossa e carne della mia carne. La si chiamerà išà (donna) perché da iš (uomo) è stata tolta». Una voce fuori campo commenta: «Per questo l´uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola» (Genesi 2,23-24). Questa scena mitica, mai avvenuta in un punto preciso del tempo perché avviene ogni giorno, insegna che la relazione uomo-donna è scritta dentro di noi e che, ben prima dei genitali, riguarda la carne e le ossa. La Sacra Scrittura esprime così nel modo più intenso che noi siamo relazione in cerca di relazione, che viviamo con l´obiettivo di formare "una carne sola" e di compiere l´uomo perfetto, quello pensato da subito nella mente divina come maschio+femmina, secondo quanto insegna Genesi 1,27: «Dio creò l´uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò». La vera immagine di Dio, che è comunione d´amore personale, non è né il monaco né il prete celibe e neppure il papa, ma è la coppia umana che vive di un amore reciproco così intenso da essere "una carne sola". Per questo, secondo un detto rabbinico, «il celibe diminuisce l´immagine di Dio».
Lo stesso si deve dire della paternità e della maternità. Se Dio è padre che eternamente genera il Figlio e che temporalmente genera gli uomini come figli nel Figlio, la sua immagine più completa sulla terra sono gli uomini e le donne che a loro volta generano figli e spendono una vita di lavoro per farli crescere. Per questo la Bibbia ebraica considera la scelta celibataria di non avere figli qualcosa di innaturale che trasgredisce il primo comando dato agli uomini cioè "crescete e moltiplicatevi".
Naturalmente tutti sanno che Gesù era celibe, e così anche san Paolo. Ma mentre Gesù conservava una visione positiva del matrimonio, san Paolo giunge a ribaltare quanto dichiarato da Dio al principio dei tempi («non è bene che l´uomo sia solo») scrivendo al contrario che «è cosa buona per l´uomo non toccare donna» (1Cor 7,1). Per lui il matrimonio è spiritualmente giustificabile solo «a motivo dei casi di immoralità», nulla più cioè che un remedium concupiscentiae per i deboli di spirito che non sanno controllare le passioni della carne. L´apostolo non poteva essere più esplicito: «Se non sanno dominarsi, si sposino: è meglio sposarsi che ardere» (1Cor 7,9). Da qui sorge la visione che domina la tradizione occidentale che assegna una schiacciante superiorità morale e spirituale al celibato e solo un valore secondario al matrimonio. Da qui la chiesa latina del secondo millennio sarà portata a legare obbligatoriamente il sacerdozio alla condizione celibataria.
Ma su che cosa si fondava l´idea di Paolo? Qualcuno parla di sessuofobia, ma a mio avviso il motivo è un altro e si chiama escatologia: ovvero la sua ferma convinzione che «il tempo ormai si è fatto breve» (1Cor 7,29), che «passa la scena di questo mondo» (1Cor 7,31), che quanto prima cioè giungerà la fine del mondo con il ritorno di Cristo. La Prima Corinzi, lo scritto decisivo in ordine alla fondazione del celibato ecclesiastico, è dominata dall´attesa dell´imminente parusia (vedi 15,51-53): se Cristo tornerà a momenti, «al suono dell´ultima tromba», a che serve sposarsi e mettere al mondo figli?
Il mancato ritorno di Cristo al suono dell´ultima tromba ha portato naturalmente a moderare l´impostazione già nelle lettere deuteropaoline, tra cui in particolare quella agli Efesini i cui passi si leggono spesso durante le cerimonie nuziali, ma questo avrà solo l´effetto di giustificare il matrimonio in quanto sacramento, non di ritenerlo spiritualmente degno almeno quanto il celibato. Anzi, la tradizione ascetica e mistica dei padri della chiesa e della scolastica è unanime nell´affermare la superiorità indiscussa del celibato rispetto al matrimonio. Tommaso d´Aquino la sintetizza col dire che «indubitabilmente la verginità deve essere preferita alla vita coniugale» (Summa theologiae II-II, q. 152, a. 4), e il decreto del Concilio di Trento del 1563 arriva persino a scomunicare chi osi dire che «non è cosa migliore e più felice rimanere nella verginità e nel celibato che unirsi in matrimonio» (DH 1810). Una scomunica che, a ben vedere, colpisce lo stesso Dio Padre per quella sua frase imprudente all´inizio della Bibbia!
Oggi assistiamo alla fine abbastanza ingloriosa del modello di vita sacerdotale sancito dal Concilio di Trento, e in genere portato avanti nel secondo millennio cristiano, con il legare obbligatoriamente alla vita sacerdotale la scelta celibataria. I crimini legati al clero pedofilo (che la gerarchia conosceva e copriva per anni) stanno scavando la fossa, anzi hanno già scavato la fossa, alla falsa idea della superiorità morale e spirituale del celibato. Naturalmente non intendo per nulla cadere nell´eccesso opposto di chi ritiene la vita celibataria alienante e disumana a priori. Conosco preti celibi straordinari, modelli integerrimi di vita serena, pura, felicemente realizzata. Voglio piuttosto esprimere la mia ferma convinzione che ciò che conta per un uomo di Dio (perché nulla di meno il prete è chiamato a essere) sia avere l´anima piena della luce e della gioia del vangelo, e che a questo scopo la condizione migliore sarà per uno vivere nel celibato e per un altro metter su famiglia, a seconda del temperamento e dell´attitudine personali. Il che è esattamente quello che avveniva tra gli apostoli, come ci fa sapere san Paolo quando scrive che, a differenza di lui, «gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa» vivevano con una donna (1Cor 9,5). I capi della Chiesa non avevano ancora dimenticato che «non è bene che l´uomo sia solo».

Repubblica 18.3.10
Parla monsignor Girotti del Tribunale pontificio
La difesa della castità

La missione pastorale
"È un bene prezioso, a cui i cattolici non rinunceranno mai. È una scelta libera e radicale, che permette ai sacerdoti di svolgere la loro vita pastorale, la loro missione, con maggiore credibilità e competenza"

CITTA´ DEL VATICANO «Il celibato sacerdotale è un bene prezioso a cui la Chiesa cattolica non rinuncerà mai. Difficile, forse, da capire in una società come quella attuale sempre più dominata da consumismo, modelli edonistici, sfruttamento del sesso. Ma la Chiesa sa che col vincolo della castità, liberamente accettato e coltivato, i suoi sacerdoti sono più liberi di esercitare il loro ministero avendo come modello esclusivo e irrinunciabile Gesù Cristo». Non si scompone l´arcivescovo Gianfranco Girotti, Reggente della Penitenzeria Apostolica, il tribunale pontificio che ha competenza sui grandi peccati che possono essere assolti solo dalla Santa Sede, i cosiddetti delicta graviora. E vale a dire, la profanazione delle ostie consacrate; l´assoluzione del complice (quando un sacerdote rompe il celibato e assolve anche la persona con cui ha avuto un rapporto sessuale); la violazione del segreto confessionale; la consacrazione del vescovo senza autorizzazione del Papa; l´offesa alla persona del Pontefice. Moralista di fama, collaboratore del cardinale Ratzinger negli anni in cui l´attuale Pontefice era prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede, monsignor Girotti considera «il celibato un bene assoluto per i sacerdoti, anche se non è un dogma di fede, ma una norma disciplinare che comunque rende più libero e più credibile l´esercizio pastorale dei consacrati».
Eppure, monsignor Girotti, sempre più frequentemente oggi si mette in dubbio la validità del celibato sacerdotale.
«È vero. Ma non è la prima volta e non sarà nemmeno l´ultima che si levano voci critiche sulla castità a cui sono chiamati i sacerdoti. Ma non significa che questa scelta non sia valida. La Chiesa sa che col celibato, liberamente scelto e abbracciato, i sacerdoti possono svolgere la loro vita pastorale con più credibilità e completezza. Anche se i modelli di vita che vengono imposti in una società secolarizzata come la nostra non sembrano in sintonia con una scelta tanto libera e radicale».
Ma, in concreto, un sacerdote quali vantaggi ha dal celibato?
«La sua missione pastorale è più illuminata perché ha come modello Cristo, il nostro Signore a cui tutti dobbiamo guardare. Sul piano più pratico, col celibato il sacerdote si dedica completamente alla guida della comunità senza dovere, ad esempio, pensare al mantenimento di una sua famiglia».
Nella Chiesa non sempre è stato così. Il celibato storicamente è stato imposto solo dopo il secondo millennio.
«Certo, perché si tratta di una legge disciplinare, non di un dogma di fede. Ma se la Chiesa ha fatto questa scelta avrà avuto i suoi motivi che sono validi ancora oggi e credo che lo saranno anche in futuro».
Nella Chiesa cattolica orientale, legata da sempre al Papa, però i sacerdoti si possono sposare. Non è un controsenso?
«No. È solo una tradizione che viene rispettata. Ma le posso assicurare che sono pochi i sacerdoti di rito orientale che decidono di sposarsi. I loro vescovi vengono, invece, scelti tra chi sceglie il celibato. Questo perché, in generale, anche la Chiesa d´Oriente guarda con rispetto alla castità sacerdotale».
Non è una scelta che può causare disturbi di natura psicologica e caratteriale?
«Il sacerdozio celibatario è un dono, una scelta libera e un servizio pastorale gratuito. L´importante è affrontarlo con discernimento e in piena consapevolezza, anche attraverso una attenta preparazione. Malgrado le difficoltà, è una scelta sempre valida e chi pensa che la Chiesa cattolica in un futuro più o meno lontano possa rinunciarvi, dice semplicemente una grande sciocchezza».

Repubblica 18.3.10
Un’anomalia sociale
di Marino Niola

Il "senza letto"
Il significato letterale di celibe è "senza letto", e molte culture ne hanno fatto un´arma per vivere meglio o per produrre performance fuori dal comune: gli sciamani siberiani erano spesso liberi da vincoli matrimoniali

Anche per altre culture la figura ha rapporti col sacro

Rimanere celibi senza volerlo è una grande infelicità. Sceglierlo è una grave colpa. Lo diceva il celebre filosofo Johann Gottlieb Fichte, riflettendo un´idea del celibato come anomalia e come pericolo per la collettività. Ma non è stato così né sempre né dovunque.
L´alternativa celibe è presente in moltissime società che ne hanno fatto addirittura un´arma decisiva per vivere meglio. Per mantenere l´equilibrio demografico ed ecologico tra uomini e natura come facevano gli Indios dell´America Latina. O per una libera scelta da edonisti primitivi, come facevano gli aristocratici abitanti dei mari del Sud. Ma anche per produrre performance al di fuori del comune, più adatte ai singoli che alle persone sposate. Gli sciamani siberiani, specialisti del rapporto con il soprannaturale, erano molto spesso liberi da vincoli matrimoniali che avrebbero impedito al loro spirito quella concentrazione e quella capacità di vedere oltre il quotidiano che erano una ricchezza a disposizione dell´intera comunità. Il volo sciamanico era l´espressione figurata di questa estrema libertà di andare oltre i limiti di un´esistenza ordinaria. Così la condizione di "senza letto" - questo è il significato della parola celibe - smetteva di essere un semplice difetto per trasformarsi in un vantaggio individuale e sociale. Ma anche in Occidente, a parte quello ecclesiastico, gli esempi di celibato felice non mancano. Il nostro immaginario è pieno di eroi scapoli. Dai cavalieri erranti ai tre moschettieri fino ai Superman e Batman dei nostri giorni. E forse non è un caso che i cacciatori di teste aziendali prediligano spesso i single. Cavalieri erranti del business in grado di saltare da un aereo all´altro, ma soprattutto di mettere a frutto la propria libertà. Naturalmente a potersi consentire molti celibi sono soprattutto le società dove il lavoro non dipende soltanto dal numero di braccia. E dove l´incremento demografico non è una necessità vitale. È così per l´opulento Occidente contemporaneo dove in molti paesi i single sono ormai maggioranza. Ma era così anche per i bellissimi polinesiani cui un clima da paradiso terrestre e una natura generosissima consentivano di non essere costretti a metter su famiglia per sopravvivere.
Il ruolo del celibato è per definizione inverso a quello della famiglia. E in certi casi non è meno necessario. Molte società riescono a sopravvivere proprio istituzionalizzandolo. Autorizzando per esempio l´amore omosessuale per quegli individui che non possono o non vogliono prendere moglie.
Claude Lévi-Strauss racconta che tra gli indios Nambikwara, che abitano le savane del Brasile centrale, la poligamia dei capi e la scarsità di donne disponibili costringevano al celibato gli uomini meno aggressivi. Che avevano a disposizione uno scivolo istituzionale nell´unione con il fratello della ragazza che avrebbero voluto sposare. Mentre in Melanesia e in Nuova Guinea ai maschi non sposati vengono affidate mansioni femminili, e i capi li considerano delle mogli supplementari, delle donne sui generis. Proprio come i Galli, i sacerdoti di Cibele e della dea Syria, divinità orientali veneratissime nella Roma imperiale, che vestivano con tonache femminili, si truccavano e parlavano in falsetto. Ma soprattutto si eviravano ritualmente offrendo così alla dea la loro virilità insieme al loro celibato. Un voto estremo che però non comprendeva la castità. Come racconta Apuleio nell´Asino d´oro, questi preti variopinti e scatenati praticavano la sodomia alla grande.
Insomma se la società è una macchina che deve fabbricare la vita, il celibe la fa girare a vuoto, producendo energia fine a se stessa. La forza di una civiltà sta nel riuscire a trasformare questa eccedenza di energia in un vantaggio per tutti.

Avvenire.8.3.10
Cosa c’è dietro gli scandali?
La recente esplosione delle accuse sessuali al clero di vari Paesi, con la riesumazione di vecchie storie e l’uso strumentale delle statistiche, lascia intuire la regia di lobby che vorrebbero generare ciò che i sociologi chiamano «panico morale»
di Massimo Introvigne

Si ritorna a parlare di preti pedofili, con voci e accuse che si riferiscono insistente­mente alla Germania e tentativi di coinvolgimento di persone vi­cine al Papa, e credo che anche la sociologia abbia molto da dire e che non debba tacere per il timo­re di scontentare qualcuno. La discussione attuale sui preti pe­dofili – considerata dal punto di vista del sociologo – rappresenta un esempio tipico di « panico morale » . Il concetto è nato negli anni 1970 per spiegare come al­cuni problemi siano oggetto di u­na « ipercostruzione sociale » . Più precisamente, i « panici morali » sono stati definiti come problemi socialmente costruiti, e caratte­rizzati da una amplificazione si­stematica dei dati reali, sia nella rappresentazione mediatica sia nella discussione politica. Altre due caratteristiche sono state ci­tate come tipiche dei «panici morali». In primo luogo, proble­mi sociali che esistono da decen­ni sono ricostruiti nelle narrative mediatiche e politiche come «nuovi», o come oggetto di una presunta e drammatica crescita recente. In secondo luogo, la loro incidenza è esagerata da statisti­che folkloriche che, benché non confermate da studi accademici, sono ripetute da un mezzo di co­municazione all’altro e possono ispirare campagne mediatiche persistenti. P hilip Jenkins ha sottolinea­to il ruolo nella creazione e gestione dei panici di « im­prenditori morali » le cui agende non sono sempre dichiarate. I « panici morali » non fanno bene a nessuno. Distorcono la percezio­ne dei problemi e comprometto­no l’efficacia delle misure che dovrebbero risolverli. A una cat­tiva analisi non può che seguire un cattivo intervento. Intendia­moci: i « panici morali » hanno ai loro inizi condizioni obiettive e pericoli reali. Non inventano l’e­sistenza di un problema, ma ne esagerano le dimensioni statisti­che. In una serie di pregevoli stu­di lo stesso Jenkins ha mostrato come la questione dei preti pe­dofili sia forse l’esempio più tipi­co di un « panico morale » . Sono presenti infatti i due elementi ca­ratteristici: un dato reale di par­tenza, e un’esagerazione di que­sto dato ad opera di ambigui « imprenditori morali » . Anzitutto, il dato reale di partenza. Esistono preti pedofili. Alcuni casi sono insieme sconvolgenti e disgusto­si, hanno portato a condanne de­finitive e gli stessi accusati non si sono mai proclamati innocenti.
 Questi casi – negli Stati Uniti, in Irlanda, in Australia – spiegano le severe parole del Papa e la sua ri­chiesta di perdono alle vittime.
 Anche se i casi fossero solo due – e purtroppo sono di più – sareb­bero sempre due casi di troppo.
 Dal momento però che chiedere perdono – per quanto sia nobile e opportuno – non basta, ma oc­corre evitare che i casi si ripeta­no, non è indifferente sapere se i casi sono due, duecento o venti­mila. E non è neppure irrilevante sapere se il numero di casi è più o meno numeroso tra i sacerdoti e i religiosi cattolici di quanto sia in altre categorie di persone. I so­ciologi sono spesso accusati di lavorare sui freddi nu­meri dimenticando che dietro ogni nume­ro c’è un caso umano.
 Ma i numeri, per quanto non siano suf­ficienti, sono necessa­ri. Sono il presupposto di ogni analisi adegua­ta. Per capire come da un dato tragicamente reale si sia passati a un « panico morale » è al­lora necessario chiedersi quanti siano i preti pedofili. I dati più completi sono stati raccolti negli Stati Uniti, dove nel 2004 la Con­ferenza episcopale ha commis­sionato uno studio indipendente al John Jay College of Criminal Ju­stice 
 della City University of New York, che non è un’università cat­tolica ed è unanimemente rico­nosciuta come la più autorevole istituzione accademica degli Sta­ti Uniti in materia di criminolo­gia. Questo studio ci dice che, dal 1950 al 2002, 4392 sacerdoti ame­ricani ( su oltre 109.000) sono sta­ti accusati di relazioni sessuali con minorenni. Di questi poco più di un centinaio sono stati condannati da tribunali civili. Il basso numero di condanne da parte dello Stato deriva da diversi fattori. In alcuni casi le vere o pre­sunte vittime han­no denunciato sa­cerdoti già defunti, o erano scattati i termini della pre­scrizione. In altri, all’accusa e anche alla condanna ca­nonica non corrisponde la viola­zione di alcuna legge civile: è il caso, per esempio, in diversi Stati americani del sacerdote che ab­bia una relazione con una – o an­che un – minorenne oltre i 16 an­ni e consenziente. M a ci sono anche stati molti casi clamorosi di sacerdoti innocenti ac- cusati. Questi casi si sono anzi moltiplicati negli anni 1990, quando alcuni studi legali hanno capito di poter strappare transa­zioni milionarie anche sulla base di semplici sospetti. Gli appelli alla « tolleranza zero » sono giusti­ficati, ma non ci dovrebbe essere nessuna tolleranza neanche per chi calunnia sacerdoti innocenti.
 Aggiungo che per gli Stati Uniti le cifre non cambierebbero in mo­do significativo se si aggiungesse il periodo 2002- 2010, perché già lo studio del John Jay College no­tava il « declino notevolissimo » dei casi negli anni 2000.
Le nuove inchieste sono state poche, e le condanne po­chissime, a causa di misure rigorose introdotte sia dai vesco­vi statunitensi sia dalla Santa Se­de. Lo studio del John Jay College 
 dice forse, come si legge spesso, che il 4% dei sacerdoti americani sono « pedofili » ? Niente affatto.
 Secondo quella ricerca il 78,2% delle accuse si riferisce a mino­renni che hanno superato la pu­bertà. Avere rapporti sessuali con una diciassettenne non è certa­mente una bella cosa, tanto me­no per un prete: ma non si tratta di pedofilia. Dunque i sacerdoti accusati di effettiva pedofilia ne­gli Stati Uniti sono 958 in 42 anni, 18 all’anno. Le condanne sono state 54, poco più di una all’an­no. Il numero di condanne pena­li di sacerdoti e religiosi in altri Paesi è simile a quello degli Stati Uniti, anche se per nessun Paese si dispone di uno studio comple­to come quello del John Jay Col­lege . 
 Si citano spesso una serie di rapporti governativi in Irlanda che definiscono « endemica » la presenza di abusi nei collegi e negli orfanotrofi (maschili) gesti­ti da alcune diocesi e ordini reli­giosi, e non vi è dubbio che casi di abusi sessuali su minori anche molto gravi in questo Paese vi siano stati. Lo spoglio sistemati­co di questi rapporti mostra pe­raltro come molte accuse riguar­dino l’uso di mezzi di correzione eccessivi o violenti. Il cosiddetto Rapporto Ryan del 2009 – che u­sa un linguaggio molto duro nei confronti della Chiesa cattolica – su 25.000 allievi di collegi, rifor­matori e orfanotrofi nel periodo che esamina riporta 253 accuse di abusi sessuali da parte di ra­gazzi e 128 da parte di ragazze, non tutte attribuite a sacerdoti, religiosi o religiose, di diversa na­tura e gravità, raramente riferite a bambini prepuberi e che ancor più raramente hanno condotto a condanne. Le polemi­che di queste ultime settimane riguardanti situazioni sorte in Germania e Austria mostrano una caratte­ristica tipica dei «pa­nici morali» : si presen­tano come «nuovi» fatti risalenti a molti anni or sono, in alcuni casi addirittura a oltre trent’anni fa, e in par­te già noti. Il fatto che – con una particolare insistenza su quanto tocca l’area geografica bavarese, da cui proviene il Papa – siano presentati sulle prime pagine dei giornali avvenimenti degli anni 1980 come se fossero avvenuti ie­ri, e ne nascano capziose polemi­che, nella forma di un attacco concentrico che ogni giorno an­nuncia in stile urlato nuove «sco­perte», mostra bene come il «pa­nico morale» sia promosso da «imprenditori morali» in modo organizzato e sistematico. Il caso che – come alcuni gior­nali hanno titolato – «coinvol­ge il Papa» è a suo modo da manuale. Si riferisce a un episo­dio in cui un sacerdote di Essen, già colpevole di abusi, fu accolto nell’arcidiocesi di Monaco e Fri­singa, di cui era arcivescovo l’at­tuale Pontefice, risale infatti al 1980. Il caso è emerso nel 1985 ed è stato giudicato da un tribu­nale tedesco nel 1986, accertan­do tra l’altro che la decisione di accogliere nell’arcidiocesi il sa­cerdote in questione non era sta­ta presa dal cardinale Ratzinger e non gli era neppure nota, il che non è strano in una grande dio­cesi con una complessa burocra­zia. Perché oggi un quotidiano tedesco decida di riesumare il ca­so, e sbatterlo in prima pagina 24 anni dopo la sentenza, dovrebbe essere messo in questione. Una domanda sgradevole – perché il semplice porla sembra difensivo, e non consola le vittime – ma im­portante è se essere un prete cat­tolico sia una condizione che comporta un rischio di diventare pedofilo o di abusare sessual­mente di minori – le due cose, come si è visto, non coincidono perché chi abusa di una sedicen­ne non è un pedofilo – più eleva­to rispetto al resto della popola­zione.
 Rispondere a questa do­manda è fondamentale per scoprire le cause del fenomeno e quindi per prevenir­lo. Secondo gli studi di Jenkins, se si paragona la Chiesa cattolica degli Stati Uniti alle principali denominazioni protestanti si scopre che la presenza di pedofili è – a seconda delle denominazio­ni – da due a 10 volte più alta tra i pastori protestanti rispetto ai preti cattolici. La questione è ri­levante perché mostra che il pro­blema non è il celibato: la mag­gior parte dei pastori protestanti è sposata. Nello stesso periodo in cui un centinaio di sacerdoti a­mericani era condannato per a­busi sessuali su minori, il nume­ro di professori di ginnastica e al­lenatori di squadre sportive gio­vanili – anche questi in grande maggioranza sposati – giudicato colpevole dello stesso reato dai tribunali statunitensi sfiorava i seimila. Gli esempi potrebbero continuare, e non solo negli Stati Uniti. Soprattutto, stando ai pe­riodici rapporti del governo ame­ricano, due terzi circa delle mole­stie sessuali su minori non ven­gono da estranei o da educatori – preti e pastori protestanti com­presi – ma da familiari: patrigni, zii, cugini, fratelli e purtroppo anche genitori. Dati simili esisto­no per numerosi altri Paesi. Per quanto sia poco politicamente corretto dirlo, c’è un dato che è assai più significativo: per oltre l’ 80% i pedofili sono omosessua­li, maschi che abusano di altri maschi. E – per citare ancora una volta Jenkins – oltre il 90% dei sa­cerdoti cattolici condannati per abusi sessuali su minori e pedofilia è omosessuale. Se nella Chiesa catto­lica può esserci stato effettivamen­te un problema, questo non riguar­da il celibato ma u­na certa tolleranza dell’omosessualità, in particolare nei seminari negli anni Settanta, quando veniva or­dinata la grande maggioranza di sacerdoti poi condannati per gli abusi. È un problema che Bene­detto XVI sta vigorosamente cor­reggendo.
 Più in generale il ritorno alla morale, alla disciplina asce­tica, alla meditazione sulla vera, grande natura del sacerdo­zio sono l’antidoto ultimo alle tragedie vere della pedofilia. An­che a questo deve servire l’Anno sacerdotale. Rispetto al 2006 - quando la Bbc mandò in onda il documentario - spazzatura del parlamentare irlandese e attivi­sta omosessuale Colm O’Gorman – e al 2007 – quando Santoro ne propose la versione italiana su Annozero – non c’è, in realtà, molto di nuovo, fatta salva l’ac­cresciuta severità e vigilanza del­la Chiesa. I casi dolorosi di cui più si parla in queste settimane non sono sempre inventati, ma risalgono appunto a venti o an­che a trent’anni fa. O, forse, qual­che cosa di nuovo c’è. Perché riesumare nel 2010 casi vecchi o molto spesso già noti, al ritmo di uno al giorno, attaccando sem­pre più direttamente il Papa – un attacco, per di più, paradossale se si considera la grandissima se­verità del cardinale Ratzinger prima e di Benedetto XVI poi su questo tema? Gli «imprenditori morali» che organizzano il pani­co hanno un’agenda che emerge sempre più chiaramente, e che non ha veramente al suo centro la protezione dei bambini. La let­tura di certi articoli ci mostra co­me lobby molto potenti cercano di squalificare preventivamente la voce della Chiesa con l’accusa più infamante e oggi purtroppo anche più facile, quella di favori­re o tollerare la pedofilia. 
 «Nel periodo in cui un centinaio di preti americani era condannato per abusi su minori, i professori di ginnastica e allenatori (quasi tutti sposati) giudicati colpevoli di identico reato sfioravano i 6000» «Dirlo non è politically correct, ma l’80% dei pedofili è omosessuale e oltre il 90% dei sacerdoti implicati è gay. Il problema dunque non è il celibato, ma una certa tolleranza in particolare nei seminari»


Repubblica 18.3.10
Il dialogo delle verità
Zagrebelsky: potere, stato e chiesa
di Carlo Galli

Nelle democrazie moderne le due entità non possono venire sovrapposte e serve un pluralismo
L´ultimo libro del giurista affronta il rapporto fra politica e fede nel governo dell´uomo
La ricostruzione storica mostra quando si spezza l´alleanza tra trono e altare
Il saggio rivela l´esigenza di una riscoperta delle caratteristiche della laicità

Merito del libro di Gustavo Zagrebelsky (Scambiarsi la veste. Stato e Chiesa al governo dell´uomo, edito da Laterza, pagg. 160, euro 16) è di afferrare il bandolo di quella complicata matassa che è il ritorno politico della religione - in cui si intrecciano la crisi dello Stato democratico, l´emergere di una diffusa indifferenza verso la religione, ma al tempo stesso anche la ricerca di un supplemento d´anima per una politica sempre più spezzettata, irrazionale, instabile - , e di ricostruire in una sintesi agile, informata, incisiva, la tormentata vicenda del dualismo occidentale fra potere e religione, misurando così le ragioni strutturali del problema.
Quel dualismo fra Stato e Chiesa nacque con l´affermazione - risalente a papa Gelasio, alla fine del V secolo - che la Chiesa, originariamente capace di politica (Cristo ha salvato l´umanità intera nel mondo, non i singoli uomini nel chiuso delle loro coscienze), è altra e superiore rispetto al potere politico mondano: nel disegno della Chiesa il dualismo serviva a creare una gerarchia, a proprio favore; il cristianesimo era la precondizione dell´esistenza politica - essere cristiano e essere cittadino erano la medesima cosa - , e quindi anche della legittimità dei poteri civili. La laicità, quindi, nasce nel mondo cristiano, ma indirettamente; non è una concessione della Chiesa né un esito immediato della religione, ma il risultato di una lotta di lungo periodo contro la pretesa di supremazia che la caratterizza da sempre.
Una pretesa che Zagrebelsky ripercorre nelle sue varie forme - la ierocrazia medievale, e la teoria moderna di Bellarmino della potestas indirecta, ossia l´offerta di sostegno ai re e la parallela affermazione che i cattolici possono essere chiamati dal papa a disobbedire ai loro governanti - . La modernità politica spezza proprio questa alleanza fra trono e altare, e la Chiesa entra in conflitto frontale con il mondo moderno e la sua politica: l´Ottocento è così segnato dal rifiuto del liberalismo e della libertà che questo offriva alla religione (libera Chiesa in libero Stato). Ma nonostante questo arroccamento politico e dottrinario la Chiesa si aprì verso la società, per mobilitare masse cattoliche tendenzialmente antistatali, e per non lasciarle al socialismo; alla fede ormai non più coincidente con la cittadinanza sostituì, con la Rerum Novarum di Leone XIII, la propria dottrina sociale quale centro di una strategia di riappropriazione della politica. La Chiesa inizia così a proporsi come indispensabile non solo per la salvezza ma anche per tenere unita la società che l´insipienza e l´ingiustizia dei laici compromette alle radici.
La conciliazione, brevissima, col Moderno è vista da Zagrebelsky nel Concilio Vaticano II, in cui la Chiesa si rivolge a tutti gli uomini di buona volontà, e chiede di potere servire l´umanità, di difenderne la dignità e i diritti alla luce dell´insegnamento evangelico; il pluralismo delle opinioni politiche e sociali è accettato, e ci si apre anche all´idea della libertà religiosa. Ma, nota Zagrebelsky, il problema sta nel mai allentato rapporto della Chiesa con la Verità: un rapporto che la rende un ospite assai ingombrante nella democrazia, che può facilmente apparire alla Chiesa come nichilismo e instabilità, e destinata alla dissoluzione, se non interviene la Chiesa stessa, come una teologia civile o politica, a sostenerla.
Nell´ormai matura crisi dello Stato moderno, ecco quindi, da Giovanni Paolo II in poi, lo scambio di veste fra Chiesa e Stato - entrambi in gara per governare razionalmente gli uomini - , a cui allude il titolo del libro. Non più ostile in linea di principio alla politica della ragione, la Chiesa con Benedetto XVI (il discorso di Ratisbona) pretende di incarnare in sé la ragione umana al suo grado più alto, di essere l´erede della filosofia greca (intellettualmente preferita alla radice ebraica) e della riflessione filosofica non corrotta (cioè non protestante, non individualistica, non razionalistica): di essere insomma veramente razionale (non razionalistica), veramente laica (non laicista), veramente politica, oltre che veramente salvifica. Verità e ragione si unificano, nella teologia politica cattolica, contro la "dittatura del relativismo", a riaffermare un protettorato cattolico sulla società, della quale la Chiesa rivendica di essere l´origine e la sintesi, sempre operante e vigilante: ancora una volta, extra Ecclesiam nulla salus, fuori dalla Chiesa non c´è salvezza. Questa struttura pedagogica agisce in nome della Verità (come anche l´ultima enciclica mostra già nel titolo), e quindi potenzialmente relega nell´errore chi non è d´accordo (costringendolo a vivere, appena tollerato, in un mondo dai cui principi è escluso, o nei quali è assimilato); il papa chiede che tutti si comportino come se Dio esistesse, e fosse il fondamento della società. Dopo la stagione conciliare di "credere senza appartenere", oggi i religiosi e anche parecchi laici (gli "atei devoti") vogliono che la politica si svolga all´insegna di un appartenere senza credere, che trasforma la cittadinanza democratica in una sorta di comunità a sfondo confessionale.
Zagrebelsky con forza non settaria pone in evidenza la difficoltà del dialogo fra laici e cattolici, su queste basi; la religione di cui la democrazia ha bisogno accetta infatti il relativismo, il pluralismo, mirando all´unica verità che la democrazia riconosce, l´umanistica affermazione della libertà, dell´uguaglianza, della responsabilità e dell´autonomia. Insomma, la democrazia chiede che gli uomini si comportino politicamente come se Dio non esistesse, e che trovino in se stessi - e non in fondamenti autoritari - la forza di essere liberi e giusti. La democrazia non ha paura di essere priva di fondazioni metafisiche; questo vuoto, infatti, è la condizione stessa della sua missione, che consiste nel far fiorire le contingenze particolari, i progetti di vita degli uomini e delle donne, in uguale dignità e libertà.
Dobbiamo quindi essere grati a Zagrebelsky per la chiarezza e la serenità con cui mostra la distanza - il non possumus laico, speculare ai diktat della Chiesa su tanti aspetti della vita sociale e politica - fra l´attuale posizione della Chiesa e la democrazia. Una distanza - il vero volto del dualismo occidentale - che, mentre indica l´esigenza di una radicale riscoperta delle caratteristiche imprescindibili della laicità, enfatizza la non sovrapponibilità fra politica e fede, fra sfera mondana e sacro, e mette in tensione libertà e obbedienza, rifiutando vecchi e nuovi fondamentalismi.

Corriere della Sera 18.3.10
Le accuse delle università e il boicottaggio di Iraele
risponde Sergio Romano

il Riformista 18.3.10
Perché il futuro è di Nichi
di Piero Sansonetti

il Riformista 18.3.10
Emma in libreria
Simil-Warhol l’alfabeto pop della Bonino
di Cinzia Leone

Avvenire 17.3.10
E i neo-atei si fanno «chiesa»
In Australia il primo raduno internazionale dei senza Dio. Il non credere oggi si organizza come un qualsiasi gruppo religioso
di Lorenzo Fazzini

Melbourne: religioni battono atei 3 a 0. Non è il risultato di un singolare match tra credenti e senza Dio. Ma il confronto tra il primo raduno mondiale degli atei, svoltosi nel weekend a Melbourne, ed un meeting interreligioso tenutosi sempre colà a dicembre. Sotto il nome di «L’ascesa dell’ateismo», la metropoli australiana ha appena ospitato la 2010 Global Atheist Convention. Se i 2500 biglietti per l’Exhibition Centre son stati esauriti, è stata la Bbc a far notare che il Parlamento delle religioni aveva radunato un numero di persone tre volte più numeroso. Per la Convention han funzionato da gran cassa mediatica i nomi di
Richard Dawkins, il biologo iper­ateo, e Peter Singer , il filosofo di Princeton «nemico» della dignità umana e teorico dei diritti degli animali. E per giugno si preannuncia il primo incontro europeo dei senza Dio: l’appuntamento è dal 18 al 20 giugno a Copenaghen, in Danimarca, per «Gods & Politics», organizzata dalla Danish Atheist Society e dalla Atheist Alliance International (AAI), sponsor dell’evento australiano. A ben guardare, il fenomeno del nuovo ateismo – che annovera la triade Cristopher Hitchens , Sam Harris e il citato Dawkins – si presenta con tutti i crismi di una chiesa. Con strutture, modalità, espressioni (perfino tic) di ogni organismo religioso organizzato. Proprio sul Sydney Morning Herald c’è chi constata che il nuovo ateismo ha tutte le caratteristiche di una chiesa. Lo scrive Tamas Pataki, docente in filosofia alla Melbourne University, che ha criticato così il movimento ateo: «Ha iniziato a fare convention come una religione, con i suoi preti, i suoi apostoli e seguaci». Gli esempi di questo ateismo «ecclesiastico»? Eccoli. Già le assemblee di Melbourne e Copenaghen possono richiamare i concili della Chiesa cattolica come grandi assemblee internazionali.
Basta scorrere l’elenco degli intervenuti alla kermesse nella terra dei canguri: PZ Myers , biologo dell’Università del Minnesota; Catherine Deveny, scrittrice, editorialista del quotidiano australiano The Age; Taslima Nasreen, nota poetessa e dissidente del Bangladesh: ha presentato l’islam come contraltare nemico del nuovo ateismo; Anthony Grayling , docente di filosofia al Birkbeck College di Londra.
Come ogni «chiesa», anche il nuovo ateismo ha i suoi testimoni. A Melbourne è stato ospite d’onore Dan Barker , per 19 anni predicatore evangelico (fu anche missionario in Messico), ora fervente ateista e presidente della Freedom From Religion Foundation. Dawkins l’ha definito «l’esempio più eloquente di delusione interiore che io conosca». Gli atei poi cercano di non incorrere nel pericolo del proselitismo: come segnala la Bbc, «i partecipanti della Convention sono stati invitati ad evitare uno zelo missionario nel promuovere il messaggio non-religioso». Epperò un po’ di lobbying ci vuole, come spiegava la convocazione dell’assemblea australiana: «Più grande sarà questo incontro, più forte sarà il segnale che manderemo alle istituzioni religiose e politiche australiane che l’ateismo è una forza con cui fare i conti». Anche il new atheism ha la sua censura. È recente la notizia – lanciata dal The Telegraph , ripresa dal Foglio – che il sito di Dawkins non dispone più di un libero accesso: i commenti ora vengono vagliati prima della pubblicazione.
Una mossa che ha causato la ribellione degli utenti, facendo scrivere al quotidiano inglese di «censura web». Mentre in Italia i senza dio (minuscolo!) hanno anche una loro rivista, «Non credo», edita dalla Fondazione Religionsfree, intitolata al suo presidente Paolo Bancale. Gli atei organizzati ecclesiasticamente, inoltre, non mancano in filantropia. Ma se in Georgia (Usa) la nuovissima Foundation Beyond Belief vuole mostrare il volto a­teologico della carità, il risultato per ora è pessimo: l’ente caritativo ha sollecitato «atei e non credenti a donare di più in modo da mostrare che la loro generosità uguaglia quella delle persone religiose». Nei primi 2 mesi di vita la Foundation ha raccolto appena 6.500 dollari tra i suoi 250 soci, segnala l’agenzia Religion news service . L’obbiettivo dei 500 mila dollari entro l’anno sembra utopistico. Ma a fianco di questi apostoli dell’ateismo brillano esempi che smentiscono la loro negazione di Dio. Anthony Flew, celebre filosofo inglese, autore (nel 1950) di Theology and Falsification, ha dato conto in There is a God di «come il più celebre ateo ha cambiato idea». Un caso che incendiò il mondo accademico anglosassone, tanto che Dawkins – in La delusione di Dio – indicò nella scelta di Flew un «voltafaccia senile». Salvo subire dall’anziano pensatore britannico una piccata replica, condita dall’epiteto di «bigotto laico». Lo stesso autore di Dio non è grande deve «difendersi» in famiglia: il fratello Peter Hitchens ha pubblicato questa settimana The Rage Against God in cui racconta il suo passaggio dall’ateismo alla fede. E che la religione cristiana conquisti le future élite d’America l’ha affermato che René Girard . Il quale – come riferisce il giornalista francese Jean-Marc Bastière – annota: «Osservo una nuova attrazione verso il cristianesimo da parte degli studenti più brillanti di Stanford», l’università californiana dove insegna l’antropologo francese. E ad Harvard è in corso la querelle – ne ha dato conto di recente Newsweek – se la religione debba diventare materia di studio obbligatoria per gli studenti. A capeggiare la richiesta è il premio Pulitzer Louis Menand , per il quale gli alunni «devono affrontare almeno un corso della categoria Ragione e Fede». Vallo a spiegare a quei senza Dio di Melbourne!

Repubblica 17.3.10
Hans Jonas. Sulla bontà della natura umana
di Vito Mancuso

Esce da Aragno un testo inedito del filosofo ricco di riflessioni sul rapporto tra Dio, etica e libertà Un´opera contro il pessimismo antropologico di San Paolo e di Sant´Agostino
Il libro aiuta a capire il pensiero cristiano
Nella Chiesa ci sono sempre stati i pelagiani

Esce in Italia, in prima edizione mondiale, un testo inedito di Hans Jonas. Il che, in un momento nel quale ci sono non pochi motivi per lamentarsi di essere italiani, è già una buona notizia. L´evento è stato possibile grazie al "fortunato ritrovamento" (così Emidio Spinelli, il fortunato ritrovatore) presso il "Philosophisches Archiv" dell´Università di Costanza di alcuni manoscritti del grande filosofo ebreo, nato in Germania nel 1903, morto a New York nel 1993, una vita ai più alti livelli della professione filosofica accanto a personaggi quali Husserl, Heidegger, Bultmann, Jaspers, non senza essere stato volontario della Brigata ebraica dell´esercito inglese durante la Seconda guerra mondiale e aver combattuto in Italia ("il mio amore per l´Italia, da sempre esistente, si mutò allora in un amore per gli Italiani" scrive nelle sue straordinarie memorie) e volontario dell´esercito israeliano nella guerra di indipendenza del 1948.
Insomma un filosofo impegnato, uno per il quale il valore delle più alte speculazioni teoretiche si misurava sulla capacità di incidere in positivo sul mondo, uno che dalle rarefatte altezze degli studi sullo gnosticismo o di un saggio su Heidegger e la teologia giungeva a parlare di microbi, gameti e zigoti, di morte cerebrale e di clonazione, e il cui capolavoro non a caso è Il principio responsabilità (1979), una rinnovata fondazione dell´etica di cui l´amica Hannah Arendt gli scrisse "questo è il libro che il buon Dio aveva in mente per te".
I manoscritti ritrovati presentano un ciclo di lezioni tenute da Jonas nel 1970 presso la "New School for Social Research" di New York, intitolate allora Problems of Freedom e oggi pubblicate (a cura dello stesso Spinelli con la collaborazione di Angela Michelis) col titolo Problemi di libertà (Aragno, pagg. 466, euro 35). Il volume, oltre a un´eccellente traduzione e a tutti gli strumenti editoriali del caso, offre anche il testo inglese originale, com´era doveroso visto che si tratta di una prima mondiale.
Il testo si divide in due parti, la prima dedicata all´analisi della filosofia greca, in particolare stoica, la seconda all´analisi del pensiero cristiano, in particolare del filone che parte da san Paolo e raggiunge il vertice con sant´Agostino. Tra le due prospettive Jonas istituisce una netta contrapposizione, perché mentre secondo gli stoici le minacce alla libertà vengono dall´esterno e la difesa consiste nel raccoglimento, nella cittadella interiore del sé, unico luogo dove l´uomo è veramente al sicuro, per la prospettiva cristiana le più grandi minacce alla libertà sono all´opposto quelle che scaturiscono dall´interno dell´uomo e la difesa consiste nell´uscita da sé, nella conversione. Mentre cioè per gli stoici la libertà si attua come autonomia secondo un ottimismo antropologico per il quale "l´uomo è davvero padrone in casa sua" (ribaltando il celebre detto di Freud ripreso spesso da Jonas), per i cristiani la libertà si attua come relazione, come uscita da sé verso l´altro, perché "l´uomo si trova senza sostegno nell´ambito del proprio sé, e la fiducia che l´uomo sia padrone in casa sua è svanita". L´affermarsi del cristianesimo ha fatto sì, annota Jonas, che "troviamo questa verità in tutta la moderna psicologia".
Ma, come detto, il cristianesimo analizzato da Jonas è quello di Paolo portato a consacrazione da Agostino, che contiene molto di più rispetto alla semplice e sana diffidenza verso il proprio sé insegnata da Gesù e peraltro già conosciuta anche dal mondo greco-romano, come attesta la celebre frase di Ovidio Video meliora proboque, deteriora sequor ("Vedo e lodo ciò che è meglio, faccio ciò che è peggio"), esperienza universale vissuta da ogni uomo alle prese con lo scarto tra la morale oggettiva accolta nella mente e la prassi soggettiva spesso incoerente.
Paolo, superando di molto questa semplice diffidenza verso di sé, sostiene, come riassume bene Jonas, che "lo strumento proprio del mio sforzo morale, la Legge, diventa per me uno strumento di fallimento". Non si tratta cioè di un fallimento soggettivo del singolo quanto di un fallimento oggettivo della Legge morale, dell´impossibilità da parte del più alto e sincero sforzo umano di essere all´altezza della giustizia, e quindi di un fallimento dell´umanità nella sua più sincera volontà di giustizia. Ne viene che nessuno per Paolo può essere giusto, che tutti hanno bisogno di essere fatti giusti. La giustizia, nel cristianesimo paolino, diviene giustificazione.
Che il cristianesimo però non sia monolitico è proprio la questione della libertà a mostrarlo, come appare nella dura controversia tra Agostino e il monaco Pelagio analizzata acutamente da Jonas con pagine di straordinaria efficacia (e di maggiore vicinanza a Pelagio). In realtà però il conflitto sulla consistenza della libertà emerge già a partire dal Nuovo Testamento con la polemica di Giacomo contro Paolo: "Ma vuoi capire, o insensato, che la fede senza le opere non ha valore?" (Giacomo 2,20), diretta risposta del fratello di Gesù al nucleo dell´insegnamento paolino della salvezza per sola fede. Ha quindi ragione Jonas a scrivere che "ci sono sempre stati dei pelagiani nella Chiesa cristiana", prima e dopo Pelagio aggiungo io, se per pelagiani si intende la fiducia di fondo nell´uomo e nella sua libertà come capace, pur non senza fatica e tortuosità, di decidersi per il bene e la giustizia. Anzi io penso che oggi non sia più sostenibile il radicale pessimismo antropologico di Agostino, o per meglio dire del secondo Agostino, perché uno dei meriti di Jonas è mostrare come anche Agostino non sia stato "agostiniano" nella prima fase della sua teologia.
Io penso che l´agostinismo secondo cui "l´uomo è inadeguato per principio di fronte alle richieste di Dio", sia all´origine della religione come inimicizia verso l´umano, di quella religione che per esaltare Dio ha bisogno di abbassare l´uomo e che per questo ha causato e causa molte forme di ateismo. Ora, che l´uomo spesso sia ingiusto ed egoista basta aprire gli occhi per rendersene conto, ma questo non significa che sia condannato dalla sua stessa natura a essere ingiusto, che lo sia sempre e comunque per il fatto stesso di essere uomo, come invece afferma Agostino. Rifiutare l´agostinismo significa rifiutare di dividere gli uomini a seconda della fede, e ammettere con gioia che anche i non cristiani possono essere giusti, buoni, retti, e quindi salvi. Significa, in altri termini, avere fiducia nella capacità di bene della libertà umana nella sua dimensione naturale. È quanto sostiene l´ebraismo, che non a caso non conosce il dogma del peccato originale, e da cui vengono parole come queste: "Se vuoi, osserverai i comandamenti; l´essere fedele dipenderà dal tuo buon volere. Egli ti ha posto davanti il fuoco e l´acqua; là dove vuoi stenderai la tua mano. Davanti agli uomini stanno la vita e la morte, a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà" (Siracide 15,15-17).
Il punto è che oggi non è più possibile essere agostiniani. Il mondo di Agostino era un mondo piccolo, sia nel tempo (meno di 5000 anni) sia nello spazio (il bacino del Mediterraneo), mentre oggi sappiamo quanto la storia dell´umanità sia molto più estesa, sia nel tempo (160.000 anni dall´origine dell´Homo sapiens) sia nello spazio (le migliaia di razze, di lingue, di culture, di religioni). Ciò porta necessariamente a ridimensionare la pretesa paolina e agostiniana, divenuta centrale in tutte le forme di cristianesimo, di legare la libertà degli uomini alla grazia scaturita dal singolo evento storico della croce di Cristo, per porre invece al centro la Gratia creationis, cioè la grazia legata alla stessa vita naturale, concepita dal Creatore in modo da offrire già da sempre alla lunghissima storia del genere umano la possibilità della vita buona e giusta, e quindi realmente libera.
Interessante è un´osservazione di Jonas sulla differenza tra Gesù e il pessimismo antropologico paolino: "Certamente ciò non è nel metodo d´insegnamento originario di Gesù di Nazaret. Il metodo di Gesù e il metodo della Chiesa riguardante Gesù il Cristo non sono la stessa cosa e non devono essere identificati". Peccato che Jonas non abbia approfondito chiedendosi da che parte collocare Gesù in ordine alla questione della libertà, se con l´ebraismo e con Giacomo e quindi col cristianesimo umanistico di Origene, Pelagio, Pico, Erasmo, Molina, Bonhoeffer, Tillich, Teilhard de Chardin, oppure con il cristianesimo antiumanistico di Paolo, Agostino, Lutero, Calvino, Bañez, Pascal, Kierkegaard, Barth. Basta comunque leggere i Vangeli per capire che Gesù, da buon ebreo, pur consapevole della capacità di male della libertà, ha sempre creduto alla sua reale possibilità di praticare la giustizia. Altrimenti non avrebbe mai potuto dire "rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori" (Matteo 6,12). Tra i meriti del testo di Hans Jonas c´è anche quello di aiutare i cristiani a discernere meglio le luci e le ombre del loro grande patrimonio spirituale.