sabato 6 maggio 2017

ANSA 05.05.2017 
Minori
ogni giorno 5 vittime sfruttamento sessuale on line
Telefono Azzurro, minorenni non solo vittime ma anche autori

Negli ultimi anni si sono sempre più diffuse quelle che possono essere definite le "nuove forme di abuso", veicolate attraverso l'universo di Internet. Lo sostiene Telefono Azzurro nel dossier "Abuso sessuale e pedofilia" presentato oggi. L'Interpol solo nel 2016 ha identificato ogni giorno 5 vittime di sfruttamento sessuale online. un fenomeno che coinvolge bambini e adolescenti in tutto il mondo: oggi, sempre più, si parla di pedopornografia, sexting, sextortion legando questi termini sempre di più ai ragazzi. Per l'Italia, basta dare uno sguardo al trend dei dati ISTAT degli ultimi anni, dove è possibile evidenziare come, se nell'ultimo decennio sono diminuite le denunce all'Autorità Giudiziaria per atti sessuali con minorenne (da 582 del 2010 a 505 del 2015) e per corruzione di minorenne (da 175 del 2010 a 148), sono aumentate le denunce per pornografia minorile e detenzione di materiale pedopornografico (da 380 del 2010 a 614 del 2016). I minorenni non sono solo vittime, ma sempre più spesso autori di reati sessuali: i dati più recenti, del Dipartimento per la Giustizia minorile e di comunità evidenziano come tra i reati commessi da minori nell'anno 2016, 146 riguardino atti sessuali con minorenne (131 commessi da ragazzi e 2 da ragazze). Se da un lato sia in USA che in Europa diminuiscono gli arresti per abuso sessuale su minorenni, dall'altro lato negli ultimi anni si assiste ad un aumento esponenziale delle denunce per questa tematica: alcuni dati del governo inglese mostrano un aumento delle denunce da 5.557 nel 2011 alle 8.892 del 2014. Il dossier evidenzia poi che sono circa 34.212 le pagine web che mostrano abusi sessuali oggi localizzate in Europa. Le segnalazioni sono in aumento: se nel 2015 sono state più di 4 milioni e nel 2016 più di 8 milioni. I dati paiono confermare come l'Europa stia diventando il maggior hub per ospitare immagini e video di abusi sessuali su minori, come suggerisce uno dei più recenti report dell'Internet Watch Foundation, che mostra che il 60% del materiale online su abusi sessuali a danno di minori sia ospitato in server europei, con un incremento di quasi il 20% negli ultimi anni.
ANSA 02.05.2017
Svelate le basi scientifiche dietro al mito greco di Issione
La ruota di fuoco sarebbe l'alone del sole che annuncia pioggia


L'alone colorato che compare intorno al sole annunciando la pioggia sarebbe il fenomeno naturale che oltre 2.500 anni fa ispirò il mito greco di Issione, l'uomo condannato da Zeus ad essere eternamente legato ad una 'ruota di fuoco' nel cielo per la slealtà mostrata verso gli uomini e gli dei. A fornire questa interpretazione è lo studio pubblicato su Mediterranean Archaeology and Archaeometry da Paolo Colona, astrofisico della Societa' Italiana di Archeoastronomia. ''Molti filologi e storici hanno tentato di interpretare il simbolo della ruota di fuoco in chiave psicanalitica, antropologica, morale, magica o religiosa, giungendo di volta in volta a risultati molto diversi. Spesso - spiega Colona – queste interpretazioni si rifacevano al Sole, oppure ad un peggioramento imminente del tempo e alla magia per ottenere la pioggia''. La soluzione dell'enigma potrebbe proprio essere l'alone a 22°, quell'arcobaleno circolare che a volte si forma attorno al sole e alla luna per effetto della rifrazione della luce generata dalle nubi alte e stratificate (cirriformi) che rappresentano l'avanguardia frontale di una perturbazione. ''In tutto il mondo ci sono detti popolari che mettono in relazione la comparsa dell'alone solare con l'imminente peggioramento meteorologico, nozione che ho ritrovato persino in alcune tavolette babilonesi coeve al mito'', sottolinea l'astrofisico. Diversi altri indizi sostengono questa ipotesi, ad esempio il fatto che il supplizio venga inferto a Issione dopo la sua congiunzione con Nephele, una donna modellata da Zeus a partire proprio da una nuvola, e che a legare Issione alla ruota sia il dio Hermes, associato al pianeta Mercurio che orbita intorno al Sole proprio con la stessa ampiezza apparente dell'alone. "L'idea che emerge da questa scoperta - commenta Colona - è che i miti non sono storielle, ma una specifica forma antica di comunicazione della conoscenza di fenomeni fisici e metafisici. Oggi abbiamo perso la chiave per interpretarli e per questo ci sembrano solo narrazioni fantastiche".
Legittima difesa:legge inutile e confusa
Spari elettorali.
Il Pd travolto dalle critiche e dal ridico
Il Manifesto, 6.5.2017

È peggio che un semplice disastro. La legge sulla legittima difesa affonda sommersa non solo dalle critiche ma anche dal ridicolo. La campagna securitaria decisa da Renzi con l'obiettivo di rubare voti alla destra si è risolta in una sgangherata rotta. I magistrati aprono il fuoco. «Intervento che non serviva e anche un po' confuso», attacca il presidente dell'Anm Eugenio Albamonte. Non si ferma qui e affonda la lama nella carne viva: non bisognerebbe «assecondare gli umori» popolari, «meglio desistere dal mettere mano a questa normativa». Nella pattumiera. Grasso, presidente di quel Senato che Renzi voleva abolire e al quale ora si raccomanda per modificare la legge, si gode la rivincita: «Meno male che c'è il Senato». Le opposizioni si divertono, non lesinano in sarcasmo. «Se questa legge passa raccoglieremo le firme per abrogarla col referendum», si allarga Salvini. La legge, oltretutto, ha ottime probabilità di non uscire viva dall'aula del Senato. Renzi si è impegnato a modificarla, cioè a peggiorarla, nella speranza di raccattare i voti di Fi ma Berlusconi non ha intenzione di fargli il favore sacrificando la ritrovata intesa col Carroccio. Neppure gli scissionisti dell'Mdp cambiano idea e in queste condizioni una maggioranza al Senato non c'è. Non sarà neppure facile cavarsi d'impiccio ricorrendo all'eterna arma del cassetto. La legge arriverà in commissione tra due settimane e per il Pd la cosa migliore sarebbe seppellirla lì. Più facile a dirsi che a farsi. All'origine si tratta infatti di una delle proposte di legge in quota opposizione. E' una legge della Lega e se il Carroccio insiste per portarla in aula non c'è alternativa. Ma il peggio è la rete. La vecchia sigla del programma cult di Renzo Arbore, Ma la notte no, impazza, vive una seconda giovinezza. Le battutacce si contano a centinaia. Inutilmente il relatore Ermini, fedelissimo del capo e reduce da una lavata di testa che lèvati, prova a correggere: «Toglieremo la parola Notte». Non ce ne sarebbe bisogno per la verità, «ma se serve a correggere un'opinione completamente stravolta…». Inutile. La slavina è irrefrenabile, il coro sull'assurda legge che permette di sparare ai malfattori ma solo di notte prosegue. Il povero Ermini in realtà ha ragione. La legge è pessima ma la distinzione tra notte e giorno è frutto solo di un pasticcio mediatico di un testo confuso, che però il gran capo conosceva bene. Renzi aveva fiutato l'aria malsana già giovedì sera, navigando in rete e traendo le conclusioni dal diluvio di critiche e ironie pesanti che già s'abbatteva sulla legge. In questi casi il suo schema è fisso: addossare la colpa agli altri. Si attacca al telefono, strapazza Ermini: «E' scritta così male che si comunica male da sé. Bisogna rimediare, cambiarla, sparigliare». Poi ordina al suo portavoce, l'onorevole Anzaldi, di chiamare quattro giornalisti fidati per spiegare che il capo è fuori di di sé: «Così non si può andare avanti. Manca una regia. Su questa strada andiamo a sbattere». Trattandosi di una proposta di legge nata in Parlamento e fatta propria dal partito di cui Renzi è segretario, con un suo uomo come relatore, non si capisce bene chi, se non Renzi stesso, avrebbe dovuto occuparsi della regia. Particolari. L'importante è scaricare ogni responsabilità su qualcun altro, meglio se sul governo. Al resto penseranno i media. Quando per la legge arriverà il momento della verità, Renzi è già pronto a sfruttare come d'abitudine la situazione a proprio vantaggio, insistendo sull'impossibilità di andare avanti a fronte di un Senato dove le divisioni interne alla maggioranza non permettono più di procedere. Tanto più che, subito dopo la legittima difesa, arriveranno a palazzo Madama altri due provvedimenti modello Mission Impossible, la legge sul testamento biologico e quella sulla cittadinanza e lo ius soli. Lo sgambetto del capo è stato preso malissimo dal governo, anche se tutti cercano di non rendere palese l'irritazione. La ministra per i rapporti col parlamento, Finocchiaro, incaricata di cercare una difficilissima mediazione sia con Fi che con i centristi della maggioranza, decisi a rendere il testo più severo di quanto non intendesse Ermini, si è ritrovata sul banco degli imputati e mastica amaro. Il ministro Orlando, che al provvedimento leghista era contrario dall'inizio, vede ancora più rosso, tanto che i suoi sbottano: «Siamo alla presa in giro. L'intervento di Renzi è insopportabile». Ma anche tra i capibastone della maggioranza Pd, Franceschini e Martina, l'umore è cupo. Si erano illusi che dopo la batosta del 4 dicembre Renzi fosse cambiato. In meno di una settimana si sono resi conto che non è così. Matteo Renzi è sempre lo stesso.
La crisi infinita dell’Unità
L’appello

Firme storiche del giornale di Gramsci

“Dopo anni di errori e ricatti, fate qualcosa per salvare l’Unità”

Il Fatto quotidiano, 6.5.2017

di Redazione F.Q.

“SALVIAMO L’UNITÀ”. Ex direttori e firme storiche del quotidiano fondato da Antonio Gramsci hanno pubblicato un appello chiedendo un intervento tempestivo per risolvere la lunga crisi della testata. “Noi ex giornalisti dell’Unità –si legge– esprimiamo la nostra forte solidarietà agli attuali lavoratori del giornale che in questi giorni sono vittime delle provocazioni e dei ricatti da parte dell’editore del quotidiano. Sosterremo le azioni che essi, di intesa con il Cdr e i sindacati, intraprenderanno in difesa dei loro diritti, per il rispetto dell’articolo 1 della Costituzione e a tutela della testata”.
La lettera prosegue con un’accusa all’azienda: “Riteniamo che il comportamento di Unità Srl – che ha persino minacciato la decurtazione degli stipendi se non verranno ritirate le cause civili intentate da ex dipendenti e accolte dai Tribunali –sia gravissimo e inaccettabile”. Poi sono chiamati in causa i dem e il loro leader: “Il Pd e l’attuale segretario Matteo Renzi – direttamente coinvolti a suo tempo nella scelta degli imprenditori che hanno condotto il giornale a questo livello e che ancora detengono quote di minoranza nella società editoriale - si facciano carico in modo responsabile della questione”. Tra le firme, i nomi di Peppino Caldarola, Nuccio Ciconte, Daniele Martini, Marco Sappino, Pietro Spataro e molti altri.
Il Manifesto, 5.5.2017
Al voto per la prima volta: Macron o astensione
La ricerca del Cnrs. 


Alla vigilia del secondo turno, una netta maggioranza, 59 contro 41%, si esprime in favore del candidato di En Marche!, anche se in molti si dicono incerti e altri annunciano di aver già scelto di non andare alle urne Di Guido Caldiron Sono tra le elezioni più drammatiche e sorprendenti che la storia del paese ricordi, ma per molti giovani francesi rappresentano pur sempre la prima prova con il voto. Dopo aver compiuto 18 anni, oltre 3 milioni di nuovi votanti sono stati iscritti sulle liste elettorali in vista delle presidenziali, un numero che rappresenta oltre il 7,4% del totale dell'intero corpo elettorale. Un'inchiesta del Cnrs di Parigi e una serie di documentari prodotti da France 3, la rete televisiva regionale pubblica d'oltralpe, ne hanno saggiato, ai quattro angoli del paese e nelle più diverse condizioni sociali e scolastiche, non solo le intenzioni di voto, ma anche gli umori, le aspettative e più in generale il rapporto stesso con la politica. Ciò che emerge è il ritratto di una generazione per certi versi sorprendente, attraversata da spinte profondamente innovative ma anche dalla pericolosa tentazione della chiusura su stessi incarnata dall'estrema destra. In vista del 23 aprile le preferenze dei neo maggiorenni si erano distaccate solo in parte dal risultato poi uscito dalle urne. Con una differenza maggiore, però, vale a dire che Le Pen in questo caso arrivava in testa con il 29%, seguita da Macron al 27%, mentre Mélenchon e Hamon si dovevano accontentare del 15% ciascuno e il candidato del centrodestra Fillon era fermo all'8%. I consensi in favore della leader del Front National ribadivano poi la natura di «classe» dello sfondamento nazionalista con un 44% di sostegni presso ragazze e ragazzi che già lavorano e il 24% negli ambienti studenteschi. Alla vigilia del secondo turno, una netta maggioranza, 59 contro 41% si esprime in favore di Macron, anche se in molti si dicono incerti sul fatto di recarsi o meno alle urne e altri annunciano di aver già scelto l'astensione. Fortissimo tra questi giovani è infatti il sentimento di delusione e la sensazione che la presidenza di Hollande si sia trasformata in un inganno verso le nuove generazioni. Di fronte agli appelli al voto che si susseguono in queste ore emerge anche una domanda diffusa di democrazia diretta, con il 63% di neo-votanti che ritengono che «su ogni decisione dovrebbe esprimersi il popolo con un referendum». Quelli che Anne Muxel, la ricercatrice responsabile dell'unità mista del Cnrs e della facoltà parigina di Sciences Po che ha realizzato l'inchiesta, definisce come «i figli della crisi della rappresentanza politica», esprimono però prima di tutto una forte diffidenza nei confronti dei partiti e delle forme consuete dell'agire politico. Una distanza che non si traduce però necessariamente in «un rifiuto della politica», quanto piuttosto, sottolinea ancora Muxel, in una sorta di «nuovo modello di cittadinanza, allo stesso tempo più individualizzata, più espressiva e più critica». Quanto ai 13 documentari, uno per ogni regione in cui è stato diviso il paese dalla recente riforma amministrativa voluta dall'Eliseo, che France 3 ha cominciato a trasmettere fin dalla metà di marzo, consentono di dare un volto e un nome a questi nuovi elettori. In ogni regione sono stati infatti individuati tre giovani, di diverso orientamento ed estrazione sociale, che raccontano non solo il loro rapporto con la politica, ma anche la loro vita quotidiana le cose in cui credono, i loro progetti e i loro sogni. Il tutto a comporre una sorta di mappa itinerante del volto più giovane e fresco della democrazia transalpina. Dalla banlieue del nord parigino di Stains dove Sarah, attesa quest'anno all'appuntamento con la maturità, si immagina però già come una dirigente di spicco dei Républicains di Sarkozy, a «U Primu Votu» di Paul, militante nazionalista di Corte, in Corsica, che non si sente rappresentato da queste elezioni. Da Elies che in Auvergne anima una radio comunitaria e sostiene la France Insoumise a Maxence che nel Grand-Est fa la pasticciera e dice di voler votare per Le Pen. Immagini e racconti di vita accompagnati da un quesito che domenica dovrà trovare una risposta: «Caro nuovo presidente ci è venuto il burn out da politici, quando arriverà il cambiamento?».

venerdì 5 maggio 2017

Il Manifesto, 5.5.201
Un tratto di penna sul diritto penale.

Il voto a Montecitorio.
Mai, neppure in epoca fascista, i principi di civiltà giuridica
e le regole di convivenza avevano subito uno strappo così profondo e lacerante
Di Livio Pepino


Nel nostro Paese c'è, ormai da anni, un dato costante. I reati diminuiscono: quelli più gravi (gli omicidi sono scesi da 1.901 nel 1991 a 468 nel 2015, molta parte dei quali commessi tra le mura domestiche) e quelli più modesti (nel 2016 i furti d'auto sono stati 108mila, con una diminuzione di oltre il 10% dal 2014). Eppure la grancassa mediatica, sull'onda di alcuni drammatici episodi, racconta una storia diversa di insicurezza crescente. E la politica, alla disperata ricerca di un consenso elettorale che ne occulti la crisi, si adegua e cavalca la tigre. Così la destra e quella che un tempo si definiva sinistra fanno a gara nell'aumentare le pene, nel trasformare i sindaci in sceriffi, nel trasformare lo stato sociale in stato penale. Basta guardare gli ultimi interventi di governo e parlamento. Il 20 febbraio il governo ha varato il «decreto sicurezza» finalizzato al «rafforzamento della vivibilità dei territori» e al «mantenimento del decoro urbano», che attribuisce ai sindaci significativi poteri in tema di ordine pubblico (anche avvalendosi del contributo di «soggetti privati»), amplia il loro potere di emettere ordinanze nei confronti di specifiche categorie di cittadini (legate a presupposti generici e indeterminati come la difesa da «incuria e degrado» o la tutela «del decoro e della vivibilità urbana»), introduce pesanti limitazioni alla libertà di movimento e stazionamento in determinate aree cittadine, estensione del Daspo previsto per le manifestazioni sportive a situazioni di marginalità sociale e via elencando. Poco meno di un mese dopo, poi, il Senato ha licenziato e trasmesso alla Camera il disegno di legge che modifica, tra l'altro, alcune parti del codice penale prevedendo un aumento spropositato delle pene, in particolare per i reati contro il patrimonio (a cominciare dalla fissazione di un minimo di tre anni di carcere per il furto in abitazione o «con strappo»). Evidentemente non bastava. Così ieri la Camera ha approvato un nuovo abnorme ampliamento delle ipotesi di legittima difesa dopo quello intervenuto nel 2006, in un'altra stagione di enfasi sicuritaria diffusa. Già ora – è bene ricordarlo – è possibile per il cittadino difendersi da offese o aggressioni ingiuste a un proprio diritto e l'articolo 52 del codice penale prevede che è lecito a tal fine anche usare armi per difendere «la propria o l'altrui incolumità» e «i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione» se il fatto avviene in un'abitazione o «in luogo ove venga esercitata un'attività commerciale, professionale o imprenditoriale». Il cittadino, dunque, non è certo lasciato in balia della criminalità ed anzi le sue possibilità di reazione legittima sono assai estese (addirittura oltre il limite della proporzione tra offesa e difesa)! Ma il testo approvato dalla Camera – frutto, manco a dirlo, di un emendamento del Pd – va ben oltre, rendendo legittimo il ricorso alle armi in caso di aggressione che si verifichi «di notte» o con «violenza sulle persone o sulle cose», escludendo ogni responsabilità anche a titolo di colpa per chi eccede nella difesa se si trova in uno stato di «grave turbamento psichico causato dalla persona contro la quale è diretta la reazione», prevedendo che siano a carico dello Stato le spese legali sostenute da chi, sottoposto a processo, viene assolto per avere agito in stato di legittima difesa. Siamo – se mai la norma sarà approvata anche dal Senato – a un salto epocale. Mai, neppure in epoca fascista, i principi di civiltà giuridica e le regole di convivenza avevano subito uno strappo così profondo e lacerante. È l'introduzione nel sistema di una sorta di (possibile) pena di morte privata, cioè decisa dalla persona offesa (o dalla presunta persona offesa) e da essa direttamente inflitta. È la cancellazione, con un tratto di penna, del diritto penale moderno che ha come idea guida e ragion d'essere la sottrazione del reo alla vendetta privata e l'attribuzione esclusiva allo Stato del potere di punire le condotte illecite, all'esito di un processo garantito e ad opera di un giudice imparziale. La promessa elettorale di maggior sicurezza («vi difenderemo meglio») svela, infine, il suo reale contenuto: «difendetevi da soli e, comunque, vi garantiremo l'impunità». La «sicurezza», a cui tutti, legittimamente e giustamente, aspiriamo, non è l'effetto di più carcere, di più repressione o, addirittura, di una diffusa licenza di uccidere. Essa è altro: avere una prospettiva di vita degna di essere vissuta per noi e per i nostri figli, vivere in un ambiente accettabile e ospitale, sapere di non essere considerati rifiuti per il solo fatto di essere vecchi o malati o stranieri e via elencando. Certo la paura e l'inquietudine sono alimentate anche dalla diffusione di forme di criminalità e di comportamenti devianti; e, in ogni caso, a chi ha paura occorre dare risposte e non citare statistiche. Ma ciò rappresenta l'inizio, non la fine, del discorso. È, in altri termini, la base su cui costruire con pazienza e senza demagogia risposte attendibili. Un tempo questa era la strada tracciata dalla sinistra. Oggi a sostenerlo sembra essere rimasto, sulla scena mediatica, solo un comico (Maurizio Crozza che, qualche settimana fa, nel denunciare l'irrazionalità del crescendo repressivo, ha snocciolato con apparente candore i dati della sanguinosa escalation di delitti di sangue che caratterizza gli Stati Uniti, il paese in cui c'è la maggior diffusione di armi per difesa personale). C'è di che riflettere.
 INTERNAZIONALE

Sognare a comando per vivere meglio

Michelle Carr, New Scientist, Regno Unito.
Stati di coscienza che oscillano tra il sonno e la veglia,
i sogni lucidi potrebbero aiutare molte persone a
superare l’ansia, le fobie o un grande dolore-


Stavo scappando da una figura oscura e mostruosa quando ho cominciato ad avere la sensazione di essere già stata in quel luogo, fuggendo dallo stesso uomo. Ho capito che era un brutto sogno e che, negli ultimi tempi, lo avevo fatto spesso. Solo che questa volta mi sono fermata di scatto per affrontare il mio aggressore: "Chi sei?", ho gridato. "Cosa vuoi?". ero in un sogno lucido, uno stato di coscienza tra la veglia e il sonno in cui le persone sognano ma sono consapevoli e controllano le loro azioni. Di solito uso i sogni per divertirmi – per esempio per volare o per esplorare – ma a volte divento lucida durante un brutto sogno o un incubo. All'inizio, ogni volta che succedeva, mi costringevo a svegliarmi. Poi ho capito che potevo cambiare i sogni dall'interno. Gli psicologi si sono sempre interessati all'uso dei sogni per riscrivere gli incubi o per aiutare i pazienti a superare le loro paure. Ma la possibilità di usare i sogni lucidi era abbastanza limitata perché è difficile attivarli e, come succede con tutti i sogni, il loro ricordo svanisce velocemente al risveglio. Oggi, però, grazie alla scoperta di sistemi efficaci per indurre questo genere di sogni, la situazione potrebbe cambiare. Sta pefrino diventando possibile comunicare con chi sogna e registrare cosa succede nei sogni. Simili progressi aprono la strada alla prospettiva entusiasmante di poter entrare in questo stato mentale e creare delle terapie per chi ha gli incubi, soffre di ansia o ha altri disturbi. Presto potremo curare la gente mentre sogna. Ho imparato a rendere lucidi i sogni vari anni fa, per caso. Quando andavo a letto o mi svegliavo rimanevo spesso sospesa in un terribile stato di dormiveglia: ero vigile ma incapace di muovermi e di parlare, un disturbo chiamato paralisi nel sonno. Per uscirne preferivo riaddormentarmi invece di forzarmi a rimanere sveglia. E dal momento che, mentre mi assopivo, mantenevo qualche forma di consapevolezza, spesso il risultato era un sogno lucido. In realtà il mio sistema non era molto diverso dalle tecniche impiegate per indurre deliberatamente i sogni lucidi. Sensazione di potere Gli esseri umani fanno sogni lucidi e ne scrivono da migliaia di anni. Oggi, con la risonanza magnetica, abbiamo capito molto meglio cosa succede durante questi sogni. Confrontando le scansioni cerebrali delle persone sveglie, addormentate o mentre fanno un sogno lucido abbiamo accertato un fatto che si sospettava da tempo: i sogni lucidi sono uno stato a metà strada tra il sonno Rem, in cui avviene la maggior parte dei sogni, e la veglia. A differenza dei sogni normali, quelli lucidi implicano un'attività cerebrale in aree associate alla memoria di lavoro e in regioni con un ruolo nelle funzioni cognitive superiori, come la pianificazione e il controllo del comportamento. I sogni sono sempre stati al centro delle terapie psicologiche, per molte ragioni. Gli incubi ricorrenti possono essere il sintomo di ansie, di un disturbo post traumatico da stress o di altre patologie. Parlare dei sogni durante la terapia analitica può offrire ai pazienti un modo protetto per approfondire argomenti traumatici, e cercare di riscriverli potrebbe aiutare a superare le fobie o il dolore. I pazienti sono incoraggiati a usare una strategia nota come imagery rehearsal therapy, o terapia della ripetizione immaginativa, in cui ripetono e poi cercano d'interpretare scenari alternativi all'interno di un sogno o di cambiare lo svolgimento degli incubi. I primi indizi che l'onironautica (l'esperienza del sogno lucido) può rafforzare e perfino espandere l'uso terapeutico dei sogni sono arrivati nel decennio scorso, quando gli psicologi hanno scoperto che le persone capaci di fare sogni lucidi hanno più probabilità di resistere ai traumi e di evitare gli incubi. Poi, nel 2015, Brigitte Holzinger e i colleghi dell'istituto per la ricerca della coscienza e del sogno di Vienna hanno dimostrato che i sogni lucidi rendono più efficace la terapia per gli incubi. Holzinger ha chiesto ai pazienti sottoposti a una variante della terapia della ripetizione immaginativa di provare ad avere sogni lucidi. Chi ci riusciva, smetteva di avere paura di dormire e cominciava ad apprezzare la propria vita onirica. Un paziente ha scoperto che, durante un incubo, poteva tornare al momento precedente l'inizio della minaccia e proseguire il sogno in una direzione diversa. Secondo i pazienti, i sogni lucidi davano una sensazione di potere e di controllo che si rifletteva anche sulla vita da svegli, un cambiamento apprezzato rispetto alla sensazione d'impotenza avvertita negli incubi. È il risultato ottimale per questo tipo di terapia: consentire ai pazienti di affrontare la causa del loro trauma o della loro ansia guidando o cambiando il corso dei sogni. Per attuare strategie come questa i pazienti devono prima imparare a fare sogni lucidi, e anche con i migliori metodi esistenti i risultati non sono garantiti. Ora, però, i ricercatori hanno trovato un modo per indurre i sogni lucidi. Nel 2014 Ursula Voss e i colleghi dell'università Goethe di Francoforte hanno scoperto che si poteva usare una tecnica nota come stimolazione transcranica a corrente alternata: si applica una debole corrente elettrica alla corteccia frontale del cervello durante la fase Rem del sonno. Il più delle volte la tecnica funziona. "Stimolare l'area frontale è come mettere nel sonno l'attività 'da svegli'", afferma Cloé Blanchette­Carrière del laboratorio dei sogni e degli incubi di Montréal, in Canada. Invece di sperare che i pazienti imparino a fare sogni lucidi, Blanchette­Carrière studia i trattamenti che possono indurli: "Vogliamo usare questo metodo con chi soffre di incubi o di un disturbo post traumatico da stress, per consentirgli di modificare o controllare i suoi sogni", dice. Il passaggio successivo è comunicare con qualcuno quando è addormentato, per fornire un aiuto esterno quando affronta la causa di un trauma. A molti sarà capitato d'inglobare in un sogno un suono del mondo esterno, il rumore di un clacson che arriva dalla strada o la musica di una radio poco lontana. Ma è possibile mandare di proposito messaggi nei sogni di qualcuno? Messaggi dall'esterno Per scoprirlo Kristofer Appel, studioso del sonno e dell'attività onirica all'università di Osnabrück, in Germania, ha reclutato alcune persone capaci di procurarsi sogni lucidi, e ne ha monitorato le onde cerebrali e i movimenti oculari mentre dormivano. Durante i sogni lucidi è possibile muovere deliberatamente gli occhi, perciò Appel ha chiesto ai volontari di fargli capire quando erano lucidi guardando due volte da sinistra verso destra. Una volta ricevuta questa conferma, Appel inviava messaggi nei loro sogni usando un segnale acustico o una luce lampeggiante. Su dieci volontari, sette hanno riferito di aver inserito i segnali acustici o luminosi nei loro sogni. Il suono diventava il rumore di una nave, di un'automobile o di un cellulare. Alcuni hanno registrato le luci trasformando il sogno in un'alternanza di colori vividi o scuri, per altri erano i fulmini di un temporale o una lampada che si accendeva e spegneva. Chi si era accorto dei segnali acustici e visivi aveva capito che erano messaggi dal mondo esterno. Appel voleva mandare messaggi più complessi e voleva anche che i sognatori reagissero. Quindi ha chiesto agli stessi volontari d'imparare il codice Morse per i numeri. L'idea era usare dei segnali acustici per inviare ai sognatori delle semplici operazioni aritmetiche, come 3 + 5 oppure 7 – 2. I volontari, che non sapevano i numeri in anticipo, dovevano rispondere con i segnali oculari usando l'alfabeto Morse. Il numero 3, per esempio, corrisponde a tre punti e due linee, perciò il volontario doveva guardare tre volte a sinistra e due volte a destra. Tutti avevano la sensazione che la posta in gioco fosse alta. Molte persone capaci di avere sogni lucidi hanno passato mesi o anni a capire come indurli. Anche se pensavano di poter comunicare rimanendo dentro il sogno, i volontari temevano di fare una brutta figura svegliandosi troppo presto o non captando i segnali. Ma per almeno tre di loro l'esperimento è riuscito: non solo hanno riconosciuto i segnali, ma hanno anche dato le risposte corrette. Un partecipante ha raccontato di essersi guardato intorno, nel sogno, alla ricerca di qualcosa che potesse trasmettere segnali dall'esterno. Era in una stazione di autobus e ha visto una macchina per comprare i biglietti. La macchina ha cominciato a emettere dei segnali: "Ero così contento, ho decodificato il primo messaggio, ho confermato i numeri, ho risolto il problema e ho risposto al mondo esterno: 4+4 = 8. Poi ho continuato a camminare per la strada dicendo a tutti quelli che incontravo che stavo risolvendo dei problemi all'interno di un sogno lucido", ha detto. Tuttavia affidarsi ai soli movimenti oculari limita la quantità d'informazioni che si possono trasmettere. Perciò Remington Mallett, un ricercatore che lavorava all'università del Missouri di St. Louis, ha usato un'interfaccia neurale, un'apparecchiatura che consente al cervello di comunicare direttamente con un dispositivo esterno, come un computer. Mallett era convinto che le persone che facevano sogni lucidi fossero in grado di usarlo, perché l'attività cerebrale durante i sogni lucidi tende a sovrapporsi a quella della veglia. Se durante un sogno lucido s'immagina di stringere il pugno, per esempio, è possibile registrare un'attività nella corteccia motoria del cervello e perino delle contrazioni muscolari nel polso di quella mano. Mallett voleva capire se si poteva controllare un'interfaccia neurale dall'interno di un sogno. Così ha reclutato due persone che avevano imparato a fare sogni lucidi da soli per sperimentare una semplice cuffia, l'Emotiv Epoc. Questo dispositivo mappa l'attività cerebrale e poi usa i suoi segnali per raggiungere determinati obiettivi al computer. Se immaginate di muovere il cursore su uno schermo, si muove davvero: "Praticamente riuscite a spostare degli oggetti virtuali con la mente", dice Mallett, come una specie di "trucco mentale da Jedi". Per prima cosa Mallett ha insegnato ai volontari – svegli e sdraiati con gli occhi chiusi – a spostare un oggetto sullo schermo del computer usando solo la mente. Quando hanno raggiunto una precisione del 75 per cento, erano pronti a svolgere lo stesso compito nel sonno. Hanno comunicato a Mallett di essere diventati lucidi con dei movimenti oculari da sinistra verso destra e poi si sono messi al lavoro. Mallett ha visto il segnale di entrambi i volontari e, subito dopo, l'oggetto si è mosso chiaramente in avanti sullo schermo. Un volontario ha raccontato che da sveglio, mentre si esercitava, aveva immaginato un guerriero di un videogioco che spostava l'oggetto in avanti. Durante il sogno aveva fatto lo stesso. Perciò nella sua mente, mentre dormiva, c'era lui come sognatore, e nella sua mente che sognava c'era l'immagine mentale di una piccola tartaruga ninja che spostava il blocco. "È una faccenda molto meta", dice Mallett. "Immagini d'immaginare qualcosa. Noi prendiamo questo compito cognitivo mentale e lo osserviamo oggettivamente". È un primo passo verso la capacità di trasmettere il contenuto dei sogni al mondo esterno in tempo reale. Un finale diverso Questo metodo potrebbe anche aiutare a controllare le protesi degli arti. Come quando si spostano degli oggetti sullo schermo, un'interfaccia neurale può captare l'attività nella corteccia motoria se immaginiamo di muovere un braccio, mandando i segnali alla protesi. Questi dispositivi sono stati usati per ripristinare il controllo cerebrale della deambulazione in chi ha una lesione al midollo spinale. Le persone con la paralisi degli arti inferiori, che devono imparare a controllare un esoscheletro (una protesi robotica per la deambulazione), affrontano un ulteriore ostacolo perché il cervello può dimenticare come si mandano i segnali motori alle gambe. Ad agosto del 2016 Walk again (cammina di nuovo), un progetto internazionale guidato da Miguel Nicolelis della Duke university di Durham, nel North Carolina, ha aiutato alcune persone con paralisi parziale a riacquistare in parte il controllo dei muscoli negli arti inferiori. I pazienti hanno prima imparato a usare l'attività cerebrale per controllare un avatar nella realtà virtuale, facendolo camminare in un campo. Questo ha consentito al cervello di imparare di nuovo a inviare segnali motori. Così, quando hanno usato un vero esoscheletro, i pazienti hanno imparato più rapidamente a controllarlo. Con i sogni lucidi le persone potrebbero esercitare i muscoli mentali ogni notte e questo li aiuterebbe a passare al controllo di un vero esoscheletro. Oltre ad avere molte applicazioni terapeutiche, controllare i sogni lucidi potrebbe consentirci di sfruttare meglio il nostro potenziale creativo. Molte persone, infatti, trovano ispirazione nel sonno. Paul McCartney, il musicista dei Beatles, ebbe lo spunto per la melodia di Yesterday mentre dormiva e il chimico russo Dmitrij Mendeleev vide in sogno la struttura della tavola periodica degli elementi. Ma, come sappiamo bene, quando l'ispirazione ci sorprende mentre dormiamo dobbiamo precipitarci a scrivere tutto al risveglio. I nuovi dispositivi, come la cuffia nello studio di Mallett, potrebbero essere usati per registrare le idee dei sogni lucidi. Appel sta sviluppando una maschera del sonno che potrebbe registrare l'alfabeto Morse dei movimenti oculari per consentire a chi dorme di trasmettere dei messaggi. Sta anche sperimentando i messaggi di testo, che ci sono più familiari: "I sognatori si limitano a indicare i tasti con gli occhi e noi seguiamo i loro movimenti", afferma. Con il miglioramento delle tecniche per indurre i sogni lucidi e comunicare con gli onironauti, le possibilità potranno solo aumentare. Il potenziale è straordinario. Immaginate, dopo un lungo periodo di lutto, di poter finalmente pronunciare quell'addio che non eravate riusciti a tirare fuori. O di superare una paura persistente mentre ricevete messaggi di sostegno dal mondo "sveglio", oppure di mettere fine a un incubo ricorrente scegliendo un finale diverso. Come dice Blanchette-Carrière: "Se riusciremo a controllare i sogni, avremo più controllo anche sul nostro comportamento nella vita reale".
L’autrice Michelle Carr è una ricercatrice che si occupa del sonno e dei sogni allo Sleep laboratory della Swansea university, nel Regno Unito.
Le Monde Diplomatique (Il Manifesto) Aprile 2017
Una minoranza di fronte ad aggressioni e stereotipi
I francesi di origine cinese si organizzano
Rimasti a lungo in disparte, i cinesi di Francia hanno fatto irruzione sulla scena pubblica organizzando una grossa manifestazione nel settembre 2016: chiedevano più protezione dopo l’aggressione mortale contro un membro della comunità. Hanno dato una prova di unità che non era scontata. A differenza dei genitori, la seconda generazione vuole combattere i pregiudizi dei quali è vittima
di Zhang Zulin*


Nel suo ufficio all'ottavo piano di un grattacielo de La Défense, vicino a Parigi, You Feiran, ingegnere trentenne, partecipa attivamente alle discussioni su WeChat, una rete sociale molto popolare presso i cinesi. Il suo gruppo, circa cinquecento membri, mette insieme studenti, ingegneri, commercianti, imprenditori e altre persone che in gran parte vivono o hanno vissuto in Francia. Si scambiano messaggi quotidianamente. Mattina del 2 agosto 2016: una giovane musicista inveisce contro «un gruppo di tibetani incrociati a Conflans Sainte-Honorine [Yvelines], bivaccano in angoli di strada prima occupati da senzatetto. Perché questi idioti [i francesi] li mantengono?» You Feiran, arrivato in Francia all'età di 10 anni, cerca di calmare gli spiriti: «I tibetani sono come gli altri richiedenti asilo. Ci sono associazioni che se ne occupano». Fatica sprecata: di certo, scrive un altro membro del gruppo, «la Francia non è una pattumiera ma ha accolto molti rifiuti». Quando lo incontriamo, un mese dopo, Feiran relativizza questo scambio tempestoso, assicurando che riflessioni di questo tipo provengono spesso da persone che hanno «subito ingiustizie o ascoltato propositi razzisti, piuttosto diffusi nella nostra società». «Incasellamento facciale» I governanti francesi amano parlare di integrazione, eppure affogano regolarmente i loro concittadini di origine asiatica in un mare di luoghi comuni. Mentre le prime generazioni di immigrati cinesi, pur soffrendo, hanno sempre taciuto e continuano a farlo, i loro discendenti, che non subiscono la barriera linguistica, hanno deciso di reagire. «C'è una specie di incasellamento facciale nella società. I francesi vedono la mia faccia e mi assegnano un ruolo, anche prima che io apra bocca. Percepiscono un messaggio e lo interpretano: quest'asiatico è un lavoratore, non gli piace parlare e non va in cerca di guai», osserva Wang Rui, laureato in gestione e finanza all'università di Paris-Dauphine e presidente dell'Associazione dei giovani cinesi di Francia. Per Wang Simeng, sociologo e specialista della comunità cinese al Centre national de la recherche scientifique (Centro nazionale per la ricerca scientifica - Cnrs), questo apprezzamento potrebbe essere percepito come una «discriminazione positiva» rispetto ad altri immigrati, sospettati di primo acchito delle peggiori intenzioni. Ma Wang Rui non sembra sensibile a questo «vantaggio»: «Quand'ero più giovane ho pensato di comprare la candeggina per sbiancarmi la pelle». Egli elenca i pregiudizi razzisti che ha dovuto subire nella sua infanzia. I problemi identitari non sono rari nelle nuove generazioni, racconta Frédéric Chau, uno degli attori di origine asiatica più noti in Francia, soprattutto dopo la sua partecipazione al film Qu'est-ce qu'on a fait au bon Dieu? (1). Arrivato in Francia all'età di sei mesi, nel periodo dell'adolescenza aveva rabbiosamente ripudiato le proprie origini. «Ma, diventando adulto, mi sono reso conto che tutto quello che mi è successo di buono nella vita, è stato proprio grazie a quelle origini», afferma. Nato in Vietnam da una famiglia originaria della minoranza cinese della Cambogia, racconta che ha avuto bisogno di lunghi scambi con i genitori e i nonni, e di periodi in Tailandia, Vietnam, Cambogia e Birmania, per trovare la pace interiore. E di certo non è il solo. Le persone di origine cinese che vivono attualmente in Francia, in particolare nell'Île-de-France, sarebbero circa seicentomila; ma siccome le statistiche su base etnica non sono autorizzate, si tratta solo di una stima (2). Alcuni hanno un passaporto francese, altri cinese – Pechino non riconosce la doppia nazionalità. Come mai questo approdo in un paese così lontano geograficamente e culturalmente? La questione è tanto più legittima per il fatto che quest'immigrazione non è stata «voluta dal paese d'accoglienza, salvo durante la prima guerra mondiale», fa notare la rivista Échanges (3). Prendendo come riferimento i 1.800 cinesi rimasti in Francia dopo il 1918, fra il 1925 e il 1935 arrivò una prima ondata, proveniente dalle città di Qingtian e soprattutto di Wenzhou (provincia dello Zhejiang) (4); da qui il loro soprannome, «Wenzhous». Negli anni 1970 arrivano i cosiddetti «boat people»: Teochew, cinesi del sud del paese (Guangdong) fuggiti dal comunismo emigrando in Cambogia, Laos e Sud Vietnam; lasciano la regione – come molti sud-vietnamiti – alla fine della guerra con gli Stati uniti. Queste famiglie si concentrano nel 13mo arrondissement di Parigi, anche se una parte di loro abita nei sobborghi. A partire dal 1979, con l'apertura delle frontiere cinesi, altri abitanti di Wenzhou raggiungono i compatrioti. Un altro flusso parte dal Dongbei, che raggruppa le province del Nord-Est (Liaoning, Heilongjang, Jilin), negli anni 1990-2000, dopo le ristrutturazioni e i massicci licenziamenti nelle industrie pesanti. Si ritrovano nel quartiere Belleville a Parigi. Quanto ai grossisti e alle società di import-export, dirette principalmente da cinesi di Wenzhou, i prezzi degli immobili e le difficoltà di parcheggio li spingono verso i sobborghi, in particolare ad Aubervilliers, in ex magazzini. Là lavorano fra i 4.000 e i 5.000 cinesi, il 30% dei quali arrivati dal Dongbei (5). La presenza cinese nel commercio e nel settore delle confezioni è spesso interpretata come il segno della riuscita economica di questa comunità: in Francia, i cinesi gestirebbero 35mila attività commerciali di prossimità come ristoranti, drogherie, negozi di fiori e bartabaccherie. È meno nota la loro presenza nelle professioni liberali (avvocati, architetti…) (6) e nei ruoli dirigenziali: appartiene alla categoria dei quadri il 27% dei discendenti da famiglie asiatiche, contro il 16,7% per l'insieme della popolazione attiva francese (7). Infine, gli studenti cinesi hanno preso la strada delle università e delle grandi scuole francesi. Nell'autunno 2015, gli iscritti erano 28.043, il secondo gruppo fra gli studenti stranieri in Francia, secondo l'Osservatorio della mobilità di Campus France. Alcuni pensano di rimanere, come Li Donglu, 34 anni, che vive in una camera a Montreuil, nella periferia parigina. Dopo gli studi alla scuola delle Belle arti di Versailles, è fra i pochissimi della nuova generazione artistica cinese a riuscire a vivere, anche se modestamente, con la propria arte. «Qui la mia vita è molto semplice. Non ci sono obblighi sociali, come in Cina», dice soddisfatto. Lo aiuta molto la galleria parigina A2Z. Diretta da Li Ziwei e Anthony Phoung, coppia di trentenni di origine sino-vietnamita, vuole essere un ponte fra la cultura asiatica e quella francese: «Abbiamo un altro modo di comunicare. Facciamo attenzione a elementi che potrebbero passare inosservati». Ma dietro questa bella facciata di riuscita sociale e culturale, diverse decine di migliaia di cinesi continuano a lavorare senza documenti, come manodopera nella ristorazione, nelle confezioni, nei prodotti della concia e nell'edilizia, con salari da fame. È difficile conoscerne il numero preciso. Nel 2005, la ricerca di Gao Yun e Véronique Poisson parlava di 60.000 clandestini, due terzi a Parigi (8). Senza parlare di quelli che sono obbligati alla prostituzione (si veda il riquadro). Malgrado tutto, comunque, a dominare nell'immaginario collettivo è la riuscita economica della maggior parte di loro, il che spiega le ripetute aggressioni a scopo di rapina ai loro danni. Guo Zhimin, presidente dell'associazione dei commercianti e industriali franco-cinesi, conosce bene questa violenza. All'epoca in cui aveva un supermercato asiatico a Belleville, era colpito dalla frequenza delle aggressioni. «Ogni settimana c'erano furti. All'uscita del mio supermercato i clienti asiatici venivano regolarmente borseggiati, ricorda. Ho affrontato varie volte i ladri.» Yang, il cui marito ha un'agenzia viaggi nel 3° arrondissement della capitale, confessa: «Da molti anni evito di andare a Belleville, perché ho paura di farmi derubare. Forse pensa che io esageri, ma è la verità.» Questa insicurezza ha spinto la comunità cinese a manifestare, per la prima volta nella sua storia, il 20 giugno 2010. Migliaia di persone (8.500 secondo la polizia, 30.000 secondo gli organizzatori) attraversarono allora il quartiere di Belleville in segno di protesta, dopo un'aggressione avvenuta durante un pranzo nuziale. Un anno dopo, il 19 giugno 2011, nuova manifestazione con lo slogan «la sicurezza è un diritto»: il figlio di un ristoratore cinese, aggredito violentemente, era finito in coma. Da allora è stata creata una brigata specializzata sul campo (Bts), che ha intensificato i pattugliamenti intorno alla metro Belleville, a cavallo fra gli arrondissements 10, 19, 20. E Guo trova il quartiere più tranquillo – anche se ormai ha trasferito l'attività ad Aubervilliers. Tuttavia, fa osservare, «la violenza di oggi è molto più pericolosa. Prima, i ladri strappavano le borse e rubavano il denaro; adesso colpiscono subito la vittima». Lo testimonia la morte, ad Aubervilliers, di Zhang Chaolin, un operaio cinese di 49 anni percosso da tre giovani. Il fatto ha determinato un'altra manifestazione, il 4 settembre 2016: cinquantamila persone (15.500 secondo la polizia), in gran parte cinesi ma anche vietnamiti, cambogiani, coreani ecc, di ogni età e professione, a piazza della République, a Parigi, al grido di «Liberté, égalité, fraternité et sécurité» («libertà, uguaglianza, fraternità e sicurezza»). La protesta, lanciata da 64 organizzazioni cinesi e asiatiche, come l'Associazione dei cinesi residenti in Francia, quella dei giovani cinesi di Francia e quella dei commercianti, è stata impressionante per il numero e la determinazione dei partecipanti, e per il rigore dell'organizzazione. Il 13 agosto 2016, il giorno dopo la morte di Zhang, un gruppo di persone si era riunito presso l'avvocato Wang Lijie, a Parigi. «Abbiamo deciso di manifestare il giorno successivo», ricorda Wang Rui. Una prima manifestazione spontanea ad Aubervilliers ha visto la partecipazione di mille persone. Alla seconda, il 21 agosto, il numero di manifestanti si era quadruplicato. Le due mobilitazioni sono state una base solida per il futuro movimento. Giovani e anziani, pur uniti nel reagire, non hanno sempre gli stessi punti di vista, soprattutto rispetto ai rapporti con le autorità del paese d'origine. «Noi giovani non siamo d'accordo con la decisione di fare appello all'ambasciata cinese», dichiara Wang Rui. Per i più adulti si tratta invece di un passo indispensabile. Ai loro occhi, certi giovani hanno dimenticato le proprie radici. Secondo uno dei partecipanti, i funzionari cinesi hanno assistito a tutte le riunioni, salvo la prima. Niente di più normale per Wu Changong, redattore di Huarenjie, giornale in mandarino pubblicato a Parigi: «Zhang Chaolin era un cittadino cinese». Per superare l'ostacolo della divisione, Chi Wansheng, presidente dell'Associazione dei cinesi in Francia - l'organizzazione comunitaria più importante e antica -, ha proposto di ripartire i compiti fra le associazioni. «Questo modo di procedere si è rivelato efficace. Altrimenti, la manifestazione non sarebbe riuscita», riconosce Wang Rui, che il movimento ha incaricato della comunicazione in francese, mentre quella in cinese era assicurata da Whu Changong. In questo modo, sono riusciti a raggiungere tutta la comunità cinese che vive in Francia. L'ampiezza della mobilitazione ha fatto nascere il sospetto di un sostegno da parte di Pechino. Ma, per la ricercatrice Wang Simeng, è stato tutto merito «della comunità cinese di Francia, che è arrivata a una certa maturità». I rappresentanti della seconda generazione, spiega, hanno 30 anni e oltre; hanno conosciuto le due manifestazioni del 2010 e del 2011, e vogliono «essere considerati francesi a pieno titolo». Hanno approfittato delle reti sociali per comunicare, con l'approvazione da parte degli anziani. Ed è stato il segreto della riuscita. Ovviamente il discorso solo in cinese di Lu Qinjiang, consigliera dell'ambasciata della Repubblica popolare cinese, ha suscitato perplessità. Ancor oggi, Wang Rui ripete che «i giovani erano contro questo invito», che egli considera una macchia sul movimento. I giovani erano ugualmente contrari a qualunque discorso da parte di politici francesi. Wang Simeng assicura che se il movimento si fosse prodotto venti anni fa, «l'ambasciata cinese non avrebbe assistito, perché le diaspore erano abbandonate a se stesse». E pensa che si tratti di un recupero politico: «Per la Cina, ormai la diaspora conta e ha un ruolo da giocare - un ruolo economico e comunicativo». Ma non è certo che la nuova generazione, che si vede completamente francese, sia sulla stessa lunghezza d'onda. Non a caso, davanti all'impressionante folla radunata a piazza della République, Wang Rui ripeteva nel microfono: «Questa manifestazione è nostra, di noi manifestanti!».

(1) Il film di Philippe de Chauveron (2014) racconta la storia di una coppia di francesi della borghesia cattolica le cui figlie sposano uomini di origini e religioni diverse.
(2) La cifra varia fra 300.000 (secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro) e 600.000 (secondo alcuni esperti).
(3) Henri Simon, «France: l’immigration chinoise», Échanges, n. 121, Parigi, estate 2007.
(4) Yu-Sion Live, «Les Chinois de Paris: groupes, quartiers et réseaux», in Antoine Marès e Pierre Milza (a cura di), Le Paris des étrangers depuis 1945, Pubblicazioni della Sorbonne, Parigi, 1995. (5) Luc Richard, «...Aubervilliers, après le “miracle chinois”», Marianne, Parigi, 17 agosto 2013. (6) Sandrine Trouvelot, «Immigration: pourquoi les Chinois réussissent mieux que les autres», Capital, Parigi, 6 dicembre 2012.
(7) Cris Beauchemin, Christelle Hamel e Patrick Simon (a cura di), Trajectoire et origines. Enquête sur la diversité des populations de France, Institut national d’études démographiques, coll. «Grandes enquêtes», Parigi, 2008.
(8) Gao Yun e Véronique Poisson, «Le trafic et l’exploitation des immigrants chinois en France», Ufficio internazionale del lavoro, Ginevra, marzo 2005.
(Traduzione di Marianna De Dominicis).
*giornalista
Il Manifesto Alias 29.04.2017
Per non perdere l’orientamento tra cinquemila anni di storia
di L.D.S.


Sarà un lungo viaggio, dove la sola fatica è quella che lascia addosso il peso delle emozioni. Settanta soste, ognuna esempio, dimostrazione, conferma, di come la Via della Seta sia stata nella complessità della sua storia un mondo a parte, disegnato da confini estranei alle geografie politiche, abitato non da uno ma da cento popoli, privo di una lingua ufficiale e di una cultura dominante. Settanta soste e cinquemila anni, cui la mostra aveva il compito di dare giusto ordine. Ma se questo serve al visitatore per comprendere lo scorrere del tempo e degli avvenimenti, occorre un duplice sguardo per riuscire ad arrivare oltre l'evidente bellezza. Comincerete, dunque, prestando attenzione alle date e ai nomi; ammirerete la coppa afghana in lapislazzuli, Terzo Millennio prima di Cristo, e il gruppo di suonatori cinesi a cavallo, VIII secolo; vi stupiranno Il Buddha del Ghandara, Secondo/Terzo secolo, e il piviale duecentesco del pontefice Benedetto XI, tessuto in oro orientale; scoprirete precisi rimandi alle sculture della Grecia Classica nel Bodhisattva pakistano, III secolo; cercherete luoghi a voi familiari sul gigantesco Mappamondo di Fra Mauro (1448 - 1459) e sugli emisferi della Descrizione Illustrata del Mondo (1674), del gesuita Ferdinand Verbiest, Direttore dell'Osservatorio astronomico imperiale di Pechino. Vi comporterete, insomma, da interessati e disciplinati viaggiatori sui tracciati della Via della Seta. Il secondo sguardo passerà invece attraverso il gioco delle emozioni citate poco più su. Un gioco che ignora l'ordine prestabilito, lo scompiglia, mescola i secoli. Così ha fatto chi scrive, e adesso prova a darvene conto in modo del tutto soggettivo. Gli occhi non riescono a cancellare l'immagine del bassorilievo funerario proveniente da Palmira, Terzo Secolo, pietra di calcare dipinta e dorata. La figura femminile, mano sinistra alla tempia, l'altra poggiata all'altezza della vita, è resa ancor più nobile dall'oro della corona che le cinge la fronte, della collana, del bracciale intorno a un polso. Dietro di lei l'immagine di un bambino che indossa una tunica e regge un grappolo d'uva e un uccello. Chi siano stati lo dice la scritta in aramaico 'Figlia di ML, ahimé!', 'Figlio di QRD, ahimé'. Invocazione dolorosa che coglie pensando a Palmira, città carovaniera e di meravigliose rovine, resa fantasma dall'assurda violenza delle soldataglie dell'Isis. Baghdad o Isphahan, Mesopotamia o Persia, sono le patrie dei ceramisti che nel Nono o Decimo secolo diedero forma alla coppa della pasta vitrea azzurra chiamata Korasan, assai simile al turchese. Gli orefici di Bisanzio vi aggiunsero la montatura in oro e pietre preziose. Piccoli capolavori sono le statuette cinesi del Cammelliere su cammello battriano, cioè proveniente dalla Battria, regione dell'Afghanistan; il Guardiano di Tomba, il Mercante centrasiatico, l'attendente, datati alla Dinastia Tang, 618-907. Capolavori nei capolavori, ancora di epoca Tang, la Cavallerizza, che sul retro della sella porta un animale da caccia, forse un felino, e soprattutto lo Straniero dal volto velato. Testimone delle tante etnie che sulla Via della Seta vivevano o transitavano, l'unica certezza a proposito del misterioso personaggio è la sua origine caucasica. La postura sospesa, una gamba ripiegata e l'altra allungata, ha dato spazio alle più diverse ipotesi. Alcuni lo ritengono un sacerdote zoroastriano, i lineamenti nascosti dal velo rituale, nell'atto di manipolare i bastoncini della cerimonia del fuoco; per altri si tratterrebbe di un danzatore o di un suonatore di tamburo; altri ancora lo identificano in un conducente di carro o di cammello, con le redini in pugno; oppure, guardando alla veste candida, come un attore in scena. Seppure giunto in copia a Torino per ragioni conservative, l'originale è custodito all'Archivio di Stato di Venezia, il testamento di Marco Polo, 9 gennaio1324, ferma il respiro di chi prova a decifrarne le parole. Perché quel semplice elenco di lasciti e disposizioni lo ha dettato alla fine della sua vita l'autore del Milione, quasi ottocento anni fa. Sopra il Sigillum tabellonis apposto dal notaio, Marco lasciò scritto di aver toccato la pergamena per rendere legittime le sue volontà, Signus Manus. Il Buddha stante, India Utthar Pradesh, Quarto/Sesto secolo, è creatura immobile di arenaria rossa. Monca delle mani, la destra era stata probabilmente fissata nel gesto della rassicurazione, abhayamudra, il palmo rivolto all'esterno, mentre la sinistra sorreggeva un velo. Il volto è illuminato da un sorriso leggero e sottile, gli occhi rivolti verso il basso sembrano guardare qualcuno. Le linee del corpo, piene e armoniose, sono avvolte nel drappeggio della veste. Un'aureola circonda la testa su cui spicca l'usnisa, la protuberanza simbolo della dilatazione della coscienza. Basta, adesso. Perché adesso tocca a voi. Settanta soste e cinquemila anni da attraversare, dimenticando subito e senza averne precisa coscienza che la Via della Seta è a Torino, dentro lo spazio di una mostra.

Alla realizzazione della mostra hanno concorso, insieme alle collezioni del MAO, reperti da musei italiani ed europei. Tra questi il Musée du Louvre e il Musée Guimet di Parigi, il Museumfür Byzantinische Kunst di Berlino, il generosissimo Museo delle Civiltà / Museo Nazionale d'Arte Orientale Giuseppe Tucci di Roma, la Biblioteca Apostolica Vaticana, il Museo Nazionale del Bargello di Firenze, l'Archivio di Stato di Venezia. L'ultima sala è riservata alle opere di artisti cinesi contemporanei che si sono ispirati alle tradizioni antiche. Citazione speciale per Qiu Qijing, autore della scultura Capriccio d'acqua, in giada, evidente citazione delle onde di Hiroshige, e del gigantesco Cavallo, rame smaltato in nero, collocata nel giardino orientale che precede l'ingresso (lds)
Il Manifesto Alias 29.04.2017
Via della Seta a Torino
di Luciano Del Sette


La mappa all'ingresso della mostra forse vi deluderà, ma certamente vi farà capire come stavano le cose. Prima di entrare, anche per voi, la Via della Seta che dall'Europa portava al Sud est Asiatico e alla Cina era una e una soltanto. La mappa sbriciolerà le vostre certezze e la romantica definizione, Seidenstraße, Via della Seta nell'idioma tedesco, coniata nel 1877 dal barone Ferdinand von Richthofen. Erano invece quattro le vie, tre di terra e una marittima. Migliaia di chilometri e di miglia. Già che ci siamo,mettiamo fine a un altro mito. Nessuno o quasi, sia nell'antichità che ai tempi delle grandi spedizioni, percorse queste vie da un capo all'altro. Nessuno o quasi partì, ad esempio da Genova o Venezia, arrivando in un solo tragitto a Chang'an, l'attuale Xi'an, capitale dell'impero per dieci dinastie. Ci si muoveva su percorsi per così dire brevi, usufruendo di una rete stradale che con il trascorrere dei secoli si dotò di un vero e proprio sistema di strutture di accoglienza e approvvigionamento. Le relazioni e gli scambi commerciali avvenivano principalmente lungo le regioni del bacino del fiume Tarim (nello Xinjiang) e della Transoxiana, corrispondente oggi a Uzbekistan e Kazakistan; sugli snodi di Samarkanda, Bukhara e del Pamir; sull'area che dall'Iran arrivava alla Penisola Arabica e al Mar Mediterraneo. Le vie, la Via, erano Babele di lingue, razze, fedi, nazionalità, dove si incrociavano mercanti, religiosi, delinquenti, diplomatici, uomini di scienza; dove si contrattavano merci, si ottenevano informazioni, si imparava a conoscere culture e tradizioni altrui. Verso Occidente od Oriente si attraversavano deserti, pianure, catene montuose, senza cognizione precisa di connessioni e collegamenti. Periodi di splendore. Le vie, la Via,ebbero due periodi di particolare splendore. Con il secondo Impero cinese, alla fine del VI secolo, e la pax sinica, la capitale Chang'an divenne il fulcro di una fortissima espansione territoriale ed economica che aprì nuovi orizzonti a carovane e navi; divenne il luogo di partenza, la meta da raggiungere. La presenza straniera in Cina aumentò a dismisura, tanto che Chang'an, due secoli dopo, arrivò a contare un milione di abitanti e circa centomila residenti da oltreconfine. Il secondo periodo aureo coincise con il regno di Kublai Khan, che mise fine alla lunga instabilità iniziata dopo la morte di Gengis Khan, nel 1227. Il Khanper antonomasia aveva unificato le tribù mongole, lasciando un impero di ventisei milioni di chilometri quadrati. Sotto Kublai arriveranno a trentatré. La Via fu riaperta e gli scambi commerciali non solo ripresero,ma prosperarono. Il calo dei prezzi delle merci asiatiche favorì l'Europa,spianando il cammino verso la Cina a personaggi quali Giovanni da Pian del Carpine, autore della Historia Mongalorum. Marco Polo fu tra i pochissimi a raggiungere il Celeste Impero portando a compimento l'intero viaggio, e il suo Milione alimentò le ipotesi e le rotte delle esplorazioni del XV secolo. Il mondo, grazie alla Via, divenne sempre meno sconosciuto. Lo descrissero con crescente minuzia di particolari, ad esempio il planisfero quattrocentesco di Fra'Mauro e, dal '500 al '600, le mappe e i resoconti del gesuita Matteo Ricci. E poi? Scrive l'accademico Louis Godart nell'introduzione al catalogo della mostra «Negli anni Sessanta del Novecento la magica espressione 'Via della Seta' sarà ripresa da archeologi e storici. Alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso l'Unesco, attenta a rilevare i rapporti interculturali, esalta il concetto per evidenziare i legami tra l'Estremo Oriente, in particolare la Cina, l'Asia Centrale e il mondo occidentale. Parallelamente la nozione si allarga perché esistono anche vie marittime della seta, e abbraccia tutti i paesi bagnati dal Mare della Cina, dall'Oceano Indiano e dall'Atlantico». Una cintura. È questo il passaggio che conduce alla Nuova Via della Seta, progetto per nulla metaforico e romantico, promosso dal governo cinese. Yidai yilu, 'Una cintura e una via', il suo nome, tradotto in inglese con l'acronimo OBOR, One Belt, One Road. Obiettivo la cooperazione tra i paesi dell'Asia, dell'Africa e dell'Europa, sessantacinque in tutto, cioè il 70% della popolazione terrestre,il 55% del PIL globale e il 75% delle riserve energetiche sul pianeta. Risultato? Quando il progetto si concretizzerà, Pechino vedrà crescere i suoi commerci di 2500 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni. In quest'ottica, il presidente Xi Jinping, oltre ad avviare un imponente piano di riforme in vari settori, ha creato la Asian Infrastructure Investment Bank, alternativa alla Banca Mondiale, con la partecipazione di cinquantasei nazioni tra cui l'Italia. Il Fondo perla Via della Seta finanzierà con quattromilamiliardi di dollari la costruzione di aeroporti, autostrade, linee ferroviarie, oleodotti. Il patto tra Asia ed Europa, nelle concrete intenzioni di Xi, si contrapporrà ai trattati commerciali TTIP e TPP, attraverso i quali gli Stati Uniti, mediatori protagonisti, puntano a limitare i rapporti tra Asia ed Europa. Main sponsor della mostra è il Gruppo Shane, primo produttore di tè Tiguanyin in Cina, ventitré chilometri quadrati di piantagioni nel Fujian. Superfluo domandarsi se abbia già indossato la cintura Yidai e stia camminando sulla Nuova Via della Seta.

Dall'antica alla nuova Via della Seta MAO, Museo di arte Orientale, via San Domenico 11, tel.0114436927, fino al 2 luglio, info maotorino.it. È possibile effettuare visite guidate, idea da prendere seriamente in considerazione, prenotando allo 0115211788. Il costo aggiuntivo è di cinque euro. Altro piccolo e redditizio investimento è il catalogo, 35 euro, oltre quattrocento pagine, per approfondire la storia della Via. Prezioso nei saggi introduttivi, restituisce il percorso della mostra attraverso centinaia di splendide fotografie. (lds)
La Repubblica 01.05.2017
Il caso/
A Trapani l’inchiesta gemella a quella di Catania
era in corso da un anno: “Clamore dannoso”
L’ira dei pm che indagavano in silenzio
di Francesco Viviano e Alessandra Ziniti


TRAPANI. Un'indagine nata per caso dall'inchiesta sul direttore della Caritas di Trapani che faceva ottenere permessi di soggiorno ai migranti in cambio di prestazioni sessuali, poi corroborata da importanti elementi venuti fuori in occasione di sbarchi e arresti di scafisti, costituisce oggi il contenitore processuale di quella che gli inquirenti definiscono la «più avanzata» delle inchieste sul fronte dei presunti contatti tra trafficanti di uomini e alcune organizzazioni umanitarie di recente fondazione. Quelle che per il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro sono «ipotesi di lavoro» basate su «certezze» ma non su prove utilizzabili processualmente, a Trapani sono qualcosa di più. Qui, da molti mesi ormai, ci sono telefoni che "parlano", verbali di interrogatorio di migranti salvati da navi umanitarie ma anche di alcuni "scafisti per necessità", migranti ai quali i trafficanti hanno offerto il viaggio gratis chiedendo loro di mettersi alla guida di gommoni sgangherati per poche miglia in attesa dell'arrivo delle navi dei soccorsi. A differenza di Catania, a Trapani l'inchiesta, rimasta segretissima fino ad ora, conta su atti di polizia giudiziaria, raccolti dagli investigatori della squadra mobile coordinati dal sostituto procuratore Andrea Tarondo, lo stesso titolare dell'inchiesta che ha portato all'arresto e alla condanna di don Salvatore Librizzi, allora direttore della Caritas, alla testa di una vera e propria holding di cooperative che, d'intesa con l'allora vescovo Micciché - anche lui sotto inchiesta e costretto alle dimissioni dal Vaticano - aveva fatto dell'accoglienza ai migranti un enorme business con tanto di uso distorto dei contributi dell'8 per mille. Sull'inchiesta trapanese gli inquirenti si mantengono abbottonatissimi senza nascondere il disappunto per il clamore scatenato dalle dichiarazioni di Zuccaro. «Stiamo lavorando da molti mesi in silenzio assoluto, ben prima che il rapporto di Frontex accendesse questo dibattito - si limitano a dire - e adesso questi riflettori accesi rischiano seriamente di compromettere un lavoro serio e importante su fatti concreti». Nessuna inchiesta generalizzata sull'operato delle Ong, ma indagini partite dall'individuazione e dall'arresto di scafisti, corroborate dal sequestro dei loro telefoni cellulari e dall'analisi delle rubriche e del traffico di dati, incroci di tabulati e intercettazioni disposte a caccia di riscontri delle testimonianze di migranti e scafisti. Sono stati loro a raccontare le nuove modalità dei viaggi, ormai di poche miglia, diretti non più sulle coste della Sicilia ma verso la zona, a ridosso del confine delle acque libiche, in cui incrociano le navi delle Ong. Agli scafisti, dotati di telefono, il compito di sollecitare i soccorsi. E il numero chiamato - in qualche caso - non sarebbe quello della sala operativa della Guardia costiera di Roma. È un sistema che tra l'altro avrebbe fatto precipitare a prezzo di saldo il costo della traversata, vista la sua breve durata su mezzi di fortuna: 4-500 euro contro i 5.000 di tre anni fa.
La Repubblica 03.05.2017
L’ira dell’Archistar: “All’estero dicono: lì non c’è nessuno che parli inglese”. Per Condotte l’opera è conforme al progetto.
Fuksas: “Che pasticcio la mia Nuvola costruita in mezzo alla strada”.
di Arianna Di Cori


ROMA. «Sono scioccato nel venire a sapere una cosa così dai giornali. Ma se nemmeno il Comune o l'ente Eur ne erano a conoscenza abbiamo un problema». All'indomani delle rivelazioni di Repubblica sulla traslazione di due metri della sua Nuvola, il nuovo centro congressi nel quartiere romano dell'Eur, Massimiliano Fuksas è incredulo: fa domande, cerca di capire come sia possibile che per quasi dieci anni nessuno abbia rilevato l'errore. Sul complesso edilizio - formato da un grande edificio in vetro e acciaio e un hotel, costato 363 milioni di euro tra realizzazione e oneri concessori - si è stagliata, è il caso di dirlo, una nuvola nera. Lo spostamento, che secondo Eur spa è «avvenuto nel 2008, in fase di startup del progetto» ma del quale nessuno si è accorto fino al mese scorso, fa sì che il nuovo marciapiede alberato occupi parte della carreggiata di viale Europa, una delle strade che costeggiano l'edificio, intralciando il traffico. Eur spa ha avviato un'indagine interna, e mentre il Campidoglio è alla ricerca di soluzioni si fanno i conti del danno d'immagine. Davvero lei non sapeva? «Fino al 2008 sono stato responsabile del progetto esecutivo, ma una volta che la sua conformità è stata appurata, tutto è passato alla ditta costruttrice. E devo dire che mi sembrava che tutto andasse bene. Comunque, non avendo più l'incarico, non sono nemmeno potuto andare a controllare che si procedesse come da programma». Condotte spa, la ditta che ha portato a termine i lavori, precisa di «aver eseguito l'opera in conformità al progetto di contratto e alle varianti che di volta in volta venivano richieste». «E mi sembra giusto. Ma allora chi è l'assassino? A questo punto credo ci sia stato un problema nel momento in cui è stato tracciato il perimetro a terra. Ma non è un errore di cui io mi sarei potuto accorgere. È il direttore dei lavori a fare tutti i controlli. Certo: se fossi stato interpellato, mi sarei prodigato per risolvere il problema. E magari avrei anche aiutato a tappare qualche buca». È un errore preoccupante, secondo lei? «Sono più preoccupato per il funzionamento del centro congressi. È un complesso che potrebbe ospitare 10mila persone, un vero volano per l'economia di Roma. Ma dopo l'inaugurazione, restano i problemi di gestione. Chiamano il mio studio da tutto il mondo per chiederci come entrare in contatto con qualcuno che parli inglese per prenotare i congressi. E noi non sappiamo che fare. Siccome si chiama "Nuvola di Fuksas" pensano che sia io il diretto responsabile, ma non è così, purtroppo». Che soluzioni vede? «Secondo me l'unica è ridurre la sezione di viale Europa, diminuire le auto e ampliare l'area pedonale. Riprendere a piantare alberi anziché asfalto. È triste che a sei mesi dall'inaugurazione un progetto nato per restituire ai romani una grande piazza, nel pieno rispetto del modello urbanistico dell'Eur, sia ancora un luogo chiuso, recintato». Si sente ancora il padre della Nuvola? «Shimon Peres - con cui ho costruito il Centro della Pace a Tel Aviv - mi disse che i sogni realizzati nel passato devono essere inferiori a quelli da realizzare nel futuro. Sono parole sagge. Oggi penso ai miei nuovi figli nel mondo".
La Repubblica 01.05.2017
Cari architetti, il vostro lavoro comporta una responsabilità etica perché incide sull’ambiente
Il nuovo saggio di Salvatore Settis è una riflessione su città e paesaggio sui rischi che corrono, sui valori che incarnano e sul ruolo di una professione che assume uno spiccato rilievo politico
I tessuti urbani non hanno più confine. Gli insediamenti si disperdono.
di Francesco Urbani

Parafrasando Le Corbusier, Leonardo Benevolo insisteva spesso su un concetto: l'architettura è un servizio che si presta all'uomo per l'intera sua vita quotidiana. E questa, aggiungeva l'urbanista scomparso all'inizio di quest'anno, è l'unica architettura che conti veramente. Dal canto suo un altro urbanista morto anche lui di recente, Bernardo Secchi, raccontava come l'architettura potesse incrementare o ridurre le disuguaglianze e come essa, compiendo una scelta politica, avesse la possibilità di orientare i propri dispositivi, proponendosi di realizzare una città a misura di ricchi o, al contrario, che migliorasse la condizione dei più poveri. Si muove in un analogo recinto di concetti, arricchendolo con le proprie specifiche competenze, Architettura e democrazia. Paesaggio, città, diritti civili (Einaudi), il nuovo saggio di Salvatore Settis, che, recuperando il frutto di sue precedenti riflessioni, raccoglie rielaborandole una serie di lezioni tenute all'università di Mendrisio. La destinazione ha il suo senso: storico dell'arte e dell'archeologia, intellettuale dal respiro ampio, Settis si rivolge a chi studia architettura esortandolo ad acquisire cognizioni tecniche irrorate però d'una robusta preoccupazione politica ed etica, perché con il proprio lavoro s'interviene sugli assetti di una città e di un territorio. E dunque s'incide in un paesaggio, che non è una veduta, un luogo panoramico, ma l'ambiente in cui vive una comunità, lo spazio sociale in cui si esprimono valori e diritti. Nelle ultime pagine del volume Settis cita Lina Bo Bardi, architetta italiana trasferitasi in Brasile nell'immediato secondo dopoguerra. Per lei, l'architetto moderno deve essere «un combattente attivo nel campo della giustizia sociale» e deve «alimentare in sé il dubbio morale, la coscienza dell'ingiustizia umana, un sentimento acuto di responsabilità collettiva». Ma il contesto nel quale praticare queste attitudini è quello tumultuoso delle trasformazioni urbane che, argomenta Settis, vanno in tre direzioni: la perdita nelle città di un senso del limite, per cui a centri storici e a periferie novecentesche si sommano espansioni non governate, sparpagliate in un territorio che non acquista nessuna dimensione urbana, pur sottraendo territorio alla campagna; i confini, però, dall'esterno si trasferiscono all'interno della città, perimetrando le zone del disagio e quelle dell'agio; simbolo prorompente, infine, di una penetrante finanziarizzazione delle trasformazioni urbane sono, per Settis, i grattacieli che si sfidano reciprocamente in altezza in una accesa competizione ingaggiata fra città su scala globale. È evidente quanto il richiamo alla responsabilità etica dell'architetto sia una condizione necessaria ma non sufficiente a garantire che città e paesaggi assicurino a tutti uguali diritti: accessibilità, qualità della vita, mobilità, spazi pubblici, servizi, salubrità… Le trasformazioni urbane sono in grande misura sottoposte al negoziato fra autorità pubblica, da una parte, e proprietari di aree, investitori e immobiliaristi, dall'altra. Per cui il progetto d'architettura si muove negli spazi dettati da una contrattazione in cui più raramente il pubblico assume posizioni di forza. Le incontrollate espansioni della città o anche certe rigenerazioni di luoghi dismessi e abbandonati sono frutto di calcoli economici o finanziari, prima che intraprese d'architettura. Ma è anche vero che si trovano spesso architetti di fama disposti a offrire brillanti coperture professionali ad operazioni che mirano soprattutto al profitto privato. E che con un'alzata di spalle replicano a chi fa loro notare che un'ottima fattura progettuale e persino un'efficiente resa ambientale ed energetica possono essere il decorativo belletto d'una sfacciata speculazione. Quasi che la funzione di un architetto, concentrata sulla qualità dell'edificio, non investa il chi, il dove, il perché e il per chi si costruisce e sia indifferente a quanto il singolo intervento sia frutto o meno di una corretta pianificazione urbanistica - la primaria garanzia che un'architettura sia una buona architettura. La questione etica può riguardare grandi interventi, ma anche trasformazioni di più modeste pretese - modeste, ma estese come dimensioni - nelle quali coinvolte non sono le archistar o presunte tali. Le lezioni di Settis sono rivolte a chi sta formando un repertorio culturale e tecnico, a chi si appresta a disegnare lo spazio in cui agisce la vita di tutti. Esse allargano lo sguardo su cos'è un paesaggio, su quella che una lunga tradizione filosofica e letteraria chiama la "seconda natura", sul rapporto fra cultura e natura, fra l'edificato e il contesto naturale, sul patrimonio storico-artistico e archeologico. E soprattutto sugli obblighi che la nostra contrae con le future generazioni. (+ ATTACCO ALL'ARTE L'Asino d'oro edizioni)
Il Fatto quotidiano 3.5.2017
Chiesta l’archiviazione per il radicale
Cappato che andò a Zurigo con Fabiano
I pm su dj Fabo: “Fine dignitosa un suo diritto”
di Davide Milosa


Milano
Se la richiesta della Procura di Milano sarà accettata dal giudice, la decisione che ne nascerà sarà certamente destinata a fare storia. Sul tavolo un tema delicato come l'eutanasia. Al centro il diritto alla dignità umana. Nel documento dei pm Tiziana Sicliano e Sara Arduini, depositato ieri, la richiesta di archiviazione della posizione di Marco Cappato, esponente radicale e tesoriere dell'associazione Luca Coscioni, che lo scorso 28 febbraio ha accompagnato in Svizzera, al centro Dignitas vicino a Zurigo, Fabiano Antoniani, in arte dj Fabo, il 40enne tetraplegico e cieco dopo un incidente di macchina. In Svizzera, Fabo è riuscito a fare quello che il governo italiano e la legge del nostro Paese vietano da sempre, ovvero decidere di morire. ECCO, allora, il punto. Per quei fatti Cappato, dopo la sua auto-denuncia, è indagato con l'accusa di "aiuto al suicidio". Nell'iscriverlo la Procura ha fatto riferimento all'articolo 580 del Codice penale, che prevede la contestazione per "chiunque aiuta o determina altri al suicidio ovvero ne agevola in qualsiasi modo l'esecuzione". Reato che prevede una pena fino a 12 anni di galera. Ieri, però, la procura di Milano, in 15 pagine di motivazioni, ha chiesto l'archiviazione, ma non, come avviene di solito, perché il reato o non è stato commesso oppure non è provato, ma proprio perché l'azione di Marco Cappato non è un reato, ma, e qui sta la grande novità, è un modo per favorire un diritto. Ecco allora cosa si legge nella richiesta dei pm: "Le pratiche di suicidio assistito non costituiscono una violazione del diritto alla vita quando siano connesse a situazioni oggettivamente valutabili di malattia terminale o gravida di sofferenze o ritenuta intollerabile e/o indegna dal malato stesso. Non pare peregrino affermare che la giurisprudenza anche di rango costituzionale e sovranazionale ha inteso affiancare al principio del diritto alla vita tout court il diritto alla dignità della vita inteso come sinonimo dell'umana dignità". Si esce dunque dalla sfera penale e si entra in quella, diametralmente opposta, dei diritti. NATURALMENTE quella di ieri è solo il primo tempo di una fase giudiziaria ancora tutta da definire. Ora, infatti, la palla passa al giudice per le indagini preliminari che potrà accettare la richiesta del pm oppure rimandarla indietro per ulteriori approfondimenti. Se ci fosse una bocciatura e una seconda richiesta di archiviazione dei pm, allora il gip potrebbe decidere per un'imputazione coatta. Se dovesse succedere, allora la procura dovrà chiedere il rinvio a giudizio con conseguente apertura di un'udienza preliminare. In realtà la richiesta dei pm sembra ben motivata, visti i continui riferimenti costituzionali. Come l'articolo 32 della Costituzione, citato dai pm e che toglie a un atto il suo valore antigiuridico se viene esercitato per agevolare il diritto alla dignità umana. Cosa, è il ragionamento della procura, avvenuta nel caso di dj Fabo. E del resto, già il 28 febbraio, il procuratore di Milano Francesco Greco sull'iscrizione di Cappato aveva specificato: "Sarà valutata sotto tutti i profili giuridici, compresa la giurisprudenza della Convenzione europea sui diritti dell'uomo. Ci sono diversi profili da affrontare". In serata Cappato ha commentato: "Prendo positivamente atto della richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura dopo le indagini svolte nei miei confronti in merito alla morte di Fabiano Antoniani. In attesa della decisione, posso confermare che è in corso l'azione di aiuto alle persone che vogliono ottenere, in Italia o all'estero, l'interruzione delle proprie sofferenze, anche attraverso l'assistenza medica alla morte volontaria in Svizzera". © RIPRODUZIONE RISERVATA
La Repubblica 3.5.2017

1) La battaglia sul fine vita
IL COMMENTO
Ancora una volta la magistratura arriva prima del Parlamento
MICHELA MARZANO
DIRITTO alla vita o alla dignità della vita? Per la procura di Milano, i due diritti non sono in contrasto tra di loro. Anzi. Dovrebbero sempre poter essere bilanciati. E quando ci si trova immobilizzati "in una notte senza fine", come disse un giorno dj Fabo parlando della propria esistenza, non può che essere il diritto alla dignità della vita a prevalere sull'esistenza. Sono queste le ragioni che hanno spinto due pm milanesi, Tiziana Siciliano e Sara Arduino, a chiedere l'archiviazione per Marco Cappato, recentemente indagato per aiuto al suicidio in relazione proprio alla morte di dj Fabo. Citando la Corte europea dei diritti dell'uomo, la Consulta e la Corte di Cassazione, la Procura ha ricordato non solo l'importanza fondamentale del diritto all'autodeterminazione di ogni persona, ma anche il fatto che, quando ci si trova in presenza di «sofferenze insopportabili e prognosi riservata», nessuno dovrebbe arrogarsi il diritto di imporre la vita a chi, quelle sofferenze, le sta vivendo sulla propria pelle. Perché ostinarsi a difendere la vita anche quando l'esistenza senza aver perso ogni dignità, ci si strascina malamente e si vorrebbe solo che tutto finisse? Eppure è questa l'idea che, in Italia, continua a prevalere almeno in Parlamento, costringendo ancora una volta la magistratura a farsi interprete dei desideri più profondi di ognuno di noi e a trasformarsi in paladina dell'etica della cura. Che cura ci può essere d'altronde quando ci si incaponisce a invocare il principio di "sacralità della vita" anche quando quella vita, per chi la sta attraversando, non è più vita? Quando non si vuole prendere sul serio la volontà di chi soffre e ci si appella a principi astratti e disincarnati, si finisce col dimenticarsi che la dignità di ognuno di noi deve potersi esprimere sempre, anche in punto di morte, senza che nessuno decida o scelga al posto nostro ciò è giusto o meno fare. E non è solo una questione di rispetto dell'altrui dignità o del diritto che ognuno di noi dovrebbe sempre avere di essere fino alla fine soggetto della propria vita. È anche una questione di pietà, una questione di compassione nei confronti di chi, in presenza di oggettive e determinate condizioni di sofferenza estrema, non può più riconoscere la propria esistenza come degna di essere vissuta. Accanto al diritto alla vita, per Tiziana Siciliano e Sara Arduino, esiste anche un diritto alla dignità della vita, che poi non è altro che quella "dignità umana" tante volte invocata invano e che oggi, finalmente, potrebbe essere restituita a ognuno di noi. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

2) La battaglia sul fine vita
“Questa è una vera svolta la politica ne tenga conto”
MARIA NOVELLA DE LUCA
A FAVORE/ MINA WELBY DELL’ASSOCIAZIONE LUCA COSCIONI
ROMA.
«Una vera svolta. E speriamo che la politica ne tenga conto, proprio adesso che la legge sul Biotestamento arriva in Senato». Mina Welby è entusiasta. La richiesta di archiviazione per Marco Cappato, accusato di istigazione al suicidio, chiesta dalla Procura di Milano, è a suo parere la conferma che «l'Italia è cambiata, e chiede diritti e dignità del morire». Se l'aspettava signora Welby? «Francamente sì. Quello che non mi aspettavo invece sono le parole scritte dalle due pm. E cioè che il suicidio assistito non viola il diritto alla vita, quando questa è ritenuta intollerabile e non più dignitosa da una persona malata. Dette da due giudici sono affermazioni straordinarie». Quanto tutto questo potrà influenzare il Senato? «Moltissimo se i politici ascoltassero davvero la società civile... Il testo licenziato alla Camera è un buon testo, prevede che si possano sospendere sia l'idratazione che la nutrizione, prevede la sedazione profonda. Speriamo che non venga stravolto e che il Governo resti neutrale». In che senso? «Ai tempi della battaglia su Eluana Englaro il governo Berlusconi intervenne pesantemente per condizionare l'iter parlamentare. Questa volta invece la Camera ha potuto lavorare. Anche se, certo, mi piacerebbe sentire la voce di Renzi a sostegno della nostra battaglia per il diritto alla morte dignitosa ». Anche lei signora Welby si è autodenunciata, dopo aver accompagnato a morire in Svizzera Davide Trentini, malato di Sla. «Un'esperienza di un'intensità incredibile. Davide oggi non soffre più, ha concluso la sua vita con dignità. Quello che non dimenticherò mai è l'ultimo saluto tra Davide e sua madre. L'abbraccio in cui lei l'ha stretto prima della partenza per Zurigo è stato il gesto d'amore più estremo che una madre potesse fare». ©RIPRODUZIONE RISERVATA

3) la battaglia sul fine vita
CONTRO/ IL CARDINALE ELIO SGRECCIA
“È un’evidente forzatura così si legittima l’eutanasia”
PAOLO RODARI
ROMA. «È una forzatura, semplicemente il tentativo di legittimare il suicidio assistito che tuttora, piaccia o no, resta illegale ». Il cardinale Elio Sgreccia, presidente emerito della Pontificia Accademia per la Vita, uno dei massimi esperti di bioetica della Santa Sede, non approva le motivazioni che stanno dietro la richiesta della procura di Milano di archiviazione per Marco Cappato in merito alla vicenda che ha portato alla morte di Dj Fabo. Per la procura Cappato ha aiutato Dj Fabo ad «esercitare il diritto alla dignità umana». Non è così? «Non direi. Per la legge italiana c'è l'obbligo di assistere il morente. Le cure palliative esistono proprio per questo motivo. Sono fondate sul principio del curare, dell'essere assistiti, del vivere con dignità». La legge resta però poco chiara. «Questo sì. Ma anche se poco chiara e poco definita, non apre a pratiche che di fatto sono eutanasia». È eutanasia lasciare che sia il paziente ad attivare il pulsante che attiva l'emissione di un farmaco letale? «È sostanzialmente eutanasia prendere un farmaco per uccidersi quanto non prendere un farmaco che ti può salvare. C'è l'obbligo di assistere il morente. Se questo non avviene si forza la legge». Eppure il discrimine entro il quale muoversi resta ampio. «Sì, ma occorre anche capire bene i motivi che stanno dietro la pratica dell'eutanasia o che possono favorire il suicidio assistito. C'è anche il tema che, invecchiando sempre più la nostra società, si vuole risparmiare per non spendere i soldi necessari alla cura. Tutto questo è tuttavia non ammissibile. Se tutto è retto dal risparmiare i soldi allora non siamo altro che merce da buttare. In ogni caso la richiesta della procura è una forzatura che s'inserisce in una controversa che tuttavia ancora non ha diritto d'essere essendo il tutto non previsto dalla legislazione italiana». ©RIPRODUZIONE RISERVATA
La polemica.
Il leader di Campo progressista: “Io mai in un listone Pd”.
Sui numeri delle primarie è scontro, orlandiani all’attacco.
Il caso Ercolano
Pisapia: inaccettabile il no a D’Alema.
E Prodi ricorda i suoi voti: quasi il triplo

La Repubblica 3.5.2017
di Giovanna Casadio
Roma.

Lite sui numeri. L'ultimo atto delle primarie del Pd di domenica è una baruffa sulle percentuali, che i supporter di Andrea Orlando contestano. I dati ufficiali della vittoria di Renzi alla segreteria li darà oggi la commissione che vigila sul congresso dem. Ma Lorenzo Guerini assicura che ci si potrà staccare di pochi decimali da quel 70,1% (1.283.380) di Renzi, dal 19,5% (357.526) di Orlando e dal 10,4% (192.219 ) di Michele Emiliano. Ma per gli orlandiani i numeri sono altri. Il ministro Guardasigilli – calcolano – ha ottenuto il 22,2%, Renzi il 68% e Emiliano il 9,8%. Orlando nega di volere fare polemiche: «I rapporti di forza sono ormai definiti». Ma tra i suoi c'è chi chiede il riconteggio dei verbali regione per regione. «Quanto tempo si può perdere? Tre, al massimo quattro ore» ragiona Sandra Zampa, che della mozione Orlando è portavoce. Numeri che poi disegnano l'Assemblea dei nuovi mille delegati, che si riunirà domenica. Ogni voto peserà, quando, ad esempio, si dovrà decidere la rotta del Pd e le alleanze. Mentre Massimo D'Alema torna all'attacco del segretario: «Renzi ha abbandonato tutti i valori della sinistra eccetto lo stalinismo », dice intervista su La7, respingendo anche l'accusa di tradimento («Io sono in pace con la mia coscienza perché non ho tradito i miei ideali, ho preferito seguire quelli piuttosto che il partito». E anche di D'Alema parla Giuliano Pisapia, leader di Campo progressista. «Non entrerò in un listone di partito unico e tantomeno del Pd», afferma l'ex sindaco che respinge i veti di Renzi proprio su D'Alema e Bersani: «Sono accettabili solo sulle cose da fare non sulle persone». E se il Pd non ci sta «faremo un centrosinistra alternativo» che però non si alleerà mai con Berlusconi o con i 5Stelle. Pisapia non esclude una sua candidatura alle politiche, ma non in una lista-recinto di fuoriusciti dem. Anche se, aggiunge, «la vera scissione del Pd sono stati i 3,5 milioni di voti persi». Gli sfidanti di Renzi denunciano anche la perdita secca di un milione di elettori alle primarie. Il dato è di 1.848.650 elettori ai gazebo. Nelle primarie del 2013 esattamente un milione in più. Romano Prodi poi, ricorda le "sue" primarie: nel 2005 andarono a votare 4 milioni di persone e «i miei voti furono quasi tre volte quelli di Renzi». Gli elettori si sono dimezzati nelle regioni roccaforte del centro mentre in crescita risultano nel Sud. A Ercolano però è polemica sul voto dei migranti a: «Quelli del centro di accoglienza San Vito ci hanno detto di votare Renzi, ci hanno portato con l'auto del centro e dato i due euro» dice uno di loro intervistato da Fanpage.it, aggiungendo di averlo fatto per ottenere un permesso di soggiorno. Ma il sindaco, Ciro Bonajuto, parla di «polverone». L'analisi del voto la farà Renzi nell'Assemblea di domenica. Si eleggera il nuovo presidente del partito, che dovrebbe andare agli orlandiani. In pole position tre donne:la ministra Anna Finocchiaro, Sandra Zampa e Barbara Pollastrini. ©RIPRODUZIONE RISERVATA
Primarie Pd: Vince Renzi ma il popolo di sinistra si dilegua
Il Fatto quotidiano 4.5.2017
Fuga dalle Regioni rosse: cala il consenso del PdR
Un militante su due in Toscana, Emilia, Marche e Umbria diserta i gazebo
di Luciano Cerasa

Un partito in forte crisi di consenso. È questa la fotografia del Pd di Matteo Renzi che emerge dal voto delle primarie. Mentre si cristallizzano faticosamente i risultati, tra lentezze, dubbi di brogli e polemiche, appaiono sempre più fuori luogo i toni trionfalistici con cui nella mozione del futuro segretario continuano a propagandare una vittoria – schiacciante in termini percentuali ma deprimente in cifre assolute – sui due contendenti, Andrea Orlando e Michele Emiliano. Tra il primo segretario "fondatore" dieci anni fa del partito a "vocazione maggioritaria", Walter Veltroni e il leader del Pd di oggi, disponibile alle "larghe intese" con quel che rimane di Forza Italia, Matteo Renzi, ballano esattamente un milione 411mila 332 voti. NEL 2007 alle primarie di esordio, i cittadini che si misero in fila per votare furono tre milioni 554 mila 169. Veltroni si affermò con il 75,82% dei consensi e raccolse 2 milioni 694 mila 721 voti. Nel 2009 per i tre candidati Bersani, Franceschini e Marino andarono a votare 3,1 milioni di persone. Alle primarie 2017 il contatore della commissione elettorale dem si è fermato a un milione 848 mila 658 voti. Ma c'è chi giura nel comitato della mozione Orlando che 200 mila sono di troppo. Matteo Renzi se ne è aggiudicati ufficialmente un milione 283 mila 389. Se uscisse confermato dalle prossime elezioni politiche, la tendenza che si ottiene sovrapponendo, dal 2007 a oggi, le due parabole in discesa dei voti espressi alle primarie e di quelli depositati nei seggi elettorali "veri", il neo segretario dem Matteo Renzi potrebbe diventare a breve il liquidatore del Pd. Alle elezioni politiche del 2008, infatti, il partito guidato dal primatista delle preferenze Veltroni arriva al picco "storico"del 33%. Poi i dem cominciano a sprofondare di pari passo, nei gazebo e nelle urne. Alle primarie del 2013, vinte anche quelle da Renzi, partecipano 2,8 milioni di simpatizzanti. Il "rottamatore" raccoglie allora il favore di un milione e 895mila votanti, 483mila in più delle consultazioni di domenica scorsa. Alle Politiche dello stesso anno il Pd si ridimensiona drasticamente nel segreto dell'urna dal 33 al 25%. Segnali sconfortanti per la tenuta del Pd renziano arrivano anche dal territorio, dove sono più evidenti le cicatrici lasciate dalla fuoriuscita della sinistra ex diessina. Nelle Regioni "rosse" l'affluenza ai gazebo rispetto a 4 anni fa si è più che dimezzata. In Emilia Romagna hanno partecipato alla consultazione 216 mila elettori, contro i 405 mila del 2013. La disaffezione degli elettori tradizionalmente vicini all'area post-comunista del Pd sembra certificata anche dal risicato numero di preferenze racimolate dall'ex diessino ministro della Giustizia Orlando, ben introdotto nella regione rossa per eccellenza, che non è andato oltre il 21,5%. Stesso copione e affluenza a picco in Toscana, dove hanno votato poco più di 200mila persone. Nel 2013 furono 393mila a recarsi ai gazebo. Anche a Firenze ha disertato i seggi delle primarie circa il 50% dei cittadini che avevano partecipato alle primarie nella scorsa tornata. In Umbria questa volta hanno votato in 40 mila, circa il 40% in meno rispetto ai 71 mila del 2013. Votanti dimezzati anche nelle Marche: quattro anni fa votarono 93 mila persone, domenica scorsa 47.350. Ma anche nelle "bianche" regioni del nord la sfiducia dilaga. In Veneto i votanti alle primarie sono passati da 177 mila a 90 mila. In Friuli sono rimasti a casa 22 mila su 47 mila. Flessione anchein Lombardia, da 377 a 226 mila. Su quel che resta sventola la bandiera renziana. LA DISAFFEZIONE per le sorti del Pd si conferma nelle città. A Bologna si passa da 98 mila a 54 mila, Reggio Emilia da 55 mila a 30 mila, a Modena da 70 mila a 35 mila, a Livorno da 14 mila del 2013 ai 7 mila del 30 aprile. Votanti dimezzati anche a Roma, dove si sono recati ai gazebo in 77 mila contro i 150 mila del 2013. Tiene l'affluenza al Sud con alcune regioni in controtendenza. In Basilicata e Abruzzo si registra un aumento di votanti. La Puglia, l'unica regione dove non si afferma Renzi ma il governatore Michele Emiliano con il 62%, si è passati dai 123 mila elettori del 2013 ai 151 mila del
2017. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Il Fatto quotidiano, 5.5.2017
Passa l’“illegittima difesa”
Gli ex Pd l’ultimo ostacolo
La Camera approva il ddl che aumenta le garanzie per chi si protegge con la pistola “di notte”, ma in Senato i voti di Mdp saranno decisivi
Di TO.RO


Come previsto, ieri mattina la Camera dei deputati ha approvato la legge Ermini (Pd) sulla legittima difesa con 225 voti favorevoli, 166 contrari e 11 astenuti. Nella nuova normativa viene ampliata la possibilità di ricorrere all'uso delle armi da parte di chi è vittima di un'aggressione, aumentando le garanzie introdotte della riforma del leghista Castelli nel 2006 (come spiega in questa pagina Bruno Tinti). IL VOTO È STATO accompagnato dalle rumorose proteste in aula di Lega e Fratelli d'Italia, che ritengono insufficienti le novità introdotte per garantire chi usa le armi per difesa personale. Matteo Salvini, che assisteva al dibattito dalle tribune riservate al pubblico, è stato allontanato dai commessi per i suoi schiamazzi poco prima della votazione ("vergogna, vergogna"). Da sinistra la legge è criticata per la ragione opposta. Per il capogruppo di Mdp, Francesco Laforgia, è "un bluff contrario ai principi garantisti", "un pastrocchio del Pd e un arretramento sul piano della civiltà giuridica". Secondo il Movimento 5 Stelle è semplicemente un testo "scritto male". Con motivazioni diverse, quindi, si sono opposti grillini, Lega, Forza Italia, Sinistra italiana e Articolo 1. Proprio dalla posizione del gruppo di Bersani e Speranza dipende il destino della legge al Senato, dove i voti del Pd e degli alfaniani di Alleanza Popolare, da soli, non sarebbero sufficienti. Nonostante il rifiuto senza appello di ieri alla Camera, i bersaniani a Palazzo Madama hanno la priorità assoluta di non tagliare le gambe al traballante governo Gentiloni (per non fare un favore a Renzi). Questa scissione tra i due gruppi parlamentari del nuovo partito è stata già ragione di imbarazzo in occasione delle scelte sui decreti Minniti-Orlando (voto contrario a Montecitorio e favorevoli al Senato). A QUESTO PUNTO, l'atteggiamento di Mdp dipende soprattutto dal governo: se dovesse essere imposto il voto di fiducia, Articolo 1 potrebbe piegarsi ancora e garantire i numeri per la sopravvivenza dell'esecutivo. Anche se non tutti sarebbero disposti a farlo, nel gruppo degli ex Pd. Felice Casson, ad esempio, voterà comunque contro: "Questa legge non solo è sbagliata, ma è anche scritta male tecnicamente: è peggio del codice Rocco-Mussolini". C'è un altro problema, sulla strada della legittima difesa. Lo riconosce lo stesso David Ermini: visto che si tratta di una legge di iniziativa parlamentare, imporre la fiducia rappresenterebbe uno strappo inconsueto persino per gli standard di questa legislatura. E a dirla tutta, non sembra che il Pd sia troppo interessato a combattere questa battaglia fino in fondo.

L’analisi.
Gente che non sa di diritto, ma insiste a scrivere leggi
di Bruno Tinti. 
Si tratta di gente che veramente non capisce niente di diritto; e che tuttavia scrive leggi: i deputati che hanno votato a favore della modifica delle norme in materia di legittima difesa. Dovrei aggiungere che non si tratta di sola ignoranza, ancorché inaccettabile in persone che si candidano (anzi, si dannano) per fare i legislatori. È evidente che il loro entusiasmo è dovuto a semplici esigenze elettorali: i trinariciuti cittadini aspiranti sceriffi che vogliono ricoprire il ruolo congiunto di poliziotto, pm, giudice e boia, purtroppo votano; soddisfare le loro primitive pulsioni assicura un evidente vantaggio. Tutto ciò ha portato all'approvazione di una legge criminogena (salvo un pezzettino che potrebbe innescare una rivoluzione). LA LEGGE VIGENTE (che tale resterà fino a quando il Senato non avrà condiviso questa bestialità) prevede che il cittadino possa utilizzare un'arma da fuoco contro chi si introduce nella sua abitazione e pertinenze (giardino, cantina, garage etc) o nei locali dove svolge il suo lavoro (negozio, ufficio, stabilimento) per difendere se stesso e i propri beni. La novità rispetto al passato (prima del 2006) consiste nel fatto che non è richiesta una proporzione tra il mezzo utilizzato per difendersi e quello utilizzato dall'aggressore: gli posso sparare senza se e senza ma (che è quello che interessa agli sceriffi). Legge equilibrata ed efficiente. Però c'è ancora una fastidiosa condizione: è necessario che chi si introduce in casa abbia un atteggiamento aggressivo oppure che, pur avendolo inizialmente, non decida di desistere, cioè andarsene per i fatti suoi. Così oggi è arrivata la nuova legge: "Si considera legittima difesa la reazione a un'aggressione commessa in tempo di notte ovvero con violenza alle persone o alle cose ovvero con minaccia o con inganno". Micidiale: chiunque si aggira di notte in una casa può essere ucciso. Dimostrando rara furbizia, qualche riserva l'ha avuta persino uno dei più accaniti sostenitori dell'ampliamento dei casi di legittima difesa, il deputato Ermini: "Non può esservi alcun automatismo per evitare che possano consumarsi veri e propri omicidi dolosi, in ambito familiare, magari premeditati e 'mascherati' da legittima difesa. Basti pensare al fatto che ha visto coinvolto l'atleta Pistorius, che ha sostenuto di aver scambiato la giovane fidanzata per un ladro entrato clandestinamente nella sua abitazione". C'è da sperare che analoga iniziativa e tesi difensiva sia fatta propria dai familiari degli entusiasti autori di questa nuova legge, magari senza esiti letali; forse ci ripenserebbero. Non parliamo poi di chi si introduce in casa con l'inganno: "Sono il postino". Non è vero, è un testimone di Jeova (sono insistenti, arrivano anche la sera tardi): bang, molto più definitivo di un "grazie non mi interessa". E attenzione: in questo caso, come anche nel caso di un ladro che ha cambiato idea e se ne sta andando, non c'è spazio per interpretazioni giudiziarie: "Era evidente che non sussisteva nessun pericolo e nessuna aggressione"; di notte sparare è lecito, qualsiasi sia la situazione di fatto: basta che falso postino o ladro entrino in casa, nessun giudice può farci niente. Per completare il quadro, hanno modificato anche l'ipotesi di eccesso colposo in legittima difesa, cioè quando si usa un'arma in una situazione non prevista dalla legge, per esempio contro un ladro in fuga (di giorno, di notte abbiamo visto che si può, se ancora non è uscito dalla casa): "È sempre esclusa la colpa se sussiste la simultanea presenza di due condizioni: se l'errore è conseguenza di un grave turbamento psichico; se tale turbamento è causato dalla persona contro cui è diretta la reazione". "Signor giudice, vero che stava scappando, anzi era già in strada: ma ero così turbato…" ROBA DA PAZZI. Però, come diceva Fabrizio (De Andrè), qualche volta dal letame nascono i fiori. "Quando sia dichiarata la non punibilità per legittima difesa, le spese processuali e i compensi degli avvocati saranno a carico dello Stato", così hanno chiuso la loro performance gli astuti legulei. Il che apre la strada a una bella questione di legittimità costituzionale: perché l'assoluzione comporta il risarcimento delle spese legali solo in questo caso e non per tutti gli altri processi? E l'art. 3 della Costituzione (parità di trattamento, criterio di ragionevolezza etc.)? In effetti, si porrebbe riparo a un'ingiustizia: sono innocente ma ho speso un sacco di soldi, chi me li ridarà? E si eliminerebbero tante denunce pretestuose. Con 3 milioni di processi nuovi ogni anno, non sarebbe male. © RIPRODUZIONE RISERVATA

“I REATI SONO IN CALO”
Roberto Saviano attacca i dem: "Sono il partito della peggior destra" "NON È CONSENTENDO alle persone di armarsi e di sparare che si tutela la sicurezza dei cittadini. È solo un'illusione e una mancia politica per ottenere consenso. Con il decreto Minniti e la legge sulla legittima difesa, il Partito democratico ha deciso definitivamente di essere un partito della peggior destra che fa leva su istinto, ignoranza e luoghi comuni". Roberto Saviano scomunica così, su Facebook, il flirt dei democratici col securitarismo alla Salvini: "La politica decide di abbandonare la statistica (secondo cui per i reati predatori tra il 2015 e il 2016 c'è stato un calo del 16% e non un aumento) per assecondare la percezione del crimine e 'invitare ' i cittadini ad armarsi. La sicurezza si ottiene con politiche sociali, con l'aumento dei controlli, non delegando alla difesa personale, cosa che lascia una tale discrezionalità da rendere pericolosissima questa legge", attacca ancora lo scrittore: "Non è più ciò che realmente accade il criterio guida per stabilire come fare le leggi, ma la percezione che le persone hanno della realtà, una percezione indotta dai media che parlano di insicurezza con argomentazioni leghiste. Quando il nuovo fascismo sarà alle porte ricordiamoci di chi gliele avrà fatte trovare aperte".