Corriere della Sera 1.6.06
Lo sfogo del ministro: io pentito? No
Gli scienziati hanno capito e mi basta
di Fabrizio RonconeROMA - Fabio Mussi, raccontano, era nel suo studio al ministero. Mattina tardi, una riunione tecnica conclusa da poco e la segretaria che lo avverte, dodici telefonate sull’agenda, gente che lo cerca. Chiamano dal Botteghino, da Palazzo Chigi, e poi la voce calda e affettuosa del professor Umberto Veronesi, e poi ancora i centri di ricerca di mezza Italia. Voci di scienziati, che lasciano un messaggio: «Non incomodate il signor ministro. Avrà molto lavoro da sbrigare. Ditegli solo che lo ringraziamo immensamente». Fabio Mussi, continuano nel racconto, a questo punto ha alzato la testa e ha detto: «No, non mi pento. Ho agito per il meglio. E chi doveva capire, ecco, evidentemente l’ha capito...». Nessun passo indietro. Il ministro per l’Università e la Ricerca resta sulle sue posizioni. Il ritiro della firma dalla «Dichiarazione etica» con cui l’Italia - insieme ad Austria, Germania, Polonia, Slovacchia e Malta - s’era dichiarata contraria alla ricerca sulle cellule staminali embrionali, continua a sembrargli una decisione saggia. Ai suoi collaboratori, di ritorno da Bruxelles, l’ha spiegato parlando piano e senza indugi: «Vedete... nel nostro Paese c’è una legislazione precisa, che a me non piace, sia ben chiaro, e infatti spero che venga presto ridiscussa e però, per ora, io certo non la violo, anzi, la rispetto... tuttavia...». Tuttavia? Gli hanno quasi chiesto in coro quelli del suo staff. «Beh, in sede europea, davvero, niente e nessuno può chiedermi di esportare il nostro modello. Il punto, credetemi, è solo questo: non posso, e sul serio non me la sento eticamente e moralmente, di esportare un modello che reputo sbagliato. Tutto qui».
Con Romano Prodi ha già parlato. Ma è lo stato dell’animo politico di Mussi, che forse più conta. E, in questo senso, si può parlare d’uno stato d’animo pervaso da un senso di responsabilità. Lo stato d’animo di colui che è disposto a caricarsi il peso di un’azione politica non facile ma necessaria. Per capirci: Mussi ritiene che, su certi temi scottanti, su certi argomenti che rischiano di dividere l’Unione e, quindi, il governo, «debba esserci qualcuno in grado di strappare».
Usa questo verbo, Mussi: strappare. Lo usa pensando a chi ha il compito di dire una cosa scomoda, difficile e però inevitabile. Gli altri, aggiungono quelli del suo staff, mostrando magari qualche difficoltà - «e al limite storcendo il naso, o dichiarandosi indignati con le massime gerarchie della Chiesa romana» - finiranno con l’accordarsi.
Il riferimento è a Francesco Rutelli? No, ufficialmente no. Al vicepremier viene riconosciuto di aver poi parlato, nel corso del question time, «a nome, solo a nome della Presidenza del Consiglio». Nei corridoi del ministero, però, non sono naturalmente pochi quelli che sospettano quale possa essere il vero pensiero del gran capo della Margherita, su questa vicenda di staminali, che trascina il governo italiano sul fronte più laico dell’Unione Europea. Non casualmente, quelli che escono dalla stanza di Mussi, abbassano la voce e dicono: «Dipendesse da Rutelli, magari sarebbe anche d’accordo con noi. Il guaio che s’è ormai legato con un certo mondo cattolico, deve dargli conto e perciò...».
Frasi pronunciate e poi negate. Non scrivere niente, non riferire niente. Tanto, il ministro Fabio Mussi smentirebbe tutto. Ogni frase, persino ogni virgola.
Di sicuro, Fabio Mussi una frase non la smentirà però mai. Riguarda la deriva di certi ragionamenti sulle cellule staminali, riguarda certi inquietanti orizzonti della ricerca. «Vorrei fosse comunque chiaro a tutti che a me, certe cose, certi concetti, come ad esempio quelli a cui possono portare parole come "clonazione", spaventano e mi fanno inorridire. Vorrei fosse chiaro a tutti che io la parola "clonazione" non posso neppure sentirla pronunciare».
Dosi di sincera diplomazia. Un messaggio che tornerà utile: «Le mie barriere etiche sono alte. Molto alte...».
La Repubblica 25.2.06, CULTURA (1/6)
Polemiche/ per difendere un classico
Il padre della psicoanalisi tradito dal suo editore
I testi allestiti da Renata Colorni non avevano nessun bisogno di essere sostituiti
Una nuova traduzione con errori e diverse sciatterie anche macroscopiche Il Piccolo Hans da bambino diventa addirittura un adolescente
di Umberto GalimbertiIo spero che proprio nell'anno della celebrazione dell'anniversario della nascita di Freud (1856-2006) Bollati Boringhieri non distrugga, per il pubblico italiano l'opera di Freud che, oltre alle Opere di Nietzsche a cura di Colli e Montinari (Adelphi), è l'altra grande impresa editoriale di traduzione e determinazione del testo che in Italia hanno caratterizzato la seconda metà del Novecento. Questa enorme impresa di traduzione, e soprattutto di messa a punto terminologica e concettuale, nonché di uniformazione del linguaggio psicoanalitico, è opera meritoria di Renata Colorni che condusse il suo lavoro sotto l'attenta direzione di Cesare Musatti. Oltre alla correzione degli errori presenti nel testo tedesco, la Colorni si è presa cura anche delle significative varianti, aggiunte e modifiche introdotte da Freud nelle edizioni successive alla prima stesura dei suoi scritti, nonché l'inserzione di parecchi testi che non compaiono né nell'edizione inglese, né in quella tedesca, perché reperiti successivamente. Per queste ragioni Renata Colorni ha ricevuto nel 1987 il Premio Goethe per le traduzioni di Freud e nel 2002 il Premio Nazionale per la Traduzione dalle mani del Presidente della Repubblica Ciampi. Oggi Bollati Boringhieri riedita le opere di Freud in una nuova traduzione prevista in dieci volumi che, a giudicare dal primo che ho qui sottomano, mi pare caratterizzata da un'assoluta incuria che sconfina nel dilettantismo, per non parlare di macroscopici errori. Il primo volume titola Scritti di metapsicologia (1915-1917), ma solo la prima metà del volume è occupata da scritti di Freud (composti per la verità tra il 1910 e il 1931), mentre le parti successive sono costituite da una selezione del carteggio di Freud con Jung, Pfister, Ferenczi, Salomé, Groddeck, Abraham, dai «Verbali della Società psicoanalitica di Vienna», e da «Scritti psicoanalitici collegati» di altri autori, di cui non si fa menzione né nella copertina né nel frontespizio, e di cui non si capisce il criterio di selezione. Ma le cose più gravi, che a mio parere dovrebbero consigliare il ritiro immediato di questo primo volume è, se questo è solo l'inizio, la rinuncia all'intera iniziativa editoriale, sono che: del «Caso clinico del presidente Schreber» viene tradotta solo la terza parte che, in una collana che si chiama «Testi e contesti» mi pare un'operazione del tutto decontestualizzata. Inoltre Schreber, che era Presidente di Corte d'Appello qui diventa Presidente del Senato. Lo stesso dicasi del «Caso del piccolo Hans» che aveva cinque anni, ma che a pagina 156 viene riportato col titolo «Analisi della fobia di un quindicenne». Ma la cosa più grave è lo stravolgimento della terminologia freudiana, la cui correttezza e uniformità era il più grande merito della traduzione di Renata Colorni. Faccio alcuni dei moltissimi esempi che mi sono annotato: «indirizzo regressivo» diventa «direzione a ritroso», Befriedigung che significa «soddisfacimento» viene tradotto con «appagamento», poi quando il traduttore incontra Erfllung che significa «appagamento» traduce di nuovo con «appagamento» e talvolta con «esaudimento». «Impulsi» viene reso talvolta con «impulsi», talvolta con «moti», talvolta con «aspirazioni» (p. 23), «donna passiva» è reso con «donna che patisce». «Intenzionalità», parola cardine che Freud aveva introdotto nella sua costruzione psicoanalitica dopo aver seguito le lezioni di Brentano, diventa «tendenza» (p. 15). «Stimoli» è reso con «azioni stimolanti» (p. 12), «fissazione» talora con «ancoraggio», talora con «ancoramento» (da p. 13 in poi), gli «archetipi» diventano «esempi» (p. 27), le «associazioni libere» diventano «idee spontanee», espressione riutilizzata anche per rendere «idee improvvise». L'«investimento» diventa «caricamento» (p. 24), l'«affetto» diventa «emozione», la «stimolazione» diventa «rifornimento» (p. 12), la «congettura» diventa «costruzione ausiliaria». «Esibizionismo» è reso con «esibizione» (p. 17), «una propria parte sessuale» con «un proprio membro sessuale» (p. 20), «interno» diventa «intimo» (p. 25), gli «atteggiamenti» diventano «designazioni» (p. 26). E così si potrebbe continuare nel leggere questa traduzione catastrofica che non tiene fede neanche alle proprie scelte terminologiche perché, per diverse pagine copia integralmente, senza neppure citarla, la traduzione di Renata Colorni che aveva adottato un'altra terminologia. Qual è la ragione di questa pessima iniziativa. Se Bollati Boringhieri è in possesso dei diritti dell'ottima traduzione della Colorni, perché farne a meno e ricorrere a una traduzione che rende confuso il testo freudiano, il quale, non essendo un testo di secondaria importanza, comporta la perdita di un contributo enorme che la cura editoriale italiana degli anni Settanta e Ottanta ha dato alla conoscenza di Freud. Perché smarrire questo patrimonio? Aggiornare una traduzione non significa disorganizzarla e distruggerla nella sua coerenza terminologica e strutturale. Due consigli per non perdere questo patrimonio culturale. Uno alla Bollati Boringhieri di rinunciare a questa dilettantesca iniziativa culturale e recuperare la traduzione della Colorni già in suo possesso. In caso diverso, Renata Colorni, che oggi dirige i «Meridiani» della Mondadori, riediti il suo Freud in quella prestigiosa elegante collana, perché un patrimonio così importante non può andare smarrito per velleitarie e incomprensibili iniziative editoriali. Post scriptum. Leggo sull'Unità di ieri la risposta di Michele Ranchetti, direttore della nuova edizione dei testi di Freud, a Luigi Reitani che il 18 febbraio, sempre sull'Unità, aveva mosso le sue critiche precise e puntuali a questa iniziativa editoriale. Ranchetti, naturalmente, difende il suo lavoro con due argomenti: il primo risponde all'esigenza di risituare le opere di Freud nel contesto storico e culturale del tempo, facendo dialogare le opere di Freud con gli scritti coevi dei collaboratori e dei seguaci. Ottima iniziativa su cui non ho nulla da eccepire. Il secondo argomento è quello delle scelte linguistiche, perché, a parere di Ranchetti, alcuni termini adottati dalla traduzione curata da Musatti sono caduti in disuso. Qui ho molto da eccepire, innanzitutto perché nelle pagine integralmente copiate dall'edizione Musatti (peraltro mai citata) quelle parole cadute in disuso rimangono, salvo poi sparire in quei brani che si discostano dall'edizione Musatti. Il risultato è una confusione terminologica penosa. E questo è particolarmente lesivo della serietà e del rigore degli scritti di Freud che, a differenza di quelli di Jung, sono di una precisione terminologica che, se da un lato sfiora l'ossessività, dall'altro ci difende da quelle oscillazioni di significato che compromettono non solo la scientificità di qualsiasi testo, ma anche la sua coerenza interna, per non parlare della sua intelligibilità.
La Repubblica 9.3.06 CULTURA (2/6)La polemica sulla nuova edizione di FreudMa sulle traduzioni c'è da discutereMichele Ranchetti, curatore dell'opera, risponde alle critiche di Umberto GalimbertiIl nostro scopo è illustrare il progetto freudiano con i testidi Michele RanchettiCaro Direttore, dopo l'animosa recensione, apparsa su queste pagine il 25 febbraio, agli Scritti di metapsicologia di Freud a cura di chi scrive (Bollati Boringhieri), credo che i lettori di Repubblica meritino qualche avvertenza. Gli Scritti di metapsicologia sono il vol. 3, il secondo in ordine di uscita, di Sigmund Freud. Testi e contesti. La nuova collana non intende affatto sostituirsi ai 12 volumi delle Opere di Freud, vanto della medesima Bollati Boringhieri, cui anzi idealmente si riferisce (tra i 27 traduttori che ci lavorarono c'era anche il sottoscritto). Propone, invece, una selezione di scritti freudiani e li accompagna con una filza di materiali diversi: testi coevi dei collaboratori, verbali dei congressi, estratti dalla corrispondenza, dalle minute dei dibattiti della società psicoanalitica, dalle riviste del movimento. Lo scopo è di illustrare (per la prima volta, non solo in Italia) il pensiero e il progetto di Freud sulla base dei testi e non della letteratura sull' argomento. E' un progetto ambizioso e difficile: storicizzare Freud. Su di esso Galimberti interviene solo due volte: una prima, disconoscendo il carattere rilevante dei materiali aggiunti, una seconda, definendo l'iniziativa ottima, dopo aver letto la mia risposta a Reitani su L'Unità. Non si tratta dunque di disconoscere né le traduzioni esistenti né il lessico freudiano italiano, alla formazione del quale ha dato un contributo decisivo la splendida traduzione de L'interpretazione dei sogni da parte di un grande (e purtroppo dimenticato) psicoanalista, Elvio Fachinelli, che ha forgiato il modello per l'edizione italiana delle Opere di Freud. Del carattere della collana la recensione non dà conto. Così come non dà conto del fatto che questi Scritti di metapsicologia comprendono un frammento di Freud, di venti mirabili pagine teoretiche, ritrovato da poco e ancora inedito anche in originale (copia dell' autografo ci era stata trasmessa, con squisita cortesia e solidarietà di studioso, da Paul Roazen). L'attenzione punta tutta sui «macroscopici errori» di traduzione. La scelta degli «errori» additati corre però, a dire il minimo, sul filo del paradosso. Vediamone alcuni. Si sottolinea come motivo di scandalo l'avere definito il piccolo Hans «un quindicenne», anziché un «bambino di cinque anni». Si tratta, con tutta evidenza, di un refuso, come capirebbe anche un bambino. A proposito: viene indicata anche la pagina, la 156; ma è bene avvisare i lettori: la cerchino non negli Scritti di metapsicologia ma in un altro volume della collana, il n. 5 (Sulla storia della psicoanalisi), che contiene diversi degli «errori» citati e che però la recensione non nomina. Molto più conta, naturalmente, il seguito. Si denuncia, per esempio, il fatto che «affetto» (Affekt) si trasformi in «emozione». Ma avevamo una buona scorta, lo Handworterbuch der Psychoanalyse (1936) di Richard Sterba, l'unico approvato da Freud. Qui «Affekt» viene definito «Gemutsbewegung» (moto dell' animo che provoca reazioni fisiologiche), mentre il lemma «Emotion» (rarissimo in Freud) rimanda semplicemente ad «Affekt», appunto. Si lamenta che gli «archetipi» diventino «esempi». Nel testo però c'è «Vorbilder», parola comune e comune correlato di «esempi». Il precedente traduttore aveva introdotto qui un termine, «archetipi», greve di echi junghiani (a rottura con Jung ormai consumata). Ci viene rimproverata una gran confusione tra «impulsi», «moti» e «aspirazioni». Ma no. «Moto» traduce sempre «Regung»; «Strebung» è resa con «aspirazione» (talvolta con «tendenza», come fa anche la traduzione alla quale il recensore sempre si affida), mentre «Impuls» è sempre «impulso» (che talvolta rende anche vocaboli sinonimi, mai però «Regung» o «Strebung»). Era invece la traduzione precedente a rendere con «impulso» sia «Strebung» (talvolta confondendo plurale con singolare) sia «Impuls» sia «Regung». Anche la proposta di «caricamento», invece di «investimento», per «Besetzung» è elencata tra i puri e semplici «errori macroscopici». La resa di «Besetzung» nelle diverse lingue è stata un notorio rompicapo (per l' inglese, a esempio, è stata inventata la parola «cathexis»). Non che «caricamento» possa riuscire perfettamente soddisfacente; pure ce l'ha, un vantaggio: così «Besetzung» e «Abfuhr» («scarica»), che nella teoria sono strettamente collegati, vengono correlati anche sul piano lessicale (come, del resto, in francese, nella coppia «charge/chargement»). Si potrebbe continuare, avendo spazio, senza troppa difficoltà. Perché a schiarire alcuni «errori» occorre (e forse basta) un'occhiata alla pagina (è il caso di «donna che patisce») o almeno alla frase intera (è il caso di «rifornimento»). Altri casi esigono registri impraticabili in questa occasione. Così, per stabilire se a rendere «Tendenz» sia più atto il calco «tendenza» o il densissimo «intenzionalità» della precedente traduzione, converrebbe un più lungo discorso, su Brentano (magari anche su altri), e sull' uso, o gli usi, che Freud ne faceva. Qui chiudo intanto con l'esempio con il quale anche il recensore si avvia a concludere. E l' esempio che apre l'ultimo capoverso dell' elenco di «errori». «Esibizionismo» è reso con «esibizione». Nella traduzione, in effetti, si trova «esibizionismo»; ma nel testo, nel testo tedesco, non c'è il termine clinico «Exhibitionismus», c' è «Exhibition». E' un vero peccato che si sia persa un'occasione per discutere pacatamente del pensiero di Freud, della sua opera e della terminologia da lui usata. Come diceva Deleuze: «Il pensiero contro qualcosa non conta nulla. Conta solo il pensiero a favore di qualcosa, che fa esistere qualcosa».
La Repubblica 09.3.06 CULTURA (3/6)La replicaNon nascondiamoci dietro i refusidi Umberto GalimbertiCaro Michele Ranchetti, la mia non era una recensione dell'iniziativa editoriale Testi e contesti, da lei ideata e diretta, con l'intenzione di contestualizzare le opere di Freud attraverso l'aggiunta di nuovi materiali tratti da altri autori, dai Carteggi o dai Verbali della Società Psicoanalitica di Vienna. L'iniziativa, come le ho riconosciuto, è ineccepibile e la sottoscriverei con entusiasmo a queste quattro condizioni: 1. Che fossero segnalati i criteri per cui si scelgono certi testi dei collaboratori e dei seguaci di Freud e non altri. 2. Che fossero segnalate le ragioni per cui agli Scritti di metapsicologia (1915-1917) se ne aggiungono altri di Freud composti tra il 1910 e il 1931 e per giunta incompleti e senza segnalazione dei criteri di scelta. 3. Che non ci fossero refusi (parola con cui di solito gli autori o i curatori dei libri scaricano sui redattori la loro disattenzione, come fanno i generali con i soldati) perché fatico a pensare che un redattore trasformi in un «quindicenne» un bambino di 5 anni, e Schreber, Presidente di Corte d'Appello, in un Presidente del Senato. 4. Che dopo aver riportato per pagine e pagine, senza neppure citarla, la traduzione dell'edizione Musatti, per altre pagine la si abbandona, traducendo gli stessi termini in modo del tutto diverso. Come dice Deleuze: «Il pensiero contro qualcosa non conta nulla», ma la segnalazione di una traduzione mal fatta o di una cura poco attenta conta qualcosa, se non altro per avvertire i lettori e non confondere le idee e la comprensione di Freud alle nuove generazioni che si accingono a leggerlo in questa nuova edizione, quando la Bollati Boringhieri ne è in possesso di una ottima di Renata Colorni, condotta sotto la supervisione di Cesare Musatti che, dopo la recente edizione da lei curata, non vorrei finisse in archivio.
La Stampa, 25.03.06 (4/6)Che parto difficile, la psicoanalisiAl di là delle polemiche, l’edizione antologica delle opere di Freud e dei suoi allievi e seguaci, ideata da Ranchetti, ha il merito di documentare il lento e contraddittorio formarsi di una disciplina che aspirava a divenire scienza, il dibattito interno, le origini di un movimento con ortodossi e ereticiAL pari della teologia, la psicoanalisi è un sapere infondato. Entrambe cercano di conciliare una fede con la ragione. Entrambe aspirano a una validità universale delle leggi individuate, siano esse leggi generali dello sviluppo psichico o leggi di natura, dimenticando che anch’esse, almeno così come le veniamo scoprendo, sono storicamente determinate. Entrambe si valgono di ingegnosissimi accrocchi concettuali e mettono in campo topologie affascinanti, movimenti dialettici del pensiero, nuovi linguaggi che poi diventano, spesso a sproposito, koiné. Entrambe accompagnano gli adepti lungo un cammino di salvezza, trascendente o immanente, e si contendono la nostra anima. Di entrambe è dubbia l’efficacia. Però sono tra le più meravigliose macchine di senso finora inventate. Una inserisce Dio l’uomo il mondo e l’universo tutto in un grandioso orizzonte di eternità sul cui sfondo si agita una vicenda storica di caduta e di redenzione; l’altra compone i frammenti sparsi e insensati della nostra esistenza in una storia dotata di significato; e poco importa che a uno sguardo scientista entrambe le costruzioni poggino sul nulla. O sul tutto della fede, che però è un’esperienza personale, difficilmente partecipabile a chi non abbia percorso il medesimo cammino. Di tutto ciò è ben avvertito Freud se si sente in dovere di chiedere scusa per il suo procedere senza corda di sicurezza: «Spero che il lettore (…) sarà ora indulgente se per una volta la critica si ritira di fronte alla fantasia e se verranno esposte cose non sicure, semplicemente perché sono stimolanti e permettono di guardare lontano». Ora una brillante iniziativa editoriale (merito di Michele Ranchetti, che l’ha ideata e curata, e della Bollati Boringhieri che l’ha accettata e prodotta) ci mette sotto gli occhi il lavoro che ha istituito il più recente dei due saperi, la psicoanalisi. Sono infatti appena usciti, e già hanno suscitato furibonde polemiche nell’ortodossia, due dei 10 volumi previsti che riproporranno la parte più significativa delle opere di Freud: il terzo, Scritti di metapsicologia, curato da Michele Ranchetti, e il quinto, Sulla storia della psicoanalisi, a cura di Martin Dehli. Ogni volume della serie accompagna i testi canonici (ma ci sono anche inediti preziosi: nel terzo, a esempio, c’è una prima mondiale assoluta, un Frammento inedito che è uno straordinario compendio di psicoanalisi, oltre che una sorprendente interpretazione del rapporto tra cristianesimo e omosessualità) con documenti che contestualizzano la ricerca, spesso drammatica sempre appassionante, di Freud. Abbiamo quindi lettere, verbali di riunioni, regole di iniziazione e di formazione, recensioni, articoli o estratti di opere dei seguaci e allievi: si delinea in tal modo il lento e contraddittorio formarsi di una disciplina che aspira a darsi rango e statuto di scienza, a inventarsi il suo lessico e a formare i suoi accoliti. In una bella veste grafica, che innova richiamando però la tradizionale eleganza della Boringhieri, ogni volume è poi ricco di apparati: una introduzione generale, introduzioni alle singole sezioni interne, note, bibliografie, fortuna editoriale dei testi presentati: insomma, un modello che sarebbe bello diventasse un prototipo per iniziative analoghe in altri campi. E’ affascinante, anche per i non addetti, seguire il dibattito interno, le tattiche e le strategie verso l’esterno, soprattutto verso l’ambiente medico, ovviamente, e l’elaborazione di una paideia di gruppo. Non solo si definiscono particolareggiati piani di studio, ma ci si preoccupa anche dell’analista che si trova a operare da solo in una città sconosciuta come fosse un giovane monaco bisognoso di una guida, un famulus o «garzone», come viene definito. La costruzione del movimento psicoanalitico è molto simile al costituirsi di una Chiesa, con ortodossi ed eretici. Esemplare in proposito il distacco e la radiazione di Jung, l’allievo prediletto. Il moto, come accade, è duplice: allontanamento da parte sua e anatema da parte del gruppo, qui preparato a freddo da una sconfessione di Abraham, che recensendo La libido scrive : «Jung non ha più alcun diritto di chiamare con il nome di “psicoanalisi” le opinioni da lui sostenute». Analogo il trattamento riservato all’altro grande eretico, Adler. E’ inoltre ora possibile, grazie ai testi diciamo accessori, dare nuovo senso a quelli canonici, che si spogliano dell’aura della genialità intangibile acquisendo in compenso una dimensione concreta: la psicoanalisi non è come Minerva che esce tutta armata dalla testa di Giove ma è frutto di un paziente lavoro su un’intuizione che matura accumulando dati, tra ripensamenti e giri a vuoto, confronti e scontri e frustrazioni, nella difficoltà di dire ciò che al tempo era indicibile (ma ancora oggi, nonostante il, o forse proprio a causa del, libertinismo coatto). Proprio qui sta forse l’utilità maggiore di questa edizione del corpus freudiano: esso si mostra nel suo divenire, incrociato con altri interessi culturali (l’etnologia, l’antichità classica, la mitologia ecc.), percorso da mille rivoli, frastagliato in direzioni diverse, in una continua apertura di nuove costellazioni di senso. E soprattutto nella consapevolezza, ben presente in Freud, di non possedere una verità definitiva, ma di avvicinarsi a essa per approssimazioni successive, in un cammino sempre asintotico.
Sigmund Freud, Scritti di metapsicologia, a cura di Michele Ranchetti, Bollati Boringhieri, pp. 534
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Sulla storia della psicoanalisi, a cura di Martin Dehli, Bollati Boringhieri, pp. 324
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22 SAGGI Gianandrea PiccioliLa Stampa, 18.03.06 (5/6)Bollati Boringhieri: sarebbe un errore ingessare FreudIntorno al dibattito sulle traduzioni degli «Scritti di metapsicologia» Il direttore editoriale Cataluccio: «Polemica fuori luogo, auspichiamo una discussione serena sulla terminologia freudiana, alla luce dei nuovi studi»di Mirella Appiotti CHE li abbia seccati è inevitabile. Manca comunque qualsiasi astio, almeno per telefono, a Francesco Cataluccio, direttore editoriale di Bollati Boringhieri, in relazione alla polemica innescata da Umberto Galimberti su Repubblica a proposito delle traduzioni di Michele Ranchetti degli Scritti di metapsicologia, terzo volume, secondo in ordine di uscita, dei dieci tomi previsti per la collana «Sigmund Freud-Testi e contesti», impegno notevolissimo che si concluderà entro i prossimi tre anni (prima comunque del 2009, anno in cui Freud uscirà dai «diritti») e che, come sottolinea Ranchetti nella sua risposta al filosofo non «intende assolutamente sostituirsi ai 12 volumi dell'Opera di Freud, vanto della casa editrice cui anzi idealmente si riferisce...». Mentre Stefano Mistura su «L'Indice» elogia il lavoro di Ranchetti, certo non l'ultimo venuto nel mondo psicoanalitico, Galimberti aveva messo in dubbio la versione italiana di alcuni capitali termini freudiani individuando poi più d'un refuso (il piccolo Hans passato dai suoi 5 anni a 15...). «Alla base della polemica c'è un equivoco - sottolinea Cataluccio - anzi la polemica dovrebbe qui essere fuori luogo. Invece una discussione serena sulla terminologia di Freud, alla luce dei nuovi studi, sarebbe quanto mai necessaria». Insomma andare avanti rivedendo se necessario il passato è pressochè una tautologia per case editrici di progetto, le poche rimaste, come la Bollati che si muove su terreni sempre impegnativi (vedi uno dei titoli più importanti e imminenti La fantasia delle immagini-Aby Warburg e la storia dell'arte di George Didi-Huberman), anche quando decide di rivolgersi ad un lettore non accademico (vedi in arrivo nella narrativa delle «Varianti» il romanzo «cinese» di Maurizio Ciampa; la inquietante Vera della von Arnim; lo smarrimento tra i labirinti del passato e le «meraviglie» del Nuovo Mondo Flessibile in Piove all'insù di Luca Rastello); ad un lettore in lotta con il tempo, proprio quel tempo materiale per leggere quanto mai risicato, frammentato, divenuto schizofrenico. Così nasce «Incipit» Centopagine o anche meno, libriccini a non più di 10 euro (a prezzi di copertina equi rinasce anche la Universale Bollati Boringhieri entro cui segnaliamo i due volumi di Una guerra civile di Pavone, indispensabile specie per i più giovani) per «offrire quell'affascinente genere di testi che stanno a metà strada tra l'informazione e la letteratura: i saggi. Non studi ponderosi, con molte note, né divagazioni letterarie con molti aggettivi: un genere che scommette sulla scrittura per arrivare a chiarire meglio ciò che l'argomentazione scientifica stenta a mettere a fuoco. «Incipit» è l'inizio, l'attacco,la prima nota che fa capire quale sarà la composizione...». Non per nulla l'autore del primo titolo Sui sogni è Adorno, filosofo e anche musicista, ma nei nove che usciranno tra maggio e giugno, i temi spaziano in tutti i campi del sapere rivelando lo spirito della piccola collana che l'editore riassume in una parola: curiosità. Per palati fini, naturalmente poichè si va dalle riflessioni Sulla malattia di Viginia Woolf, «uno dei saggi più rivoluzionari, più ambiziosi e meno noti» dove l'autrice di «Gita al faro» lamenta «che la letteratura non abbia rivolto alla malattia fisica altrettanta attenzione che alle attivtà della mente», all'ultima stazione del lungo viaggio dell'husserliano Günther Anders (primo marito di Hannah Arendt, di lui la Bollati pubblica a settembre Contro Heidegger) sull'obsolescenza delle emozioni e dei sentimenti schiacciati dalla Tecnica che ha reso «l'uomo antiquato» e dove, in questo «incipit», anche L'odio è antiquato diventato «un sovrappiù per occasioni speciali...»; dal Jackie Derrida. Ritratto a memoria di Maurizio Ferraris, «una chiave nuova per leggere il pensiero e la vita del filosofo, a cominciare perfino dal suo nome: Jackie e non Jacques, questo solo uno pseudonimo, poichè «gli ebrei d'Algeria non amavano dare nomi troppo cattolici ai figli...», al Diario americano dell'economista Giulio Sapelli, a La nascita del fascismo di Angelo Tasca, a La prova matematica dell'esistenza di Dio dimostrazione del grande logico non credente Kurt Gödel. Poi Roberta De Monticelli, Herman Strobel e, dall'autunno, Kant, Dostoevskij, Bialik, Barrie, Ivan Illich con il suo «Elogio della bicicletta». Piccoli saggi nei quali - è l'idea di Cataluccio - sta il futuro della comunicazione culturale e del sapere non universitario. Ma in essi sta anche, forse, una delle prospettive più interessanti di una letteratura che non vuole essere di puro intrattenimento».
La Stampa Tuttolibri 6.5.06 (6/6)Paolo Boringhieri, l’editore che per primo ne fece conoscere tutta l’opera in Italia, ricorda il padre della psicoanalisi a 150 anni dalla nascitadi Alberto SinigagliaCoincidenza perfetta, i centocinquant’anni della nascita di Freud cadono proprio oggi, 6 maggio 2006, in piena Fiera del libro intonata all’avventura. Fu senza precedenti né susseguenti l’avventura editoriale e intellettuale osata da Paolo Boringhieri pubblicando dal 1966 al 1980 i dodici volumi delle «Opere di Sigmund Freud»: per intuizione, complessità, passione, rigore esecutivo, generoso mecenatismo. Strappò Freud al livello pionieristico, eroico, ma sovente rudimentale e non privo d’immondizie, al quale in Italia era ancora ridotto. Rivelò il fondatore della psicoanalisi e la sua rivoluzione attraverso l’intero edificio teorico che il medico, pensatore e meraviglioso scrittore viennese aveva allestito. Riviviamo quell’impresa con il suo ideatore. Ottantacinque anni in luglio, fermo e sereno, si tiene lontano dallo scandalo che ha suscitato la recente nuova edizione freudiana eseguita dai successori, la Bollati Boringhieri, con scelte, frammentazioni, ritraduzioni molto polemicamente discusse. La sua è tutt’altra storia. Che visse con Cesare Musatti, il massimo esponente e divulgatore della psicoanalisi nel nostro Paese. «Prima di lui, avevo conosciuto il suo Trattato di psicoanalisi, che mi aveva colpito», ricorda Paolo Boringhieri. «Lo pubblicava Einaudi, di cui Musatti era consulente e io responsabile della Biblioteca di cultura scientifica, nella quale finirono due testi di Freud: Inibizione, sintomo e angoscia (1951) e Casi clinici (1952). Jung, più dolce, più fantasioso, godeva dell’ala protettiva di Pavese, usciva nella “Collana viola”. Cresceva la curiosità intorno a Freud e tra i curiosi c’ero anch’io. Cresceva in me il sospetto che troppi ne parlassero a ruota libera, conoscendolo poco. Avevo voglia di rendere possibile una lettura di Freud: invece di rifarci a cose riportate, di seconda mano, ascoltiamo lui».
Musatti aveva già esortato Einaudi a pubblicare tutto Freud.«Giulio aveva lasciato cadere la proposta. Non che fosse contro la psicologia o disinformato della psicoanalisi, anzi: già parlare di Freud allora era un atto di coraggio. Lui era un tipo speciale, apriva tante porte, ma non voleva passare per il campione spaccatutto. Pubblicava qualche libro, poi limitava l’impegno. Lo avrebbe fatto con Nietzsche, le cui opere complete uscirono poi da Adelphi a cura di Colli e Montinari».
Per questo lei nel 1957 lasciò Einaudi, ne acquistò la costola scientifica e fondò la Boringhieri?«L’idea era d’una casa editrice soprattutto di fisica e matematica: manuali per studenti, opere divulgative, testi dei premi Nobel. E psicologia, considerata una branca della filosofia. Curato attivamente da Pier Francesco Galli, con libri facili, prodotti per argomenti, il settore ebbe rapida espansione. La casa editrice cominciò a sfornare più libri di scienze umane che non di scienze matematiche. Andai alla carica di Musatti: “Cerchiamo di realizzare il suo progetto Freud”. Mi ero buttato, sapevo che il pubblico c’era».
Cesare Musatti progettava una scansione per argomenti, raggruppando temi affini: sessualità, società, religiosità... Era il criterio parzialmente seguito da Freud nelle «Gesammelte Schriften», più commerciale. Perché lei scelse l’ordine cronologico di composizione degli scritti?«Sì, fui io a deciderlo. Pensavo a un’opera definitiva. L’ordine cronologico mancava persino nelle edizioni tedesche. Non era dettaglio da poco. Influenzò tutta l’organizzazione del lavoro».
Ne parlò con Anna Freud?
«Mi affrettai ad andare a Londra per controllare la cronologia esatta, consultando la Standard Edition di James Strachey. Ma avevo già stipulato il contratto con gli eredi, prima che si affacciassero altri. Lo firmai con l’architetto Ernst Freud, l’ultimo figlio. Anna Freud fu gentile, m’invitò nella villetta dove il padre si era rifugiato quando i nazisti l’avevano lasciato andar via dall’Austria e dove aveva trascorso gli ultimi anni. Lì c’erano tutti i suoi ricordi».
«Übertragung»: transfert o traslazione? «Trieb»: istinto o pulsione? La traduzione dev’essere stata un problema angoscioso!«Bisognava rendere lo stile di Freud diretto, semplice, e rispettare il suo pensiero, fin nelle più sottili differenze: se “Instinkt” è istinto, “Trieb” è pulsione. Un estenuante dibattito ci portò a risolvere i dubbi, conferendo omogeneità di scrittura e di senso all’intero lavoro. Anch’io traducevo o controllavo le traduzioni consultandomi con Elvio Fachinelli, la moglie Herma Trettl, Michele Ranchetti e altri. La traduzione di “Affekt” con affetto non è mai stata discussa. L’unico termine non passato nella pratica psicoanalitica è “traslazione”, secondo noi più fedele al testo: “transfert” ha resistito. Musatti, alla fine, leggeva. Gli piacque la mia idea di tradurre “Besetzung” con investimento, intesa a non perdere la connotazione militare e economica della parola tedesca».
L’impresa decollò quarant’anni fa da «L’interpretazione dei sogni».«Pur essendo il terzo volume delle Opere, decisi di cominciare di lì. Una faticaccia! Dal sesto volume in poi avevo saltato il fosso e assunto, nel 1973, Renata Colorni: bravissima, si buttò appassionatamente nell’impresa, ne divenne l’anima, la vestale. Grazie a lei avremmo sfornato un volume l’anno, 600 pagine, con la famosa copertina di Enzo Mari: un quadrato nero al centro contornato da linee che digradano dallo scuro verso il chiaro. Era il primo autore che Renata traduceva. Ebbe in seguito il Premio Goethe e il Premio nazionale per la traduzione. E avviò una straordinaria carriera di traduttrice: Canetti, Roth, Schnitzler, Bernhard...».
Fu un grosso impegno finanziario?«Molto pesante, date le nostre dimensioni. Una follia. Oggi nessuno lo farebbe più, o si farebbe finanziare da una fondazione. Pochi editori avrebbero tollerato un impegno così grande per un’opera sola».
Quando capì di avere vinto la sfida?«Avversata dal fascismo, dalla Chiesa e dal comunismo, la psicoanalisi non ebbe vita facile neanche dopo la Liberazione. Era considerata faccenda per pochi. Ma già all’uscita dei primi volumi capimmo d’essere sulla buona strada».
Nonostante un’iniziale disattenzione giornalistica e Musatti tenesse le distanze con Servadio e la Società psicoanalitica.«Nessuno mai attaccò la progettualità del lavoro. E la presentazione di un volume a Milano vide schierati tutti i filosofi della città. Poi i giornali si svegliarono, sempre elogiativi. Il mondo culturale si fece più attento, i termini freudiani adottati da noi entrarono nell’uso. Il nuovo termine “pulsione” scalzò e bandì “istinto” e “impulso”».
Concluso il lavoro, fu definito la prima edizione in Europa delle opere complete di Freud. Era un’esagerazione?«Non lo era. Le traduzioni sono state condotte sulle Gesammelte Werke, il testo tedesco più completo e attendibile. Sono corredate con le preziose annotazioni e con il commento intertestuale dell’inglese Standard Edition, che ce ne aveva concesso i diritti. Il Dictionnaire de la Psycanalyse di Rondinesco e Plon, uscito nel 1997, definisce quell’edizione “un modello sul piano filologico”. La Francia non è ancora riuscita a darsi le opere complete di Freud. Le nostre divennero un giacimento da sfruttare ampiamente per la casa editrice, che le declinò in singoli scritti, in antologie tematiche per collane economiche».
Freud fu una vampata?«Venne la moda del marxismo e passò. Venne quella di Freud e fu una specie d’ampliamento della moda precedente in quanto entrambe dottrine molto razionali, senza concessioni ai misteri. Poi si scoprì la miniera Nietzsche, Freud cominciò a perdere terreno, il dibattito sul freudismo si attenuò, si spense. Fino a quando Jacques Lacan non propose un suo personalissimo ritorno a Freud».
Melanie Klein e Lacan, riesplorando l’inconscio, reinterpretando Freud, indussero a una sua riscoperta.«Mi viene spontaneo un paragone con Darwin. Anche lui prima ha scandalizzato tutti, poi è diventato una verità con le scoperte nella genetica degli Anni 50 e 60. Per Freud è diverso: non abbiamo ancora gli strumenti per dare una spiegazione biologica, chimica a certi fenomeni psicologici. Forse per questo l’interesse per Freud non dura, ha fasi alterne. E dopo le stagioni della Klein e di Lacan, mi pare che abbia di nuovo perso terreno. Non c’è dibattito sul freudismo in Italia, neppure tanto all’estero».
Almeno l’anniversario torna a renderlo attuale?«Non soltanto per l’anniversario, ma per capire quanto sta accadendo a noi e intorno a noi, potrebbe essere il momento di ritornare a cercarlo».
Repubblica 1.6.06
L'Episcopato europeo guarda con preoccupazione alla revoca dell'adesione alla riserva etica della Ue sulle sperimentazioni
Staminali, vescovi europei all'attacco
"Contro la distruzione degli embrioni"CITTA' DEL VATICANO - "Ribadiamo la nostra obiezione contro il finanziamento da parte dell'Ue della ricerca che implichi la distruzione di embrioni umani". Dopo il sì al ritiro della pregiudiziale etica del ministro Fabio Mussi ecco arrivare sull'argomento una nuova presa di posizione dell'Episcopato Europeo. "Ribadiamo - afferma una nota della Comece, l'organismo che li rappresenta - la nostra obiezione contro il finanziamento da parte dell'Ue della ricerca che implichi la distruzione di embrioni umani".
Nel prendere posizione sul dibattito in corso nelle sedi comunitarie attorno alla definizione del settimo programma quadro per la ricerca, "i vescovi europei sono in linea con l'invito della Cei e del suo presidente, cardinale Ruini, a rispettare il principio di sussidiarietà", spiega mons. Giuseppe Merisi, vescovo di Lodi e delegato Cei presso la Comece.
Nella nota, il comitato esecutivo Comece riepiloga i temi in discussione e ne ribadisce le implicazioni "etiche e antropologiche fondamentali". Partendo da un emendamento al settimo Programma accolto in commissione Itre, che propone di destinare fondi comuni per la ricerca sulle cellule staminali embrionali. "Trattare un embrione umano come un soggetto di ricerca non è compatibile con il rispetto della vita umana" dicono i vescovi. Un richiamo destinato al "rispetto dei valori e delle ragioni fondamentali in virtù dei quali alcuni Stati membri vietano o limitano questo tipo di ricerca" nella tutela "dell'inviolabilità della vita e della dignità umana".
Corriere della Sera 1.6.06
Stretta di mano, ma Bertinotti non applaude
Su Draghi: «Uno degli uomini migliori del Paese»
Enrico MarroROMA - La sua presenza, decisa per «rompere una tradizione», aveva già creato l’evento. Fausto Bertinotti non è voluto andare oltre. Se il presidente della Camera avesse anche commentato la relazione del Governatore della Banca d’Italia, avrebbe finito per rubare la scena a Mario Draghi. E così, scivolando tra due ali di giornalisti, si è limitato a dire: «La condizione di ospite chiede il garbo del silenzio». Poi, tornato a Montecitorio, al suo staff ha spiegato di non condividere l’impianto della relazione, ma ha confermato quello che pensa di Draghi: «Uno degli uomini migliori della Repubblica». Più d’uno ha notato che Bertinotti non ha mai applaudito alle parole del Governatore, salvo qualche colpetto di circostanza. Ma non è questo indice del suo giudizio, dicono i suoi uomini. Il presidente della Camera si è comportato così anche quando ha ascoltato la relazione del presidente dell’Istat, Luigi Biggeri, e quella del leader della Confindustria, Luca di Montezemolo. Alfonso Gianni, sottosegretario allo Sviluppo, che conosce Bertinotti da una trentina d’anni ed è stato capo della sua segreteria in Rifondazione, dice che «per Fausto è una scelta di stile, quella di interpretare con rigore il ruolo istituzionale, con tanto più rigore quanto più la sua figura è percepita e lui stesso ha dichiarato essere di parte». Che però l’impostazione della relazione di Draghi non sia piaciuta a Bertinotti è altrettanto certo. Lo si evince anche dai numerosi passaggi che, come sempre fa, il presidente ha sottolineato. Molti quelli giudicati negativamente, soprattutto dove la ricetta invocata per rilanciare la crescita è quella liberista, con nuove privatizzazioni. Così come sicuramente non ha fatto piacere a Bertinotti che Draghi abbia riaperto la ferita previdenziale, chiedendo l’aumento dell’età di pensionamento. È noto, inoltre, che il presidente della Camera sia contro manovre «lacrime e sangue». Due, invece, i passaggi graditi: quello sui rischi della precarietà e quello sulla necessità di elevare il livello medio di istruzione.
Chiusa la relazione, Bertinotti ha stretto la mano a Draghi, col quale si dà del tu, segno di confidenza ma soprattutto di stima. L’ex segretario di Rifondazione e l’ex direttore generale del Tesoro si sono combattuti all’epoca del primo governo Prodi. Ma quando nel 2001 Draghi, poco dopo l’arrivo di Giulio Tremonti in Via XX Settembre, lasciò l’incarico, Bertinotti commentò con rammarico: «Con Draghi esce di scena il ciclo di governi di centrosinistra. Ed è definitivamente chiaro che è fallita la politica che voleva temperare il liberismo. Ora resta solo il liberismo». E lo scorso dicembre, quando diventò Governatore, il quotidiano del Prc, Liberazione, da un lato ricordò che Draghi era stato il grande privatizzatore che aveva consegnato «l’economia in mano alla finanza», ma dall’altro sottolineò che «la sua biografia intellettuale è di tutto rispetto, a cominciare dal suo essere stato uno degli allievi di Federico Caffè», economista idolo per Rifondazione. Una formazione che agli occhi di Bertinotti ha trovato conferma nella prima decisione di Draghi, quella di adeguare lo stipendio del Governatore (circa 700 mila euro) alla media dei colleghi europei, il che ha significato un abbattimento dello stesso. Bertinotti, parlando ieri con i suoi collaboratori, ha voluto ricordare questo episodio, forse per meglio spiegare il senso di quel suo «se sono andato da Montezemolo non posso non andare da Draghi». Con un tono un po’ snob. Un tratto che accomuna due personaggi per il resto tanto diversi.
Repubblica 1.6.06
Russia, dissidente in manicomio
di Pietro Del Re“Affetto da una grave forma di schizofrenia": lo scorso autunno, con questo pretesto fu impedito all'imprenditore Albert Imendayev di candidarsi alle regionali di Cheboksary, capoluogo della Chuvashia, piccola repubblica sul Volga. L'uomo fu prelevato da tre poliziotti e rinchiuso in un ospedale psichiatrico. "Quando venni rilasciato, nove giorni dopo, le liste erano già chiuse", ricorda Imendayev, che da allora ha lanciato una campagna per denunciare l'attualità di una pratica tanto in voga durante l'era sovietica.
Un pesante retaggio del Kbg, di cui la Russia non riesce a disfarsi. Ma se una volta venivano internati i dissidenti politici, oggi nei manicomi finiscono soprattutto personaggi "scomodi": ex mogli di oligarchi che dopo il divorzio si fanno troppo petulanti, piccoli industriali che intentano cause a industriali più potenti di loro, rivali politici che, come Imendayev, ambiscono ad occupare la poltrona di un amministratore locale senza scrupoli.
Verso la fine degli anni Settanta, si contavano in Urss un centinaio di ospedali psichiatrici per quei dissidenti che un medico compiacente aveva riconosciuto psikhiceski bolnoye, malati di mente. Ma non erano abbastanza, secondo gli ombrosi burocrati del Cremlino, che pianificarono di costruirne altri cinquanta. Lo storico Alexander Podrabinek, autore del saggio "La medicina punitiva", spiega così i motivi di quella pratica: "Coloro che resistevano al regime andavano nascosti sia all'opinione pubblica internazionale, sia in patria per non fare emuli. Ma processarli tutti sarebbe stato troppo costoso, e fucilarli troppo scandaloso. Non restava che il manicomio".
Ieri, il quotidiano in lingua inglese The Moscow Times ha ripreso un lungo articolo pubblicato qualche giorno fa dal Los Angeles Times in cui si racconta come la psichiatria repressiva non sia del tutto scomparsa nella Russia di Putin. Anzi, le leggi che furono adottate dopo la fine della dittatura per garantire i diritti di chi veniva ingiustamente recluso in un asilo psichiatrico vengono oggi ridiscusse, se non abrogate. Il Parlamento russo dovrebbe approvare un decreto che consentirà ai medici di rinchiudere una persona in manicomio senza l'approvazione di un magistrato, e che impedirà che questa venga visitata da medici che non lavorino per il governo. Come accadeva, appunto, nella Russia sovietica.
Dice Yury Savenko, presidente di un'associazione di psichiatri che lottano per riformare il sistema manicomiale del paese: "Qualche anno fa, quando questa pratica è riapparsa, stentavano a crederlo. Oggi è sotto gli occhi di tutti e sempre più frequente". Così frequente che vi ricorre anche chi deve prendersi una vendetta, chi non vuole pagare un creditore o chi è accusato di non aver svolto un lavoro richiesto. E accaduto a San Pietroburgo dove Ivan Ivannikov, professore all'Università di Economia e commercio, si è ritrovato in manicomio per aver denunciato il ricco proprietario di un'impresa edile che ritardava a consegnarli l'appartamento restaurato. Sotto lauto compenso, uno psichiatra ha firmato l'ordine di reclusione del docente, perché "ossessionato e violento", senza neanche averlo visitato. Ivannikov è stato rilasciato dopo due mesi.
Altrettanto eloquente è la storia di Natalya Kuznetsova, che perse il suo impiego alla Corte dei conti di Mosca dopo aver scoperto l'illecita scomparsa di 140 milioni di dollari dal budget federale. La Kuznetsova si rivolse allora a un tribunale chiedendo un risarcimento per danni. Pochi giorni dopo, uno psicologo dello Stato la giudicò "mentalmente disabile". "Appena fui licenziata, il mio capo mi disse che avrebbe chiesto a un amico medico di farmi internare. Oggi sono le persone più corrotte che usano la psichiatria per distruggere gli onesti".
Molti degli ospedali psichiatrici in cui tra il 1960 e il 1980 furono internate migliaia di dissidenti sono ancora in funzione. Dice ancora lo storico Podrabinek: "Il famigerato Istituto di psichiatria forense Serbsky di Mosca ha soltanto cambiato nome. E vero: i medici che vi lavoravano espressero il loro rammarico per quei "rari casi" in cui furono "commessi degli errori". Ma per il resto, dai tempi dell'Unione sovietica non è cambiato granché".