sabato 3 giugno 2006

Il Mattino 3.6.06
Il Napoli Festival apre all’Europa
Ospiti Bellocchio, Sorrentino Virzì, il Castellitto francese e la Comencini. Una sezione dedicata ad Àlex de la Iglesia
di Luciano Giannini

Una folla di eventi e di film. È la prima impressione che si ricava sfogliando il programma del Napoli Film Festival, presentato ieri dai suoi direttori Davide Azziolini e Mario Violini, giunto all’ottava edizione, al via domenica prossima, in programma fino a domenica 11 tra le multisala Warner e Filangieri e istituto Grenoble. Concorsi per film, per making of e per corti; sezione fuori concorso ed eventi speciali (come i corti dedicati ai Mondiali di calcio); percorsi d’autore; documentari; un Schermo Napoli; gli Incontri ravvicinati e quelli con gli studenti; una finestra sull’Oriente; un’altra sui volti del cinema italiano; le anteprime: c’è da sperdersi in un carnet molto ricco. Ma c’è un denominatore comune? «Sì, ed è l’Europa - spiegano Violini e Azzolini - e parliamo anche della nuova Europa, quella dei Paesi balcanici appena entrati nell’Unione europea, o di quelli che prima o poi ne faranno parte. I loro film partecipano al concorso principale, «Europa-Mediterraneo (tra i dieci lungometraggi in gara, c’è anche l’italiano «La radio» di Davide Sardella). E ora gli ospiti degli Incontri ravvicinati: lunedì c’è quello con il regista del film rivelazione della stagione Fausto Brizzi («Notte prima degli esami»); martedì con uno dei registi di culto della nuova Spagna, Àlex de la Iglesia (che porterà con sé il suo «La comunidad»); mercoledì Cristina Comencini parlerà della «Bestia nel cuore»; giovedì toccherà a Sergio Castellitto, di cui il festival mostrerà i film girati in Francia (per l’incontro l’attore ha scelto «A vendre»); venerdì ecco Paolo Virzì (che ha scelto «My name is Tanino»); infine, sabato, Marco Bellocchio con il suo «Buongiorno, notte». Nella sezione «Parole di cinema» gli studenti potranno incontrare (grazie alla collaborazione con l’università Federico II) Paolo Sorrentino, Ugo Gregoretti, Alessandro Benvenuti, lo scrittore e sceneggiatore Diego De Silva (che fa anche parte della giuria internazionale), ancora Castellitto e Giuseppe Rocca. Interessanti sono i video del concorso Backstage-Making of, dove sarà possibile scoprire segreti di lavorazione di film come «Il regista di matrimoni» di Bellocchio, «Amarcord» di Fellini, «Romanzo criminale» di Placido, «La guerra di Mario» di Capuano o del nuovissimo «N» di Virzì (che probabilmente debutterà a Venezia). Per approfondire le riflessioni sulla città, anche quest’anno c’è «Schermo Napoli», che si arricchisce di una sezione documentari, dove spicca «La città perfetta» di Franceso Patierno. Il festival renderà omaggio anche ad alcuni volti popolari del cinema italiano. A cominciare da Sergio Citti, morto l’anno scroso e già dimenticato. Sette i film in cartellone, da «Ostia» che è del ’70 a «Fratella e sorello», del 2002. Poi, ecco la coppia doc Gassman-Tognazzi, di cui potremo rivedere «In nome del popolo italiano» di Risi, «L’udienza» di Ferreri, «Signore e signori, buonanotte e «I nuovi mostri», entrambi film collettivi, e «La terrazza» di Scola. «Insieme - denuncia Violini - Gassman e Tognazzi hanno girato 13 titoli, ma noi siamo riusciti ad averne solo cinque. Degli altri non esistono copie proiettabili. I negativi ci sono, ma in che condizioni?». Anche Àlex de la Iglesia riceverà l’omaggio di una retrospettiva a lui dedicata con otto film, compresi ovviamente i più noti «La comunidad» e «Crimen perfecto». Quanto al futuro, Violini e Azzolini immaginano «un festival che oltre alla tradizionale data primaverile riesca con le sue diverse sezioni a distribuirsi lungo tutto l’anno e che coinvolga sempre di più associazioni culturali e istituzioni della città».

La Stampa Tuttolibri 3.6.06
Gli specchi nel cervello
dai gesti alla simpatia, i meccanismi attraverso cui riusciamo a identificarci in ciò che è altro rispetto a noi e a costruire un ambiente sociale condiviso
di Federico Vercellone

Giacomo Rizzolatti Corrado Sinigaglia
, So quel che fai Il cervello che agisce e i neuroni specchio, R. Cortina, pp. 216, e21, SAGGIO

Vi ricordate del mito della caverna? Quando Platone afferma che le cose che sono quaggiù sono ombre di quelle idee che sostano immobili nei più lontani recessi celesti? A prima vista il mito sembra molto astruso ma poi, a guardare bene le cose, esso spiega in termini piuttosto plausibili ciò che istintivamente facciamo tutti i giorni. Quando, per esempio, diciamo: «quello è un cane!» possiamo pronunciare la parola «cane» senza timore di sbagliarci sia dinanzi a un barboncino sia dinanzi a un alano. Così pure possiamo dire: «È un animale» sia dinanzi a un grillo sia dinanzi a un elefante. Quando ci si esprime in questi termini lo si fa in modo immediato e irriflesso. Platone vuole spiegare tutto questo dicendoci che rappresentazioni diverse sono intuitivamente ricondotte ogni giorno a rappresentazioni superiori, «generaliste» che ci rendono riconoscibili le prime. Come si può ricavare da queste brevissime considerazioni, si ha qui da fare con una spiegazione notevolmente persuasiva che rende ragione del nostro quotidiano orientarci nel mondo attraverso il linguaggio. Se leggiamo So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio di Giacomo Rizzolatti e di Corrado Sinigaglia, troviamo invece molte buone ragioni per dubitare di Platone e del suo pur autorevolissimo punto di vista. In realtà la nostra conoscenza non è, quantomeno tendenzialmente, una conoscenza teoretica o rappresentativa. Attraverso analisi condotte dapprima sulle scimmie e poi anche sugli uomini i due Autori possono affermare che il vedere non individua elementi o segmenti del mondo, cioè rappresentazioni ma «ipotesi d'azione». Il vedere non guida la mano secondo la scansione di prima e dopo, capo e sottoposto (o teoria e prassi) ma, innanzitutto, si vede con la mano. Mentre il meccanismo della rappresentazione distingue tra un momento teoretico e uno pratico, tra un momento nel quale osserviamo il mondo e un secondo momento nel quale interveniamo su di esso, abbiamo qui a che fare con un osservare che è già sempre un agire e con un agire che non è mai cieco, ma deriva da un osservare in vista di.... In altri termini non osservo la mela e poi decido di mangiarla ma la osservo per mangiarla. Non apprendiamo mai sezioni segmentate del mondo ma porzioni compiute di questo che stanno nel contesto indissolubile della proposizione: «osservo la mela, allungo la mano e la mangio». In altri termini non c'è attimo nel quale non siamo immersi nel mondo. Sin qui potremmo trovarci nell'ambito di una qualsiasi teoria filosofica evoluta (dal pragmatismo a Heidegger) secondo la quale il soggetto è già da sempre immerso in un contesto. Ma il passo oltre che viene compiuto facendo nostra la scoperta dei neuroni specchio è che questo mondo diviene il nostro mondo attraverso l'imitazione del comportamento altrui. Il comportamento imitativo già riscontrabile negli esperimenti con le scimmie che ripetono certi gesti fatti dall'uomo (per esempio prendere fra le dita un pezzo di pane) dimostra che - grazie ai neuroni specchio - siamo già sempre immersi in un ambiente socialmente condiviso. La cultura da questo punto di vista è inserita nelle strutture biologiche che prevedono uno scambio imitativo: questo inizia con temi come il cibo per evolvere verso ambiti più complessi come lo scambio linguistico e quello emotivo. Da questo punto di vista il linguaggio non fa che ripetere, su di una scala dell'evoluzione più alta, quanto già si annunciava nell'imitazione semplice della gestualità altrui. Si riproducono, sul piano linguistico, comportamenti complessi che non sono riducibili alle loro componenti. Anche dal punto di vista linguistico - come del resto è intuitivo - non si congiungono strutture originariamente isolate le une dalle altre: soggetto, verbo e predicato. Si ha piuttosto sempre a che fare con strutture che realizzano una totalità, che identificano in questo modo un gesto, un'attitudine, un comportamento. Ma, come è noto a tutti, la comprensione non concerne soltanto o esclusivamente la sfera del linguaggio verbale; anzi una vera comprensione non può darsi che in presenza di una profonda corrente simpatetica che ci metta a contatto con gli altri condividendone i sentimenti. Anche a questo proposito i neuroni specchio hanno da dire la loro: sono proprio loro infatti i responsabili del fatto che dinanzi a qualcuno che prova disgusto anche noi lo proviamo senza essere a contatto diretto con la causa di questo stato. L'aspetto nauseato del nostro amico Mario che ha ingerito un cibo andato a male induce in noi un'analoga reazione di disgusto - suscitata dai neuroni specchio - senza che tuttavia si sia ingerito quel medesimo cibo. I neuroni specchio divengono da questo punto di vista un elemento cardine per cogliere la continuità evolutiva di bios e di ethos, di natura e cultura. Ci consentono di cogliere anche sul piano biologico le motivazioni profonde di risposte culturali antichissime ma persistenti. Per esempio: perché proviamo piacere in quanto spettatori di eventi luttuosi? Quando - a seguire Aristotele - siamo spettatori di una tragedia, ma potrebbe dirsi lo stesso per un film horror? Probabilmente ciò avviene non per ultimo perché sperimentiamo in queste situazioni la capacità di uscire da noi per identificarci in qualcosa di diverso, sia pure doloroso. Facciamo cioè esperienza di quella misteriosa plasticità del nostro essere che genera la cultura della quale i neuroni specchio sono, nel bene e nel male, corresponsabili.

La Stampa Tuttolibri 3.6.06
Se hai imparato a parlar
di Claudio Bartocci


Mia figlia Matilde, che ha tre anni e mezzo, dice «toglio» invece di «tolgo», «fao» invece di «faccio», «vuolo» o «vòlo» invece di «voglio». Niente di strano: tutti i bambini che imparano a parlare commettono errori di questo tipo, mostrando la naturale tendenza, per così dire, a rendere regolari forme grammaticali che sono al contrario irregolari. Per quanto comunissimo e diffuso in tutte le lingue del mondo, questo fenomeno basta da solo a farci capire che alla domanda forse più fondamentale della linguistica - come si apprende la lingua materna? - non si può rispondere facilmente prendendo a prestito modelli che descrivono altri generi di apprendimento. Già Darwin, nell'Origine dell'uomo, aveva messo in luce il dilemma: il linguaggio, sebbene non sia un vero istinto, in quanto deve essere sempre appreso, «differisce profondamente dalle altre abilità, perché l'uomo ha una tendenza istintiva a parlare, come vediamo già nella lallazione dei bambini piccoli». Da una parte, dobbiamo senz'altro escludere che l'acquisizione di una lingua sia l'esito di un processo determinato unicamente su base biologica, o addirittura genetica: ogni bambino può imparare a parlare qualsiasi lingua, indipendentemente - è ovvio - dalle lingue parlate dai suoi genitori. Dall'altra, non sembrano applicabili nemmeno modelli di apprendimento secondo i quali le lingue si acquisiscono, su un substrato neurofisiologico del tutto equiparabile a una tabula rasa, soltanto per tentativi e errori regolati dall'esperienza, cioè principalmente per imitazione: se così fosse, infatti, ci dovremmo aspettare, nel novero virtualmente infinito di forme foneticamente possibili, errori che di fatto i bambini non commettono mai, e di conseguenza saremmo portati a ipotizzare tempi di apprendimento molto più lunghi. Non esistono risposte unanimamente condivise dalla comunità scientifica, né tantomeno risposte semplici, al problema del linguaggio umano. Il primo grande merito di questo brillante saggio di Andrea Moro (professore di linguistica generale all'Università «Vita-Salute» San Raffaele di Milano) sta nel non aggirare o edulcorare le difficoltà del problema, ma nel delineare un percorso attraverso le difficoltà che permetta anche al lettore non specialista di farsi un'idea delle frontiere della ricerca. Il secondo grande merito sta nell'esemplare rigore metodologico con il quale è strutturata l'esposizione: l'autore prende le mosse da un ben preciso quadro teorico (la grammatica generativa di Noam Chomsky), delineato con dovizia di esempi nella prima parte del volume, passa quindi a descrivere due ingegnosi esperimenti (da lui stesso ideati e realizzati) i cui risultati non sono in contrasto con gli assunti teorici (e dunque li corroborano) e conclude avanzando alcune affascinanti ipotesi sulle grammatiche possibili. Mettendo insieme acquisizioni teoriche e sperimentali appartenenti a ambiti disciplinari disparati e sviluppando argomentazioni sottili ma stringenti, Moro mostra che l'unificazione di linguistica e neuroscienze, pur se ancora distante, è quantomeno concepibile: «Le teorie linguistiche, basate sulla comparazione di regolarità grammaticali tra lingue diverse, risultano compatibili, se non addirittura convergenti, con i risultati di tipo neurobiologico». In particolare, gli esperimenti effettuati sottoponendo ai soggetti frasi composte da parole inventate con errori fonologici o con errori sintattici (o morfosintattici) paiono indicare che alcune caratteristiche del linguaggio sono biologicamente determinate e che un'area specifica del cervello (l'area di Broca) si attiva in modo selettivo nell'elaborazione di tipo sintattico. In relazione al problema dell'acquisizione del linguaggio, si potrebbe illustrare lo schema di soluzione verso cui sembra puntare la ricerca attuale servendoci di un evocativo paragone suggerito da Chomsky: come un ragno non impara a costruire una ragnatela perché gliel'ha insegnato un altro ragno, così un bambino non apprende la lingua materna soltanto perché qualcuno gliel'ha insegnata, ma in primis perché ha il cervello di un essere umano. L'idea secondo la quale si possa considerare la grammatica un software e il cervello un hardware, che la supporta in modo neutrale come un circuito elettronico supporta un programma, appare erronea. Al contrario, sostiene Moro, «la sintassi delle lingue umane (e forse, in generale, i processi cognitivi che caratterizzano la mente dell'uomo) sembra essere l'unico software che questo hardware, il cervello dell'uomo, può esprimere». Accettata questa prospettiva, appare ragionevole supporre che, fra tutte le grammatiche concepibili, siano realizzate - tante nelle lingue esistenti, quanto in quelle estinte e in quelle che in futuro nasceranno - soltanto le grammatiche compatibili con la struttura neurobiologica della quale si trova dotato, dalla nascita, ogni individuo della specie Homo sapiens sapiens. In particolare, il cervello di un bambino sarebbe sensibile unicamente a una classe ristretta di sintassi possibili, che non è escluso - ipotizza Moro - si possano caratterizzare in termini di criteri formali relativamente semplici. Come ha scritto il linguista C.D. Yang, «gli errori che un bambino può compiere nell'apprendere la propria lingua non sono altro che forme possibili in altre lingue»: lingue forse ancora da inventare. Andrea Moro

I confini di Babele Il cervello e il mistero delle lingue impossibili, Longanesi, pp. 308, e16,60 SAGGIO

il manifesto 3.6.06
Un saggio sul rapporto tra Nietzsche e Heidegger
L'essere nel fraintendimento
di Roberto Ciccarelli


Quella tra Nietzsche e Heidegger è la storia di un fraintendimento. Heidegger fu il primo a riconoscere in Nietzsche l'interprete del nichilismo come «esperienza epocale dell'occidente», ma è anche l'autore di un singolare equivoco che lo portò a considerare Nietzsche il massimo interprete del nichilismo. Un Nietzsche nichilista che riconosceva l'essenza della storia moderna occidentale (la nullificazione del mondo - dell'essere, del Sein - in nome di un ideale soprasensibile), ma non riuscì mai a superarla.
Il paradossale esito esegetico di Heidegger lasciò una pesante ipoteca sulla connotazione metafisica del pensiero di Nietzsche che viene rimesso nuovamente in discussione da un libro di Rita Casale, docente di filosofia presso l'università di Zurigo e redattrice della prestigiosa rivista Feministische Studien, L'esperienza Nietzsche di Heidegger tra nichilismo e Seinsfrage (Bibliopolis, pp.500, euro 40).
Il libro di Rita Casale scandisce l'incontro tra i due pensatori in tre fasi: la prima fase dell'«incontro» (1909-1928), quella del «confronto non tematico» (1929-1935) e infine quella del «confronto tematico» (1936-1946 durante i corsi che Heidegger dedicò a Nietzsche poi pubblicati in volume nei primi anni Sessanta e nel 1994 in Italia da Adelphi) e segnala che la ragione del fraintendimento di Heidegger era innanzitutto politica.
Come peraltro scrisse lui stesso nel 1921 in una lettera al suo giovane allievo Karl Löwith, rispetto a Nietzsche lo divideva l'idea dell'università e dello stato. Nietzsche, filologo promettente, abbandonò l'università a ventisette anni. Heidegger, l'ideologo del «destino dell'università tedesca», ci passò tutta la vita. Nietzsche denunciava la filosofia insegnata nelle università, la sua riduzione a religione di stato, mentre Heidegger non ammetteva alcuna separazione tra la cultura e lo stato. Anzi, come ha scritto Jürgen Habermas, il ritorno all'accademia dell'autore di Essere tempo era la reazione contro quei liberi scrittori, scapestrati e geniali, che avevano fatto la storia della filosofia tedesca (da Marx a Nietzsche, appunto).
Divergenze che ritornavano anche nel merito della proposta filosofica. Pur avendolo pienamente compreso, infatti, il «pensiero abissale» di Nietzsche faceva tremare i polsi ad Heidegger. L'autore di Così parlò Zarathustra proponeva di pensare la storicità come unica dimensione del pensiero e quindi l'essere come storia, mentre Heidegger - pur avendo spinto la fenomenologia alle stesse conclusioni - preferì rifugiarsi successivamente in un pensiero dell'origine e della trascendenza.
A metà del Novecento, un'intera generazione di pensatori, da Foucault a Derrida a Deleuze, contestò i fraintendimenti di Heidegger e ripartì dalla folgorante intuizione nietzschiana sull'«eterno ritorno», il contro movimento rispetto alla tradizione occidentale ispirato al platonismo nichilista e al cristianesimo. Da questo laboratorio nacque la piattaforma di un nuovo pensiero materialistico e dell'immanenza di cui il libro della Casale rappresenta un primo sondaggio genealogico.


Gruppo Editoria Oggi 3.6.06
(Latina Oggi e altri 11 quotidiani di Lazio, Abruzzo e Molise)
Normalità assassina, le confessioni choc
Racconti delle detenute dell'Opg di Castiglione
LIBRI / Suggerimenti

di Licia Pastore

MADRI ASSASSINE. DIARIO DA CASTIGLIONE DELLO STIVIERE, di Adriana Pannitteri, Gaffi, con una postfazione di Annelore Homberg


«LE NOTIZIE di cronaca alcune volte non raccontano tutta la verità, parlano soltanto di alcune cose eclatanti. Raccontano l’orrore, ma sono soltanto sprazzi di vita, non si va mai a scavare dietro le vite di queste persone per capire cosa c’è, e cos’è la malattia mentale».
Adriana Pannitteri volto noto tra le giornaliste del Tg 1 ha presentato questa settimana il suo primo libro, ed è con queste parole che ha spiegato in tv l’interesse che l’ha spinta a trattare l’argomento in un libro. Un’esigenza per capire di più e nello specifico conoscere cos’è la malattia mentale. Ma certo anche di saperne di più sui rapporti umani. Purtroppo la sommarietà con cui vengono raccontate queste tragedie, spesso non è utile a capire e scoprire cosa si nasconde l’apparente normalità di molte di queste madri. Prevale il fatto, lo sgomento che si prova di fronte a notizie di questo genere e poi il pensiero della punizione. Non certo della cura di menti malate che non lasciano trasparire, se non agli occhi esperti dei clinici, i segni della grave patologia che si nasconde dietro una normalità solo apparente. «Madri assassine - diario da Castiglione delle Stiviere» (collana I sassi ed. Gaffi euro 10) è il diario con cui la giornalista racconta la sua esperienza a Castiglione delle Stiviere, nell’ospedale psichiatrico giudiziario (una volta si sarebbe chiamato manicomio criminale) in cui sono recluse quelle donne che si sono macchiate di delitti sui propri figli. Chi vi entra, ha commesso un reato ed è stato ritenuto incapace di intendere e di volere, anche se i magistrati possono comunque disporre il ricovero provvisorio anche quando la persona accusata è in attesa di giudizio se c’è il sospetto di malattia mentale. Gli uomini ricoverati sono in media 150, e al momento della visita come viene descritto nel testo, nella struttura soltanto uno aveva ucciso il proprio figlio. Le donne invece sono circa 50. Castiglione è l’unico ospedale psichiatrico giudiziario a ospitarle. Un luogo che comunque è costituito con personale composto da medici e infermieri. Non esistono agenti penitenziari. La sfida si gioca quindi su piani esclusivamente medici. Si tratta di fronteggiare la malattia mentale che molto frequentemente non è quella eclatante. Molte delle recluse sembrerebbero perfettamente normali. Ma non è così. Dietro quei volti si nasconde quanto finora la cultura dominante non ha voluto comprendere. La malattia mentale fa paura. Non se ne vuole parlare. La postfazione del libro della Pannitteri è della psichiatra e psicoterapeuta Annelore Homberg, docente incaricata presso l’Università di Foggia. Si occupa principalmente delle depressioni maggiori e di psicoterapia delle psicosi. E’ anche redattrice della rivista di psichiatria e psicoterapia «Il sogno della Farfalla» che ha il suo punto di riferimento nei libri di Massimo Fagioli e nella ricerca dei seminari di Analisi Collettiva da lui condotti a partire dal 1975. «Il racconto di Adriana - scrive Annelore Homberg - è anche il tentativo, rispettoso mi pare, di sapere di più su come si origina questa malattia che è la psicosi gravissima. Una prima cosa che veniamo a sapere è che non sono malattie che si creano da un giorno all’altro. La dicitura raptus che i giornalisti usano sempre è sbagliata e fuorviante». Nel libro vengono raccontate le storie delle donne che per la prima volta hanno accettato di rivelare la loro storia di solitudine e di malattia. Tra queste il racconto immaginario di Maria Grazia, una bambina che ha avuto una mamma malata di depressione. «La pazzia non è espressione di malvagità. Non è segno del male neppure quando porta a compiere il più inconcepibile dei delitti - scrive la Homberg - E’ malattia, una malattia che gli psichiatri chiamano psicosi e che comporta la perdita totale del rapporto con la realtà. Devo precisare: non tanto del rapporto con la realtà del supermercato e dell’orario dei treni quanto la perdita del senso della vita, del valore della vita umana».
Licia Pastore

IL DENTRO DEL SUONO, Paolo Izzo, Ibiskos

E’ in libreria da ottobre del 2005 e verrà presentato a Latina venerdì 9 giugno alle 20.30 il secondo romanzo di Paolo Izzo «Il dentro del suono» (Ibiskos editrice di A. Risolo) attualmente alla seconda edizione. La presentazione del libro si terrà presso la Libreria Piermario & Co. in via Armellini, 26 ( Tel. 0773 474804) , alla serata interverrà Antonio Di Micco. All’autore sono stati conferiti due premi. Il premio della giuria (sezione narrativa) «Concorso internazionale Città di Salò 2006» e il premio speciale «Best-Seller 2005» della casa editrice Ibiskos. Il romanzo racconta la singolare storia di due ragazzi. Un uomo e una donna descritti seguendo percorsi originali. Uno scritto elegante tra fatti, fantasia e immagini. Le mille sfaccettature della storia portano il lettore non verso esercizi di memoria, semmai verso i percorsi che sono quelli dell’ascolto del suono di dentro che passa attraverso il silenzio di fuori. Un racconto che non descrive ciò che è evidente nel rapporto tra un uomo e una donna. Si va oltre. Tra i percorsi delle immagini.
Licia Pastore

venerdì 2 giugno 2006

Corriere della Sera 2.6.06
Bertinotti sale sul palco Il Prc alla contro-parata
di Fa.Ro.


ROMA - Questa mattina, alle 10.10, quando i reparti militari cominceranno a sfilare in via dei Fori Imperiali - la gente dietro alle transenne, il Colosseo sullo sfondo - i fotografi andranno a cercare con i loro cannoni ottici il primo piano di Fausto Bertinotti, l’ex segretario, l’ex gran capo di Rifondazione comunista, che, dopo non essersi perso neppure un corteo pacifista degli ultimi cinque anni, oggi sarà lì, sul palco delle autorità, a veder sfilare i nostri militari, come gli impone il nuovo incarico di presidente della Camera. Il suo successore alla guida del partito, Franco Giordano, assicura che «Rifondazione era, resta e resterà sempre contraria a ogni forma di guerra... abbiamo sempre favorito e condiviso ogni mobilitazione pacifista e certo non abbiamo alcuna intenzione di cambiare idea. Naturalmente, se poi Fausto Bertinotti sarà sul palco per assistere alla parata, dovrebbe essere evidente a tutti che si tratta di una presenza impostagli dal nuovo ruolo. Davvero, le critiche che gli stanno giungendo in queste ore mi paiono francamente risibili».
Saranno risibili, ma stanno dividendo il partito. Centinaia di militanti, infatti, parteciperanno alla manifestazione pacifista organizzata contemporaneamente alla parata militare. Appuntamento a Castel Sant’Angelo: le bandiere di Rifondazione accanto a quelle dei Verdi, dei Comunisti italiani, dei Cobas. Pronto anche lo striscione delle «Donne in nero», l’organizzazione pacifista femminile da sempre vicina a Bertinotti, anzi incoraggiata pubblicamente più volte da Bertinotti.
Cerca di mediare Piero Sansonetti, direttore di Liberazione , il quotidiano del partito: «Siamo tutti contro la guerra e contro questa parata, che a me sembra fuori dal tempo, incomprensibile in una società moderna e civile». E quando vedrà Bertinotti su quel palco... «Non lo vedrò, perché alla parata ovviamente non vado. Ma, come dire? non mi stupisce di certo sapere che lui ci sarà. Bertinotti sale sul palco perché lì si celebra la Festa della Repubblica... non capisco, davvero, dove sia lo scandalo...».
A Sansonetti risponde la deputata Elettra Deiana: «Io andrò alla manifestazione pacifista. Cosa c’entra la nostra Repubblica con l’esibizione delle Forze armate? Vorrei ricordare a tutti, ma proprio a tutti... che la Repubblica nasce democratica, egualitaria e solidale, libera e libertaria. Molto distante, insomma, da questa triste e vergognosa parata...».
Questo genere di discorsi trova piuttosto d’accordo sia Giovanni Russo Spena, il capogruppo al Senato di Rifondazione («Io vado al corteo pacifista, certo, chiaro che vado lì...») sia l’onorevole Francesco Caruso, ex gran capo dei Disobbedienti meridionali.
«Io ho già invitato personalmente Fausto Bertinotti a non assistere alla sfilata militare. Gliel’ho chiesto personalmente, quasi implorandolo, e fino all’ultimo spero che lui mi dia ascolto. Detto questo - continua Caruso - mi sembrano comunque piuttosto ridicoli certi richiami alla coerenza da parte di alcuni esponenti della sinistra...». Ridicoli, Caruso, perché? «Ma perché alcuni di loro erano al governo, quando da Palazzo Chigi arrivò l’ordine ai nostri caccia di bombardare le città dell’ex Jugoslavia. Con quale coraggio, ora, pretendono di darci lezioni di coerenza pacifista?».

Repubblica 2.6.06
LA LETTERA
Sulle staminali ho difeso la ricerca
di Fabio Mussi


Caro direttore, il Consiglio Europeo sulla "Competitività" cui ho partecipato a Bruxelles il 30 maggio scorso ha affrontato questioni cruciali per l´avvenire dell´Unione europea e del nostro stesso Paese. Ho trovato l´Italia in una imbarazzante situazione di isolamento. Ed ho provato, credo con qualche successo, a rimetterla sulle gambe d´Europa.
Il Consiglio ha dato il via libera al Settimo Programma Quadro per la ricerca. Se ci saranno le dovute conferme della Commissione e del Parlamento, si partirà dall´inizio del 2007. Si tratta di 53 miliardi di euro per sette anni: una grande massa di risorse, che non verranno assegnate secondo un capitolato nazionale ma sulla base della qualità dei progetti presentati dalle Università, dai centri di ricerca, dalle imprese. Una grande, grandissima opportunità, rispetto alla quale bisogna da subito organizzare e mobilitare tutte le nostre energie economiche, intellettuali, scientifiche, cui faccio qui appello per un impegno nuovo e straordinario.
Il governo precedente aveva concentrato la sua attenzione sui finanziamenti alle Piccole e Medie Imprese. Freddo sulla ricerca fondamentale (Programma Ideas, 7.460 milioni di euro), freddissimo sulla costituzione del Consiglio Europeo della Ricerca. Talmente freddo, che i due italiani membri del consiglio scientifico a 22 (i professori Bordignon e Settis) sono stati sostanzialmente scelti dalla comunità scientifica europea.
Io ho aperto su questo tema, dichiarando il pieno consenso dell´Italia al Programma Ideas e alla costituzione del Consiglio Europeo della Ricerca, che si appresta a diventare una vera e propria Agenzia. Quest´apertura ha rimosso le forti obiezioni, venute soprattutto dai Paesi del centro e del nord Europa , al finanziamento alle PMI, contenuto nel programma Capacities, di particolare interesse per l´Italia ed equivalente a 1.336 milioni di euro.
In questo quadro ho annunciato di non voler insistere sulla "dichiarazione etica", mai discussa in nessuna sede, con cui il precedente governo (insieme a quelli di Germania, Slovacchia, Polonia, Austria e con l´adesione motivata di Malta e Lussemburgo) puntava a formare una "minoranza di blocco" per impedire su scala continentale qualsiasi ricerca sulle cellule staminali embrionali.
Questa posizione non tocca la legge 40, che può piacere o non piacere, ma che oggi è legge dello Stato italiano e in quanto tale va attuata. Le norme europee prevedono, com´è noto, il rispetto delle legislazioni nazionali, ma non mi sembrava il caso di imporre a tutta l´Europa una sola legge, la nostra (cosa che ha detto anche Francesco Rutelli nel question time alla Camera).
Quando si parla d´Europa, è bene sapere di cosa si parla: non del gabinetto del dottor Frankenstein. Sono personalmente favorevole a tenere alte determinate barriere etiche, per esempio in tema di clonazione umana. Ma la ricerca controllata sulle staminali non ha niente a che fare con questo, e come si sa è molto promettente: tali cellule – come ha scritto su Repubblica il professor Veronesi – "potrebbero rappresentare la soluzione ideale per malattie degenerative come il morbo di Parkinson o l´Alzheimer, o per la sclerosi multipla e la distrofia muscolare".
Le legislazioni nazionali sono quasi tutte molto controllate e restrittive. Se si guardano i dati, si contano sulle dita di una mano le richieste di fondi per ricerche su staminali da embrioni extra numerari, destinati comunque alla distruzione (il cui uso è stato valutato "male minore" anche da autorevoli personalità della Chiesa Cattolica). Il grosso delle domande è stato fin qui relativo alla ricerca sulle staminali adulte, o a ricerche su linee cellulari già esistenti, cosa consentita anche dalla legge 40, come ha ricordato ripetutamente in questi giorni la professoressa Cattaneo, direttrice del laboratorio sulle cellule staminali e le malattie neurodegenerative dell´Università Statale di Milano.
Se non c´è una posizione di blocco, l´Europa è libera collettivamente di decidere, di autorizzare, di frenare, di impedire, sulla base di considerazioni etiche e scientifiche.
Rispetto le posizioni della Chiesa, ma lo spazio di laicità degli Stati deve tenere presente numerosi punti di vista, e scommettere al tempo stesso sul principio di libertà della ricerca e di responsabilità della scienza.
Condivido i richiami alla collegialità del Governo, penso però di aver fatto l´interesse del Paese e onorato la responsabilità di Ministro dell´Università e della Ricerca scientifica.
Teniamo aperto il dialogo etico, non chiudiamo la porta alle speranze umane.

La Sicilia 2.6.06
Rosanna Bettarini ha curato il volume delle lettere a Irma Brandeis
L'amore impossibile di Montale
di Alessandro Censi


"Mia cara Irma, io sono abituato a cibarmi di nuvole e di lontananza, ma tu meritavi qualche cosa di meglio! E lascia che ti ripeta che io non voglio la libertà che mi dài, ma che tu devi restare assolutamente libera e non avere nessun male da me! Io sarò sempre tuo, a tua disposizione, pronto a fare quello che vorrai - e persino a pensare quello che vorrai farmi pensare..."
Da questa lettera del 7 dicembre 1933 si capisce quanto Eugenio Montale fosse perdutamente innamorato di Irma Brandeis, colei che sarebbe divenuta una delle sue muse col soprannome di "Clizia", ma anche dietro quanta ambiguità bugiarda si nascondesse. Alta, snella ed elegante, come scrive Rosanna Bettarini nell'introduzione al volume Lettere a Clizia (Mondadori, 376 pagine, 25,00 euro) di cui è anche curatrice insieme a Gloria Manghetti e Franco Zabagli, la Brandeis incontrò Montale, allora direttore del Gabinetto Vieusseux a Firenze, appunto nel '33. Ebrea americana di origine austriaca, Irma, che a quell'epoca aveva 28 anni, nove meno di lui, ed era una scrupolosa italianista, francesista e anglista, oltre che traduttrice ed essa stessa scrittrice, venne in Italia proprio per conoscere il nostro poeta. L'amore fra i due scoccò a prima vista, come testimoniano le più di 150 missive che lui le scrisse. Mancano purtroppo quelle di lei, forse distrutte da Montale per prudenza, dal momento che già conviveva con la "Mosca", soprannome di Drusilla Tanzi da lui sposata infine nel 1963, poco prima che morisse.
Non fu un rapporto facile, perché la Brandeis avrebbe voluto coronarlo col matrimonio e che lui la seguisse in America, e la presenza di un'altra donna nella vita di Montale fu motivo di aspre discussioni; ma entrambi coltivarono un sogno favorito dalla distanza, che in seguito per lui si mutò in languida nostalgia di un bene perduto. "Darling, (…) io sono ben capace di amarti per tutta la vita anche se dovessimo restare sempre lontani", scrive nel '34 Montale, per la cui ispirazione quell'amore tormentato, con le sue scaramucce, le separazioni e gli addii, era in realtà una vera manna.
"Il personaggio chiamato Clizia - dice la professoressa Bettarini - attraversa quasi tutta l'opera di Montale a partire dal 1933. Quella giovane ebrea americana colta e intraprendente, col suo alone di misteriosa lontananza, era capace di far vibrare le corde profonde di un poeta. Le prime liriche scritte per Irma Brandeis, tra le più belle di Montale, come Costa San Giorgio, Eastbourne e alcuni Mottetti, sono le pietre angolari di quell'edificio in versi chiamato Le occasioni, del 1939, la seconda raccolta montaliana dopo Ossi di seppia. Si ritrova la stessa ispiratrice, forse ancora più 'imperiosa', nella successiva raccolta La bufera : 'La frangia dei capelli che ti vela / la fronte puerile, tu distrarla / con la mano non devi. Anch'essa parla / di te, sulla mia strada è tutto il cielo…'."
- Quanto tempo durò questa relazione?
"Per quanto il romanzetto d'amore sbocciato a Firenze nel '33 fosse già chiuso nel 1939, Clizia continua a comparire anche dopo nelle poesie di Montale, e la ritroviamo ancora in un mirabile spartito della vecchiaia contenuto nel libro Altri versi, del 1980. Clizia, insomma, è centrale nell'universo poetico montaliano, anche se spesso confusa con altri fantasmi femminili. Irma aveva fra l'altro il pregio di essere di fatto un'Assente, in quanto viveva in America e in tutto i due amanti giovani e strani si videro per un mese o poco più, condizione ideale per ogni poeta."
- Com'è che di questa relazione non si è mai parlato molto, a differenza di quanto è accaduto con altre donne di Montale?
"Perché fu Montale stesso a dire e non dire, a invitare gli amici a mantenere il segreto, creando così fin dall'inizio la leggenda, perpetuatasi fino alla sua morte. Da parte sua la professoressa Brandeis non fece nulla per apparire alla ribalta e rivendicare la sua parte di musa, essendo stata molto ferita dal comportamento di lui nei suoi confronti. Queste lettere mostrano infatti Arsenio in tutta la sua debolezza: un uomo che si nasconde, che si difende attaccando tutti. Riconosce dentro di sé un nemico che l'assedia e che lo costringe in un recinto angusto. In questo poco spazio nasce però il poeta."

giovedì 1 giugno 2006

Corriere della Sera 1.6.06
Lo sfogo del ministro: io pentito? No
Gli scienziati hanno capito e mi basta

di Fabrizio Roncone


ROMA - Fabio Mussi, raccontano, era nel suo studio al ministero. Mattina tardi, una riunione tecnica conclusa da poco e la segretaria che lo avverte, dodici telefonate sull’agenda, gente che lo cerca. Chiamano dal Botteghino, da Palazzo Chigi, e poi la voce calda e affettuosa del professor Umberto Veronesi, e poi ancora i centri di ricerca di mezza Italia. Voci di scienziati, che lasciano un messaggio: «Non incomodate il signor ministro. Avrà molto lavoro da sbrigare. Ditegli solo che lo ringraziamo immensamente». Fabio Mussi, continuano nel racconto, a questo punto ha alzato la testa e ha detto: «No, non mi pento. Ho agito per il meglio. E chi doveva capire, ecco, evidentemente l’ha capito...». Nessun passo indietro. Il ministro per l’Università e la Ricerca resta sulle sue posizioni. Il ritiro della firma dalla «Dichiarazione etica» con cui l’Italia - insieme ad Austria, Germania, Polonia, Slovacchia e Malta - s’era dichiarata contraria alla ricerca sulle cellule staminali embrionali, continua a sembrargli una decisione saggia. Ai suoi collaboratori, di ritorno da Bruxelles, l’ha spiegato parlando piano e senza indugi: «Vedete... nel nostro Paese c’è una legislazione precisa, che a me non piace, sia ben chiaro, e infatti spero che venga presto ridiscussa e però, per ora, io certo non la violo, anzi, la rispetto... tuttavia...». Tuttavia? Gli hanno quasi chiesto in coro quelli del suo staff. «Beh, in sede europea, davvero, niente e nessuno può chiedermi di esportare il nostro modello. Il punto, credetemi, è solo questo: non posso, e sul serio non me la sento eticamente e moralmente, di esportare un modello che reputo sbagliato. Tutto qui».
Con Romano Prodi ha già parlato. Ma è lo stato dell’animo politico di Mussi, che forse più conta. E, in questo senso, si può parlare d’uno stato d’animo pervaso da un senso di responsabilità. Lo stato d’animo di colui che è disposto a caricarsi il peso di un’azione politica non facile ma necessaria. Per capirci: Mussi ritiene che, su certi temi scottanti, su certi argomenti che rischiano di dividere l’Unione e, quindi, il governo, «debba esserci qualcuno in grado di strappare».
Usa questo verbo, Mussi: strappare. Lo usa pensando a chi ha il compito di dire una cosa scomoda, difficile e però inevitabile. Gli altri, aggiungono quelli del suo staff, mostrando magari qualche difficoltà - «e al limite storcendo il naso, o dichiarandosi indignati con le massime gerarchie della Chiesa romana» - finiranno con l’accordarsi.
Il riferimento è a Francesco Rutelli? No, ufficialmente no. Al vicepremier viene riconosciuto di aver poi parlato, nel corso del question time, «a nome, solo a nome della Presidenza del Consiglio». Nei corridoi del ministero, però, non sono naturalmente pochi quelli che sospettano quale possa essere il vero pensiero del gran capo della Margherita, su questa vicenda di staminali, che trascina il governo italiano sul fronte più laico dell’Unione Europea. Non casualmente, quelli che escono dalla stanza di Mussi, abbassano la voce e dicono: «Dipendesse da Rutelli, magari sarebbe anche d’accordo con noi. Il guaio che s’è ormai legato con un certo mondo cattolico, deve dargli conto e perciò...».
Frasi pronunciate e poi negate. Non scrivere niente, non riferire niente. Tanto, il ministro Fabio Mussi smentirebbe tutto. Ogni frase, persino ogni virgola.
Di sicuro, Fabio Mussi una frase non la smentirà però mai. Riguarda la deriva di certi ragionamenti sulle cellule staminali, riguarda certi inquietanti orizzonti della ricerca. «Vorrei fosse comunque chiaro a tutti che a me, certe cose, certi concetti, come ad esempio quelli a cui possono portare parole come "clonazione", spaventano e mi fanno inorridire. Vorrei fosse chiaro a tutti che io la parola "clonazione" non posso neppure sentirla pronunciare».
Dosi di sincera diplomazia. Un messaggio che tornerà utile: «Le mie barriere etiche sono alte. Molto alte...».

La Repubblica 25.2.06, CULTURA (1/6)
Polemiche/ per difendere un classico
Il padre della psicoanalisi tradito dal suo editore
I testi allestiti da Renata Colorni non avevano nessun bisogno di essere sostituiti
Una nuova traduzione con errori e diverse sciatterie anche macroscopiche Il Piccolo Hans da bambino diventa addirittura un adolescente
di Umberto Galimberti


Io spero che proprio nell'anno della celebrazione dell'anniversario della nascita di Freud (1856-2006) Bollati Boringhieri non distrugga, per il pubblico italiano l'opera di Freud che, oltre alle Opere di Nietzsche a cura di Colli e Montinari (Adelphi), è l'altra grande impresa editoriale di traduzione e determinazione del testo che in Italia hanno caratterizzato la seconda metà del Novecento. Questa enorme impresa di traduzione, e soprattutto di messa a punto terminologica e concettuale, nonché di uniformazione del linguaggio psicoanalitico, è opera meritoria di Renata Colorni che condusse il suo lavoro sotto l'attenta direzione di Cesare Musatti. Oltre alla correzione degli errori presenti nel testo tedesco, la Colorni si è presa cura anche delle significative varianti, aggiunte e modifiche introdotte da Freud nelle edizioni successive alla prima stesura dei suoi scritti, nonché l'inserzione di parecchi testi che non compaiono né nell'edizione inglese, né in quella tedesca, perché reperiti successivamente. Per queste ragioni Renata Colorni ha ricevuto nel 1987 il Premio Goethe per le traduzioni di Freud e nel 2002 il Premio Nazionale per la Traduzione dalle mani del Presidente della Repubblica Ciampi. Oggi Bollati Boringhieri riedita le opere di Freud in una nuova traduzione prevista in dieci volumi che, a giudicare dal primo che ho qui sottomano, mi pare caratterizzata da un'assoluta incuria che sconfina nel dilettantismo, per non parlare di macroscopici errori. Il primo volume titola Scritti di metapsicologia (1915-1917), ma solo la prima metà del volume è occupata da scritti di Freud (composti per la verità tra il 1910 e il 1931), mentre le parti successive sono costituite da una selezione del carteggio di Freud con Jung, Pfister, Ferenczi, Salomé, Groddeck, Abraham, dai «Verbali della Società psicoanalitica di Vienna», e da «Scritti psicoanalitici collegati» di altri autori, di cui non si fa menzione né nella copertina né nel frontespizio, e di cui non si capisce il criterio di selezione. Ma le cose più gravi, che a mio parere dovrebbero consigliare il ritiro immediato di questo primo volume è, se questo è solo l'inizio, la rinuncia all'intera iniziativa editoriale, sono che: del «Caso clinico del presidente Schreber» viene tradotta solo la terza parte che, in una collana che si chiama «Testi e contesti» mi pare un'operazione del tutto decontestualizzata. Inoltre Schreber, che era Presidente di Corte d'Appello qui diventa Presidente del Senato. Lo stesso dicasi del «Caso del piccolo Hans» che aveva cinque anni, ma che a pagina 156 viene riportato col titolo «Analisi della fobia di un quindicenne». Ma la cosa più grave è lo stravolgimento della terminologia freudiana, la cui correttezza e uniformità era il più grande merito della traduzione di Renata Colorni. Faccio alcuni dei moltissimi esempi che mi sono annotato: «indirizzo regressivo» diventa «direzione a ritroso», Befriedigung che significa «soddisfacimento» viene tradotto con «appagamento», poi quando il traduttore incontra Erfllung che significa «appagamento» traduce di nuovo con «appagamento» e talvolta con «esaudimento». «Impulsi» viene reso talvolta con «impulsi», talvolta con «moti», talvolta con «aspirazioni» (p. 23), «donna passiva» è reso con «donna che patisce». «Intenzionalità», parola cardine che Freud aveva introdotto nella sua costruzione psicoanalitica dopo aver seguito le lezioni di Brentano, diventa «tendenza» (p. 15). «Stimoli» è reso con «azioni stimolanti» (p. 12), «fissazione» talora con «ancoraggio», talora con «ancoramento» (da p. 13 in poi), gli «archetipi» diventano «esempi» (p. 27), le «associazioni libere» diventano «idee spontanee», espressione riutilizzata anche per rendere «idee improvvise». L'«investimento» diventa «caricamento» (p. 24), l'«affetto» diventa «emozione», la «stimolazione» diventa «rifornimento» (p. 12), la «congettura» diventa «costruzione ausiliaria». «Esibizionismo» è reso con «esibizione» (p. 17), «una propria parte sessuale» con «un proprio membro sessuale» (p. 20), «interno» diventa «intimo» (p. 25), gli «atteggiamenti» diventano «designazioni» (p. 26). E così si potrebbe continuare nel leggere questa traduzione catastrofica che non tiene fede neanche alle proprie scelte terminologiche perché, per diverse pagine copia integralmente, senza neppure citarla, la traduzione di Renata Colorni che aveva adottato un'altra terminologia. Qual è la ragione di questa pessima iniziativa. Se Bollati Boringhieri è in possesso dei diritti dell'ottima traduzione della Colorni, perché farne a meno e ricorrere a una traduzione che rende confuso il testo freudiano, il quale, non essendo un testo di secondaria importanza, comporta la perdita di un contributo enorme che la cura editoriale italiana degli anni Settanta e Ottanta ha dato alla conoscenza di Freud. Perché smarrire questo patrimonio? Aggiornare una traduzione non significa disorganizzarla e distruggerla nella sua coerenza terminologica e strutturale. Due consigli per non perdere questo patrimonio culturale. Uno alla Bollati Boringhieri di rinunciare a questa dilettantesca iniziativa culturale e recuperare la traduzione della Colorni già in suo possesso. In caso diverso, Renata Colorni, che oggi dirige i «Meridiani» della Mondadori, riediti il suo Freud in quella prestigiosa elegante collana, perché un patrimonio così importante non può andare smarrito per velleitarie e incomprensibili iniziative editoriali. Post scriptum. Leggo sull'Unità di ieri la risposta di Michele Ranchetti, direttore della nuova edizione dei testi di Freud, a Luigi Reitani che il 18 febbraio, sempre sull'Unità, aveva mosso le sue critiche precise e puntuali a questa iniziativa editoriale. Ranchetti, naturalmente, difende il suo lavoro con due argomenti: il primo risponde all'esigenza di risituare le opere di Freud nel contesto storico e culturale del tempo, facendo dialogare le opere di Freud con gli scritti coevi dei collaboratori e dei seguaci. Ottima iniziativa su cui non ho nulla da eccepire. Il secondo argomento è quello delle scelte linguistiche, perché, a parere di Ranchetti, alcuni termini adottati dalla traduzione curata da Musatti sono caduti in disuso. Qui ho molto da eccepire, innanzitutto perché nelle pagine integralmente copiate dall'edizione Musatti (peraltro mai citata) quelle parole cadute in disuso rimangono, salvo poi sparire in quei brani che si discostano dall'edizione Musatti. Il risultato è una confusione terminologica penosa. E questo è particolarmente lesivo della serietà e del rigore degli scritti di Freud che, a differenza di quelli di Jung, sono di una precisione terminologica che, se da un lato sfiora l'ossessività, dall'altro ci difende da quelle oscillazioni di significato che compromettono non solo la scientificità di qualsiasi testo, ma anche la sua coerenza interna, per non parlare della sua intelligibilità.

La Repubblica 9.3.06 CULTURA (2/6)
La polemica sulla nuova edizione di Freud
Ma sulle traduzioni c'è da discutere
Michele Ranchetti, curatore dell'opera, risponde alle critiche di Umberto Galimberti
Il nostro scopo è illustrare il progetto freudiano con i testi
di Michele Ranchetti

Caro Direttore, dopo l'animosa recensione, apparsa su queste pagine il 25 febbraio, agli Scritti di metapsicologia di Freud a cura di chi scrive (Bollati Boringhieri), credo che i lettori di Repubblica meritino qualche avvertenza. Gli Scritti di metapsicologia sono il vol. 3, il secondo in ordine di uscita, di Sigmund Freud. Testi e contesti. La nuova collana non intende affatto sostituirsi ai 12 volumi delle Opere di Freud, vanto della medesima Bollati Boringhieri, cui anzi idealmente si riferisce (tra i 27 traduttori che ci lavorarono c'era anche il sottoscritto). Propone, invece, una selezione di scritti freudiani e li accompagna con una filza di materiali diversi: testi coevi dei collaboratori, verbali dei congressi, estratti dalla corrispondenza, dalle minute dei dibattiti della società psicoanalitica, dalle riviste del movimento. Lo scopo è di illustrare (per la prima volta, non solo in Italia) il pensiero e il progetto di Freud sulla base dei testi e non della letteratura sull' argomento. E' un progetto ambizioso e difficile: storicizzare Freud. Su di esso Galimberti interviene solo due volte: una prima, disconoscendo il carattere rilevante dei materiali aggiunti, una seconda, definendo l'iniziativa ottima, dopo aver letto la mia risposta a Reitani su L'Unità. Non si tratta dunque di disconoscere né le traduzioni esistenti né il lessico freudiano italiano, alla formazione del quale ha dato un contributo decisivo la splendida traduzione de L'interpretazione dei sogni da parte di un grande (e purtroppo dimenticato) psicoanalista, Elvio Fachinelli, che ha forgiato il modello per l'edizione italiana delle Opere di Freud. Del carattere della collana la recensione non dà conto. Così come non dà conto del fatto che questi Scritti di metapsicologia comprendono un frammento di Freud, di venti mirabili pagine teoretiche, ritrovato da poco e ancora inedito anche in originale (copia dell' autografo ci era stata trasmessa, con squisita cortesia e solidarietà di studioso, da Paul Roazen). L'attenzione punta tutta sui «macroscopici errori» di traduzione. La scelta degli «errori» additati corre però, a dire il minimo, sul filo del paradosso. Vediamone alcuni. Si sottolinea come motivo di scandalo l'avere definito il piccolo Hans «un quindicenne», anziché un «bambino di cinque anni». Si tratta, con tutta evidenza, di un refuso, come capirebbe anche un bambino. A proposito: viene indicata anche la pagina, la 156; ma è bene avvisare i lettori: la cerchino non negli Scritti di metapsicologia ma in un altro volume della collana, il n. 5 (Sulla storia della psicoanalisi), che contiene diversi degli «errori» citati e che però la recensione non nomina. Molto più conta, naturalmente, il seguito. Si denuncia, per esempio, il fatto che «affetto» (Affekt) si trasformi in «emozione». Ma avevamo una buona scorta, lo Handworterbuch der Psychoanalyse (1936) di Richard Sterba, l'unico approvato da Freud. Qui «Affekt» viene definito «Gemutsbewegung» (moto dell' animo che provoca reazioni fisiologiche), mentre il lemma «Emotion» (rarissimo in Freud) rimanda semplicemente ad «Affekt», appunto. Si lamenta che gli «archetipi» diventino «esempi». Nel testo però c'è «Vorbilder», parola comune e comune correlato di «esempi». Il precedente traduttore aveva introdotto qui un termine, «archetipi», greve di echi junghiani (a rottura con Jung ormai consumata). Ci viene rimproverata una gran confusione tra «impulsi», «moti» e «aspirazioni». Ma no. «Moto» traduce sempre «Regung»; «Strebung» è resa con «aspirazione» (talvolta con «tendenza», come fa anche la traduzione alla quale il recensore sempre si affida), mentre «Impuls» è sempre «impulso» (che talvolta rende anche vocaboli sinonimi, mai però «Regung» o «Strebung»). Era invece la traduzione precedente a rendere con «impulso» sia «Strebung» (talvolta confondendo plurale con singolare) sia «Impuls» sia «Regung». Anche la proposta di «caricamento», invece di «investimento», per «Besetzung» è elencata tra i puri e semplici «errori macroscopici». La resa di «Besetzung» nelle diverse lingue è stata un notorio rompicapo (per l' inglese, a esempio, è stata inventata la parola «cathexis»). Non che «caricamento» possa riuscire perfettamente soddisfacente; pure ce l'ha, un vantaggio: così «Besetzung» e «Abfuhr» («scarica»), che nella teoria sono strettamente collegati, vengono correlati anche sul piano lessicale (come, del resto, in francese, nella coppia «charge/chargement»). Si potrebbe continuare, avendo spazio, senza troppa difficoltà. Perché a schiarire alcuni «errori» occorre (e forse basta) un'occhiata alla pagina (è il caso di «donna che patisce») o almeno alla frase intera (è il caso di «rifornimento»). Altri casi esigono registri impraticabili in questa occasione. Così, per stabilire se a rendere «Tendenz» sia più atto il calco «tendenza» o il densissimo «intenzionalità» della precedente traduzione, converrebbe un più lungo discorso, su Brentano (magari anche su altri), e sull' uso, o gli usi, che Freud ne faceva. Qui chiudo intanto con l'esempio con il quale anche il recensore si avvia a concludere. E l' esempio che apre l'ultimo capoverso dell' elenco di «errori». «Esibizionismo» è reso con «esibizione». Nella traduzione, in effetti, si trova «esibizionismo»; ma nel testo, nel testo tedesco, non c'è il termine clinico «Exhibitionismus», c' è «Exhibition». E' un vero peccato che si sia persa un'occasione per discutere pacatamente del pensiero di Freud, della sua opera e della terminologia da lui usata. Come diceva Deleuze: «Il pensiero contro qualcosa non conta nulla. Conta solo il pensiero a favore di qualcosa, che fa esistere qualcosa».

La Repubblica 09.3.06 CULTURA (3/6)
La replica
Non nascondiamoci dietro i refusi
di Umberto Galimberti

Caro Michele Ranchetti, la mia non era una recensione dell'iniziativa editoriale Testi e contesti, da lei ideata e diretta, con l'intenzione di contestualizzare le opere di Freud attraverso l'aggiunta di nuovi materiali tratti da altri autori, dai Carteggi o dai Verbali della Società Psicoanalitica di Vienna. L'iniziativa, come le ho riconosciuto, è ineccepibile e la sottoscriverei con entusiasmo a queste quattro condizioni: 1. Che fossero segnalati i criteri per cui si scelgono certi testi dei collaboratori e dei seguaci di Freud e non altri. 2. Che fossero segnalate le ragioni per cui agli Scritti di metapsicologia (1915-1917) se ne aggiungono altri di Freud composti tra il 1910 e il 1931 e per giunta incompleti e senza segnalazione dei criteri di scelta. 3. Che non ci fossero refusi (parola con cui di solito gli autori o i curatori dei libri scaricano sui redattori la loro disattenzione, come fanno i generali con i soldati) perché fatico a pensare che un redattore trasformi in un «quindicenne» un bambino di 5 anni, e Schreber, Presidente di Corte d'Appello, in un Presidente del Senato. 4. Che dopo aver riportato per pagine e pagine, senza neppure citarla, la traduzione dell'edizione Musatti, per altre pagine la si abbandona, traducendo gli stessi termini in modo del tutto diverso. Come dice Deleuze: «Il pensiero contro qualcosa non conta nulla», ma la segnalazione di una traduzione mal fatta o di una cura poco attenta conta qualcosa, se non altro per avvertire i lettori e non confondere le idee e la comprensione di Freud alle nuove generazioni che si accingono a leggerlo in questa nuova edizione, quando la Bollati Boringhieri ne è in possesso di una ottima di Renata Colorni, condotta sotto la supervisione di Cesare Musatti che, dopo la recente edizione da lei curata, non vorrei finisse in archivio.

La Stampa, 25.03.06 (4/6)
Che parto difficile, la psicoanalisi
Al di là delle polemiche, l’edizione antologica delle opere di Freud e dei suoi allievi e seguaci, ideata da Ranchetti, ha il merito di documentare il lento e contraddittorio formarsi di una disciplina che aspirava a divenire scienza, il dibattito interno, le origini di un movimento con ortodossi e eretici

AL pari della teologia, la psicoanalisi è un sapere infondato. Entrambe cercano di conciliare una fede con la ragione. Entrambe aspirano a una validità universale delle leggi individuate, siano esse leggi generali dello sviluppo psichico o leggi di natura, dimenticando che anch’esse, almeno così come le veniamo scoprendo, sono storicamente determinate. Entrambe si valgono di ingegnosissimi accrocchi concettuali e mettono in campo topologie affascinanti, movimenti dialettici del pensiero, nuovi linguaggi che poi diventano, spesso a sproposito, koiné. Entrambe accompagnano gli adepti lungo un cammino di salvezza, trascendente o immanente, e si contendono la nostra anima. Di entrambe è dubbia l’efficacia. Però sono tra le più meravigliose macchine di senso finora inventate. Una inserisce Dio l’uomo il mondo e l’universo tutto in un grandioso orizzonte di eternità sul cui sfondo si agita una vicenda storica di caduta e di redenzione; l’altra compone i frammenti sparsi e insensati della nostra esistenza in una storia dotata di significato; e poco importa che a uno sguardo scientista entrambe le costruzioni poggino sul nulla. O sul tutto della fede, che però è un’esperienza personale, difficilmente partecipabile a chi non abbia percorso il medesimo cammino. Di tutto ciò è ben avvertito Freud se si sente in dovere di chiedere scusa per il suo procedere senza corda di sicurezza: «Spero che il lettore (…) sarà ora indulgente se per una volta la critica si ritira di fronte alla fantasia e se verranno esposte cose non sicure, semplicemente perché sono stimolanti e permettono di guardare lontano». Ora una brillante iniziativa editoriale (merito di Michele Ranchetti, che l’ha ideata e curata, e della Bollati Boringhieri che l’ha accettata e prodotta) ci mette sotto gli occhi il lavoro che ha istituito il più recente dei due saperi, la psicoanalisi. Sono infatti appena usciti, e già hanno suscitato furibonde polemiche nell’ortodossia, due dei 10 volumi previsti che riproporranno la parte più significativa delle opere di Freud: il terzo, Scritti di metapsicologia, curato da Michele Ranchetti, e il quinto, Sulla storia della psicoanalisi, a cura di Martin Dehli. Ogni volume della serie accompagna i testi canonici (ma ci sono anche inediti preziosi: nel terzo, a esempio, c’è una prima mondiale assoluta, un Frammento inedito che è uno straordinario compendio di psicoanalisi, oltre che una sorprendente interpretazione del rapporto tra cristianesimo e omosessualità) con documenti che contestualizzano la ricerca, spesso drammatica sempre appassionante, di Freud. Abbiamo quindi lettere, verbali di riunioni, regole di iniziazione e di formazione, recensioni, articoli o estratti di opere dei seguaci e allievi: si delinea in tal modo il lento e contraddittorio formarsi di una disciplina che aspira a darsi rango e statuto di scienza, a inventarsi il suo lessico e a formare i suoi accoliti. In una bella veste grafica, che innova richiamando però la tradizionale eleganza della Boringhieri, ogni volume è poi ricco di apparati: una introduzione generale, introduzioni alle singole sezioni interne, note, bibliografie, fortuna editoriale dei testi presentati: insomma, un modello che sarebbe bello diventasse un prototipo per iniziative analoghe in altri campi. E’ affascinante, anche per i non addetti, seguire il dibattito interno, le tattiche e le strategie verso l’esterno, soprattutto verso l’ambiente medico, ovviamente, e l’elaborazione di una paideia di gruppo. Non solo si definiscono particolareggiati piani di studio, ma ci si preoccupa anche dell’analista che si trova a operare da solo in una città sconosciuta come fosse un giovane monaco bisognoso di una guida, un famulus o «garzone», come viene definito. La costruzione del movimento psicoanalitico è molto simile al costituirsi di una Chiesa, con ortodossi ed eretici. Esemplare in proposito il distacco e la radiazione di Jung, l’allievo prediletto. Il moto, come accade, è duplice: allontanamento da parte sua e anatema da parte del gruppo, qui preparato a freddo da una sconfessione di Abraham, che recensendo La libido scrive : «Jung non ha più alcun diritto di chiamare con il nome di “psicoanalisi” le opinioni da lui sostenute». Analogo il trattamento riservato all’altro grande eretico, Adler. E’ inoltre ora possibile, grazie ai testi diciamo accessori, dare nuovo senso a quelli canonici, che si spogliano dell’aura della genialità intangibile acquisendo in compenso una dimensione concreta: la psicoanalisi non è come Minerva che esce tutta armata dalla testa di Giove ma è frutto di un paziente lavoro su un’intuizione che matura accumulando dati, tra ripensamenti e giri a vuoto, confronti e scontri e frustrazioni, nella difficoltà di dire ciò che al tempo era indicibile (ma ancora oggi, nonostante il, o forse proprio a causa del, libertinismo coatto). Proprio qui sta forse l’utilità maggiore di questa edizione del corpus freudiano: esso si mostra nel suo divenire, incrociato con altri interessi culturali (l’etnologia, l’antichità classica, la mitologia ecc.), percorso da mille rivoli, frastagliato in direzioni diverse, in una continua apertura di nuove costellazioni di senso. E soprattutto nella consapevolezza, ben presente in Freud, di non possedere una verità definitiva, ma di avvicinarsi a essa per approssimazioni successive, in un cammino sempre asintotico.

Sigmund Freud, Scritti di metapsicologia, a cura di Michele Ranchetti, Bollati Boringhieri, pp. 534
e
Sulla storia della psicoanalisi, a cura di Martin Dehli, Bollati Boringhieri, pp. 324
e
22 SAGGI Gianandrea Piccioli


La Stampa, 18.03.06 (5/6)
Bollati Boringhieri: sarebbe un errore ingessare Freud
Intorno al dibattito sulle traduzioni degli «Scritti di metapsicologia» Il direttore editoriale Cataluccio: «Polemica fuori luogo, auspichiamo una discussione serena sulla terminologia freudiana, alla luce dei nuovi studi»
di Mirella Appiotti

CHE li abbia seccati è inevitabile. Manca comunque qualsiasi astio, almeno per telefono, a Francesco Cataluccio, direttore editoriale di Bollati Boringhieri, in relazione alla polemica innescata da Umberto Galimberti su Repubblica a proposito delle traduzioni di Michele Ranchetti degli Scritti di metapsicologia, terzo volume, secondo in ordine di uscita, dei dieci tomi previsti per la collana «Sigmund Freud-Testi e contesti», impegno notevolissimo che si concluderà entro i prossimi tre anni (prima comunque del 2009, anno in cui Freud uscirà dai «diritti») e che, come sottolinea Ranchetti nella sua risposta al filosofo non «intende assolutamente sostituirsi ai 12 volumi dell'Opera di Freud, vanto della casa editrice cui anzi idealmente si riferisce...». Mentre Stefano Mistura su «L'Indice» elogia il lavoro di Ranchetti, certo non l'ultimo venuto nel mondo psicoanalitico, Galimberti aveva messo in dubbio la versione italiana di alcuni capitali termini freudiani individuando poi più d'un refuso (il piccolo Hans passato dai suoi 5 anni a 15...). «Alla base della polemica c'è un equivoco - sottolinea Cataluccio - anzi la polemica dovrebbe qui essere fuori luogo. Invece una discussione serena sulla terminologia di Freud, alla luce dei nuovi studi, sarebbe quanto mai necessaria». Insomma andare avanti rivedendo se necessario il passato è pressochè una tautologia per case editrici di progetto, le poche rimaste, come la Bollati che si muove su terreni sempre impegnativi (vedi uno dei titoli più importanti e imminenti La fantasia delle immagini-Aby Warburg e la storia dell'arte di George Didi-Huberman), anche quando decide di rivolgersi ad un lettore non accademico (vedi in arrivo nella narrativa delle «Varianti» il romanzo «cinese» di Maurizio Ciampa; la inquietante Vera della von Arnim; lo smarrimento tra i labirinti del passato e le «meraviglie» del Nuovo Mondo Flessibile in Piove all'insù di Luca Rastello); ad un lettore in lotta con il tempo, proprio quel tempo materiale per leggere quanto mai risicato, frammentato, divenuto schizofrenico. Così nasce «Incipit» Centopagine o anche meno, libriccini a non più di 10 euro (a prezzi di copertina equi rinasce anche la Universale Bollati Boringhieri entro cui segnaliamo i due volumi di Una guerra civile di Pavone, indispensabile specie per i più giovani) per «offrire quell'affascinente genere di testi che stanno a metà strada tra l'informazione e la letteratura: i saggi. Non studi ponderosi, con molte note, né divagazioni letterarie con molti aggettivi: un genere che scommette sulla scrittura per arrivare a chiarire meglio ciò che l'argomentazione scientifica stenta a mettere a fuoco. «Incipit» è l'inizio, l'attacco,la prima nota che fa capire quale sarà la composizione...». Non per nulla l'autore del primo titolo Sui sogni è Adorno, filosofo e anche musicista, ma nei nove che usciranno tra maggio e giugno, i temi spaziano in tutti i campi del sapere rivelando lo spirito della piccola collana che l'editore riassume in una parola: curiosità. Per palati fini, naturalmente poichè si va dalle riflessioni Sulla malattia di Viginia Woolf, «uno dei saggi più rivoluzionari, più ambiziosi e meno noti» dove l'autrice di «Gita al faro» lamenta «che la letteratura non abbia rivolto alla malattia fisica altrettanta attenzione che alle attivtà della mente», all'ultima stazione del lungo viaggio dell'husserliano Günther Anders (primo marito di Hannah Arendt, di lui la Bollati pubblica a settembre Contro Heidegger) sull'obsolescenza delle emozioni e dei sentimenti schiacciati dalla Tecnica che ha reso «l'uomo antiquato» e dove, in questo «incipit», anche L'odio è antiquato diventato «un sovrappiù per occasioni speciali...»; dal Jackie Derrida. Ritratto a memoria di Maurizio Ferraris, «una chiave nuova per leggere il pensiero e la vita del filosofo, a cominciare perfino dal suo nome: Jackie e non Jacques, questo solo uno pseudonimo, poichè «gli ebrei d'Algeria non amavano dare nomi troppo cattolici ai figli...», al Diario americano dell'economista Giulio Sapelli, a La nascita del fascismo di Angelo Tasca, a La prova matematica dell'esistenza di Dio dimostrazione del grande logico non credente Kurt Gödel. Poi Roberta De Monticelli, Herman Strobel e, dall'autunno, Kant, Dostoevskij, Bialik, Barrie, Ivan Illich con il suo «Elogio della bicicletta». Piccoli saggi nei quali - è l'idea di Cataluccio - sta il futuro della comunicazione culturale e del sapere non universitario. Ma in essi sta anche, forse, una delle prospettive più interessanti di una letteratura che non vuole essere di puro intrattenimento».

La Stampa Tuttolibri 6.5.06 (6/6)
Paolo Boringhieri, l’editore che per primo ne fece conoscere tutta l’opera in Italia, ricorda il padre della psicoanalisi a 150 anni dalla nascita
di Alberto Sinigaglia

Coincidenza perfetta, i centocinquant’anni della nascita di Freud cadono proprio oggi, 6 maggio 2006, in piena Fiera del libro intonata all’avventura. Fu senza precedenti né susseguenti l’avventura editoriale e intellettuale osata da Paolo Boringhieri pubblicando dal 1966 al 1980 i dodici volumi delle «Opere di Sigmund Freud»: per intuizione, complessità, passione, rigore esecutivo, generoso mecenatismo. Strappò Freud al livello pionieristico, eroico, ma sovente rudimentale e non privo d’immondizie, al quale in Italia era ancora ridotto. Rivelò il fondatore della psicoanalisi e la sua rivoluzione attraverso l’intero edificio teorico che il medico, pensatore e meraviglioso scrittore viennese aveva allestito. Riviviamo quell’impresa con il suo ideatore. Ottantacinque anni in luglio, fermo e sereno, si tiene lontano dallo scandalo che ha suscitato la recente nuova edizione freudiana eseguita dai successori, la Bollati Boringhieri, con scelte, frammentazioni, ritraduzioni molto polemicamente discusse. La sua è tutt’altra storia. Che visse con Cesare Musatti, il massimo esponente e divulgatore della psicoanalisi nel nostro Paese. «Prima di lui, avevo conosciuto il suo Trattato di psicoanalisi, che mi aveva colpito», ricorda Paolo Boringhieri. «Lo pubblicava Einaudi, di cui Musatti era consulente e io responsabile della Biblioteca di cultura scientifica, nella quale finirono due testi di Freud: Inibizione, sintomo e angoscia (1951) e Casi clinici (1952). Jung, più dolce, più fantasioso, godeva dell’ala protettiva di Pavese, usciva nella “Collana viola”. Cresceva la curiosità intorno a Freud e tra i curiosi c’ero anch’io. Cresceva in me il sospetto che troppi ne parlassero a ruota libera, conoscendolo poco. Avevo voglia di rendere possibile una lettura di Freud: invece di rifarci a cose riportate, di seconda mano, ascoltiamo lui».
Musatti aveva già esortato Einaudi a pubblicare tutto Freud.
«Giulio aveva lasciato cadere la proposta. Non che fosse contro la psicologia o disinformato della psicoanalisi, anzi: già parlare di Freud allora era un atto di coraggio. Lui era un tipo speciale, apriva tante porte, ma non voleva passare per il campione spaccatutto. Pubblicava qualche libro, poi limitava l’impegno. Lo avrebbe fatto con Nietzsche, le cui opere complete uscirono poi da Adelphi a cura di Colli e Montinari».
Per questo lei nel 1957 lasciò Einaudi, ne acquistò la costola scientifica e fondò la Boringhieri?
«L’idea era d’una casa editrice soprattutto di fisica e matematica: manuali per studenti, opere divulgative, testi dei premi Nobel. E psicologia, considerata una branca della filosofia. Curato attivamente da Pier Francesco Galli, con libri facili, prodotti per argomenti, il settore ebbe rapida espansione. La casa editrice cominciò a sfornare più libri di scienze umane che non di scienze matematiche. Andai alla carica di Musatti: “Cerchiamo di realizzare il suo progetto Freud”. Mi ero buttato, sapevo che il pubblico c’era».
Cesare Musatti progettava una scansione per argomenti, raggruppando temi affini: sessualità, società, religiosità... Era il criterio parzialmente seguito da Freud nelle «Gesammelte Schriften», più commerciale. Perché lei scelse l’ordine cronologico di composizione degli scritti?
«Sì, fui io a deciderlo. Pensavo a un’opera definitiva. L’ordine cronologico mancava persino nelle edizioni tedesche. Non era dettaglio da poco. Influenzò tutta l’organizzazione del lavoro».
Ne parlò con Anna Freud?
«Mi affrettai ad andare a Londra per controllare la cronologia esatta, consultando la Standard Edition di James Strachey. Ma avevo già stipulato il contratto con gli eredi, prima che si affacciassero altri. Lo firmai con l’architetto Ernst Freud, l’ultimo figlio. Anna Freud fu gentile, m’invitò nella villetta dove il padre si era rifugiato quando i nazisti l’avevano lasciato andar via dall’Austria e dove aveva trascorso gli ultimi anni. Lì c’erano tutti i suoi ricordi».
«Übertragung»: transfert o traslazione? «Trieb»: istinto o pulsione? La traduzione dev’essere stata un problema angoscioso!
«Bisognava rendere lo stile di Freud diretto, semplice, e rispettare il suo pensiero, fin nelle più sottili differenze: se “Instinkt” è istinto, “Trieb” è pulsione. Un estenuante dibattito ci portò a risolvere i dubbi, conferendo omogeneità di scrittura e di senso all’intero lavoro. Anch’io traducevo o controllavo le traduzioni consultandomi con Elvio Fachinelli, la moglie Herma Trettl, Michele Ranchetti e altri. La traduzione di “Affekt” con affetto non è mai stata discussa. L’unico termine non passato nella pratica psicoanalitica è “traslazione”, secondo noi più fedele al testo: “transfert” ha resistito. Musatti, alla fine, leggeva. Gli piacque la mia idea di tradurre “Besetzung” con investimento, intesa a non perdere la connotazione militare e economica della parola tedesca».
L’impresa decollò quarant’anni fa da «L’interpretazione dei sogni».
«Pur essendo il terzo volume delle Opere, decisi di cominciare di lì. Una faticaccia! Dal sesto volume in poi avevo saltato il fosso e assunto, nel 1973, Renata Colorni: bravissima, si buttò appassionatamente nell’impresa, ne divenne l’anima, la vestale. Grazie a lei avremmo sfornato un volume l’anno, 600 pagine, con la famosa copertina di Enzo Mari: un quadrato nero al centro contornato da linee che digradano dallo scuro verso il chiaro. Era il primo autore che Renata traduceva. Ebbe in seguito il Premio Goethe e il Premio nazionale per la traduzione. E avviò una straordinaria carriera di traduttrice: Canetti, Roth, Schnitzler, Bernhard...».
Fu un grosso impegno finanziario?
«Molto pesante, date le nostre dimensioni. Una follia. Oggi nessuno lo farebbe più, o si farebbe finanziare da una fondazione. Pochi editori avrebbero tollerato un impegno così grande per un’opera sola».
Quando capì di avere vinto la sfida?
«Avversata dal fascismo, dalla Chiesa e dal comunismo, la psicoanalisi non ebbe vita facile neanche dopo la Liberazione. Era considerata faccenda per pochi. Ma già all’uscita dei primi volumi capimmo d’essere sulla buona strada».
Nonostante un’iniziale disattenzione giornalistica e Musatti tenesse le distanze con Servadio e la Società psicoanalitica.
«Nessuno mai attaccò la progettualità del lavoro. E la presentazione di un volume a Milano vide schierati tutti i filosofi della città. Poi i giornali si svegliarono, sempre elogiativi. Il mondo culturale si fece più attento, i termini freudiani adottati da noi entrarono nell’uso. Il nuovo termine “pulsione” scalzò e bandì “istinto” e “impulso”».
Concluso il lavoro, fu definito la prima edizione in Europa delle opere complete di Freud. Era un’esagerazione?
«Non lo era. Le traduzioni sono state condotte sulle Gesammelte Werke, il testo tedesco più completo e attendibile. Sono corredate con le preziose annotazioni e con il commento intertestuale dell’inglese Standard Edition, che ce ne aveva concesso i diritti. Il Dictionnaire de la Psycanalyse di Rondinesco e Plon, uscito nel 1997, definisce quell’edizione “un modello sul piano filologico”. La Francia non è ancora riuscita a darsi le opere complete di Freud. Le nostre divennero un giacimento da sfruttare ampiamente per la casa editrice, che le declinò in singoli scritti, in antologie tematiche per collane economiche».
Freud fu una vampata?
«Venne la moda del marxismo e passò. Venne quella di Freud e fu una specie d’ampliamento della moda precedente in quanto entrambe dottrine molto razionali, senza concessioni ai misteri. Poi si scoprì la miniera Nietzsche, Freud cominciò a perdere terreno, il dibattito sul freudismo si attenuò, si spense. Fino a quando Jacques Lacan non propose un suo personalissimo ritorno a Freud».
Melanie Klein e Lacan, riesplorando l’inconscio, reinterpretando Freud, indussero a una sua riscoperta.
«Mi viene spontaneo un paragone con Darwin. Anche lui prima ha scandalizzato tutti, poi è diventato una verità con le scoperte nella genetica degli Anni 50 e 60. Per Freud è diverso: non abbiamo ancora gli strumenti per dare una spiegazione biologica, chimica a certi fenomeni psicologici. Forse per questo l’interesse per Freud non dura, ha fasi alterne. E dopo le stagioni della Klein e di Lacan, mi pare che abbia di nuovo perso terreno. Non c’è dibattito sul freudismo in Italia, neppure tanto all’estero».
Almeno l’anniversario torna a renderlo attuale?
«Non soltanto per l’anniversario, ma per capire quanto sta accadendo a noi e intorno a noi, potrebbe essere il momento di ritornare a cercarlo».

Repubblica 1.6.06
L'Episcopato europeo guarda con preoccupazione alla revoca dell'adesione alla riserva etica della Ue sulle sperimentazioni
Staminali, vescovi europei all'attacco
"Contro la distruzione degli embrioni"


CITTA' DEL VATICANO - "Ribadiamo la nostra obiezione contro il finanziamento da parte dell'Ue della ricerca che implichi la distruzione di embrioni umani". Dopo il sì al ritiro della pregiudiziale etica del ministro Fabio Mussi ecco arrivare sull'argomento una nuova presa di posizione dell'Episcopato Europeo. "Ribadiamo - afferma una nota della Comece, l'organismo che li rappresenta - la nostra obiezione contro il finanziamento da parte dell'Ue della ricerca che implichi la distruzione di embrioni umani".
Nel prendere posizione sul dibattito in corso nelle sedi comunitarie attorno alla definizione del settimo programma quadro per la ricerca, "i vescovi europei sono in linea con l'invito della Cei e del suo presidente, cardinale Ruini, a rispettare il principio di sussidiarietà", spiega mons. Giuseppe Merisi, vescovo di Lodi e delegato Cei presso la Comece.
Nella nota, il comitato esecutivo Comece riepiloga i temi in discussione e ne ribadisce le implicazioni "etiche e antropologiche fondamentali". Partendo da un emendamento al settimo Programma accolto in commissione Itre, che propone di destinare fondi comuni per la ricerca sulle cellule staminali embrionali. "Trattare un embrione umano come un soggetto di ricerca non è compatibile con il rispetto della vita umana" dicono i vescovi. Un richiamo destinato al "rispetto dei valori e delle ragioni fondamentali in virtù dei quali alcuni Stati membri vietano o limitano questo tipo di ricerca" nella tutela "dell'inviolabilità della vita e della dignità umana".

Corriere della Sera 1.6.06
Stretta di mano, ma Bertinotti non applaude
Su Draghi: «Uno degli uomini migliori del Paese»
Enrico Marro


ROMA - La sua presenza, decisa per «rompere una tradizione», aveva già creato l’evento. Fausto Bertinotti non è voluto andare oltre. Se il presidente della Camera avesse anche commentato la relazione del Governatore della Banca d’Italia, avrebbe finito per rubare la scena a Mario Draghi. E così, scivolando tra due ali di giornalisti, si è limitato a dire: «La condizione di ospite chiede il garbo del silenzio». Poi, tornato a Montecitorio, al suo staff ha spiegato di non condividere l’impianto della relazione, ma ha confermato quello che pensa di Draghi: «Uno degli uomini migliori della Repubblica». Più d’uno ha notato che Bertinotti non ha mai applaudito alle parole del Governatore, salvo qualche colpetto di circostanza. Ma non è questo indice del suo giudizio, dicono i suoi uomini. Il presidente della Camera si è comportato così anche quando ha ascoltato la relazione del presidente dell’Istat, Luigi Biggeri, e quella del leader della Confindustria, Luca di Montezemolo. Alfonso Gianni, sottosegretario allo Sviluppo, che conosce Bertinotti da una trentina d’anni ed è stato capo della sua segreteria in Rifondazione, dice che «per Fausto è una scelta di stile, quella di interpretare con rigore il ruolo istituzionale, con tanto più rigore quanto più la sua figura è percepita e lui stesso ha dichiarato essere di parte». Che però l’impostazione della relazione di Draghi non sia piaciuta a Bertinotti è altrettanto certo. Lo si evince anche dai numerosi passaggi che, come sempre fa, il presidente ha sottolineato. Molti quelli giudicati negativamente, soprattutto dove la ricetta invocata per rilanciare la crescita è quella liberista, con nuove privatizzazioni. Così come sicuramente non ha fatto piacere a Bertinotti che Draghi abbia riaperto la ferita previdenziale, chiedendo l’aumento dell’età di pensionamento. È noto, inoltre, che il presidente della Camera sia contro manovre «lacrime e sangue». Due, invece, i passaggi graditi: quello sui rischi della precarietà e quello sulla necessità di elevare il livello medio di istruzione.
Chiusa la relazione, Bertinotti ha stretto la mano a Draghi, col quale si dà del tu, segno di confidenza ma soprattutto di stima. L’ex segretario di Rifondazione e l’ex direttore generale del Tesoro si sono combattuti all’epoca del primo governo Prodi. Ma quando nel 2001 Draghi, poco dopo l’arrivo di Giulio Tremonti in Via XX Settembre, lasciò l’incarico, Bertinotti commentò con rammarico: «Con Draghi esce di scena il ciclo di governi di centrosinistra. Ed è definitivamente chiaro che è fallita la politica che voleva temperare il liberismo. Ora resta solo il liberismo». E lo scorso dicembre, quando diventò Governatore, il quotidiano del Prc, Liberazione, da un lato ricordò che Draghi era stato il grande privatizzatore che aveva consegnato «l’economia in mano alla finanza», ma dall’altro sottolineò che «la sua biografia intellettuale è di tutto rispetto, a cominciare dal suo essere stato uno degli allievi di Federico Caffè», economista idolo per Rifondazione. Una formazione che agli occhi di Bertinotti ha trovato conferma nella prima decisione di Draghi, quella di adeguare lo stipendio del Governatore (circa 700 mila euro) alla media dei colleghi europei, il che ha significato un abbattimento dello stesso. Bertinotti, parlando ieri con i suoi collaboratori, ha voluto ricordare questo episodio, forse per meglio spiegare il senso di quel suo «se sono andato da Montezemolo non posso non andare da Draghi». Con un tono un po’ snob. Un tratto che accomuna due personaggi per il resto tanto diversi.

Repubblica 1.6.06
Russia, dissidente in manicomio
di Pietro Del Re


“Affetto da una grave forma di schizofrenia": lo scorso autunno, con questo pretesto fu impedito all'imprenditore Albert Imendayev di candidarsi alle regionali di Cheboksary, capoluogo della Chuvashia, piccola repubblica sul Volga. L'uomo fu prelevato da tre poliziotti e rinchiuso in un ospedale psichiatrico. "Quando venni rilasciato, nove giorni dopo, le liste erano già chiuse", ricorda Imendayev, che da allora ha lanciato una campagna per denunciare l'attualità di una pratica tanto in voga durante l'era sovietica.
Un pesante retaggio del Kbg, di cui la Russia non riesce a disfarsi. Ma se una volta venivano internati i dissidenti politici, oggi nei manicomi finiscono soprattutto personaggi "scomodi": ex mogli di oligarchi che dopo il divorzio si fanno troppo petulanti, piccoli industriali che intentano cause a industriali più potenti di loro, rivali politici che, come Imendayev, ambiscono ad occupare la poltrona di un amministratore locale senza scrupoli.
Verso la fine degli anni Settanta, si contavano in Urss un centinaio di ospedali psichiatrici per quei dissidenti che un medico compiacente aveva riconosciuto psikhiceski bolnoye, malati di mente. Ma non erano abbastanza, secondo gli ombrosi burocrati del Cremlino, che pianificarono di costruirne altri cinquanta. Lo storico Alexander Podrabinek, autore del saggio "La medicina punitiva", spiega così i motivi di quella pratica: "Coloro che resistevano al regime andavano nascosti sia all'opinione pubblica internazionale, sia in patria per non fare emuli. Ma processarli tutti sarebbe stato troppo costoso, e fucilarli troppo scandaloso. Non restava che il manicomio".
Ieri, il quotidiano in lingua inglese The Moscow Times ha ripreso un lungo articolo pubblicato qualche giorno fa dal Los Angeles Times in cui si racconta come la psichiatria repressiva non sia del tutto scomparsa nella Russia di Putin. Anzi, le leggi che furono adottate dopo la fine della dittatura per garantire i diritti di chi veniva ingiustamente recluso in un asilo psichiatrico vengono oggi ridiscusse, se non abrogate. Il Parlamento russo dovrebbe approvare un decreto che consentirà ai medici di rinchiudere una persona in manicomio senza l'approvazione di un magistrato, e che impedirà che questa venga visitata da medici che non lavorino per il governo. Come accadeva, appunto, nella Russia sovietica.
Dice Yury Savenko, presidente di un'associazione di psichiatri che lottano per riformare il sistema manicomiale del paese: "Qualche anno fa, quando questa pratica è riapparsa, stentavano a crederlo. Oggi è sotto gli occhi di tutti e sempre più frequente". Così frequente che vi ricorre anche chi deve prendersi una vendetta, chi non vuole pagare un creditore o chi è accusato di non aver svolto un lavoro richiesto. E accaduto a San Pietroburgo dove Ivan Ivannikov, professore all'Università di Economia e commercio, si è ritrovato in manicomio per aver denunciato il ricco proprietario di un'impresa edile che ritardava a consegnarli l'appartamento restaurato. Sotto lauto compenso, uno psichiatra ha firmato l'ordine di reclusione del docente, perché "ossessionato e violento", senza neanche averlo visitato. Ivannikov è stato rilasciato dopo due mesi.
Altrettanto eloquente è la storia di Natalya Kuznetsova, che perse il suo impiego alla Corte dei conti di Mosca dopo aver scoperto l'illecita scomparsa di 140 milioni di dollari dal budget federale. La Kuznetsova si rivolse allora a un tribunale chiedendo un risarcimento per danni. Pochi giorni dopo, uno psicologo dello Stato la giudicò "mentalmente disabile". "Appena fui licenziata, il mio capo mi disse che avrebbe chiesto a un amico medico di farmi internare. Oggi sono le persone più corrotte che usano la psichiatria per distruggere gli onesti".
Molti degli ospedali psichiatrici in cui tra il 1960 e il 1980 furono internate migliaia di dissidenti sono ancora in funzione. Dice ancora lo storico Podrabinek: "Il famigerato Istituto di psichiatria forense Serbsky di Mosca ha soltanto cambiato nome. E vero: i medici che vi lavoravano espressero il loro rammarico per quei "rari casi" in cui furono "commessi degli errori". Ma per il resto, dai tempi dell'Unione sovietica non è cambiato granché".

mercoledì 31 maggio 2006

Liberazione 31.5.06
Psichiatria
Che bello fare follie?


Caro direttore, che bello fare follie! Soprattutto quando sono quelle descritte da Massimo Fagioli nel suo articolo pubblicato sul n. 19 di “Left”… Quindi: riuscire ad essere “diversi” è bello, ma attenti a non cadere nell’equivoco, avverte Fagioli. I pazzi, infatti, secondo lui, sono individui pericolosi, portatori di «distruzione e morte», un po’ come avviene nel mito di Edipo che «uccide il padre, violenta la madre, si acceca: è pazzo». Fagioli non dice, ma purtroppo sottintende, che da questi individui ci si deve guardare le spalle o al massimo, nel caso sia abbiano le necessarie competenze, è necessario studiarli, “fare ricerca”. Non dice, Fagioli, nel frattempo cosa si debba fare con queste persone. Piuttosto critica, critica ferocemente. Critica chi ha voluto «idealizzare la parola libertà», arrivando a sostenere che la «libertà di pensiero farebbe sparire la parola delirio». E chi sono i destinatari di queste critiche? Chi è che non distingue fra «la sofferenza che dà la fame e il freddo, la delusione amorosa, il dolore di una malattia del corpo e la malattia della mente?». Purtroppo - è questo è veramente triste Prof. Fagioli, non tanto il bell’articolo di Luigi Attenasio pubblicato su Left con il quale lei tanto se la prende - il nome che lei fa è quello di Franco Basaglia. E’ triste leggere che «Basaglia sostenne per tutti il diritto alla libertà e non pensò alla sanità». In questo Paese c’è una legge che porta il suo nome e che ha rivoluzionato l’approccio sanitario alla malattia psichica… Certo, se la 180 avesse nel corso di questi anni ricevuto l’apporto di capitale umano e finanziario necessario alla sua concreta applicazione su tutto il territorio nazionale sarebbe stato molto meglio! E’ triste infine etichettare persino la tristezza, una condizione dell’animo umano che come tale non credo possa essere né di destra né di sinistra.

Paola Sarno via e-mail


Corriere della Sera 31.5.06
«Una posizione che non tocca la legge 40»
Staminali, l'Italia apre alla ricerca europea
Il ministro Mussi a Bruxelles ritira l'assenso sulla dichiarazione etica firmata da 5 Stati Ue: poneva l'Italia in minoranza di blocco


BRUXELLES - L'Italia ha ritirato la sua firma dalla «Dichiarazione etica» con cui cinque Stati membri avevano espresso una posizione contraria alla ricerca sulle cellule staminali embrionali. Lo ha annunciato a Bruxelles il ministro dell'Università e ricerca, Fabio Mussi. Un cambiamento di rotta del governo in ambito europeo, su un tema molto delicato. Tant'è che ha subito innescato reazioni e polemiche in Italia e nell'Europarlamento.
L'ANNUNCIO - Mussi ha dato l'annuncio durante una conferenza stampa a mezzogiorno insieme alla collega agli affari europei e il commercio, Emma Bonino, a margine del consiglio Ue competitività. «Il 29 novembre scorso, l'Italia e altre delegazioni - ha detto il ministro - avevano proposto una dichiarazione etica sulla ricerca sulle cellule staminali embrionali, dichiarazione che rappresentava una pregiudiziale contraria: oggi, mi sono permesso di annunciare il ritiro dell'adesione italiana a tale dichiarazione».
NO CHIUSURA TOTALE IN EUROPA - Una decisione - ha spiegato il ministro - che segna una «correzione» rispetto a quanto fatto dal governo precedente con la «dichiarazione» dell'anno scorso, alla quale avevano aderito Italia, Austria, Germania, Polonia, Slovacchia, Malta. Mussi ha sottolineato quello che sono i due punti chiave dell'annuncio: «il rispetto delle legislazioni» degli altri paesi Ue; la scelta di «cogliere l'opportunità per un uso controllato delle staminali ai fini della ricerca», evitando che l'Italia abbia «una posizione di chiusura totale alla sperimentazione». «Non mi sembrava giusto confermare la posizione del governo Berlusconi - ha avvertito Mussi- che poneva l'Italia in una "minoranza di blocco", capace di impedire il finanziamento della Ricerca in altri Paesi. Naturalmente i passi successivi spettano al governo nella sua collegialità e al Parlamento italiano».
«NON ESPORTARE LA LEGGE ITALIANA» - «Nel pomeriggio, Mussi ha colto l'occasione del secondo incontro con la stampa per precisare la propria posizione. Nel ricordare che «per la ricerca, in molti paesi europei la questione delle staminali non è questa grande notizia», il ministro ha rilevato che personalmente auspica che la legge italiana «venga cambiata», senza però ovviamente aver suggerito di voler violare la legge. «Ho semplicemente detto che non mi pareva il caso di "esportarla". Spero che venga cambiata anche in Italia, però finché c'è una legge la si rispetta». E in una nota: «Io ho espresso a Bruxelles una posizione alla quale credo profondamente. Una posizione che non tocca la legge 40 e le regole comunitarie che rispettano le restrizioni nazionali, come ha ribadito anche il voto della Commissione del Parlamento europeo».

aprileonline.info 31.5.06
La ricerca è più libera
Il ministro Mussi ritira la firma italiana dalla ''Dichiarazione etica'' siglata nel 2005, sull'utilizzo delle cellule staminali embrionali. Il centrodestra insorge
di Carla Ronga


Il ministro della Ricerca e dell'Università, Fabio Mussi, ha ritirato la firma dell'Italia alla "Dichiarazione etica" con cui cinque Stati membri avevano espresso una pregiudiziale contraria alla ricerca sulle cellule staminali embrionali. In sostanza, lo scorso 28 novembre 2005, siglando congiuntamente una "Dichiarazione etica", sei Paesi dell'Unione europea (Italia, Austria, Germania, Malta, Polonia e Slovacchia) si erano opposti con forza a eventuali finanziamenti comunitari di progetti di ricerca con le cellule staminali embrionali. Di fatto, il veto di questi sei Paesi ha impedito che i fondi Ue fossero destinati ai progetti di ricerca con le cellule staminali embrionali, anche in quei Paesi dove questa ricerca era ammessa. In altre parole, attraverso quelle firme, si era imposta la legislazione e l'ideologia dei firmatari al resto dell'Europa.

E ancora, nelle stesse ore in cui Mussi decideva di togliere il sostegno italiana alla "Dichiarazione etica" (iscritta a verbale del Consiglio Ue nel novembre scorso, contro "l'ammissibilità al finanziamento di attività di ricerca che prevedano la distruzione di embrioni umani"), la commissione Industria, Ricerca ed Energia del Parlamento europeo ha adottato, ieri a Bruxelles, alcuni emendamenti sugli aspetti etici del VII programma quadro comunitario di ricerca in cui si apre la possibilità di finanziare a livello europeo la ricerca sulle cellule staminali embrionali, compatibilmente con le normative nazionali (e quindi rispettandone le eventuali restrizioni). Gli eurodeputati del Centrosinistra membri della commissione si sono divisi sul voto: favorevoli Giovanni Berlinguer (Ds), Umberto Guidoni (Pdci), Pia Locatelli (Rnp) ed Enzo Lavarra (Ds); contrari, invece, Vittorio Prodi (fratello del premier) e Patrizia Toia, della Margherita.
Prodi e Toia avevano sostenuto un pacchetto di emendamenti alternativo che avrebbe demandato alle sole legislazioni degli Stati membri la decisione se finanziare o meno la ricerca sulle cellule embrionali. E' passata invece l'apertura al finanziamento Ue in questo settore, una posizione che dovrà comunque essere confermata adesso dal voto della Plenaria, il mese prossimo a Strasburgo, e poi dal Consiglio Ue (probabilmente a settembre).
Finora, i paesi firmatari di questa cosiddetta "Dichiarazione etica" avrebbero potuto esprimere una "minoranza di blocco" durante la discussione in Consiglio Ue per l'approvazione del VII programma quadro. Ma, come conseguenza della "defezione" dell'Italia, il "peso" degli Stati membri contrari alla ricerca sugli embrioni scende adesso sotto la soglia della minoranza di blocco (nel sistema ponderato in vigore al Consiglio la soglia è di 90 voti: con l'Italia si era a 105, senza l'Italia si arriva solo a 76).

"Mi sono permesso di ritirare la firma dell'Italia", ha reso noto il ministro. In calce alla "Dichiarazione etica" restano ora solo le firme di Polonia, Slovacchia, Germania e Austria.
Sulla ricerca sulle staminali "l'Italia ha una legislazione restrittiva che, io penso, occorra almeno parzialmente modificare", ha ricordato Mussi, puntualizzando che, tuttavia, "qui non si tratta della legge italiana, ma della posizione dell'Italia nell'Unione europea, e non vedo perché dovremmo farci promotori del massimo della restrizione in Europa", su questo argomento.
"Non credo sia giusto che l'Italia ponga un ostacolo restrittivo alla ricerca europea e che tenti così di "esportare" la propria legislazione interna le altre legislazioni vanno rispettate".
Secondo il ministro, bisogna "cogliere l'opportunità di un uso controllato delle staminali per la ricerca come si comincia a sostenere anche da parte dei sostenitori della nostra legislazione restrittiva, con aperture alla possibilità di usare cellule soprannumerarie", altrimenti avviate alla distruzione.
Mussi ha citato, ad esempio, il recente intervento del ministro Bindi, e ha sostenuto che "muovendosi ragionevolmente lungo una linea di compromesso, qualche miglioramento alla legislazione italiana ci possa essere", come si accenna anche nel programma elettorale dell'Unione, che "prevede ipotesi di minori restrizioni". Alla luce di queste considerazioni, ha concluso Mussi, "non mi sembrava il caso di confermare in sede Ue una posizione rigida di totale chiusura, e quindi non ho insistito per l'approvazione di quella dichiarazione. In Italia, poi, con la nostra legge, ce la vedremo noi".
Sempre parlando del programma quadro di ricerca, Mussi ha riconosciuto " il lavoro fatto dal governo precedente sostenendo la richiesta di 1.4 miliardi di euro a favore della ricerca delle piccole e medie imprese ottenendone 1.336", mentre ha criticato "l'atteggiamento tiepido" riservato alla ricerca fondamentale" da lui, al contrario, ritenuta "molto importante".

"Ci rallegriamo della posizione assunta dal ministro per l'Università e la Ricerca Scientifica, Fabio Mussi, che ha annunciato a Bruxelles di voler ritirare la pregiudiziale etica finora espressa dall'Italia sulle cellule staminali" è il commento degli europarlamentari del Pse Giovanni Berlinguer, Marco Cappato, Pia Locatelli, Roberto Musacchio e Pasqualina Napoletano. "Ci auguriamo – proseguono - che la nuova posizione italiana possa aiutare il prossimo passaggio parlamentare del Settimo Programma Quadro (di cui parliamo nella rubrica dedicata al Parlamento europeo, ndr) e che questo possa preludere al finanziamento europeo della ricerca sulle cellule staminali embrionali".

C'è soddisfazione da buona parte del mondo scientifico, insieme alla speranza che da questa apertura a livello europeo possa nascere un'apertura anche interna all'Italia.
"Il governo debutta molto bene rispetto alla scienza e alla ricerca, che sono alla base dello sviluppo del Paese", commenta l'oncologo ed ex ministro della salute Umberto Veronesi, che esprime grande apprezzamento per il ministro: "Considero Mussi - ha detto - una persona competente e consapevole, con grande senso di responsabilità rispetto a tematiche centrali per il futuro del Paese". "Da anni - ha proseguito Veronesi - sostengo che esistono nei nostri centri in Italia embrioni sovrannumerari destinati alla morte sicura e che potrebbero essere, invece, molto utili alla ricerca scientifica per lo studio di patologie gravi. La posizione assunta oggi dal governo - ha concluso - potrebbe dunque riaprire il dibattito su questo tema fondamentale per la scienza biomedica".

"Siamo contentissimi", ha detto il neurofisiologo dell'università di Torino, Piergiorgio Strata. "Ci abbiamo sperato moltissimo e adesso speriamo che anche in Italia si apra un dibattito su questo tema perché siamo sempre preoccupati per un'eventuale approvazione della legge Rutelli", ha aggiunto riferendosi alla proposta di legge a sostegno della ricerca sulle cellule staminali ottenute da cordone ombelicale e adulte.
Soddisfatto anche il direttore del laboratorio di Biologia dello sviluppo dell'università di Pavia, Carlo Alberto Redi, che ha giudicato l'apertura di Mussi "importante" e indice di "democrazia e sensibilità nei confronti della casa comune europea".
Finora, ha aggiunto, "la posizione di Italia, Irlanda e Germania aderiva al blocco dei Paesi che aveva legittimamente deciso di attuare la sperimentazione sulle staminali embrionali". Un "no" quello dell'Italia, che secondo Redi "denota un atteggiamento di attenzione nei confronti dei cittadini". "Mi auguro - ha aggiunto - che il ministro voglia considerare che ci sono opportunità di ricerca in questo settore che in Italia, dove abbiamo ricercatori validi e bravi che chiedono di lavorare sulle cellule embrionali, ma che alcuni aspetti della legge in vigore lasciano isolati in ambito europeo".
Anche la direttrice del laboratorio di cellule staminali dell'università di Milano, Elena Cattaneo, vede nelle dichiarazioni di Mussi un segnale di apertura "molto promettente". Secondo la ricercatrice "è un passo che riavvicina l'Italia all'Europa".
"Siamo felicissimi - ha detto - perché si tratta di un primo passo straordinario di apertura e speriamo che sia anche il primo passo per ridiscutere aspetti della legge che ancora bloccano la ricerca italiana, ad esempio impedendo di derivare direttamente nuove linee di cellule staminali".
Secondo Elena Cattaneo "il ministro sembra dare un segnale forte anche alla proposta di legge Rutelli, che intendeva chiudere la ricerca anche condotta sulle cellule già in coltura e speriamo che serva a mettere i finanziamenti pubblici italiani a disposizione della ricerca italiana in questo campo".

Mentre la Casa delle Libertà minaccia, per bocca di Rocco Buttiglione la presentazione di una mozione di sfiducia al Senato contro il ministro dell'Università e la Ricerca, proprio il vicepresidente del consiglio Francesco Rutelli sarà, oggi, nell'aula di Montecitorio per il primo "question time" della legislatura. All'ordine del giorno la ricerca sulle cellule staminali embrionali con l'interrogazione a risposta immediata presentata dal capogruppo dei centristi dell'Udc e dai colleghi del centrodestra: "Il ministro Mussi ha agito per proprio conto o in accordo con il governo?"

Il Giornale 31.5.06
Bankitalia, Bertinotti si autoinvita


«Le tradizioni sono fatte per rinnovarsi». Così, ad ascoltare di persona il governatore Mario Draghi alle sue prime considerazioni finali fra gli ori e i damaschi di palazzo Koch, ci sarà anche il presidente della Camera, Fausto Bertinotti. Finora, per tradizione, la politica s'era astenuta dal presentersi di persona nella «sala delle considerazioni», affollata dal gotha finanziario e imprenditoriale italiano. Neppure i ministri del Tesoro (oggi dell'Economia) sono mai entrati nel salone ad ascoltare,
l'ultimo giorno di maggio, le parole del governatore della Banca d'Italia. «Le tradizioni vanno rinnovate - conferma però Bertinotti -, dunque io ci sarò». All'assemblea potrebbe esser presente anche Carlo Azeglio Ciampi, senatore a vita ma anche governatore onorario della banca. Ancora incerta, alla vigilia, la partecipazione di Antonio Fazio: sarà lui a decidere, dicono in via Nazionale.
L'assenza dei politici dall'assemblea di via Nazionale significava, nella tradizione, la netta separazione fra la Banca e il Palazzo.
La realtà, come recenti vicende bancarie hanno dimostrato, è un po' diversa. Nerio Nesi, che conosce Bertinotti come le sue tasche, ha una sua interpratazione: «È una decisione che non mi meraviglia, so come è fatto, e so che quel che fa si basa su alcune logiche di presenzialismo che si accentuano o si attenuano a seconda del grado che ricopre. Io - aggiunge Nesi - mi sarei ben guardato dal rompere questa tradizione». Il presenzialismo bertinottiano piace invece al leghista Roberto Maroni: «Bankitalia sarà anche autonoma - dice - ma deve soggiacere alle leggi del Parlamento».
«Anche le tradizioni - commenta Gianfranco Fini - a un certo punto finiscono». Altri politici, come Bruno Tabacci, hanno ricevuto l'invito e saranno presenti a palazzo Koch: «È la prima volta che m'invitano da cinque anni», ricorda il parlamentare Udc.
Per un governatore tanto pragmatico da presentarsi ieri, alla vigilia delle considerazioni, nello studio del ministro dell'Economia Padoa Schioppa in via XX Settembre, forse una ventata di novità e svecchiamento può comunque far bene. Alla fine,
potrebbe essere lo stesso Draghi il più contento per la mossa sdrammatizzante dell'ex sub-comandante Fausto.
Una seconda novità, dopo quella «politica», sarà la pubblicazione istantanea - alle 10,30 di stamattina, non appena Draghi incomincerà a parlare - sul sito Internet della banca del testo delle considerazioni in inglese (dovrebbero essere presentate come Conclusive remarks). Inoltre, le appendici statistiche non saranno più distribuite fisicamente, racchiuse nei libroni dalla copertina azzurra,
ma saranno disponibili sempre sul sito Internet di Bankitalia.
Da Draghi non ci si attendono annunci clamorosi su rinnovi al vertice della banca. Il direttore generale Vincenzo Desario è comunque in uscita, e si parla diffusamente dell'arrivo a Roma di Fabrizio Saccomanni, attuale vicepresidente della Bers. L'avvicendamento alla direzione generale dovrebbe aver luogo durante l'estate.