sabato 27 marzo 2010

il Fatto 27.3.10
Con Emma senza esitazioni
Mi spingo a dichiarare il mio voto per la Bonino, perché in questi anni, nel generale disorientamento, dovunque sventolassela bandiera dei diritti civili, quelli come lei c’erano sempre
di Furio Colombo

Sto per fare ciò che ogni giornale americano, grande e piccolo (questo, ormai lo sapete: è grande) fa puntualmente il giorno prima delle elezioni, locali o nazionali, negli Usa: la scelta del candidato. Ecco la mia scelta: per le elezioni della Regione Lazio (domenica 28, lunedì 29 marzo) voterò per Emma Bonino. E, accanto al suo nome, indicherò la lista del Pd. Un chiarimento. So di scrivere queste righe sul giornale giusto. Ma la dichiarazione è personale. Mi pongo il problema di rispondere, anche da queste pagine, alle persone che mi riconoscono dai tempi dell'Unità e poi delle tante piazze e dei tanti popoli liberi che si battono per la Costituzione (dai girotondini al Popolo viola al movimento di liberazione della Rai) e dai tempi in cui, qualche volta, ti invitavano ancora in televisione, mi accostano in strada e mi chiedono, un po' per provocazione e un po' con ansia: “Ma noi chi votiamo?”.
Posso capire che ventate di disorientamento attraversino la steppa desolata degli elettori italiani da destra a sinistra. Ciascuno ha ragione di sentirsi solo, spaesato, privo di riferimenti che un tempo orientavano.
Io credo che molti a destra sanno benissimo che Berlusconi tiene illegalmente le mani su tutti i punti di controllo dell'informazione di massa. Attacca con violenza anticostituzionale tutte le istituzioni di garanzia. E sono meravigliati che glielo lascino fare, salvo miti e indiretti ammonimenti, mentre lui continua a devastare la democrazia del Paese.
Dal Partito democratico viene, assieme al tentativo giusto e sacrosanto di parlare di lavoro, di disoccupazione, di povertà, di crisi – temi urgenti del tutto esclusi da questa strana campagna elettorale – una sorta di rassegnazione gentile, come dire: lui è fatto così, se lo provochi è peggio.
Solo Marco Pannella, la notte del 25 marzo, da Radio radicale ha trasmesso un messaggio diverso, un grido d'aiuto e di allarme. Diceva: “Attenzione cittadini. Berlusconi ha superato tutti i livelli, tutte le violazioni tentate nel passato. Siamo fuori dalla democrazia non possiamo restare inerti”.
Dico ad alcuni lettori: fermate, vi prego, i consueti pregiudizi a carico del “rompiscatole radicale”, non dite “sempre il solito”, visto che niente è solito in ciò che sta accadendo in Italia, e visto che importanti personaggi di ciò che fu la sinistra lasciano che Bersani si aggiri da solo mentre nelle affollate seconde file i pochi noti ancora in servizio dicono ognuno il contrario dell'altro. Ma per la valanga politica in movimento che travolge sempre più la democrazia mostrano poca attenzione, nessun allarme, e una perenne eventualità di dialogo.
Qui, nel mezzo del peggior periodo politico italiano, troviamo Emma Bonino. Se dite difesa della libertà e dei diritti umani, civili, politici, lei c'è, non ha fatto altro tutta la vita. Persino lo schieramento compatto di tutte le gerarchie religiose (se anche in questi giorni avessero la presenza della Bonino come unica difficoltà da combattere) avrebbe un avversario difficile da screditare, sempre dalla parte delle
persone deboli, isolate e senza aiuto. Per esempio le donne sole. Per esempio Rom e immigrati. Se i temi sono radio, televisione, giornali, presentazione libera e ininterrotta di grandi problemi (come impedire che i mezzi di informazione siano requisiti o inclinati dal peso prepotente di un'unica forza politico-economica) e delle storie individuali da non oscurare (Cucchi, Aldrovandi, Uva). Bonino è attivista che non ha mai fatto soste, non si è mai distratta, neppure per questioni di vita personale o di partito. Se dite: lavoro politico, ci sono due constatazioni da fare: la campagna elettorale è stata tutta sulla Regione, luogo per luogo, problema per problema, e la visione è sempre stata quella di chi sa bene che niente comincia e finisce nel Lazio o in qualunque altra regione, e che il federalismo leghista sarebbe una sciocchezza se non fosse un pericolo.
C' è stata una circostanza rara e fortunata nella vicenda del Lazio. L’avversaria Polverini, mal circondata, male assistita sia dal suo cerchio politico sia da quello privato, è rispettabile e seria. Dunque, nel cuore di una Repubblica distratta, una campagna elettorale dignitosa e senza carnevalate.Maamolti–eachi scrive – è piaciuto il tenace “homework” della Bonino (fare il compito a casa da ostinati secchioni prima di andare in classe) e perciò trova naturale e anzi necessario dire che sarà, fra poco, presidente della Regione Lazio.

Repubblica 27.3.10
La candidata nel Lazio: "Berlusconi è sempre in tv, Rai o Mediaset. È entrato manu militari nella contesa elettorale"
Bonino: "Battaglia all’ultimo voto la campagna va avanti fino a lunedì"
di Laura Pertici

ROMA - «Non mi fate fare pronostici. Bersani ha detto sette a sei per il centrosinistra? Ubi maior, a me va benissimo. Basta che tra le regioni vincenti ci sia il Lazio». Emma Bonino è luminosa. Ma cauta. Passa la sua ultima mattina di campagna elettorale rispondendo nel videoforum di Repubblica Tv.
Stanca della cavalcata di questi mesi?
«No. Anche perché non posso permettermelo, io rimarrò in campagna sino alle 15 di lunedì grazie ad un presidente del Consiglio che fa il telefonista e ora passa dieci minuti con la Rai ora con Canale 5. Berlusconi sta irrompendo manu militari nella campagna elettorale. Quando suona il citofono bisogna stare accorti, potrebbe apparire il suo faccione».
Dice di esser stato costretto ad impegnarsi per i suoi candidati
«Berlusconi è un impunito. Anche io ho ricevuto la sua lettera elettorale, l´ho letta più volte: dice che la sfida è contro l´opposizione che vuole vincere senza farci partecipare. Mi sembra delirante».
Se il centrodestra dovesse perdere Berlusconi dovrebbe dimettersi?
«La logica non è nel Dna di Berlusconi. Le promesse elettorali sì. Non cosa si inventerà adesso, visto che di tasse ha già parlato pur sapendo che invece di abbassarle poi le alza».
Cosa avrebbe risposto al premier se fosse stata punta come Mercedes Bresso sull´aspetto?
«Ha parlato Adone! Questa ossessione di Berlusconi per la bellezza è la spia del suo rapporto difficile con le donne. Sa fare solo battute a sfondo sessuale. Pensa di essere simpatico. È ridicolo».
E l´intervento della Cei, che ha invitato i cattolici ad un voto contro l´aborto?
«Quell´anatema era rivolto a me ma anche a Renata Polverini, che ha sempre difeso la legge 194. Così come gli italiani, che non sono né atei né musulmani».
Pentita di aver contribuito a convertire i talk show in tribune politiche?
«Il regolamento della Vigilanza non prevedeva di abolire i talk show, diceva solo che nel mese precedente al voto la metà degli ospiti dovesse essere composta da candidati regionali. Poi la Rai ha deciso diversamente. Ho trovato sopra le righe le dichiarazioni sugli attentati alla libertà. Tant´è che di elezioni si è parlato altrove e i confronti si sono svolti comunque. Certo, il 70 per cento degli elettori forma la propria opinione in base alla tv».
Appunto.
«Noi radicali, insieme al Pd, abbiamo protestato sino a questa mattina (ieri ndr) davanti a viale Mazzini per i dati scandalosi sui Tg. Dal 20 marzo ad oggi sono ancor più sproporzionati a favore del centrodestra. Il direttore Mauro Masi ha promesso che interverrà per un riequilibrio. Vedremo. E´ anche nell´interesse degli elettori del Pdl, è una questione di regole democratiche».
Perché un elettore di sinistra dovrebbe votare una liberista?
«Io più che liberista sono einaudiana. Non affiderei mai ai privati settori come difesa o carceri. Ma non è sempre vero che il pubblico costa meno ed è efficiente. Il punto è che spesso invece di liberalizzare si privatizza, eludendo controlli e sanzioni».
In che modo si supererà il berlusconismo?
«Interessante che i vostri spettatori mi parlino di berlusconismo e non di Berlusconi. È molto di più del superamento di una persona. Penso però che, nella deriva che ci ha trasformati da cittadini a sudditi, il percorso a ritroso non sarà semplice. Sarà necessario».

Repubblica 27.3.10
L’esponente del centrosinistra scrive una mail agli indecisi. E incassa l’appoggio dei big dello spettacolo e dello sport
Il Pd: "Bonino una guida forte"
di Chiara Righetti

E la Lista Pensionati cambia candidata alla vigilia delle elezioni: appoggiamo l´esponente radicale
Bonino, una mail agli indecisi E Vasco Rossi: "Votate per lei"

Alla vigilia del voto, l´intenzione di Emma Bonino è chiara. «Voglio vincere» ha ripetuto più volte la candidata del centrosinistra nell´ultimo giorno di campagna elettorale, con l´appoggio di Vasco Rossi e Dario Fo («Votate per lei»). E il partito dei Pensionati cambia idea: aveva scelto la Polverini, ora tifa Bonino. Il Pdl, invece, mette in campo i "gladiatori del voto" che nei seggi vigileranno sulla corretta interpretazione delle schede degli elettori pro-Polverini.

Vasco Rossi e Alessia Filippi, Alessandro Baricco e il partito dei Pensionati: da vera "formichina", come ha chiesto di fare ai suoi sostenitori, Emma Bonino continua a incassare consensi. Perché «la scuola radicale mi ha insegnato a lottare fino all´ultimo». Così, mentre il cantautore esorta «i cittadini del Lazio, e in particolare i giovani a votare per Emma», a sorpresa la lista Pensionati sceglie di passare con la radicale. Il motivo? Non solo «il comitato Polverini, che non ci ha aiutato nella raccolta firme - spiega Giovanni Marzolini - : Bonino ha mostrato più spessore. Diamo ai nostri l´indicazione di votarla, possiamo portarle 20mila preferenze». Lei assicura: «Cocciuta come sono, non mollerò di un millimetro: voglio vincere, voglio governare questa Regione».
«Mi rivolgo a coloro che hanno votato a destra e oggi sono confusi da tanta arroganza», dice. Spiega che Berlusconi è stato così «impunito» da spedire pure a lei la lettera "Cara Emma" con l´invito a votare Polverini. La replica è affidata a una mail che sta girando in queste ore: «Ciao, ti chiedo un piccolo aiuto» scrive Bonino, e aggiunge che contro «il tentativo sovversivo» del premier di occupare radio e tv «il messaggio più efficace può venire da te».
Nella lunga diretta su Radio radicale la raggiunge il calore di attori, sportivi, uomini di cultura. Dalla nuotatrice Alessia Filippi («Le persone hanno bisogno di trasparenza. Emma può dare un senso nuovo alla Regione») al «richiamo della foresta» di Silvio Orlando; ma anche Dario Fo, Franco Battiato, Andrea Camilleri, Alessandro Baricco, Serena Dandini, Adriano Panatta, Franca Valeri. Il Pd le tira la volata: «La partecipazione al voto è decisiva - è l´appello del governatore reggente Montino - per proseguire l´opera iniziata. A Roma due anni fa abbiamo cambiato e la città è morta, spenta». «Potendo, Berlusconi arriverebbe a piazzare webcam nelle cabine elettorali: possiamo spegnerlo col voto», esorta il coordinatore del Comitato elettorale Milana. Mentre il presidente della Provincia Zingaretti spiega che «Emma è una garanzia per tutti: di crescita, sviluppo e autorevolezza. E mi auguro vinca anche una battaglia di verità contro i polveroni della destra». Lei ringrazia, ma soprattutto rilancia: «Non so dov´è nata quest´idea che io mi sia candidata per scherzo, passeggiata o testimonianza. Non ho paura di vincere: più conosco questa Regione, più mi rendo conto che ha potenzialità straordinarie». E anche se «della squadra non mi sono occupata per scaramanzia, sono pronta a governare da subito. Col potere il mio unico problema è quello di averne avuto sempre troppo poco». A tenerle compagnia nel giorno del silenzio la poesia in romanesco di Luigi Scardaone, Uil Roma e Lazio: «Se semo stufati de Roma ladrona», esordisce. E conclude: «Mo´ armamo n´casino/ e pe comincià votamo Bonino».

l’Unità 27.3.10
Bonino: ecco come cambierò il Lazio dalla A alla Zeta

«Alfabeto Bonino». È il titolo del libro, a cura di Cristina Sivieri Tagliabue (Grandi passaggi, Bompiani, 14 euro) nel quale la candidata del centrosinistra nel Lazio spiega il suo programma elettorale. Ieri Emma ha, in esclusiva per l’Unità, sintetizzato in un mini-vocabolario i temi del suo alfabeto politico

A come Astensionismo, che fatico sempre a capire, ma domani in particolare.
B come Banda del Buco, o meglio il buco della banda ripianato con grandi sacrifici.
C come Citofono, che se suona potrebbe esserci Berlusconi.
D come Diritti, che abbino alla D di doveri
E come Economia verde, il futuro energetico su cui punto; e come Europa, di cui il Lazio ha molto bisogno.
F come Fede, nella democrazia e nella laicità delle istituzioni.
G come Grazie, a tutti quelli che hanno messo passione in questa campagna.
H come Hi-Tech, perché il futuro del Lazio si gioca sulla sua capacità d’innovare.
I come Illegalità , che ha contraddistinto questa campagna elettorale.
L come Lista Bonino-Pannella; ma anche Lazio, Legalità, Lavoro: tre parole chiave del mio programma
M come Motivazione e Meritocrazia, che dovranno essere alla base di tutte le nostre scelte.
N come Nucleare che nessuno vuole eccetto Scajola.
O come Operazione verità, quella che voglio fare sulla sanità.
P come le Pmi, cuore pulsante dell’economia laziale.
Q come Qualità della vita, che va migliorata nella sua quotidianità.
R come Riscossa, quella che ci deve far risalire la china, a partire dal Lazio.
S come Salute, in cima alle priorità del mio programma.
T come Trasparenza, che ci dovrà essere in ogni settore dell’attività regionale.
U come Urbanistica basata sull’equazione eco quartieri-efficienza energetica-bioedilizia.
V come Valorizzare le potenzialità del Lazio a cominciare dalle sue eccellenze nel campo della ricerca.
Z come Zapping, quella che dobbiamo fare quotidianamente per sfuggire all’invadenza del Premier.

l’Unità 27.3.10
Dario Fo e Vasco Rossi in campo per sostenere la candidata

Vasco Rossi, Dario Fo, Alessia Filippi, Silvio Orlando. Sono i contributi di esponenti del mondo dello spettacolo e dello sport che hanno arricchito la «maratona» oratoria che ha visto protagonista ieri pomeriggio Emma Bonino, impegnata sulle frequenze di Radio Radicale. Un filo diretto durato quasi tre ore nel corso dei quali si sono susseguiti anche collegamenti con Radio Città Futura, Radio Popolare Roma, Ecoradio, Sky Tg24, Rainews24, Current Tv, Radio Radio e YouDem. Rossi, Fo, Filippi e Orlando hanno espresso il loro sostegno alla leader radicale nella corsa alla presidenza della Regione. È stato Massimo Bordin a leggere il messaggio inviato dal «Blasco»: «Invito i cittadini del Lazio a votare Emma Bonino e la lista Bonino-Pannella. Posso garantire onestà, rigore e l'affidabilità di tutti i radicali».

l’Unità 27.3.10
Il tempo è adesso
di Moni Ovadia

Il tempo che ci stiamo lasciando alle spalle è stato un tempo per perdere. Abbiamo ripetutamente perso, anche quando abbiamo vinto. Abbiamo perso perdendo un paese, abbiamo vinto senza vincere un futuro. Abbiamo vinto senza che con noi vincesse la democrazia. Le ragioni di queste sconfitte perdenti e delle vittorie sconfitte le conosciamo: titubanze, pavidità, sfiducia nei propri valori, politicismo senza politica, oppure velleitarismo, autoreferenzialità, delirio identitario, narcisismi e personalismi. Il tempo delle sconfitte mediocri deve volgere al termine, la posta in gioco è troppo alta. Forse era lecito, anche se sbagliato, fare ciò che abbiamo fatto a noi stessi, ma sarebbe infame consegnare il degrado a cui non abbiamo saputo opporci come era necessario alle future generazioni. E’ nostro dovere improcrastinabile entrare nel tempo del vincere, lo dobbiamo al bene prezioso che ci è stato consegnato dalla resistenza antifascista e dai padri costituenti: la democrazia. Lo dobbiamo ai nostri figli e ai nostri nipoti. L’ondata virtuosa che viene dalla Francia dimostra che la sinistra può vincere e riprendere il timone della speranza. Il coraggio di Obama e di Nancy Pelosi mostrano la forza e la superiorità della cultura progressista nei confronti della cultura reazionaria del privilegio. Si può e si deve vincere. Ma perché la prossima vittoria non sia avvelenata dal veleno della disgregazione è necessario abbandonare la logica della furbizia e del tatticismo, è necessario disarmare la vocazione al settarismo ed è vitale ritrovare il coraggio e la lealtà dei propri valori. Il nostro elettorato chiede unità, fermezza, riconoscibilità. Tocca a tutte le forze del centro sinistra sapere fare un passo indietro perché il paese faccia due passi avanti. Il tempo è arrivato, lo ha mostrato la lunga serata dell’informazione libera. Il tempo è adesso!

l’Unità 27.3.10
Secondo attacco del quotidiano Usa dopo quello sugli abusi di padre Murphy su 200 minori
Prove documentate «Ratzinger coprì il prete pedofilo quando era arcivescovo di Monaco»
Il New York Times incalza: il Papa sapeva del caso tedesco
Nuovo attacco al Papa mosso dal New York Times. Con nuovi documenti il quotidiano lo accusa di aver coperto, quando era arcivescovo di Monaco, un prete pedofilo. A Ratzinger si contesta che non sapesse.
di Roberto Monteforte

Non molla la presa il New York Times. Aggiunge un’altra denuncia contro l’attuale pontefice, Benedetto XVI. Un altro colpo alla sua credibilità. Nel 1980 l’allora arcivescovo di Monaco di Baviera e Frisinga monsignor Joseph Ratzinger, avrebbe dato il suo assenso al trasferimento nella sua diocesi da quella di Essen di un sacerdote già accusato di aver abusato di minori, padre Peter Hullermann. Avrebbe dovuto essere curato, sottoposto a terapia psichiatrica, evitando ogni contatto con bambini. Invece gli fu consentito di svolgere «azione pastorale» tra i giovani e tra i minori. Commise nuovi abusi.
LE NUOVE PROVE
Il fatto era già noto. La stampa tedesca lo già aveva sollevato lo scorso 12 marzo. Vi era già stata una puntualizzazione del direttore della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi e una dettagliata nota della diocesi di Monaco che dando conto degli spostamenti compiuti da padre Hullermann, delle sue utilizzazioni, terminava liberando Papa Benedetto XVI da ogni possibile responsabilità. Benché titolare della diocesi Joseph Ratzinger era stato tenuto all’oscuro sulla utilizzazione del «prete pedofilo». Tutta le responsabilità se l’è addossata monsignor Gerhard Gruber, l’allora vicario generale dell’arcivescovo che ha ammesso l’errore e ha chiesto scusa per quella errata decisione.
Una tesi che avrebbe voluto essere di definitivo chiarimento e che, invece, il prestigioso quotidiano newyorchese contesta. Il New York Times con documenti inediti, la cui esistenza sarebbe confermata da due fonti ecclesiastiche, mostra che l’allora arcivescovo sapeva. Con un memorandum sarebbe stato messo al corrente del fatto che il sacerdote sarebbe tornato in parrocchia, anche se aveva appena iniziato la terapia per controllare gli istinti pedofili. Una terapia rivelatasi infruttuosa, visto che successivamente Hullermann fu condannato per aver molestato bambini in un'altra parrocchia. È preciso il New York Times. La vicenda risale al 15 gennaio del 1980. In quell’occasione chiarisce l’arcivescovo di Monaco, Joseph Ratzinger, presiedette una riunione in cui fu deciso il trasferimento del sacerdote e fu tenuto al corrente sulla sua nuova assegnazione.
Replica la Santa Sede con il direttore della Sala Stampa, padre Lombardi. Ribadisce la sua verità la diocesi di Monaco di Baviera. Ma il New York Times si sente forte della documentazione in suo possesso. «L'articolo è frutto di un meticoloso lavoro giornalistico e di documenti, molti dei quali affissi sul sito web del giornale. Alcuni particolari sono stati confermati dalla Chiesa e finora nessuno ha messo in dubbio i fatti di cui abbiamo scritto» replica a padre Lombardi il portavoce del quotidiano. Non avrebbe lanciato una seconda bordata così diretta contro Benedetto XVI senza avere elementi precisi. La prima l’ha lanciata mercoledì scorso. Dal suo sito web accusa il Papa: quando era prefetto della congregazione per la dottrina della Fede avrebbe «occultato» un altro caso di pedofilia, quella del sacerdote del Wisconsin (Usa) padre Lawrence Murphy che dal 1950 al 1974 in una scuola cattolica per sordi avrebbe molestato 200 bambini. Nel 1996 l’arcivescovo di Milwaukee, Rembert Weakland con due lettere aveva denunciato il caso al cardinale Ratzinger prefetto dell’ex sant’Uffizio. Si era ipotizzato un processo canonico segreto. Poi dopo una lettera di «pentimento» inviata al cardinale dallo stesso Murphy questo non subì più alcun processo. La decisione è stata dell’allora segretario del dicastero, Tarcisio Bertone. Era anziano, isolato e malato. Il prete pedofilo morirà dopo quattro mesi senza subire alcuna condanna.

l’Unità 27.3.10
Il Vaticano: tutto falso
Vescovi francesi e inglesi solidali con Ratzinger
La Santa Sede: il pontefice all’oscuro sul caso Hullerman Lettera dell’episcopato di Francia: «Proviamo vergogna e rammarico davanti a questi abominevoli atti»
di R.M.

La Chiesa fa quadrato attorno al Papa. Il portavoce vaticano, padre Lombardi torna a rispondere al New York Times e definisce «una mera speculazione» la notizia riportata dal quotidiano. Nessun coinvolgimento o copertura del pontefice quando era arcivescovo di Monaco di Baviera nei confronti del prete pedofilo Hullerman. Il direttore della Sala Stampa vaticana rimanda alla «smentita pubblicata dall'arcidiocesi di Monaco». In sostanza si conferma quanto detto lo scorso 12 marzo scorso, quando il caso fu sollevato da un quotidiano tedesco. «L'articolo del New York Times non contiene alcuna nuova informazione oltre a quelle che la arcidiocesi ha già comunicato sulle conoscenze dell'allora arcivescovo sulla situazione del sacerdote H». Quindi si «rifiuta ogni altra versione» che sarebbe «mera speculazione».
La Chiesa si stringe attorno a Benedetto XVI. Non potrebbe essere diversamente. Il problema della pedofilia nella Chiesa è un cancro vero da estirpare. È quanto ha chiesto con fermezza lo stesso Papa Ratzinger rompendo omertà, resistenze e sottovalutazioni ancora presenti nella Chiesa. Continuando una battaglia difficile, iniziata da prefetto per la dottrina della Fede con Giovanni Paolo II. Nella sua lettera ai cattolici d’Irlanda il Papa invoca umiltà, oltre a severa autocritica, trasparenza e determinazione nel contrastare il fenomeno, piena collaborazione con le autorità civili. Non sono ammissibili insabbiamenti per il buon nome della Chiesa.
Il Papa si sarebbe spinto troppo in là per alcuni. Sarebbe stato troppo debole per altri. È quello che si respira Oltretevere. La caduta di credibilità rischia di essere verticale e planetaria, man mano che lo scandalo emerge. Questo preoccupa i vertici della Chiesa che si affidano al Papa. Non ha senso parlare di dimissioni di Benedetto XVI. Ma qualcosa è atteso che accada. Intanto si fa quadrato anche attorno alla via della tolleranza zero.
Non ha dubbi l'arcivescovo di Westminster, monsignor Vincent Nichols, capo dei cattolici di Inghilterra e Galles. «La Chiesa non sta cercando di insabbiare nulla» scrive al Times. Ribadisce che il cardinale Joseph Ratzinger «non è stato osservatore passivo» nel caso del prete americano denunciato dal New York Times. Esprime la sua vergogna e la sua rabbia. Annuncia una straordinaria «operazione trasparenza» sulla pedofilia nella Chiesa.
«Vergogna e rincrescimento» esprimono anche i vescovi di Francia. Riuniti nella loro assemblea generale inviano un «messaggio cordiale di sostegno» al Papa. Sono per la fermezza contro i preti pedofili. «Coloro che hanno commesso questi atti scrivono sfigurano la nostra Chiesa, feriscono le comunità cristiane e estendono il sospetto su tutti i membri del clero». Ma denunciano anche le strumentalizzazioni: «Questi fatti inammissibili sono utilizzati in una campagna per attaccare» il pontefice. Si fanno sentire anche i vescovi italiani. «È importante non cedere alla strategia di chi vuole staccare il popolo dai pastori, perché il tentativo è chiaramente questo» dichiara l’arcivescovo di Firenze, monsignor Betori. «È il coraggio del Papa che dà fastidio» commenta l’arcivescovo di Chieti-Vasto, Bruno Forte. «Se ci sarà umiltà, la Chiesa uscirà più splendente che mai da questa guerra!» afferma il predicatore della Casa pontificia, padre Raniero Cantalamessa.

l’Unità 27.3.10
Sondaggi amari Dopo lo scandalo solo il 39% si fida del pontefice. Si teme una fuga di fedeli
Sullo Spiegel duro commento: «Di quanta autorità gode ancora Benedetto XVI?»
Chiesa tedesca, crolla la fiducia
Evocate le dimissioni del Papa
Scoppiato in Germania due settimane fa, lo scandalo pedofilia ha avuto l’effetto di un terremoto sulla Chiesa tedesca. La fiducia nel pontefice è in caduta libera. Lo Spiegel: quando è, per un Papa, tempo di dimissioni?
di Gherardo Ugolini

«Quand’è per un Papa il momento di dare le dimissioni? Di quanta autorità gode ancora Benedetto XVI?». Le domande riecheggiano in un indignato commento del settimanale Der Spiegel, pubblicato nell’edizione online. Nel pezzo, intitolato «Signore, perdona la sua pazienza», si fa soprattutto riferimento alle responsabilità di Joseph Ratzinger negli anni in cui guidava la Congregazione per la dottrina della fede (1981-1996). «Nessuno nella Chiesa era informato più di lui sulla reale estensione degli abusi sessuali» scrive il settimanale di Amburgo.
IL TERREMOTO
E così dagli USA e dall’Irlanda le accuse che coinvolgono direttamente il Pontefice rimbalzano in Germania, nella nazione in cui Ratzinger è nato ha intrapreso la carriera ecclesiastica.
Nessuno poteva immaginare un paio di mesi fa, quando cominciarono a trapelare sui quotidiani di Berlino le prime notizie circa abusi su minori compiuti negli anni ’80 in una prestigiosa scuola di gesuiti, che si sarebbe arrivati a questo punto: la richiesta a mezzo stampa di dimissioni del Papa. Lo scandalo si è allargato a macchia d’olio nell’arco di po-
che settimane. La lettera aperta con cui il rettore del liceo Canisius invitava gli ex allievi a raccontare ciò che sapevano ha funzionato come un detonatore catartico. L’ondata di testimonianze ha travolto il mondo delle istituzioni educative cattoliche.
TUTTI I CASI
Dal Canisius di Berlino all’Aloisius di Bad Godesberg, passando per vari istituti di Amburgo, Monaco, Hildesheim, abbazie come quella di Ettal in Baviera. Clamoroso è stato il caso della scuola dei giovani cantori di Ratisbona per il coinvolgimento diretto di Georg Ratzinger, fratello maggiore del pontefice e per decenni direttore musicale del coro. Il bilancio, certo non definitivo, ammonta a oltre 250 vittime che finora hanno denunciato di aver subito abusi sessuali da bambini all’interno di scuole cattoliche.
FEDELI SOTTO CHOC
Le accuse di omertà e insabbiamento, quando non di complicità, fanno emergere forti malumori nel variegato mondo del cattolicesimo tedesco. Sono lontanissimi i tempi in cui l’elezione di Ratzinger a Papa veniva salutata trionfalmente sulla colonne della Bild col titolo «Noi siamo Papa», che ricalcava lo slogan «Noi siamo il popolo» gridato nelle piazze all’epoca della riunificazione e suggeriva un’identificazione tra l’intera nazione tedesca e il nuovo pontefice. Oggi il rapporto di fiducia tra i tedeschi e le istituzioni ecclesiastiche è in caduta libera. Un sondaggio dell’istituto Forsa dice che solo il 24% dei cittadini si fida di Benedetto XVI e appena il 17% della Chiesa cattolica, con un crollo drammatico consumatosi nelle ultime due settimane. Il quadro risulta ancora più allarmante se si considerano solo i cattolici: tra di loro la fiducia nel Papa è passata dal 62% di fine gennaio al 39%, mentre quella verso la Chiesa è scesa dal 56% al 34%.
Sarà poi interessante verificare la ricaduta che lo scandalo pedofilia avrà sul fenomeno della fuga dei fedeli dalla comunità religiosa, un trend che per altro è già in atto da un po’ di tempo.
Lo scorso anno 120mila cattolici tedeschi hanno deciso di abbandonare la Chiesa, e tutti gli osservatori concordano nella previsione che nel corso del 2010 i transfughi saranno molti di più. La fuga dei fedeli ha risvolti importanti anche sul piano economico, visto il sistema di finanziamento delle confessioni religiose diverso da quello italiano. In Germania non si dirotta l’otto per mille alla Chiesa indicata, ma chi si dichiara appartenente ad una confessione religiosa paga extra una «tassa per la Chiesa», pari all’otto per cento in più delle tasse. Meno fedeli significa quindi automaticamente meno soldi.

l’Unità 27.3.10
Intervista a Franco Cardini
«Da cattolico giudico sbagliato parlare di attacco anticlericale»
Lo storico delle religioni: «Negare che esista l’omertà vuol dire chiudere gli occhi. La Chiesa a disagio nel dare una lettura civica del peccato»
di Umberto De Giovannangeli

Da cattolico, oltre che da storico delle religioni, non mi sento di liquidare le rivelazioni del New York Times come un virulento attacco anticlericale. Così come penso che queste rivelazioni non siano state accolte con dispiacere da tutta la gerarchia della Chiesa di Roma. C'è, infatti, chi chiede una “purificazione” interna, i colpevoli paghino il loro fio, e chi va aldilà e evoca, più o meno esplicitamente, la questione del superamento del celibato ecclesiastico, uno degli ostacoli da rimuovere per arrivare all'unità delle Chiese cristiane». A sostenerlo è uno dei più autorevoli storici delle religioni: il professor Franco Cardini. «Dietro l'omertà di settori della Chiesa in questa vicenda – riflette Cardini c'è anche l'irrisolto problema di una lettura civica del peccato. La Chiesa riconosce il peccato ma non ha ancora definito una sua lettura civica sul rapporto tra peccato e crimine. Il che manifesta la difficoltà della Chiesa a fare i conti con la modernità».
Professor Cardini quale lettura dare della vicenda-pedofilia che sta investendo i piani altissimi della Santa Sede?
«La questione non data l'oggi, semmai c'è da chiedersi perché esploda in questo momento».
E qual è la sua risposta?
«Ha molto a che fare con la rozzezza dei nostri giorni. Non tirerei in ballo l'anticlericalismo. Il discorso è più complesso: in tempi di cultura meno volgare, le polemiche nei confronti della Chiesa avrebbero toccato altri tasti, chiamato in causa altre chiusure o omertà. Davanti a una società massificata, sempre più legata alle Tv e alla Rete ma sempre più rozza, colpisce di più, fa più audience tirar fuori argomenti, in questo caso la pedofilia o gli abusi sessuali perpetrati in seminario, che rientrano in quella curiosità morbosa che è parte di questi tristi tempi. Va anche detto, da storico, che abusi sessuali, pedofilia, stupri, un vissuto violento e deviato della sessualità, sono amplificati nelle società di uomini e donne chiuse, nella società che hanno conventi, seminari così come caserme e quant'altro. Un'amplificazione che risulta ancor più grave, e fondata, quando riguarda religiosi escatologicamente depositari di una Morale che non ammette deviazioni. Mi lasci aggiungere una cosa che mi pare sia stata poco valutata».
Quale, professor Cardini?
«Nessuno ricorda che già nel 2002 i falchi dell'amministrazione Bush, come il vice presidente Cheney tanto per fare un nome, ispirarono gli attacchi contro la Chiesa cattolica per casi di pedofilia che avevano riguardato alcuni vescovi americani. L'intento era di mettere in difficoltà Giovanni Paolo II non certo per una qualche, inesistente, acquiescenza verso i colpevoli, ma perché Giovanni Paolo II era l'unica personalità al mondo di tale spessore che si era pronunciata contro l'infamia dell'attacco americano all'Iraq. Nessun parallelismo con quanto sta avvenendo oggi, ma per dire che, in generale, è cosa buona e giusta guardare non solo la natura dello scandalo ma anche chi lo suscita».
La Chiesa fa quadrato contro le accuse del New York Times...
«Mi sarei meravigliato del contrario, ma questo non vuol dire, che fuori dall'ufficialità, non vi sia chi, dentro e fuori il Vaticano, non si strappi poi le vesti talari per l'esplodere del “bubbone”. Penso a chi invoca una “purificazione” interna e chi guarda più in là e evoca una tematica scottante: quella del celibato ecclesiastico, uno degli ostacoli più rilevanti da rimuovere sulla strada dell'unificazione delle Chiese cristiane. Non va peraltro dimenticato che il celibato ecclesiastico, altra cosa dal dogma della castità, è stato assunto dalla sola Chiesa cattolica e non dalla sua fondazione bensì nell'XImo secolo».
Questa vicenda chiama in causa anche l'omertà presente nella Chiesa su temi scottanti quali la pedofilia e gli abusi sessuali.
«Negare che esista omertà vuol dire chiudere gli occhi di fronte alla realtà. In questo atteggiamento leggo anche un disagio della Chiesa a definire una sua lettura civica dei peccati. Questione che non riguarda solo gli abusi sessuali. La Chiesa ha chiaro cosa sia peccato ma fa fatica a definire una lettura civica del crimine. In questo c'è il timore che i reprobi, se sottoposti al giudizio della giustizia della società temporale, non vengano giudicati per il reato commesso ma per la loro appartenenza alla Chiesa di Cristo. Anche qui c'è un rapporto non risolto della Chiesa con la modernità. Un rapporto che va definito al più presto».

l’Unità 27.3.10
Uno dei sette piccoli violentati dall’ex parroco della periferia di Roma arrestato il 30 giugno 2008
L’inutile pellegrinaggio dai Vescovi che al pm dissero: «Sa, di voci ne arrivano tante...»
E le vittime di don Ruggero bussarono alle porte chiuse
«Non ci sono solo gli Stati Uniti o la Germania«, denuncia il presidente dell’associazione antipedofilia che fin dall’inizio ha seguito il caso, portandolo fin davanti al pm del Sant’Uffizio. «Ora voglio incontrare il Papa».
di Maria Grazia Gerina

«Io ero un bambino piccolo, non conoscevo niente. Stavo alle medie, c’era gente che bestemmiava e io mi andavo a confessare perché solo il sentirle... Ruggero mi fece mettere sul bordo del divano e cominciò a palparmi...».
Ruggero è don Ruggero Conti, ex parroco della Natività di Maria Santissima, nella periferia di Roma, arrestato il 30 giugno 2008 e tutt’ora sotto processo con l’accusa di molestie. Chi parla (a verbale, davanti al pm Francesco Scavo) è invece una delle sette piccole vittime che hanno trovato il coraggio di salire sul banco dei testimoni. Un caso finito su tutti i giornali, anche perché don Ruggero era garante per la famiglia del neosindaco Alemanno, che è stato citato come teste dalla difesa.
«Prima di rivolgerci ai carabinieri, abbiamo bussato a tutte le porte possibili in Vaticano», racconta Roberto Mirabile, presidente dell’associazione La Caramella Buona, che fin dall’inizio ha affiancato le vittime nel percorso di denuncia. È un sacerdote, don Claudio, a contattarlo. Raccolti i primi riscontri, comincia il pellegrinaggio dalle alte gerarchie. Monsignor Rivella, Don Pompili, portavoce della Cei, monsignor Parmeggiani, all’epoca segretario particolare di Ruini, il cardinale Comastri, ora vicario del Papa, padre Lombardi, direttore della Sala Stampa Vaticana. «Li abbiamo incontrati tutti, per ultimo monsignor Charles J. Scicluna, il pm del Sant’Uffizio».
È il 18 luglio 2007 (don Ruggero verrà arrestato solo un anno dopo, gli ultimi presunti abusi risalgano al marzo 2008) l’incontro dura circa 45 minuti. «Ci è stato ad ascoltare, poi ha preso i fogli che avevamo portato e si è alzato: “Vado a chiedere se ci sono notizie su questo sacerdote”. È tornato un quarto d’ora dopo, dicendo che non risultava nulla: “Se credete, rivolgetevi alla giustizia”». «Non era certo quello che ci aspettavamo», racconta Mirabile che ora chiede di incontrare il Papa: «Non ci sono solo gli Stati Uniti, mi chiedo come è possibile che non risultasse nulla visto su don Ruggero che all’epoca il vescovo da cui dipendeva era già a conoscenza dei fatti». Gino Reali, il vescovo di S. Rufina, sarà sentito in aula a maggio. Ma il verbale del 1 dicembre 2008 (vedi Il peccato nascosto, ed. Nutrimenti) è eloquente.
Vescovo: «Uno di questi ragazzi mi raccontò di essere stato molestato alcuni anni prima durante un campeggio...».
Pm: «L’episodio non le fece venire in mente che potesse esistere una situazione un po’ delicata?»
Vescovo: «Lei sa bene che di voci ne arrivano tante... Non posso correre dietro a tutte».
A uno a uno il pm passa in rassegna tutti gli avvertimenti.
Vescovo: «Sì, alcuni collaboratori di don Ruggero mi parlarono di un atteggiamento che poteva prestarsi a equivoci, ma non mi riferirono fatti precisi».
Pm: «Magari, forse approfondendo con i ragazzi...»
Vescovo: «Ma vede, dottore, io faccio il vescovo, non è che faccio l’istruttore».
«Noi abbiamo intenzione di sollevare di nuovo la questione del suo ruolo, almeno con la legge canonica», spiega Mirabile, convinto che il vero bubbone che anche il processo a don Ruggero sta facendo scoppiare sia proprio il «silenzio dei vescovi». A Don Ruggero certe accuse erano state mosse prima ancora di diventare sacerdote, quando insegnava catechismo a Legnano. Fu monsignor Carlo Galli a raccoglierle. Ma anche lui non le ritenne importanti. Quanto a monsignor Reali, don Ruggero non era il primo caso che gli veniva segnalato. Nel 2005 lo informarono che un altro prete della sua diocesi don Poveda aveva molestato alcuni ragazzi mandando loro sms piuttosto espliciti. Il vescovo lo fece tornare in Spagna: «Mi promise che sarebbe cambiato», spiega al pm. Quanto a don Ruggero: «Ha sempre spergiurato la sua innocenza, non sono riuscito a ottenere di più.. Noi oggi però abbiamo anche un impegno molto grande, salvare la buona reputazione, non ha idea di quante accuse vengono mosse, le più strane...».

l’Unità 27.3.10
Mons. Girotti «regge» la Penitenziera, fu indagato con la banda della Magliana

Sua Eccellenza monsignor Gianfranco Girotti, attuale reggente della Penitenzieria Apostolica Vaticana, cioè l’alto prelato che il 30 Maggio del ’98, come rivelato dal New York Times, partecipò con Bertone alla riunione che di fatto insabbiò il caso del reverendo Lawrence Murphy, gratta-gratta, è un sacerdote dall’imbarazzante passato giudiziario.
Il Vaticano ha scelto come rappresentante della massima autorità morale della Chiesa, dopo il Papa (in pratica la Penitenzieria è il tribunale che decide su grazie e indulgenze) un uomo che nel 1985 fu inquisito e poi prosciolto perché sospettato di fare arrivare in carcere cocaina, farmaci, radioline e altri oggetti proibiti ai componenti della banda della Ma-
gliana. All’epoca Girotti, che ora ha 77 anni, faceva infatti il cappellano nel penitenziario romano di Regina Coeli. E peraltro nel carcere lavorava a fianco, in qualità di suo aiutante, del noto don Piero Vergari, lo stesso sacerdote che caldeggiò la scandalosa sepoltura del bandito Enrico De Pedis nella basilica monumentale di Sant’Apollinare. Girotti fu formalmente accusato di favoreggiamento personale e interessi privati in atti d’ufficio insieme a un altro ex cappellano, don Pietro Prestinizi, che venne addirittura arrestato: dalle intercettazioni telefoniche la polizia scoprì che padre Girotti parlava al telefono, «apparentemente in amicizia», con Enrico Nicoletti, il “banchiere” della banda della Magliana attualmente sotto processo per associazione mafiosa, mentre Prestinizi conversava con uomini vicini a Pippo Calò. «Non sono in grado di dire, almeno per quanto concerne l’hashish e la cocaina, se padre Gianfranco conoscesse il contenuto dei pacchetti che consegnava. Chi teneva dall’esterno i rapporti con lui era Sestili (un affiliato alla banda, ndr) il quale lo andava a trovare nel suo ufficio presso il carcere e gli consegnava i pacchetti e gli oggetti da recapitare a me e a Lucioli... In uno di questi pacchetti c’era l’offerta per la chiesa... Per quanto ho potuto constatare... dei favori di padre Gianfranco beneficiava anche Massimo Carminati, che era detenuto in una cella contigua alla mia... » dirà Maurizio Abbatino nel suo verbale del 2 luglio 1993. Ad Abbatino, raccontarono i pentii, Girotti avrebbe consegnato di nascosto anche dei semi di ricino: servirono al bandito per simulare una malattia agli occhi, escamotage grazie al quale riuscì ad essere trasferito in una clinica da cui evase.

l’Unità 27.3.10
Verona, stile Usa «All’istituto per sordi il prete mi violentò»

«MI VIOLENTÒ» Bruno è veronese, ha oltre sessant’anni e vive solo. «Avevo 8 anni, un alto prelato mi violentò». È una delle persone sorde, vittime, da adolescenti, di violenze e abusi sessuali a cui sarebbero stati sottoposti da esponenti del clero durante la permanenza all’istituto Provolo. Penalmente, visti i decenni trascorsi, gli orrori non sono perseguibili nè per la legge italiana nè per il codice canonico, ma le denunce del 2005 da 67 ex allievi verranno ugualmente analizzate dalla Congregazione vaticana per la Dottrina della Fede. La diocesi di Verona insiste: sul caso ha ricevuto solo una lettera anonima. Sul piano giudiziario il Gip dovrà pronunciarsi il 9 giugno solo sull'opposizione all'archiviazione presentata dai familiari delle vittime nei confronti del vescovo di Verona, mons. Zenti, denunciato dopo che aveva respinto le accuse attribuendole a mire economiche sui beni della congregazione «Compagnia di Maria» che gestisce il Provolo.

il Fatto 27.3.10
Dal Vaticano solo silenzio sugli innocenti
Il New York Times accusa ancora: il Papa sapeva anche degli abusi di Monaco
La Santa Sede sotto assedio, ma negli articoli della stampa ecclesiastica le vittime non compaiono mai
di Marco Politi

Il New York Times rincara la dose. Anche nel caso di Monaco – scrive – Joseph Ratzinger sapeva. Il quotidiano afferma che il prete pedofilo Hullermann (accolto nella diocesi monacense per seguire una terapia) non fu trasferito ad altra parrocchia a insaputa dell’arcivescovo Ratzinger, come detto dalle autorità diocesane e vaticane. Secondo il New York Times Ratzinger fu informato da un memorandum e il 15 gennaio 1980 presiedette la riunione in cui si decise il trasferimento del prete pedofilo. Immediata la replica vaticana. Il portavoce Lombardi ribadisce che Ratzinger non fu mai a conoscenza del fatto, mentre la diocesi di Monaco sottolinea che “non dette mai il suo assenso”. Quelle del New York Times, dice Lombardi, sono “mere speculazioni”. In Vaticano si sentono sotto assedio. C’è un clima di estrema tensione e nervosismo. Impera la sensazione di vivere un’aggressione mediatica contro la Chiesa e Benedetto XVI. Il grado di allarme per il rischio di una grave perdita di prestigio del Papa si misura dalle solidarietà che cominciano ad arrivare. Solidarizza con il pontefice il primate cattolico d’Inghilterra monsignor Nichols e un messaggio di sostegno gli arriva dall’episcopato di Francia. L’Osservatore Romano denuncia il tentativo “ignobile” di colpire Benedetto XVI e i suoi stretti collaboratori. Il giornale dei vescovi Avvenire parla di “fango, feroce onda mediatica, frenesia di sporcare e colpire”. L’ex segretario della Cei monsignor Betori avverte una “strategia per staccare il popolo (cattolico) dai pastori”. Eppure gli stessi documenti riportati dall’Avvenire parlano chiaro. A Milwaukee il pedofilo padre Murphy, autore di duecento abusi sessuali ai danni di bambini sordomuti – doppiamente incapaci di difendersi e chiedere aiuto – dopo la prima denuncia del 1974 non viene allontanato dal sacerdozio, ma gli si permette di trasferirsi in altra città (dalla madre) e di continuare a servire in parrocchia.
É vero, i vescovi locali, di fronte all’aumentare delle denunce, lo interrogano, lo fanno analizzare da psicologi, ma per altri vent’anni non succede assolutamente nulla. Prete era e prete in attività rimane. Quando i vescovi locali decidono di aprire un processo ecclesiastico – e in tal senso premono sulla Congregazione per la Dottrina della fede,guidata dal cardinale Ratzinger – è il luglio del 1996. Un quarto di secolo dopo la stagione degli abusi. Nel marzo 1997 il vice di Ratzinger monsignor Bertone dà l’assenso al procedimento penale ecclesiastico. Ma nel gennaio 1998 il pedofilo Murphy scrive al cardinale Ratzinger invocando la sua malattia e tutto si blocca. Improvvisamente il 30 maggio 1998 si tiene in Vaticano una riunione fra i due vescovi americani, Bertone e il sottosegretario della Congregazione padre Girotti. E in quella riunione “sorgono dubbi – scrive testualmente l’Avvenire – circa la fattibilità e l’opportunità del processo canonico” a causa del tanto tempo passato. Il risultato di questi “dubbi”, che un anno prima non c’erano, è che Murphy evita il processo e “quell’atto di giustizia e di riparazione”, che le vittime e la comunità della St. John’s School si attendevano (nelle parole stesse dei vescovi locali Weakland e Fliss), non è mai arrivato. I fatti nudi e crudi restano questi.
Colpisce che negli articoli della stampa ecclesiastica, tesi a difendere le autorità della Chiesa, le vittime non appaiano mai nella loro concretezza.
In ottanta righe di editoriale di prima pagina sull’Avvenire i “bambini sordi” appaiono in una mezza riga. Le loro voci non si sentono mai. Le testimonianze di chi ha subito mentre – come scriveva Benedetto XVI nella sua Lettera ai vescovi irlandesi, “nessuno vi ascoltava... e dovete aver percepito che non vi era modo di fuggire dalle vostre sofferenze” – queste testimonianze non riecheggiano mai. Men che meno risuonano nel coro degli atei devoti, che si esaltano per il modo sublime con cui la Chiesa “sa vedere l’uomo nel peccato e il peccato nell’uomo”. Atei devoti eccitati nell’evocazione della notte dell’Innominato. Grandi emozioni cui gli alunni muti e violentati della St. John’s School non hanno avuto il privilegio di partecipare. Personalmente papa Ratzinger è sottoposto in questi giorni ad un forte stress psicologico. Sentirsi sul collo il fiato dell’opinione pubblica mondiale è una prova pesante per un uomo di ottantadue anni. Ma forse il suo pensiero si rispecchia nelle parole pronunciate alla funzione quaresimale dal predicatore cappuccino Cantalamessa, in presenza di Benedetto XVI: dall’umiliazione e dall’afflizione odierna può scaturire “una maggiore purezza della Chiesa”. Nel frattempo l’onda delle rivelazioni e dei mea culpa cresce. Il Germania il vescovo di Fulda monsignor Algermissen, ha ammesso “pesanti omissioni” da parte della Chiesa. “Non abbiamo rispettato abbastanza la pena delle vittime”, ha detto. “Alla luce dei reati commessi sono sopraffatto da un senso di disgusto”. Secondo il vescovo ci vorranno dieci anni perché la Chiesa possa rimettersi da questa crisi.
In dirittura finale della campagna elettorale non poteva mancare il coretto degli esponenti di centro-destra, che si affannano a chi grida più forte la sua “indignazione” per i cosiddetti attacchi al pontefice. Si impegnano il sindaco Alemanno, il ministro Frattini, Cicchitto, Gasparri. Viene il sospetto che per mostrare la sua cristiana devozione al Sacro Soglio, la brigata Berlusconi – se potesse – amerebbe chiudere dopo Annozero anche il New York Times.

il Fatto 27.3.10
Quando Ratzinger scoprì i figli segreti dei Legionari di Cristo
di Alessandro Oppes

Dicono di aver sperato fino all’ultimo che tutte le accuse mosse contro il loro fondatore fossero “false o infondate”. Ma che così non fosse era chiaro, evidentemente, ormai da tempo. I Legionari di Cristo non hanno perciò avuto altra scelta che fare il grande passo: il “mea culpa” pronunciato ieri per gli abusi sessuali commessi dal loro leader spirituale, il messicano Marcial Maciel scomparso due anni fa, è totale e incondizionato. La congregazione ultra-conservatrice cattolica, al centro di un’ispezione ordinata da papa Benedetto XVI in un comunicato firmato dal superiore generale Alvaro Corcuera, condanna gli abusi compiuti per decenni dal fondatore e tutti gli atti “contrari ai doveri di cristiano, religioso e sacerdote”, chiedendo perdono alle vittime e a quelle persone che, pur avendone denunciato i comportamenti, non erano state mai ascoltate. I Legionari ammettono anche che il sacerdote messicano ebbe una fi-
glia “da una relazione stabile e prolungata” con una donna, e altri “gravi comportamenti” . Il riferimento è con ogni probabilità all’ultimo scandalo, emerso poche settimane fa quando un’altra donna, Blanca Estela Lara Gutiérrez, dichiarò che dal suo rapporto con Maciel nacquero due figli, Raúl e Cristián. Ma il sacerdote, sotto falso nome, avrebbe ancheadottatoOmar,unaltrofiglioavuto da Blanca nel corso di una relazione precedente. Quel che è più grave, però, è che sia Omar che Raúl hanno confessato che il padre abusò di loro per anni quando erano piccoli.
Fu proprio Joseph Ratzinger, nel 1998, quando era ai vertici della Congregazione per la Dottrina della Fede, a ordinare le prime indagini su Maciel, all’epoca molto vicino a Papa Wojtyla. I sospetti si rivelano talmente fondati che, una volta diventato pontefice, nel 2006 lo rimosse dall’incarico.

Repubblica 27.3.10
L’obbligo della verità dopo troppi silenzi
di Adriano Prosperi

Nel caso dei preti pedofili bisognerà evitare almeno che tutto si riduca alla solita diatriba fra clericali e laici.
O che ci si metta addirittura a contare i numeri: quanti i pedofili tra i preti, quanti tra i non preti. Sono cose che abbiamo già visto quando si discuteva su quanti eretici e quante streghe fossero stati mandati a morte dai tribunali della Chiesa cattolica e quanti da altre chiese e da altri poteri. E intanto passava in secondo piano la sofferenza delle vittime e la tenebra dell´intolleranza e si cancellava la responsabilità storica, giuridica, culturale degli assassini.
L´apologetica e la controversia uccidono la verità. E qui la questione della verità è fondamentale: e deve stare a cuore agli uomini di governo della Chiesa più che a chiunque altro se sono capaci di prendere sul serio il loro stesso ufficio e di capire quale sia la tremenda responsabilità che si sono assunti. Per candidarsi al governo delle coscienze bisogna dimostrare di saper rispettare la verità. L´occultamento del vero, avvenga per trascuratezza burocratica o per malinteso spirito di corpo, uccide la fiducia. Tanto più quando si tratta di una verità orrenda che dovrebbe far tremare chi la viene e a conoscere e dovrebbe accendere di furore, di pena, di fame di giustizia chi ha il compito di governare e di giudicare.
Non per niente a tanti è venuto spontaneo citare la terribile parola del Gesù dei vangeli: bisogna che gli scandali avvengano ma guai a coloro che sono causa degli scandali. La macina al collo e il suicidio come la sola pena adeguata per chi scandalizza questi piccoli: questa la violenza estrema della parola evangelica. Gli echi di questa pagina hanno risuonato nei secoli: le abbiamo ritrovate in un grande capolavoro di Dostoevskij che tutti hanno letto o dovrebbero leggere. E si ricorderà che Gesù di Nazareth non scendeva nei dettagli. Chissà cosa avrebbe detto delle attenuanti che sono state evocate in questi giorni: l´età del colpevole, il suo stato di salute, il silenzio delle vittime, di quelle creature piccole. Piccole e mute: non solo perché prive dell´uso della parola. Mute, perché per uscire dal buio e dal silenzio senza parole di quella lurida aggressione, al bambino e alla bambina che l´hanno subìta può non bastare una vita intera. Una vita compromessa, avvilita, oscurata per sempre da chi gode della fiducia dei fedeli in grazia del suo abito e della parola evangelica – quella frase, «lasciate che i pargoli vengano a me», si provi a immaginarla sulle labbra del prete pedofilo.
Per questo ci è parso singolarmente infelice il grido «Basta scandali!»che è risuonato in Piazza San Pietro e che ha unito per un attimo il capo della Chiesa cattolica al responsabile della protezione civile italiana. C´è chi davanti al brontolio di tuono della tempesta che ruggiva nel mondo intero e che bussava ormai alle porte dell´ovattato mondo della comunicazione italiana, sempre timoroso e pronto a inginocchiarsi davanti ai poteri consacrati e agli abiti talari ha evocato l´idea di una congiura anticristiana. Ma simili bassi servigi hanno il torto di nascondere agli occhi degli italiani la gravità del problema. Non solo per la Chiesa: anche per il nostro paese che non può permettersi di subire tutta insieme la vergogna dell´ondata di discredito internazionale che si abbatte oggi sui due volti che lo rappresentano nel mondo: e passi pure che l´opinione pubblica rida di noi per le grottesche performaces di un leader politico che dichiara guerra al cancro. Ma se la tempesta si abbatte sul papa di Roma e sulle autorità cattoliche, allora sì che le fondamenta storiche del Paese sono scosse.
E dunque guardiamo in faccia la verità: che è quella di una turpitudine storica e non solo episodica, giuridica e non solo morale. Questa vicenda è cominciata secoli fa: la inaugurò papa Paolo IV Carafa quando nel 1559 stabilì che i preti e i frati colpevoli di reati di natura sessuale nati nel contesto della confessione sacramentale dovessero essere sottoposti al Sant´Uffizio dell´Inquisizione. Era una misura in apparenza radicale, dura, minacciosa per i colpevoli: in realtà era la via d´uscita per chiudere la conoscenza di episodi scandalosi nello spazio giuridico di un tribunale ecclesiastico segretissimo. La ragione della scelta era ovvia: Lutero aveva bruciato non solo la bolla di scomunica ma anche l´intero corpus del diritto canonico, giudicato da lui una delle muraglie con cui il clero si era alzato al di sopra del popolo cristiano.
La Chiesa cattolica ribadì la superiorità sacrale del clero, mantenne il diritto canonico e il privilegio del foro per i chierici e, nel confermare l´obbligo del celibato ecclesiastico, preparò un comodo rifugio per chi lo infrangeva e per chi infangava il sacramento del perdono dei peccati attentando ai minori e alle donne che si affacciavano al confessionale. Da allora e per secoli i processi per i casi di «sollicitatio» sono stati nascosti dal segreto impenetrabile del Sant´Uffizio mentre i colpevoli venivano semplicemente trasferiti di sede per difendere il buon nome del clero: fino a oggi. E il segreto è diventato anche più fitto e ha coperto altre e più gravi turpitudini quando, per opera del cardinal Alfredo Ottaviani prefetto del Sant´Uffizio, fu approvata una istruzione per il «crimen sollicitationis» immediatamente sepolta nel segreto dei palazzi vaticani. Quella istruzione imponeva un segreto assoluto sulle materie relative non solo al reato di «sollicitatio» ma anche a quello che veniva definito il «crimine pessimo»: cioè l´atto sessuale compiuto da un chierico con fanciulli impuberi dei due sessi o con animali. Chissà perché al cardinal Ottaviani venne in mente di includere anche questo nuovo versante del crimine sotto l´antico mantello protettivo.
Il Sant´Uffizio scomparve ufficialmente dalla nomenclatura istituzionale vaticana nel 1965 e Ottaviani uscì di scena, mentre il Concilio Vaticano II sembrava aprire scenari nuovi: scenari di fiducia verso il mondo moderno incluso il principio fondamentale fra tutti della trasparenza e della verità come obbligo dei governanti verso i governati. Ma concluso il concilio il vento cambiò. E la nuova Congregazione per la dottrina della fede fece sua l´istruzione del cardinal Ottaviani. Un documento ufficiale della Congregazione governata dal prefetto cardinal Joseph Ratzinger datata 18 maggio 2002 ne riprese la sostanza. Si intitola «De delictis gravioribus». Dunque il cardinal Ratzinger ha coperto con quel segreto specialissimo le vicende che per il suo ufficio doveva conoscere e governare. Oggi non per sua scelta ma per la pressione di un mondo in rivolta gli si pone nella sua nuova veste il problema di decidere quale percorso proporre alla Chiesa cattolica. Ed è un singolare esempio dei corsi e ricorsi storici che tocchi di nuovo a un papa tedesco, il secondo dell´età moderna dopo quell´Adriano VI che dovette fare i conti con la Riforma luterana, affrontare un problema che ha trovato specialmente nella coscienza della Germania un´eco profonda: un problema che ripropone ancora una volta e su di una materia terribile la questione della capacità della Chiesa di interpretare i segni dei tempi. Si tratta di decidere se conservare o abbandonare quello che è stato fin dall´inizio uno strumento per difendere dalla verità e dalla giustizia i membri del clero.

Repubblica 27.3.10
L’appunto segreto chiuso in cassaforte
La diocesi di Monaco, allora guidata da Joseph Ratzinger, accettò la richiesta della diocesi di Essen
di Andrea Tarquini

Nel 1980 l’allora arcivescovo di Monaco partecipò a una riunione sul caso Hullermann
Il sacerdote fu accolto nella diocesi per sottoporsi a una cura psichiatrica
Trasferito in seguito a Grafing, fu condannato nel 1986 a 18 mesi con la condizionale

La richiesta di ospitare Padre Peter Hullermann, che aveva commesso abusi pedofili gravi, come Essen stessa avvertì, per consentirgli una terapia. Poco dopo Hullermann fu riammesso al sacerdozio. Questa seconda decisione, presa dal vicario generale, fu comunicata in un appunto alla segreteria del Cardinale Ratzinger. Non si sa se lui l´abbia letto, ma l´appunto esiste, chiuso sottochiave. La diocesi rifiuta di mostrarlo ai media ma ne ha confermato l´esistenza, in colloqui con Der Spiegel - che in un editoriale, ieri, ha persino chiesto le dimissioni del Papa - e poi in un suo comunicato stampa giorni fa. Ecco, ricostruita sul posto, la storia del caso. Chiunque ne sia stato responsabile, un lupo, un pericoloso pedofilo, fu portato a contatto del gregge. Silenzi e soluzioni interne: prima difendere l´Istituzione a tutti i costi, come a Mosca sotto Breznev.
E´ un freddo mattino, 15 gennaio del 1980, nella ricca Monaco, quando al numero 5 della stretta Rochusstrasse, un´elegante viuzza non lontana dall´albergo Bayerischer Hof, dalla cripta dei Wittelsbacher, dalla cattedrale di Nostra signora, e da tutto il sontuoso centro storico della capitale bavarese, si tiene la riunione dell´ordinariato dell´arcidiocesi. Dura dalle 9 del mattino alle 13,10. Presente Ratzinger. Assente per caso, tra gli altri, il suo attuale segretario Gaensewein. Una riunione d´ordinaria amministrazione. Tanti casi da esaminare: decessi, certificati di malattia, nomine di nuovi parroci. Al punto 5d, come si può leggere dal documento che pubblichiamo in copia (fornitoci dai colleghi di Der Spiegel in nome del diritto di cronaca: la diocesi, da noi richiesta, si è rifiutata di darcelo nonostante Spiegel e altri media tedeschi lo avessero già citato), leggiamo: «Il referente per il personale ecclesiastico della diocesi di Essen, diacono Klaus Malangré, ci prega di offrire ospitalità a padre Peter Hullermann, il quale si sottoporrà a una cura psichico-terapeutica. La richiesta è stata accettata, il cappellano Hullermann sarà alloggiato presso la Parrocchia di San Giovanni Evangelista a Monaco».
"Cura psichico-terapeutica", nel linguaggio interno di allora, indicava di solito la condizione di religiosi con chiare tendenze pedofile. A scanso di ogni equivoco, fin dall´autunno il diacono Malangré, responsabile della diocesi di Essen, fu più volte in contatto telefonico con Monaco. Spiegò ai suoi pari grado qual era il pericolo: «Comportamenti immorali e contro natura con minorenni». Padre Hullermann aveva costretto almeno un bimbo, di undici anni, a un rapporto orale. Erano stati denunciati suoi abusi contro altri tre bambini, a Essen e Bottrop. Eppure, poco dopo quel 15 gennaio, padre Hullermann fu riammesso al servizio attivo: poté di nuovo dire messa, ed entrare in contatto con bambini e minorenni. «Me ne assumo ogni responsabilità», dice adesso l´allora vicario generale Gruber. Ma un "Vermerk" (appunto-informativa) sulla decisione di reinserire Hullermann nel servizio pastorale, fu inviato alla segreteria di Ratzinger. «Non si sa se l´abbia letto, tutti nella Chiesa qui giurano di no», mi spiega un collega di Der Spiegel. Ma aggiunge: «La certezza non c´è, e l´ex vicario Gruber non appare credibile, sembra voler coprire i superiori».
Avvertimenti e moniti del diacono Malangré su quanto Hullermann fosse pericoloso vennero uno dopo l´altro. Per telefono, e in lettere manoscritte. Documenti manoscritti della diocesi di Essen informarono la diocesi di Monaco: «Padre Hullermann ha reso davanti ai suoi superiori confessione tradotta in protocollo del suo comportamento immorale contro almeno tre minori». Dalla parrocchia di Sant´Andrea di Essen, dove Hullermann aveva prestato servizio sacerdotale, venivano conferme. La diocesi di Monaco e Frisinga non cambiò idea.
Moniti e avvertimenti del diacono Malangré erano precisi, e precisi furono anche quelli, inviati alla diocesi di Monaco, dal dottor Huth, lo psicoterapeuta che a Essen per primo aveva preso in cura padre Hullermann. Ma tutto fu ignorato. Adesso è emerso che il prelato prima del trasferimento in Baviera aveva commesso abusi anche altrove in Nordreno-Westfalia, a Bottrop: la madre di un´allora piccola vittima si è appena rivolta all´episcopato locale. Padre Hullermann in Baviera aveva ricominciato la sua vita. Sacerdote vivace, caloroso, umano, adorato dai suoi fedeli. Ma anche "malato incurabile", come il dottor Huth lo aveva definito. Dopo Monaco, fu trasferito a Grafing. Là si abbandonò ad abusi contro minori, fu denunciato e condannato nel 1986 a 18 mesi con la condizionale. Ma la Chiesa lo tenne nei suoi ranghi. Fu trasferito come parroco a Bad Toelz. Ora è indagato per un abuso risalente al 1988, quindi non prescritto. Padre Hullermann è stato sospeso solo pochi giorni fa, dopo che i media hanno denunciato gli abusi nelle istituzioni religiose tedesche rendendolo un evento mondiale. Il successore di Ratzinger, cardinale Wetter, si assume ora la responsabilità della "scelta sbagliata" degli ultimi trasferimenti di padre Hullermann. Come se il mea culpa del vicario Gruber non bastasse, si autoaccusa un ex arcivescovo, un cardinale. Il dramma continua, e a ogni sua pagina i cristiani tedeschi perdono fiducia in Roma.

Repubblica 27.3.10
La Santa Sede alza le difese "Sono mere speculazioni"
Monsignor Riboldi: "Una guerra tra Satana e Dio"
di M. Ans.

CITTÀ DEL VATICANO - Qualcuno indica la via crucis e nomina la settimana di passione. Il Vaticano vive ognuna di queste giornate sentendosi sotto attacco. Al nuovo articolo sulle accuse di pedofilia del più importante quotidiano americano il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, oppone un altro comunicato dove parla di «mera speculazione».
Sul caso del prete pedofilo Peter Hullermann, operativo a Monaco di Baviera ai tempi in cui arcivescovo era Joseph Ratzinger, il portavoce vaticano rinvia alla nota pubblicata l´altro ieri dall´arcidiocesi, dove si legge: «L´articolo del New York Times non contiene alcuna nuova informazione oltre a quelle che l´arcidiocesi ha già comunicato sulle conoscenze dell´allora arcivescovo. L´arcidiocesi conferma quindi la sua posizione, secondo cui l´allora arcivescovo non ha conosciuto la decisione di reinserire il sacerdote H. nell´attivita´ pastorale parrocchiale. Essa rifiuta ogni altra versione come mera speculazione. L´allora vicario generale, monsignor Gerhard Gruber, ha assunto la piena responsabilità della sua propria ed errata decisione, di reinserire H. nella pastorale parrocchiale».
Papa Ratzinger, colpito ieri dalle richieste di dimissioni del settimanale tedesco Der Spiegel, ha avuto in giornata una nutrita serie di incontri con i suoi collaboratori. In mattinata, nella cappella Redemptoris mater, ha presenziato alla terza e ultima predica di Quaresima del predicatore pontificio, padre Raniero Cantalamessa. «Se ci sarà umiltà - ha detto l´oratore - la Chiesa uscirà più splendente che mai da questa guerra».
Molti i messaggi di sostegno ricevuti, tra cui quello dei vescovi di Francia. «Proviamo tutti vergogna e rincrescimento - gli hanno scritto in un messaggio pubblicato a Lourdes al termine della loro assemblea generale - di fronte agli atti abominevoli. Ci associamo alle sue parole forti destinate alle vittime di questi crimini. Coloro che hanno commesso questi atti sfigurano la nostra chiesa, feriscono le comunità cristiane e estendono il sospetto su tutti i membri del clero».
Singole, ma forti voci di cardinali e vescovi si sono poi aggiunte. «C´è un attacco forte contro il Sommo pontefice, il vicario di Cristo, e la Chiesa - ha detto il cardinale George Cottier, teologo emerito della Casa pontificia - è un fatto che possiamo verificare». E monsignor Bruno Forte, presidente della commissione episcopale per la Dottrina della Fede, ha detto che il pontificato di Benedetto XVI è «caratterizzato dal grande coraggio, dalla sincerità e dalla trasparenza». Un atteggiamento, ha aggiunto, che «può dare fastidio a qualcuno. Come avviene per ogni testimone della verità, a partire da colui che è la verità in persona, Gesù, il Papa paga di persona per quello che annuncia».
E di guerra, oltre a padre Cantalamessa, ha parlato anche monsignor Antonio Riboldi, vescovo emerito di Acerra. «È in atto una guerra - ha spiegato - una guerra tra la Chiesa e il mondo, tra Satana e Dio. C´è una voglia matta di attaccare la Chiesa. È questa l´aria che tira».

Repubblica 27.3.10
"Il primate d´Irlanda ostacola le indagini"
Le vittime contro il cardinale Brady. E i giornali attaccano il Papa: "Faccia mea culpa"
Appello accorato a Benedetto XVI "Venga a incontrarci, di che cosa ha paura?"
di Enrico Franceschini

LONDRA - Nuove accuse contro il cardinale Brady, primate della Chiesa cattolica d´Irlanda. Accuse contro il Papa, da parte delle vittime dei preti pedofili irlandesi, che lo invitano a riconoscere le proprie colpe, a dimettersi o perlomeno a «venire in Irlanda a incontrarci, di che cosa ha paura?» Ed esortazioni simili rivolte a Benedetto XVI dal Times e dal Guardian, due dei maggiori quotidiani britannici, che gli chiedono di fare «mea culpa» e di «dare una risposta e delle spiegazioni» alle rivelazioni del New York Times. La tempesta che scuote il cattolicesimo continua così anche a Dublino e a Londra, dove l´arcivescovo di Westminster, massimo rappresentante della chiesa di Roma nel Regno Unito, ha preso la parola per riconoscere gli errori compiuti ma pure per difendere il pontefice, atteso fra cinque mesi da una visita pastorale in Gran Bretagna che doveva essere una passeggiata, se non un pellegrinaggio di conquista nel territorio degli anglicani, ma che ora appare assai più preoccupante, complicata e difficile.
In Irlanda, dopo le dimissioni di monsignor John Magee, il potente ex segretario di tre papi costretto a lasciare l´incarico di vescovo di Cloyne per i suoi silenzi e le sue omissioni davanti allo scandalo dei preti pedofili nella sua diocesi, è ora il cardinale Sean Brady a ritrovarsi di nuovo sotto accusa. All´inizio del mese, il cardinale si era scusato e aveva espresso «vergogna per non avere sempre saputo difendere i valori del cattolicesimo», pur continuando a sostenere di avere avuto solo un ruolo marginale e privo di colpe in un processo del tribunale canonico, a metà degli anni ‘70, in cui due vittime di abusi sessuali furono spinte a fare un «giuramento del silenzio» sulle sofferenze subite. Una di quelle due vittime lo ha denunciato per ostruzione di giustizia. Ieri l´Irish Times è riuscito a ottenere in visione una copia dei documenti del processo e ha scoperto che il cardinale respinge la denuncia, esigendo prove che i «presunti atti di abuso» ebbero luogo. Ora il quotidiano di Dublino rivela che l´avvocato della vittima ha scritto a Brady, chiedendogli di accettare la citazione in giudizio e ammonendolo che il suo ostracismo «aumenta i torti inflitti» al suo cliente. Più voci si erano già levate per chiedere le dimissioni del cardinale, che nei giorni scorsi ha reso noto di volere «riflettere sul suo ruolo». Adesso le pressioni per una destituzione del primate della Chiesa d´Irlanda saranno ancora più forti.
Fortissima è anche la reazione delle vittime dei preti pedofili irlandesi alle rivelazioni del New York Times su papa Ratzinger. «Le accuse proveniente dagli Usa dimostrano che la logica di copertura degli abusi che esiste in Irlanda è la stessa in tutto il mondo e che proviene dal Vaticano», dice Marie Collins, violentata da un prete su un letto d´ospedale nel 1960. «Trovo ipocrita che il papa chieda trasparenza sullo scandalo ai vescovi irlandesi quando applica regole diverse a se stesso». Concorda Andrew Madden, vittima di violenze sessuali quando faceva il chierichetto: «La condotta tenuta dal Papa nella diocesi di Monaco negli anni ‘80 sarebbe già abbastanza grave da indurlo a dimettersi. Alla luce di tutto questo, le scuse pronunciate dal pontefice la scorsa settimana suonano vuote e ipocrite. Il Vaticano se la prende con i media per sviare l´attenzione, per cercare di salvare la faccia». E Christine Buckley, sopravvissuta a 18 anni di sevizie in un istituto di suore a Dublino, accusa: «Il Papa andrà in Gran Bretagna a incontrare la regina, ma il minimo che dovrebbe fare è venire anche in Irlanda a incontrare le vittime. Di cosa ha paura? Questa è una situazione sconvolgente per la chiesa cattolica e per tutte le persone di fede».

Repubblica 27.3.10
Una lettera di Wojtyla e un documento dell'ex Sant'Uffizio illustrano come punire gli abusi
I panni sporchi si lavano in Chiesa così il Vaticano processa i pedofili
Il "codice di procedura penale" della Santa Sede è stato redatto nel maggio 2001
di Marco Ansaldo

CITTÀ DEL VATICANO - Delitti e processi. Le norme ecclesiastiche li prevedono espressamente in caso di accertamento di abusi sessuali. Ma quali sono secondo le leggi vaticane i crimini più gravi? E come avvengono i processi, passaggio per passaggio, all´interno dei Sacri Palazzi?
Due documenti normativi della Chiesa cattolica risalenti a nemmeno dieci anni fa, il 2001, lo spiegano. Si tratta di una sequenza di linee guida a cui le gerarchie ecclesiastiche devono attenersi, ma che non sempre appaiono di sicura interpretazione, apparendo così come controverse. Al punto che i due testi sono stati spesso citati sia da chi accusa la Chiesa di essere rimasta in silenzio di fronte ai casi di pedofilia versi i minori, sia da quanti difendono l´operato della Santa Sede. I documenti sono in latino, e l´Osservatore Romano ora li ha pubblicati integralmente, senza commenti, nella traduzione italiana.
Il primo è il "motu proprio" di Giovanni Paolo II, intitolato «Sacramentorum sanctitatis tutela». Cioè una lettera apostolica, dell´aprile 2001, nella quale si delega la questione dei delitti più gravi alla Congregazione per la Dottrina della Fede, l´ex Sant´Uffizio, in quegli anni retta da Joseph Ratzinger e dal suo vice, il cardinale Tarcisio Bertone.
Il secondo documento, dal titolo «De delictis gravioribus», del maggio successivo, è invece il testo che entra nei dettagli sui procedimenti normativi. Si tratta di una Istruzione fatta dalla Congregazione per la Dottrina della Fede che, nel dare attuazione al "motu proprio" papale, si rivolge a tutta la gerarchia cattolica. Indicando appunto, come previsto dal titolo, i delitti più gravi.
Nell´Istruzione l´elenco è per categorie. Vengono per primi i sacrilegi contro l´eucarestia. Di seguito ci sono quelli contro la penitenza. E qui è compreso il peccato di atti impuri commessi dal sacerdote durante la confessione. Poi viene il delitto contro la morale, nel quale è citato espressamente «il delitto contro il sesto comandamento (atti impuri) commesso da un chierico con un minore al di sotto dei 18 anni di età».
Ma come è previsto che si proceda dopo l´informazione ricevuta di un possibile delitto? Il documento ne parla in un punto specifico, quando chiede ai responsabili delle diocesi e degli istituti religiosi di segnalare «qualunque notizia almeno verosimile di un delitto riservato, dopo avere svolto un´indagine preliminare, alla Congregazione per la Dottrina della Fede». La pratica è a questo punto nelle mani dell´ex Sant´Uffizio che, come si legge, «a meno che per le particolari circostanze non avocasse a sé la causa», comanda alle due figure dell´"ordinario" o del "gerarca", di procedere «a ulteriori accertamenti attraverso il proprio tribunale». Siamo ora ai gradi di giudizio. «Contro la sentenza di primo grado - spiega la Lettera - sia da parte del reo o del suo patrono, sia da parte del promotore di giustizia, resta validamente e unicamente soltanto il diritto di appello al supremo Tribunale della medesima Congregazione». E in un passaggio che in futuro verrà quasi certamente modificato la lettera recita: «L´azione criminale circa i delitti riservati alla Congregazione per la Dottrina della Fede si estingue per prescrizione in dieci anni», con la precisazione che «la prescrizione decorre a norma del diritto universale e comune; ma in un delitto con un minore commesso da un chierico comincia a decorrere dal giorno in cui il minore ha compiuto il 18esimo anno di età».
La lettera contiene infine un provvedimento importante, in questi giorni più volte richiamato. E cioè l´ordine: «Le cause di questo genere sono soggette al segreto pontificio». Un passaggio che le associazioni di vittime degli abusi hanno indicato come centrale nella loro accusa alla Chiesa di opporre il silenzio. Il documento in nessun punto vieta di rivolgersi alle autorità giudiziarie ordinarie. Ma nemmeno lo suggerisce.

l’Unità 27.3.10
Reticenze e bugie
Potenza non fa più il segno della croce
L’imbarazzo del Vescovo: assolve il parroco che ha occultato il cadavere di Elisa La rabbia della gente: cancella la parola Santissima davanti alla chiesa della Trinità
di Roberto Brunelli

Qui nessuno si fa più il segno della croce, passando davanti alla Ss Trinità. C’è un tappeto di fiori sul sagrato della chiesa “bene” di Potenza: tutti per Elisa, scomparsa un giorno di settembre di diciassette anni fa e ritrovata mummificata (la settimana scorsa, tre mesi fa, forse addirittura prima?) nel sottotetto di quella stessa chiesa. Qualcuno ha cancellato con un frego le due “s” che, sul cartello che ne narra la storia, starebbero da tempo immemorabile ad indicarne la santità. Sulla sua fiancata ogni giorno vengono attaccati nuovi striscioni, nuovi cartelli: «Anche se vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti», da De André. «Vi sono momenti in cui anche tacere diventa una colpa: parlare è un obbligo». E ancora: «Il silenzio uccide».
Il messaggio non poteva essere più chiaro. Sotto accusa ci sono gli uomini di chiesa: perché quella di Elisa Claps, uccisa il 12 settembre 1993 e considerata “evaporata” per tutti questi anni, è una lunga e torva storia di omissioni, intenzionali o se non altro sospette, di omertà, di curiose dimenticanze, di sacerdoti – questa è cronaca degli ultimi giorni che ritrovano un teschio ed altri resti di un corpo e
non lo comunicano né alle forze dell’ordine né, così pare, al proprio vescovo. Ma è anche la storia, all’origine, di indagini che oggi nessuno esita a giudicare un groviera, tra mandati di perquisizione mai effettuati, tabulati telefonici mai richiesti, interrogatori incomprensibilmente blandi e connivenze su cui nessuno ha voluto interrogarsi più di tanto. Un unico sospetto, sin
dal primo giorno: Danilo Restivo, allora il fidanzatino di Elisa, da anni vive in Inghilterra, dove è sospettato – ma non formalmente incriminato – dell’omicidio di un’altra donna, e da dove gli inquirenti fanno sapere di attendersi novità decisive proprio da Potenza. Da subito Danilo disse che lui era stato lì, alla Trinità, con la ragazza. Ne aveva addirittura le chiavi. Anche per questo gli sguardi sono rivolti verso il suo tetto della bella chiesa in pieno centro: tutti pensano che in molti sapevano che i resti della ragazza stavano lì, sotto un cumulo di detriti.
La città guarda attonita al proprio cuore marcio, e non può fare a meno di tormentarsi di domande. La prima è legata alla clamorosa svolta nella vicenda Claps legata alla tempistica del ritrovamento del cadavere di Elisa, praticamente murato in un angusto antro nel sottotetto della Ss Trinità: ufficialmente scoperto il 17 marzo, ma in realtà – questo ha detto agli investigatori il viceparroco della chiesa, il brasiliano Don Vagno – quei resti erano stati trovati già a gennaio. Il suo superiore, il parroco della Trinità Don Ambrogio, continua a negare di sapere alcunché. Il vescovo, Agostino Superbo, braccato ieri dai cronisti sin dentro le navate del Duomo, implora di credere che lui ha scoperto tutto solo dai giornali. «Ma lei non ha pensato di parlare subito con don Vagno?», gli chiede l’inviato di Chi l’ha visto?, che segue la vicenda sin dall’inizio. Il monsignore – che per inciso è anche vicepresidente della Cei – è imbarazzato, ripete formule di rito: «Bisogna dare tanto coraggio alla città...noi facciamo il nostro dovere, collaboriamo con gli inquirenti. Ho la coscienza limpida, davanti a Dio e agli uomini». Altre domande.
Dicono di averla vista già ad inizio marzo sulla terrazza della Trinità, mentre c’era un sopralluogo... «Ma no, io stavo solo in fondo alle scale...». Don Vagno sostiene di aver cercato di parlare con lei e di non esserci riuscito. «Io non so queste cose, io in quei giorni non ero a Potenza». Cosa risponde alla città, alla famiglia? «Anch’io cerco la verità, più di loro». Pensa che su don Ambrogio e don Vagno abbia influito il segreto confessionale? «Non credo, no». Parlerà con don Vagno? «Lo ascolterò presto». Perché don Vagno non avrebbe detto a nessuno che aveva visto il cadavere già a gennaio? Monsignor Superbo parla di sviste, di debolezze. Assoluzione piena.
Tecnicamente non ci sono ancora degli indagati. Il questore Romolo Panico ripete una cosa che fa drizzare le antenne: «Il nostro intento è trovare il responsabile, o i responsabili». In attesa – ma ci vorrà del tempo – dei risultati dell’autopsia, oggi la scientifica tornerà nel sottotetto della Ss Trinità per un nuovo incidente probatorio. Ci saranno anche i magistrati di Salerno, competenti del caso. Il punto è che gli investigatori stanno lavorando sull’ipotesi che in molti siano entrati nel sottotetto, a più riprese: non solo quando gli operai di una ditta incaricata di eseguire dei lavori a causa dell’infiltrazione della pioggia hanno “ufficialmente” scoperto il cadavere. No: prim’ancora qualcuno ha tagliato i fili della corrente elettrica. Qualcuno ha mosso delle tegole che coprivano il corpo. Qualcuno l’ha spostato. Qualcuno ha portato via una massa di detriti. In sostanza: c’è stata una “regia” non solo dietro l’occultamento del cadavere, ma anche dietro il suo ritrovamento?
Solo sospetti, ipotesi: è ovvio. Ma ci sono degli interessanti precedenti. Nel ’95 un’informativa del Sisde indicava il vecchio parroco della Trinità, don Mimì Sabia, morto a 84 nel 2008 dopo una vita passata in quella chiesa, come detentore di un segreto inconfessabile riguardo proprio alla sparizione di Elisa Claps. Nel 2001 un ispettore di polizia riferì quel che gli disse un confidente da lui ritenuto attendibile, e cioè che la ragazza stava lì, nel sottotetto. Negli anni vari testimoni hanno continuato a tirare in ballo la Ss Trinità. Dopo la morte di don Mimì, sui muri della chiesa appaiono delle scritte misteriose. Il senso è sempre lo stesso: Elisa è qui. E lì, alla fine, l’hanno trovata.
Un’elegante signora, davanti al sagrato della Trinità dei misteri, dice: «Si è preferito non sapere, non vedere, non parlare. Per la nostra città è una macchia che non potrà essere lavata». Anche lei ha smesso di farsi il segno della croce, quando passa di qui.

l’Unità 27.3.10
Carceri, il piano del governo destinato a fallire
Necessarie riforme e misure alternative
di Angiolo Marroni

Mario il barbone ha passato 3 mesi in carcere per aver rubato un pezzo di pane in un supermarket. Il 76enne Romeo invece, aveva occupato abusivamente d’inverno una spiaggia con gli ombrelloni. Carlo, 65 anni, ha passato Natale in cella per aver rubato corrente dall’illuminazione pubblica. Sono questi i casi che, quotidianamente, affronta chi si occupa di carcere. Situazioni ormai sempre più frequenti con una popolazione carceraria arrivata in tutta Italia ad oltre 66mila unità e che, ad esempio, nel Lazio ha sfondato da pochi giorni la fatidica quota seimila. Un’emergenza figlia di una politica che punisce col carcere ogni condotta illecita e confermata dai numeri: se i reati gravi diminuiscono ma i detenuti crescono in maniera esponenziale, qualcosa non torna. Poi se a tutto ciò si aggiunge che, come nel Lazio, il 50% dei reclusi è in attesa di sentenza definitiva, l’impressione che se ne ricava è che il giocattolo si sia irrimediabilmente rotto. La soluzione del governo contro l’emergenza è il «Piano carceri» che, nelle intenzioni del Ministro Alfano, dovrebbe risolvere il sovraffollamento con quattro mosse: 1) Stato di emergenza per il 2010; 2) Aumento della capienza degli istituti di 21mila unità; 3) Assunzione di 2.000 agenti penitenziari; 4) Detenzione domiciliare per chi ha una pena inferiore a un anno e affidamento in prova per chi è in attesa di giudizio con reati fino a 3 anni.
Il Piano è fatalmente destinato a fallire. La costruzione di nuovi istituti potrebbe essere utile se servisse a sostituire carceri ultracentenarie e fatiscenti, come Regina Coeli, che non garantiscono condizioni minime di vivibilità e violano il dettato Costituzionale in materia di pena. Il ministro ha detto che in 20 mesi i posti sono aumentati di 1.600 unità, 80 al mese, mentre i detenuti crescono di circa 700 unità mensili. Con la stessa velocità, per realizzare i posti previsti occorreranno 20 anni: nello stesso periodo i detenuti saranno arrivati ad oltre 160.000. Le assunzioni copriranno solo i pensionamenti dimenticando che, per far funzionare le carceri, occorrono migliaia di nuovi agenti, educatori, assistenti sociali e psicologi. Le pene alternative non influiranno sulla popolazione detenuta, perché già oggi i condannati non recidivi con pene fino a 3 anni possono avere dei benefici. La vera soluzione passa dall’abolizione delle leggi che producono carcere e dal rilancio delle misure alternative, oggi in crisi per carenza di mezzi e normative adeguate. Accanto a ciò, occorre la radicale riforma del codice penale, con il ricorso al carcere per i reati più gravi e un sistema di pene alternative per le categorie disagiate (tossicodipendenti, malati psichici, stranieri senza permesso di soggiorno); un meccanismo che ridurrebbe i detenuti senza danno per la sicurezza dei cittadini.

il Fatto 27.3.10
L’utimo volo di “Bibi” falco zoppo israeliano
Netanyahu sempre meno sopportato dagli Usa e dai suoi. Guerriglia, morti e tank a Gaza
di Giancesare Flesca

Ieri Benjamin Netanyahu ha avuto un pessimo risveglio. Il Jerusalem Post lo ha informato dell’ultimatum di Obama: entro oggi risposta israeliana sulle misure per favore l’inizio di colloqui di pace con i palestinesi. E uno. Seconda spina, un sondaggio pubblicato da Haaretz da cui risulta che il 51% degli israeliani non sono soddisfatti del suo governo. In una sola settimana il gradimento del premier è sceso di sette punti. La cosa grave è che questo sondaggio è stato fatto prima della visita di Netanyahu negli Usa. Dopo quel fiasco il diagramma del consenso potrebbe scendere ulteriormente. Ma “Bibi” Netanyahu, pur essendo un leader di lungo corso, non ha molte risposte da dare, né al capo della Casa Bianca, né al proprio elettorato, nonostante la tensione con i palestinesi sia sempre più forte, come dimostrano scontri e attacchi nella Striscia di Gaza constati la vita a 2 militari israeliani e 2 palestinesi e i tank israeliani che ieri sera entravano nella Striscia. Netanyahu è infatti è prigioniero di almeno due fattori. Il pri-
mo è il ministro degli Esteri Avigdor Liebermann, il capopolo di estrema destra senza il quale esattamente un anno fa non avrebbe potuto formare il governo. Il secondo è lui stesso, che vive da troppi anni come un falco equilibrista. I suoi discorsi sono di due tipi. Un tipo per il mercato interno; un altro per l’opinione pubblica mondiale, specialmente quella americana alla quale tiene moltissimo non solo per i soliti motivi, ma anche perché si sente ed è mezzo americano. Nato nel 1949 a Tel Aviv (il che fa di lui il primo presidente nato nello Stato di Israele), secondo di tre figli di un professore universitario, segue la famiglia negli Usa fra il 1956 e il 1958, e poi fra il 1963 e il 1967. Torna in patria per la guerra dei sei giorni alla quale, giovanissimo, partecipa nel Sayeret Maktal, unità speciale di Tsahal, l’esercito israeliano. Si fa onore come soldato. E si fa onore come studente quando, tornando negli Usa ancora una volta, ottiene lauree in Architettura al Mit, in economia politica dalla Sloan School of management, in Scienze politiche a Harvard. Nel 1973 eccolo in Israele per la guerra dello Yom Kippur, combatte nel Golan e poi di nuovo in America. Parla un ottimo inglese con accento bostoniano che, per la verità, non gli somiglia affatto. Dal 1988 si stabilisce definitivamente in Israele ,dove sceglie la politica. Entra nel Likud, la storica formazione “centrista” di cui oggi è presidente, sale i diversi gradini del cursus politico (dall’82 all’84 è ambasciatore a Washington) fino a diventare nel 1996 primo ministro con la nuova legge di elezione diretta del premier. Resisterà fino al 1999. Passeranno 10 anni, fino alla sua rielezione nel 2009 per capire almeno in parte cosa abbia in mente per la pace Netanyahu.
Lui non accetta la teoria “due stati e due popoli”. Ai palestinesi vorrebbe riconoscere una specie di bantustan demilitarizzato, cui vadano però ingenti aiuti economici. Egli pensa, e non è il solo, che una volta annegati nella prosperità, i palestinesi non faranno troppe difficoltà per adattarsi allo status che lui preferisce. E Gerusalemme non sarà divisa come reclama la comunità internazionale, né verranno sospesi gli insediamenti di coloni intorno alla Città Santa. Quanto all’’Iran minaccia di liquidare la faccenda con una incursione dei caccia alle centrali atomiche degli ayatollah. A questo punto il capo del Likud subisce serie rampogne da Washington, e per la prima volta nella storia d’Israele, il sostegno pieno dell’Amministrazione Usa non è scontato. E anche i principali esponenti della lobby ebraica negli Usa cominciano a dubitare della sua politica. Tornato in patria Bibi deve pensare a come evitare che gli americani favoriscano la nascita di un governo diverso dal suo; ma a dimostrare che in Israele può accadere di tutto, l’attenzione dell’opinione pubblica è da qualche giorno focalizzata sulla sua casa e sua moglie rea di aver licenziato dopo 13 mesi una cameriera che si definisce da lei “torturata”. Mentre la storia si arricchisce di particolari, Maariv chiede addirittura le dimissioni di Netanyahu, colpevole di lasciare troppo potere a una moglie che non ha, pare, tutte le rotelle a posto.

venerdì 26 marzo 2010

Repubblica 26.3.10
Sanità, famiglia e nucleare nel duello tra le ex amiche
Polverini: realizzerò 60 idee. Bonino: vendi sogni
di Alessandra Longo

La candidata del Pdl: non sono stata messa sotto tutela dal premier io sono il nuovo
La radicale promette ospedali migliori, trasparenza nei costi e il taglio degli stipendi dei consiglieri

ROMA - A tarda sera la luce è ancora accesa. Nella sua casa di Trastevere, che lei chiama «tana», Emma Bonino passa quel che resta del giorno a studiare. Sono gli ultimi momenti di una campagna elettorale tesa, frontale, con il premier che si è avocato la regia della battaglia: «O noi o loro». Il caos colpevole delle liste Pdl, le sentenze del Tar, l´ipotesi di rinvio infilata da Sgarbi, la piazza berlusconiana con il giuramento feudale dei candidati regionali sul palco e, in ultimo, l´appello-monito del cardinale Bagnasco ai cattolici perché «votino contro l´aborto». Un percorso a prova di nervi. In mezzo, anche quelle 111 ore di sciopero della fame e della sete che Emma ha fatto a fine febbraio per protestare contro «la strage di legalità ai danni della lista Bonino-Pannella». «Mi sento spremuta come un limone», ammette la candidata, in realtà più tonica che mai. Esaurita l´agenda quotidiana, già consumati i poco esaltanti confronti televisivi con la sua avversaria Renata Polverini, Emma «la secchiona» studia fino all´ultimo «perché la partita non è vinta, perché, non so se avete capito, io voglio essere eletta e governare il Lazio».
Si è messa in pista da sola, sotto l´insegna radicale, il Pd l´ha sposata a competizione iniziata, con un certo travaglio. Così le altre liste di sinistra. Ma il bilancio di fine corsa è di unità, di sintesi. «Emma, ti amo», le ha sussurrato ridendo il cattolico Franco Marini che non ha paura del diavolo. Mentre con Pierluigi Bersani il feeling di vecchia data si è rinforzato: «Abbiamo lavorato per due anni insieme al governo. Lo stimo, non è mai altezzoso, sa ascoltare».
A proposito di feeling questa corsa nel Lazio ha interrotto una simpatia, vicina all´amicizia, tra le due sfidanti. Due anni fa, Emma sedeva nel salotto di Renata Polverini, ospite di una cena prenatalizia per sole donne. Cena trasversale, bipartisan, nell´allora stile della Polverini che è scesa in campo, appoggiata da Fini, con un profilo autonomo. Non iscritta ad un partito, self-made woman, infanzia povera, come poco elegantemente ha ricordato Berlusconi a piazza San Giovanni, brillante carriera sindacale, visibilità televisiva. Alla fine di questa lunga maratona, c´è però una Polverini diversa, suggestionata, quasi eterodiretta, dal protagonismo del premier, che oggi concluderà con uno show la sua campagna elettorale, condizionata anche dalle ambizioni del sindaco Alemanno e dall´entourage che lo circonda, lambita dalla destra dei camerati e delle curve sportive. Lei smentisce infastidita: «Non mi sento espropriata» ma ha perso il sorriso (certo anche per l´esclusione della lista Pdl in Provincia di Roma), i toni sono aggressivi. Con la rivale, che adesso chiama «la signora», è gelida: «Il nuovo, il futuro, sono io. Ho in mente 60 azioni concrete per governare. Tu, Emma, rappresenti la «continuità» con la giunta Marrazzo». Bonino la liquida così: «Il tuo programma è solo un libro dei sogni, superi la decenza».
Visioni diverse su tutto: sanità, nucleare (perlomeno fino a ieri quando Polverini ha corretto la sua linea), privatizzazione dell´acqua, quoziente familiare. (Per completezza d´informazione, c´è anche un´altra candidata, Marzia Marzoli, Rete dei Cittadini, bionda signora di Tarquinia, taglio alla Annie Lennox, programma trinariciuto).
La sanità regionale è la madre delle grane. Attualmente commissariata, rappresenta il 60 per cento del deficit sanitario nazionale. Il rosso di dieci miliardi di euro, lasciato per la più parte da Storace, è stato ripianato dalla giunta Marrazzo accendendo un mutuo trentennale che costa alla comunità una rata di 310 milioni di euro all´anno. Oltre il buco, c´è un disavanzo che sfiora il miliardo e mezzo. Roba da far tremare i polsi. Bonino è drastica: «Occorre razionalizzare i costi, usare i posti letto degli ospedali solo per i malati. Occorre soprattutto trasparenza perché la legalità cura la sanità». Trasparenza: ecco la vera ossessione, la premessa politica di Emma, che vuole tutto on line: gli stipendi dei consiglieri regionali (che ha intenzione di «rivedere») gli appalti, i beneficiari dei contratti pubblici. «Trasparenza? Evidentemente si rivolge alla sua coalizione», sibila Polverini che promette: «Di sanità mi occuperò io personalmente, ci metto la faccia». Ed è già qualcosa visto che il senatore Claudio Fazzone, membro del suo comitato elettorale e ras di Fondi, comune ad alto tasso di mafiosità, aveva fatto intendere che la materia lo interessava molto.
Niente tagli di posti letto, niente chiusure di ospedali. Polverini ritiene di poter dribblare le linee guida già fissate da Palazzo Chigi e descrive un futuro radioso: «In 5 anni il Lazio diventerà la regione più accogliente e vivibile d´Italia». Sul nucleare, Renata la sindacalista ha fiutato l´impopolarità, virato all´ultimo: «Mi pare che non lo voglia nessuno: né io, né Formigoni, né Cota. «. Va da sé: Emma, il nucleare, l´ha bocciato subito, «non per posizioni ideologiche, ma perché il futuro è la green economy». Sullo sfondo, il tema della famiglia, il tentativo della destra di proporre il bianco e il nero: Emma laica, addirittura radicale, contro Renata, scuola dalle suore, unica vestale autorizzata, anche dall´Udc, della «famiglia, nucleo fondante della società». Zia amatissima dai suoi nipoti, la Bonino trova stucchevole lo schemino: «Non sta alle istituzioni dare dei valori di merito a seconda di come la gente organizza i propri affetti». Ha incontrato preti, suore, spesso fuori dai riflettori. Si sottrae al clima da crociata dei suoi avversari: «Non sono cattolica nel senso delle credenze. Il mio amico iraniano Ramin Jahanbegloo dice che il problema non sono le credenze ma l´utilizzo che uno fa delle proprie credenze». Oggi Berlusconi tira la volata alla Polverini. Emma non sottovaluta: «So che la partita si giocherà al fotofinish». E studia ancora, la luce accesa.

Repubblica 26.3.10
La candidata del centrosinistra dà la carica: "Dobbiamo contrastare fino all'ultimo l'offensiva mediatica di Berlusconi"
Bonino: "Sfida al fotofinish"
di Chiara Righetti

E il Tar respinge il ricorso di Sgarbi: si vota domenica e lunedì

«Siate formichine, fino all´ultimo voto: per vincere ne basta uno, ma se sono due è meglio». Mentre Emma Bonino chiama a raccolta gli elettori per una sfida che si annuncia al fotofinish, Renata Polverini dà un dispiacere al premier, che oggi sarà con lei all´Eur per la chiusura di campagna elettorale. Nella prima uscita pubblica con Fini, l´ex sindacalista confida: «La tessera del Pdl? Non l´ho fatta». Ed è polemica sul tour elettorale di parlamentari e assessori del Pdl su bus di proprietà di Trambus. Anche se Saltamartini precisa: «Erano regolarmente affittati».
Invita i suoi sostenitori ad essere «formichine». E corre senza fermarsi, Emma Bonino, nelle ultime ore di campagna elettorale. Si vota domenica e lunedì, è ormai certo, dopo che ieri il Tar del Lazio ha respinto i ricorsi di diverse liste, tra cui la Rete Liberal di Vittorio Sgarbi, che chiedevano il rinvio della data. Anche se il critico d´arte già annuncia un ricorso al Consiglio di Stato, mentre il legale del Mdc Gianluigi Pellegrino ribatte: «Il diritto di voto è stato tutelato».
Ieri Bonino era all´Istituto dermatologico Idi, dove ha parlato di «un piano per premiare le eccellenze della sanità». Poi a Tarquinia, dove ha risposto all´appello dei cittadini contro la trasformazione in Cie dell´ex polveriera: «Esistono altri strumenti per governare un fenomeno di portata planetaria». Il perché della sua "volata" l´ha spiegato proprio a Tarquinia al sindaco Mauro Mazzola: «Tu hai vinto per 56 voti, a me ne basta uno. Poi se sono due è meglio». Intanto la vicepresidente del Senato parla da governatrice, e conferma che la sua prima proposta di legge sarà quella per ridurre gli stipendi dei consiglieri: «Una questione di rispetto». Ma non dimentica l´ironia, e liquida in una battuta chi chiede se gli ultimi sviluppi del caso Marrazzo siano un esempio di una giustizia "a orologeria": «Queste cose lasciamole dire a Berlusconi». Che in questi giorni sente più che mai come diretto avversario, anche perché «io incontro centinaia di persone alla volta, lui con Mediaset parla a milioni». Ma assicura che «la partita non è vinta, nulla è scontato». E anche se la campagna finisce stasera invita a una mobilitazione continua: «Tutti i minuti, fino alle 15 di lunedì, dobbiamo contrastare la controffensiva di Berlusconi. Ognuno faccia la formichina fino all´ultimo voto, è agli indecisi che dobbiamo rivolgerci». Dopo Tarquinia è Montalto di Castro, dove annuncia: «Se ho capito bene, il nucleare non si farà. Qualcuno avverta Scajola». E avverte: «In 5 anni abbiamo tappato il debito della banda del buco. È imprudente riconsegnare tutto a Storace. Evitiamo la solita tragedia della sinistra: riceviamo conti fuori controllo, e non facciamo in tempo a metterli in ordine che regaliamo tutto a qualcun altro».
In serata è tornata a Roma per unirsi al presidio permanente del centrosinistra sotto la sede Rai di viale Mazzini, per «denunciare le continue violazioni delle leggi e di tutti gli spazi tv del presidente del Consiglio». Ma l´ultimo giorno di campagna vuole passarlo coi cittadini. Lo farà con un lungo filo diretto su Radio Radicale, da dove, a partire dalle 16, risponderà alle domande al telefono, in video e via chat, sulla web tv http: //tv. boninopannella. it. L´evento sarà trasmesso sul digitale terrestre da TeleAmbiente, su Sky (can. 890) da Red Tv, e con collegamenti da diverse emittenti. Appuntamento alle 11 a Sant´Andrea delle Fratte, invece, per il Pd romano, con Marco Miccoli e il capogruppo Umberto Marroni; ma tutta la giornata sarà una girandola d´iniziative, da quella di Claudio Mancini al Futurarte Cafè alle "Sorelle Marinetti" al Caffè letterario per Cristiana Alicata. La Bonino in serata sarà ad Ostia col segretario Pd Mazzoli.

l’Unità 26.3.10
Olanda, Irlanda, Usa La scia dei preti pedofili
Il fenomeno è antico ma negli ultimi decenni si assiste a un’escalation impressionante, tra omertà e complicità Anche in Italia 235 vittime calcolate in un decennio
di Rachele Gonnelli

La pedofilia tra i preti è una tara talmente antica che già nel 1517 papa Leone X ne parlava espressamente nel suo Taxa Camerae, compendio di peccati e afflizioni con relative tasse da pagare in libbre da parte dell’«ecclesiastico che chiedesse di essere assolto da peccati contro natura o bestialità». Guardacaso proprio il il 31 ottobre di quello stesso anno Martin Lutero affisse le sue 95 tesi contro le indulgenze papali al portone della Chiesa di Wittenberg. Ma ora che dall’America protestante arriva il grido di accusa alla Chiesa Cattolica Romana, vale la pena ripercorrere cosa sia successo negli ultimi cinquant’anni.
Fu nel 1962, all’inizio del Concilio Vaticano II, che il cardinal Ottaviani scrisse il documento denominato Crimen Sollecitationis che prescrive ai vescovi il modo di comportarsi di un altra tornata di scandali. Questa volta in Germania, che già coinvolse Joseph Ratzinger nella sua veste di allora di Prefetto della Congregazione della Fede.
La Chiesa d’Irlanda è stata investita in pieno dal «rapporto Ryan», dal nome del giudice dell’alta corte di Dublino che ha messo la sua firma sulle 2600 pagine di inchiesta sulla situazione, definita «endemica», della pedofilia tra i prelati dell’isola. Ci sono poi da contare i casi, spesso insabbiati per anni, di stupri e violenze su bambini in America Latina o peggio in Paesi africani. Secondo quanto ha ammesso il cardinal Jummes in una intervista all’Osservatore Romano di un paio di anni fa «i casi di pedofilia a volte non arrivano nemmeno al 4% dei sacerdoti». I preti cattolici in tutto il mondo sono circa 400mila. La più alta concentrazione preti-abitanti è in Italia. La vaticanista Nicole Winfield dell’agenzia Aps ha ricostruito 73 casi di abusi sessuali su minori con 235 vittime solo negli ultimi dieci anni in Italia. Non tutti denunciati alle autorità pubbliche. fronte alla denuncia di un sacerdote per pedofilia. Una sorta di vademecum molto meticoloso, composto da 74 articoli, utilizzato finora, in cui sostanzialmente vittima e violentatore vengono messi sullo stesso piano davanti ad un comune peccato di fornicazione. Eppure lo scopo del manuale era proprio quello di porre un argine al fenomeno evidentemente dilagante.
Il carcere dei preti. Soltanto tre anni più tardi viene infatti trasformata la congregazione Servi di Paraclito come istituto dedicato ai sacerdoti accusati di pedofilia davanti a tribunali penali e alla salvazione delle loro anime. Già negli anni Cinquanta proprio la Curia Romana aveva infatti cominciato a ricevere un numero crescente di lettere di denuncia per preti coinvolti in episodi di questo tipo.
In Olanda sono venuti alla luce oltre 200 abusi di preti su minori tra il 1950 e il 1970. Lo scandalo iniziale riguardava il collegio dei Padri salesiani a Heeremberg e scoppiò nel 2000. Anche l’anno successivo ci fu un altra tornata di scandali. Questa volta in Germania, che già coinvolse Joseph Ratzinger nella sua veste di allora di Prefetto della Congregazione della Fede.
La Chiesa d’Irlanda è stata investita in pieno dal «rapporto Ryan», dal nome del giudice dell’alta corte di Dublino che ha messo la sua firma sulle 2600 pagine di inchiesta sulla situazione, definita «endemica», della pedofilia tra i prelati dell’isola. Ci sono poi da contare i casi, spesso insabbiati per anni, di stupri e violenze su bambini in America Latina o peggio in Paesi africani. Secondo quanto ha ammesso il cardinal Jummes in una intervista all’Osservatore Romano di un paio di anni fa «i casi di pedofilia a volte non arrivano nemmeno al 4% dei sacerdoti». I preti cattolici in tutto il mondo sono circa 400mila. La più alta concentrazione preti-abitanti è in Italia. La vaticanista Nicole Winfield dell’agenzia Aps ha ricostruito 73 casi di abusi sessuali su minori con 235 vittime solo negli ultimi dieci anni in Italia. Non tutti denunciati alle autorità pubbliche.

l’Unità 26.3.10
Le ipocrisie cattoliche sull’aborto
Le difficili coerenze e le indicazioni della Chiesa. Scelte morali e opzioni politiche non coincidono
di Luigi Manconi

Umberto Bossi: «No alla famiglia trasversale» (sabato 20 marzo 2010). Siamo sicuri che il leader leghista non volesse dire piuttosto «sesso trasversale»? Ovvero quella roba là che si fa in due, o anche più, a letto (ma pure, che so, in ascensore?) e che prevede che le gambe, le mani, e tutti gli altri arti e organi e sporgenze e rilievi vari, vadano da una parte o dall’altra, e si intreccino e si confondano e si ingarbuglino. Così da realizzare combinazioni e amplessi, congiunzioni e incroci i più acrobatici: e, appunto, «trasversali». Ah, ecco, forse è questa la famiglia (e il sesso) trasversale di cui ha parlato Bossi davanti a «oltre un milione» (o 150.000: comunque troppi) accorsi in piazza San Giovanni. Solo che, dopo un tale sforzo di ermeneutica, apprendiamo dalle parole dello stesso Bossi che quella arrapante «famiglia trasversale» è diventata, nel frattempo, una più rassicurante e rispettabile «famiglia orizzontale» (Corriere della Sera 24 marzo 2010).
Che imbarazzo a sentire le parole del cardinale Bagnasco sul voto per le regionali. Lo dico con disagio perché mai (prego, controllare) ho criticato la «ingerenza» della chiesa negli affari interni dello Stato italiano. E mai (prego, controllare) ho negato la rilevanza pubblica del fatto religioso. Ma qui siamo oltre. Il presidente della Cei, dopo una sofisticata analisi (per certi versi condivisibile) sui rischi di una «invisibilità sociale» dell’aborto, la butta in politica: «sarà bene che la cittadinanza inquadri con molta attenzione ogni singola verifica elettorale, sia nazionale sia locale e quindi regionale». E se a qualcuno rimaneva un dubbio, ecco l’interpretazione autentica. Il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, scrive: «Sono in lizza candidati protagonisti di un’ostentata militanza abortista: Emma Bonino». Il giorno dopo, un comunicato dei vescovi liguri sembra costituire una sorta di «rettifica»: tra i valori non negoziabili oltre che “l’indisponibilità della vita dal concepimento fino alla morte naturale” vi sono – tra gli altri – «il diritto al lavoro» e «l’accoglienza verso gli immigrati».
Più che un maggior equilibrio, ne consegue una grottesca confusione. Il cattolico molto, ma molto solidale si potrebbe orientare a votare per il centrosinistra, mentre il cattolico molto, ma molto antiabortista sarebbe portato a scegliere il centrodestra: tutti e due straconvinti di fare ciò che dice la Cei (oppure, ma in fondo è lo stesso, straconvinti di fare ciò che meglio credono). Se ne dev’essere accorto monsignor Rino Fisichella, il prelato più chic che ci sia, che ha subito ristabilito la corretta gerarchia dei valori non negoziabili. E ha spiegato che «non possono essere messi alla stessa stregua il principio fondativo della difesa e della promozione della vita umana innocente con quello della solidarietà con i più poveri, semplicemente perché questo è una derivazione del primo» (Giornale di ieri). Monsignor Fisichella è competente di teologia e di dialettica tanto da sapere che il suo ragionamento è davvero gracile. Questo il cuore della questione: la politica dei respingimenti, che determina la morte in mare di tanti migranti, costituisce una lesione di quel «principio derivato» che sarebbe la «solidarietà con i più poveri» oppure è la negazione assoluta del «principio fondativo della difesa della vita umana?». E dunque – se il rapporto tra valori non negoziabili e voto fosse nei termini indicati da Bagnasco e Fisichella il cattolico che vota Lega attenterebbe alla «difesa della vita umana» quanto il cattolico che vota Emma Bonino. In realtà la relazione tra opzioni morali e scelte politico-elettorali è assai più complessa. Se così non fosse, dalla dichiarazione della Cei dovrebbe derivare una conseguenza ineludibile. Ovvero, quanti si dichiarano anti abortisti dovrebbero, da subito, presentare alle Camere disegni di legge e promuovere referendum popolari per abrogare la legge 194. Non mi sembra che qualcuno abbia intenzione di farlo. Che aspettano? Se non lo faranno, vorrà dire – secondo la logica della Cei – che sono favorevoli all’aborto quanto Emma Bonino. O meglio assai più della Bonino, dal momento che quest’ultima, unitamente a gran parte della sinistra, si batté contro l’aborto nell’unico modo intelligente ed efficace possibile. Ovvero attraverso la legalizzazione (e la conseguente drastica riduzione degli aborti stessi). Tutto il resto è ipocrisia: e non la bella e santa “dissimulazione onesta”, non la sensibile e vereconda ipocrisia che omaggia la virtù: qui c’è solo la più torva e piccina meschinità dei baciapile, come in un film in bianco e nero di Robert Bresson.

il Fatto 26.3.10
Pedofilia, bufera sul Papa
L’accusa: Ratzinger “coprì” un sacerdote americano responsabile di violenze su 200 bambini. Il Vaticano apra gli archivi
di Marco Politi

E adesso il Vaticano apra gli archivi. C’è una sola risposta che Papa Ratzinger può dare ora che il bubbone dell’insabbiamento degli abusi raggiunge il centro del governo della Chiesa: fare piena trasparenza sulle migliaia di casi approdati al Sant’Uffizio.
Perché di insabbiamenti ce ne sono stati. Basta il caso Maciel, fondatore dei Legionari di Cristo, colpevole di abusi e invano denunciato negli anni Novanta mentre il suo dossier si smarriva in Vaticano. Quando si afferma che Benedetto XVI ha segnato una svolta, condannando Maciel a ritirarsi da ogni ruolo pubblico, si sottolinea evidentemente che prima di lui i Vertici ecclesiastici avevano coperto il caso. Il dossier Murphy è ancora più agghiacciante: duecento bambini abusati in istituti per sordomuti. Un vescovo chiede consiglio alla Congregazione per la Dottrina della fede, guidata dal cardinale Ratzinger, si sta per iniziare un processo canonico, alla fine il prete malato viene graziato, lasciandogli la tonaca sacerdotale. Alle vittime la Chiesa non ha reso giustizia.
Benedetto XVI si trova a un bivio. La sua Lettera ai vescovi irlandesi ha tracciato una linea di condotta rigorosa: ricerca della verità, piena trasparenza, ascolto e cura delle vittime, punizione dei colpevoli e loro deferimento ai Tribunali dello Stato. Con tre sottolineature. Benedetto XVI ha biasimato che le pene previste non siano state applicate. Ha denunciato i silenzi dovuti alla “preoccupazione fuori luogo per il buon nome della Chiesa”. Ha riconosciuto la responsabilità della Chiesa, esprimendo “in suo nome” vergogna e rimorso.
Ora Papa Ratzinger può scegliere di ignorare il passato, seguendo i consigli di quanti intonano il coro della “persecuzione della Chiesa”. Oppure può decidere di andare sino in fondo nella politica di trasparenza. E allora ci sono tremila casi di abusi approdati al Sant’Uffizio nell’ultimo decennio: si dica quanti sono i religiosi innocenti, quanti i colpevoli, se sono stati denunciati, se sono stati trasferiti e hanno commesso altri crimini. Ma si dica tutta la verità. Perché i silenzi non pagano e la voce delle vittime non grida solo a Dio, ma anche all’opinione pubblica che ascolta.

il Fatto 26.3.10
Murphy, il prete predatore e l’impunità del Vaticano
Il responsabile di 200 abusi su minori rimase sacerdote negli Usa grazie all’intervento di Ratzinger e di Bertone
di Marco Politi

Ratzinger sapeva di un prete americano, colpevole di centinaia di abusi. É accaduto negli anni Novanta, ma l’episodio fa riesplodere le polemiche sui silenzi della Chiesa. Arrivano dall’America – pubblicate dal New York Times – accuse dirette al cardinale Ratzinger, quando era prefetto dell’ex Sant’Uffizio, cioè la Congregazione per la Dottrina della fede. Su documentazione degli avvocati di alcune vittime viene rivelato che un certo padre L. Murphy, impiegato in un istituto per sordi tra il 1950 e il 1974, si è reso responsabile di duecento abusi su minori. Un caso ignobile. Nel 1996 il vescovo della diocesi monsignor Weakland (più tardi ritiratosi per avere usato fondi diocesani in modo da tacitare un suo ex partner gay) si rivolge al cardinale Ratzinger per chiedere come procedere. Due sue lettere rimangono senza risposta. Otto mesi dopo mons. Bertone (allora segretario della Congregazione) dà l’indicazione di avviare un processo canonico. Ma il prete colpevole scrive direttamente a Ratzinger e ottiene ascolto. Murphy parla del suo pentimento, invoca gravi condizioni di salute e chiede al cardinale: “Voglio semplicemente vivere quello che mi resta nella dignità del mio sacerdozio”. E allora dal Vaticano parte un altro “consiglio” al vescovo di Milwaukee. Risolvere “pastoralmente” il caso. Di fatto non viene adottata nei confronti del prete alcuna sanzione canonica. Morirà nel 1998, indossando ancora la tonaca. Durante la sua carriera di predatore non è mai stato punito, ma invece trasferito in varie scuole ed istituti.
La notizia esplode con il fragore di una bomba e fa il giro del mondo. Replica il portavoce vaticano padre Lombardi che nulla impediva al vescovo locale di adottare le punizioni necessarie. Fu un “caso tragico”, ammette, un abuso compiuto ai danni di persone “particolarmente vulnerabili” ma sulla decisione di non proseguire il processo – spiega – ha influito il fatto della salute molto precaria del prete e la constatazione che gli episodi risalivano a oltre vent’anni prima. Di fronte all’ondata di indignazione che monta – il New York Times scrive che il “Vaticano non ha imparato la lezione”, dagli scandali, che hanno provocato l’espulsione di settecento preti colpevoli – interviene l’Osservatore Romano. Il quotidiano della Santa Sede replica indignato: “Nessun insabbiamento”. Scrive l’Osservatore che il vescovo di Milwaukee aveva già avviato per suo conto una “procedura canonica”. Spiega l’Osservatore che le lettere del vescovo Weakland, arrivate vent’anni dopo i fatti, si riferivano soltanto ai casi di “adescamento in confessionale” e che Bertone aveva risposto di “procedere secondo quanto stabilisce (il documento vaticano) Crimen Sollicitationis”. La parte debole della difesa vaticana si rivela, tuttavia, a proposito della richiesta rivolta da Murphy direttamente a Ratzinger di “interrompere il procedimento canonico”. Invece di ribadire la necessità di svolgere senza indugio una processo canonico a fronte dell’enormità dei delitti commessi, la Congregazione per la Dottrina della fede (a firma Bertone) “invita il vescovo di Milwaukee – così l’Osservatore – a esperire tutte le misure pastorali previste dal canone 1341 per ottenere la riparazione dello scandalo e il ristabilimento della giustizia”. É un invito generico, perché nei fatti Murphy rimarrà prete e nei pochi mesi che gli rimangono da vivere non c’è nessuna sanzione ecclesiastica che abbia il valore di un segnale dinanzi all’opinione pubblica. I volti delle vittime, nella loro concretezza, nel loro dolore duecento volte vissuto, rimangono assenti in questo burocratico carteggio.
In difesa della Santa Sede interviene polemicamente anche Avvenire, documentando che la giustizia americana aveva archiviato il caso, mentre il vescovo locale mons. Weakland, di fronte al ripetersi di denunce per abusi, aveva sottoposto il prete-predatore a “quattro lunghi interrogatori” con l’assistenza di esperti. Ne era emerso il quadro clinico del “pedofilo tipico” da raccomandare a trattamento psicoterapeutico. Resta il fatto, come risulta dalla stessa documentazione dell’Avvenire, che dopo la denuncia della prima vittima Murphy fu semplicemente allontanato dalla diocesi dove era avvenuto il fatto e mandato con un certificato “per motivi di salute” in un altro posto (a vivere presso la madre), continuando tranquillamente a esercitare il suo sacerdotale in una parrocchia. Un classico.
In Vaticano pochi sembrano rendersi conto che le spiegazioni parziali – che non affrontano il problema chiave della non-punizione del prete colpevole e del suo permanere in attività – finiranno per essere un gigantesco boomerang. Ieri si è svolta ai limiti di piazza San Pietro una manifestazione lampo dell’associazione Snap, che riunisce vittime di abusi sessuali commessi dal clero in America. Due vittime e due militanti dello Snap hanno distribuito volantini anti-Ratzinger. É solo l’avvisaglia di iniziative che potrebbero ripetersi più massicce in vari paesi. Se le autorità ecclesiastiche si illudono che basti gridare al complotto contro il Papa senza fare piena luce su tutte le denunce pervenute alla Congregazione per la Dottrina delle fede – e sono 3000 solo nell’ultimo decennio – commettono uno sbaglio.
Già in Italia le vittime cominciano a organizzarsi. L’Espresso anticipa una mappa di quaranta casi: dal Trentino-Alto Adige, al Piemonte, alla Lombardia e poi Veneto, Campania, Puglia, Molise, Lazio, Sardegna, Sicilia, Umbria e Liguria.

il Fatto 26.3.10
In Italia il processo contro don Conti può aprire il vaso di Pandora
di Andrea Gagliarducci

“Si stanno smuovendo le coscienze. C’è più coraggio da parte delle vittime, o presunte tali, a denunciare gli abusi subiti. Sta crollando un muro difficile da tirare giù soprattutto in Italia. E non è difficile comprendere perché: in Italia ci sono il Vaticano e il Santo Padre, e questo contribuisce. E lo dico raccontando un dato di fatto, non come anticlericale”. Roberto Mirabile è presidente della Caramella Buona, una Onlus fondata dallo stesso Mirabile nel 1997, e che si occupa di lotta alla pedofilia. Prima associazione in Italia ad essere riconosciuta parte civile in una causa di pedofilia (nel 2005, in un processo di Reggio Emilia contro un pedofilo che aveva abusato di 17 bambini, causa vinta), la Caramella Buona è parte civile anche nel processo contro don Ruggero Conti. Un processo che è stato possibile grazie alla denuncia di due ragazzi tra i 20 e i 22 anni, che hanno accusato il parroco di Selva Candida (Roma) di aver abusato di loro un quinquennio fa. È proprio in occasione di questo processo che Roberto Mirabili ha visto crollare il muro di omertà che c’è sui casi di pedofilia all’interno della stessa Chiesa. “Dopo l’arresto di don Ruggero Conti, il 30 giugno del 2008 – racconta Mirabile – sono arrivate alla Caramella Buona telefonate da Legnano (dove Conti quando non era ancora prete insegnava in passato educazione sessuale, ndr) che raccontavano di essere stati vittime di abusi da parte del futuro sacerdote oltre 25 anni fa. E siamo sicuri che queste sono denunce reali, perché dopo 10 anni il reato di pedofilia viene prescritto e queste persone che vengono a testimoniare al processo non possono ottenere nessun risarcimento, perciò non hanno alcun interesse a raccontare bugie”. Si denuncia tardi, spiega Mirabile, perché “c’è un grande senso di vergogna, trovare la persona giusta con cui parlarne è difficilissimo”. Comincia a intravedersi, insomma, una certa presa di coscienza riguardo i casi di abusi anche in Italia. Forse non forte come quella statunitense, che si è potuta toccare con mano anche ieri mattina, quando un gruppo di americani è stato fermato in piazza San Pietro mentre distribuiva volantini con una foto di Benedetto XVI, per denunciare le coperture della Chiesa sugli abusi. In Italia, invece, è attesa per settembre la prima riunione di una nuova associazione per le vittime di abusi sessuali da parte del clero. Molto significativamente, la riunione si terrà a Verona: lì dozzine di bambini sordi ospiti di un istituto religioso – è una storia emersa lo scorso anno – sono stati abusati per trent’anni dai sacerdoti. La volontà dell’associazione è quella di incoraggiare le vittime a venire allo scoperto.
Lo stesso lavoro che fa Caramella Buona, che agisce con una certa prudenza. Tanto che presidente onorario è stato nominato Nino Marazzita, avvocato penalista. “La mia nomina – racconta Marazzita – viene dal fatto che siamo garantisti, e per valutare caso per caso ci vuole una certa capacità tecnica”. E racconta Mirabile che, prima di arrivare alla denuncia penale contro don Ruggero Conti, è stato moltissime volte a parlare con alti esponenti della Cei, del Vicariato di Roma e della Santa Sede. “L’ultimo colloquio – dice – l’ho avuto monsignor Scicluna, il promotore di Giustizia dell’ex Sant’Uffizio. Sono stati tre quarti d’ora di colloquio, ma ci siamo sentiti come di fronte a un muro di gomma. Abbiamo detto: basta”. Ma l’eventuale condanna di don Ruggero scoperchierà un grande scandalo. Perché, dice Mirabile, “si chiederà conto dell’omertà della Chiesa sul caso Conti”. E ci si domanderà quanti altri casi sono rimasti nascosti.

Repubblica 26.3.10
Chi imponeva l’omertà
di Giancarlo Zizola

Un´ipotesi ma le cui conseguenze difficilmente lascerebbero indenne la responsabilità di Woityla

Se mai il comportamento di un vescovo è stato irreprensibile di fronte ai doveri della coscienza verso la verità e verso la Chiesa sugli abusi sessuali del clero, questo è il caso dell´arcivescovo di Milwaukee monsignor Weakland, una delle figure più luminose del cattolicesimo degli Stati Uniti d´America.
Egli non avrebbe meritato uno solo dei rimproveri mossi di recente da Benedetto XVI ai vescovi irlandesi. Fin dagli anni Novanta aveva tentato di tutto per fare breccia nelle maglie procedurali del Vaticano in modo da fare entrare nel sistema un approccio più chiaro, realistico e insieme evangelico del trattamento della piaga della pedofilia del clero. Ciò che ha portato alla luce il New York Times della storia di questo pastore, morto con parole di perdono per coloro che lo avevano ingiustamente coinvolto in accuse infamanti, testimonia con chiarezza ciò da cui alcuni circoli cattolici tentano di difendersi. Cioè, che la questione soggiacente alle perversioni dei singoli riguarda alcuni dei funzionamenti strutturali della Chiesa. Alcune buone prove e buone fedi al servizio della missione del vangelo non la rendono immune da deficit di sistema sui quali ha finito per infrangersi la rivolta di vescovi consci della loro vocazione. È troppo evidente che l´omissione di una seria riforma della Chiesa ha fatto marcire i problemi al coperto di palliativi illusori.
«È una conversione strutturale che si impone» ha dichiarato al giornale cattolico francese La Croix la psicologa Isabelle De Gaulmyn, augurandosi che la Chiesa possa servirsi degli scandali per interrogarsi su alcune sue distorsioni istituzionali. Nella stessa logica della verità che Benedetto XVI pone a fondamento della morale, la Chiesa dovrebbe esprimere la propria gratitudine ai media che l´hanno aiutata a far cadere le maschere, invece di attaccarli come aggressori dell´autorità. Ma se è plausibile far risalire a un fallimento di sistema il circuito letale instauratosi fra il crimine di una minoranza del clero e la generale omertà del sistema ecclesiastico, ben prima del fantasma del liberalismo sessuale sessantottino, diverrebbe ben provata la ragione per cui neanche gli sforzi dei più lucidi fra i pastori siano riusciti a rompere questo blocco in cui la considerazione dell´autodifesa istituzionale, la cultura del segreto e della negazione, un concetto idolatrico dell´autorità hanno finito per sottomettere i valori della giustizia, della trasparenza e dei diritti umani degli innocenti.
Quanti guardano alla Chiesa con ammirazione pari alla sincerità, sanno che essa conserva, malgrado le deviazioni di alcuni uomini e dei suoi apparati, le risorse sufficienti per scrutare con lucidità le cause istituzionali della crisi. La «Lettera ai cattolici d´Irlanda» potrebbe essere un primo passo. È possibile presumere che lo stesso papa Ratzinger, al tempo in cui era capo della Congregazione per la Dottrina, avesse fatto l´esperienza del dramma tra la forza della verità e le pressioni istituzionali per il suo insabbiamento. Di fronte alla vastità del fenomeno egli ha finito per prorompere nel grido del Venerdì Santo del 2005 sulla «sporcizia nella Chiesa», che era già la promessa di un programma di moralizzazione presto legato alla sua candidatura alla successione era una denuncia forse a lungo repressa, il segnale di quanto fosse faticoso anche per lui liberare delle linee guida efficaci senza intaccare a fondo la logica del sistema. Non si può dire che non abbia mantenuto le promesse: la bonifica è in corso. D´altra parte, solo annettendo il giusto valore al peso lordo del sistema sarebbe possibile separare ciò che è di Benedetto XVI da ciò che era del cardinale Ratzinger alla testa dell´ex Sant´Uffizio.
L´operazione verità potrebbe essere fruttuosa solo a patto di aprire ogni sipario sui gangli del sistema che l´hanno lungamente inibita. Delle due l´una: o il cardinale Ratzinger aveva gestito il dossier sporco utilizzando da solo o coi suoi propri stretti collaboratori la delega papale, all´insaputa del suo superiore Giovanni Paolo II. Oppure, come è consuetudine specie per i casi più gravi, il prefetto della Congregazione per la Dottrina è andato a riferirne al Papa in una delle sue udienze settimanali di tabella. E ha ricevuto da lui carta bianca per agire nel senso in cui ha agito. Un´ipotesi forse più verosimile ma le cui conseguenze difficilmente lascerebbero indenne la responsabilità di Wojtyla, alla vigilia della sua beatificazione. Anche se proprio quel Papa fu inesorabile coi vescovi americani e il loro clero pedofilo e le coperture del sistema.

Repubblica 26.3.10
Parla il fondatore di un´associazione americana di persone abusate protagonista di un raduno davanti al colonnato della piazza
Il grido delle vittime nel cuore di San Pietro "Quelle notti di violenze nella camerata"
di Marco Ansaldo

Quattro dirigenti della "Snap" hanno distribuito ai passanti copie dei dossier sul caso Murphy. Poi sono stati fermati dalla polizia di Borgo Pio
"Il sacerdote usava poi il confessionale per farsi raccontare i peccati dai singoli. Incrociava le informazioni per gestirle"

CITTÀ DEL VATICANO - Mai era accaduto che la protesta per gli abusi dei preti pedofili sui minori arrivasse fisicamente nel cuore del Vaticano. Ieri però è successo, quando prima di mezzogiorno, un piccolo gruppo di dirigenti della Snap (Survivors network of those abused by priests), l´associazione americana delle vittime agli abusi da parte dei preti, ha organizzato un raduno davanti al Colonnato di San Pietro.
Hanno distribuito copie dei dossier sul caso Murphy pubblicato ieri sul New York Times, e mostrato alcuni cartelli con le foto di Papa Ratzinger e del Segretario di Stato vaticano, Tarcisio Bertone. «Benedetto XVI - si leggeva su uno dei poster - quando era Capo della congregazione per la dottrina della fede ha ignorato le richieste provenienti di tre vescovi di rimuovere dal sacerdozio il molestatore seriale Lawrence Murphy». Venti minuti di pacifica dimostrazione, interrotti dal brusco arrivo della polizia che ha trattenuto i quattro, due uomini e due donne, per aver organizzato una conferenza stampa senza autorizzazione, sequestrato tutto il materiale e portato il gruppetto al vicino commissariato di Borgo Pio. Dopo il loro rilascio, Repubblica ha incontrato il fondatore della Snap, Peter Isely, nel suo albergo intorno a piazza Risorgimento. Isley, piscoterapeuta degli ex bambini sordi abusati, indossa un gessato scuro e porta all´occhiello il distintivo tondo dell´associazione, con cinque piccoli che si danno la mano.
Mr. Isely, che cosa avete voluto dimostrare con la vostra azione a piazza San Pietro?
«Volevamo ricordare a tutti il ruolo che Benedetto XVI ebbe in qualità di Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede nella copertura degli abusi compiuti da Murphy».
Quale ruolo?
«Ratzinger fu il primo a ricevere le lettere di denuncia. Ma non rispose mai».
Sì, ma non fu Bertone, cioè il suo vice, a replicare con due lettere?
«E´ vero. Però Ratzinger non poteva non sapere di questo fatto scottante. Era lui il numero uno della Congregazione, e non è pensabile che l´archiviazione del caso richiesta da Bertone non avesse ricevuto la sua approvazione diretta».
Voi come avete saputo del caso?
«Io ho fondato l´Associazione vent´anni fa, dopo essere venuto a conoscenza di queste situazioni di violenza».
Lei subì abusi?
«Io sono originario di Milwaukee, e a 13 anni fui vittima di un prete pedofilo, non padre Murphy, quando studiavo in seminario. Lo stesso la mia collega Barbara Blaine, stuprata nel 1969 da un sacerdote di Toledo, Ohio».
Poi che cosa accadde?
«Tre arcivescovi del Wisconsin vennero a sapere che Murphy abusava sessualmente dei piccoli ma, come risulta dai documenti, non si rivolsero mai alla magistratura o alle autorità. Nel 1974 Murphy fu infine trasferito in una diocesi a nord, dove trascorse gli ultimi 24 anni della sua vita continuando a lavorare con i bambini, in parrocchie, scuole e addirittura in un centro di detenzione per minori. Morì nel 1998, ancora sacerdote...».
Oggi è saltato il coperchio e molti cominciano a parlare. La Chiesa però dice che non ci fu nessun insabbiamento.
«La Chiesa sta cercando di riscrivere la storia dicendo "noi non sapevamo". Ma i documenti pubblicati dimostrano il contrario: Ratzinger sapeva ed è rimasto in silenzio. La Chiesa non deve fare la sua inchiesta, ma deve mettere le denunce nelle mani della polizia».
Che cosa faceva esattamente Murphy?
«Le dico solo questo: a parte entrare la notte nelle camere dei ragazzi, usava poi il confessionale per farsi raccontare i peccati dai singoli. Cioè adoperava uno dei sacramenti per incrociare le informazioni che otteneva da tutti e quindi gestirle».
Le vittime che cosa chiedono oggi al Vaticano?
«Che il Papa finalmente parli di questo caso. Che obblighi i vescovi a denunciare i pedofili alla polizia rimuovendoli dal sacerdozio. E che dia disposizione di rendere pubbliche le carte su questi crimini tenute segrete nell´ex Sant´Uffizio».
Avete contatti in Italia?
«Vorremmo aprire una sezione italiana, così come fatto abbiamo fatto in Germania. Ma qui le vittime hanno ancora paura di parlare».

Repubblica 26.3.10
E ora scoppia anche il caso italiano
Dopo anni di silenzi, cominciano a emergere le denunce delle violenze
di Tommaso Cerno

Solo lo scorso anno, Telefono Azzurro ha raccolto cinque richieste d´aiuto da parte di ragazzini
Ernesto Caffo: "Per molto tempo la Chiesa ha trattato le questioni al proprio interno"
Il religioso è chiuso in preghiera a St. Colman, in quella che fu la sua cattedrale
Accusato di aver ostacolato le indagini, sarebbe già stato ascoltato dalla magistratura

ROMA - Un ragazzino di 11 anni violentato da un frate in Toscana: «Mi diceva: sono le mani di Dio, non avere paura», racconta oggi Mario. Non denunciò mai quel prete, la Chiesa lo convinse a tacere. In Lombardia una suora molestava una bimba. Anche stavolta nell´omertà: «Intervenne il vescovo e i miei genitori decisero di lasciar perdere i tribunali».
È la pedofilia in agguato nell´oscurità di chiese e seminari italiani. La più subdola, quella finora rimasta nascosta. Una piaga che s´allarga proprio come in Irlanda, Germania e Stati Uniti. Sono già oltre 40 i sacerdoti condannati, da Palermo a Bolzano. E potrebbe essere solo la punta dell´iceberg.
Telefono azzurro, nel 2009, ha raccolto 105 denunce di abuso sui minori. Nelle categorie i preti non ci sono, ma scavando fra i report compaiono: 5 casi (pari al 4,7%) hanno come autore un religioso, una percentuale simile alla scuola (3,9%) e molto più alta dello sport (0,8%). Segnalazioni tutte simili. Un ragazzo di 16 anni denuncia un prete: l´ha condotto a una festa, ubriacato e tentato di baciarlo. In Veneto sette ragazzini sottoposti ad abusi sessuali da due sacerdoti. Un frate accusato di far visionare film porno in oratorio a bimbi di sei anni. Forse i processi di domani: «Segnaliamo tutto alle autorità, ma per molto tempo in Italia la Chiesa ha scelto di trattare le questioni al proprio interno, sfuggendo alla via giudiziaria per non mettere in discussione l´intero sistema», spiega il presidente di Telefono Azzurro, Ernesto Caffo.
Chi sa tace, anche per decenni. Spesso vittima di pressioni dalla Curia, come confermano le sentenze di molti processi. A Cento, nella diocesi di Ferrara, don Andrea Agostini è stato condannato a sei anni e dieci mesi per violenze su una decina di bimbe. I giudici denunciano il «silenzio dei vertici ecclesiastici». Anche con l´appoggio dei fedeli, pronti a difendere pubblicamente i sacerdoti anche dopo la condanna. Storie simili a quella di Alassio, dove attorno a don Luciano Massaferri, arrestato dopo il racconto di una ragazzina di 11 anni, s´è schierata la parrocchia, con un tam tam di solidarietà.
Se Benedetto XVI cambia rotta e invita per la prima volta a denunciare gli abusi alle procure, spesso nei fatti questo non avviene. Come nel caso di don Marco Dessì, il missionario della diocesi di Iglesias che operava in Nicaragua. Già nel 1990 fu segnalato per abusi su un gruppo di ragazzini fra gli 11 e i 14 anni, costretti a ogni tipo di prestazione sessuale. «Dopo i rapporti completi diceva loro che erano diventati dei prescelti», racconta l´avvocato Marco Scarpati che si rivolse al Vaticano: «La chiesa ufficiale ci aiutò, ma la congregazione lo protesse. Per oltre un decennio agì indisturbato, mentre molti di quei ragazzi potevano essere salvati in tempo». Lo sanno bene Alberto, David, Marlon, Ignacio e Juan Carlos, tutti orfani dell´Hogar del Niño. Sono dovuti volare in Italia per motivi di sicurezza, perché minacciati di morte. Per quei silenzi e quei ritardi, poi, la condanna a 12 anni in primo grado, ridotta a otto dalla Corte d´Appello e annullata dalla Cassazione per un vizio di forma, rischia di non arrivare più. Il processo ripartirà in ottobre, ma la prescrizione è vicina. Come in molti altri casi italiani.

Repubblica 26.3.10
Nel rifugio di monsignor Magee il vescovo rischia l´incriminazione
di Enrico Franceschini

COBH (Irlanda) - «La messa è finita, andate in pace». Ma non vanno da nessuna parte, le vecchiette col fazzoletto in testa venute a pregare alle dieci del mattino nella cattedrale di St. Colman: terminata la funzione, restano sedute sulle panche, a capo chino, come incerte sul da farsi. Né c´è pace in vista per i cattolici irlandesi, da quando due giorni or sono il Papa ha accolto le dimissioni di monsignor John Magee, ex-segretario personale di tre pontefici, vescovo della diocesi di Cloyne, di cui questa chiesa di pietra grigia è il quartier generale, coinvolto anche lui nello scandalo dei preti pedofili. «Che vergogna», biascica una delle donnine, estraendo dalla borsetta il rosario. «Vergogna per il nostro vescovo, per la nostra chiesa, per Benedetto XVI». Pausa. «E per tutti noi». Poi comincia: «Ave Maria, piena di grazia, il Signore è con te».
Lassù, da qualche parte nei meandri della cattedrale, prega anche il vescovo, anzi ex-vescovo. «Monsignore non intende rilasciare interviste, al momento», dice con fermezza il reverendo James Killen, suo portavoce. Un silenzio stampa che monsignor Magee si impegna a riempire con le preghiere: per i suoi peccati, per le sue omissioni e per l´indagine che una commissione d´inchiesta governativa ha aperto su quella che è stata per vent´anni la sua diocesi, al fine di fare piena luce sugli abusi sessuali commessi ai danni dei bambini che vi rimasero intrappolati dentro, così come su coperture e insabbiamenti delle autorità ecclesiastiche per proteggerli. È questa l´accusa alla base delle dimissioni del vescovo.
Magee sapeva dei misfatti compiuti da almeno due preti pedofili della diocesi di Cloyne, ma non li fece perseguire. La commissione ha bollato come «inadeguate» e «pericolose» le misure da lui varate a protezione dei bambini. Nella sua lettera di dimissioni, il vescovo ha «implorato perdono» per le sofferenze arrecate dalle sue azioni o inadempienze, e già nel marzo 2009 si era profferto in scuse, ottenendo dal Vaticano di essere sollevato dall´incarico, sostituito da un amministratore apostolico, pur conservando il titolo di vescovo.
Ma perché Benedetto XVI glielo ha tolto proprio adesso? «Per gravi ragioni», recita l´articolo 401, paragrafo secondo, del codice canonico citato nel provvedimento di dimissioni, senza fornire delucidazioni. «È possibile che siano emerse nuove prove contro di lui», rivela tuttavia Barry Roche, corrispondente dell´Irish Times dal sud dell´Irlanda. Tre settimane fa, racconta una fonte bene informata, monsignor Magee è stato interrogato dalla magistratura irlandese, che esaminando documenti forniti dal vescovo vi avrebbe riscontrato nuovi elementi del "cover-up". Il vescovo avrebbe occultato l´identità di un prete pedofilo per ben due volte, nel rispondere alle domande della commissione d´inchiesta e poi a quelle della procura. Può darsi che ora le autorità stiano valutando se incriminarlo per ostruzione di giustizia: il che spiegherebbe perché, dopo avere lasciato la pratica su uno scaffale per un anno, improvvisamente il Papa ha deciso di dare esecuzione alle dimissioni.
La Storia è già passata altre volte da Cobh. Da questa cittadina portuale all´estremità meridionale dell´Irlanda partirono per l´America 4 milioni di emigranti, in particolare durante la grande carestia a metà dell´Ottocento, quando l´isola si svuotò. Qui davanti, nel 1915, il transatlantico americano "Lusitania" fu affondato da un U-boot tedesco: morirono 1.198 passeggeri, l´attacco provocò l´ingresso degli Usa nella Prima Guerra mondiale. E tre anni prima Cobh era stata testimone di un altro disastro, come ultimo porto in cui fece tappa il "Titanic", nel suo viaggio fatale verso l´iceberg.
Lo scandalo dei pedofili è l´iceberg della Chiesa, nel paese più cattolico d´Europa? «Abbiamo compiuto errori, ma non intenzionalmente, e voglio assicurarvi che tali errori non si ripeteranno»: con queste parole monsignor Magee chiuse l´omelia della messa di mezzanotte, il giorno di Natale del 2008. Ma l´inchiesta sugli abusi continua a fare emergere nuovi "errori", od orrori, la cui premeditazione appare sempre più evidente. La strada per l´inferno, talvolta, è lastricata dalle peggiori intenzioni.
Sul sito della diocesi di Cloyne è comparso un codice di condotta per i sacerdoti nei rapporti con i minori. Suona come una versione per l´infanzia dei dieci comandamenti: non lavorare da soli con i bambini; non usare linguaggio inappropriato davanti ai bambini; non parlare di sesso con i bambini; non avere alcun contatto fisico con i bambini; non giocare a fare la lotta con i bambini. La messa è finita, ma il processo alla Chiesa continua.

il Fatto 26.3.10
Sorpresa: i romeni non sono un popolo di delinquenti
Un’indagine sfata i miti negativi rispetto alla popolazione straniera più numerosa che c’è in Italia
di Corrado Giustiniani

Un milione e 110mila persone che versano ogni anno un miliardo di euro di tasse e un miliardo e 700 milioni di contributi

Si fa in fretta a criminalizzare un popolo intero. Ci vuole un omicidio che colpisca profondamente l'opinione pubblica, come quello di Giovanna Reggiani, compiuto il 30 ottobre del 2007 da Romulus Mailat. E poi, sei mesi dopo, sempre a Roma, lo stupro di una studentessa del Lesotho, finito nell'apertura di prima pagina dei principali quotidiani, fra le 4 mila orribili violenze carnali denunciate ogni anno, perché era il 20 aprile del 2008 e si stava per votare, al ballottaggio, il sindaco della capitale. Per non dimenticare, il 14 febbraio di un anno fa, lo stupro della Caffarella, ai danni di una ragazza di quindici anni, con una partenza falsa che portò in carcere gli incolpevoli Loyos e Racz, ma la certezza di alcuni giornali che il dna dei violentatori fosse romeno, come se avesse una bandierina incorporata dentro.
Un libro-ricerca zeppo di dati statistici, I romeni in Italia tra rifiuto e accoglienza, presentato ieri all'Accademia di Romania dalla Caritas italiana e romena, smonta questa mole di pregiudizi. La stima media dei soggiornanti di quel paese in Italia è di 1 milione e 110 mila. Sono la nazionalità più rilevante: un immigrato su quattro è romeno, e la loro presenza si è più che quadruplicata dal 2003 ad oggi (erano infatti 240 mila al tempo della regolarizzazione della Bossi-Fini). Ma chi equipara aumento dei romeni ad aumento della criminalità non trova supporto nei numeri. Nel 2008, osserva la Caritas, costoro incidevano per il 24,5 per cento sulla popolazione straniera residente ma soltanto per il 13,8 per cento sulle denunce presentate contro tutti i cittadini stranieri. Dunque, i romeni delinquono meno della media degli immigrati.
Ancora: le denunce contro i romeni sono sì aumentate, dalle 31.465 nel 2005 alle 41.708 del 2008, ma soltanto del 32,5 per cento, mentre nello stesso periodo la popolazione romena in Italia è salita del 268 per cento. La propensione a delinquere, perciò, è nettamente calata negli ultimi anni. Ad essere denunciati sono circa il 3,5 per cento dei residenti romeni. Quota che scende attorno al 3, se si tiene conto che alcune denunce si riferiscono a una stessa persona. Il 97 per cento non ha problemi con la giustizia. Difficile il confronto con la popolazione italiana, perché gli immigrati sono più giovani e la tendenza a delinquere non è certo degli anziani. La criminalità romena, che pure preoccupa per il suo carattere violento e la ramificazione in diverse attività illecite (dallo sfruttamento della prostituzione e dell'accattonaggio alle frodi informatiche) secondo la Direzione investigativa antimafia (Dia) è meno strutturata e meno in crescita rispetto ad altre di paesi diversi (soprattutto nordafricani).
Sul lavoro i romeni non cercano di far valere ad ogni costo la loro formazione, spesso più elevata, ma si inseriscono anche nelle posizioni più umili e rischiose, tanto che nel 2008 hanno subito 21 mila 400 infortuni, 48 dei quali mortali. Nello stesso anno sono stati assunti ben 175 mila di loro, corrispondenti al 40 per cento dei nuovi contratti di cui ha beneficiato l'intera popolazione immigrata: in ciò sono stati sicuramente favoriti dall'essere cittadini dell'Unione europea, a partire dal 1 gennaio del 2007. I romeni, così, assicurano un notevole apporto di contributi previdenziali (circa 1 miliardo e 700 milioni di euro l'anno) a vantaggio delle casse dell'Inps, mentre pagano circa 1 miliardo di tasse. Non soltanto laboriosi: sono anche creatori d'imprese, al ritmo di 9 mila l'anno. A maggio del 2009 quelle con titolare romeno erano in tutto 28 mila, con un primato in edilizia. Soltanto i marocchini, fra le nazionalità immigrate, ne vantano un numero più elevato.
Il Lazio è la regione che vede il maggior numero di residenti (158 mila) e Roma la prima provincia (122 mila) davanti a Torino (86 mila) e Milano (41 mila). Sono già 50 mila i bimbi romeni nati in Italia dal 2000 ad oggi e 105 mila i ragazzi iscritti nelle nostre scuole. Nel volume della Caritas, tuttavia, si sottolinea la nota dolente dei minori non accompagnati: nel 2006 erano già 2 mila 500. I minori costituiscono comunque il 18 per cento della presenza in Italia, che per la maggior parte (53 per cento) è femminile: le donne romene, come si sa, trovano ampi spazi nell'assistenza alle famiglie, agli anziani e ai malati.
Ma cosa pensano i romeni del nostro paese e degli italiani? La ricerca è integrata da un sondaggio condotto su 50 testimoni privilegiati distinti per età (dai 19 ai 50 anni) e regione di residenza. Sei su dieci intendono stabilizzarsi in Italia, della quale apprezzano lavoro, livello di vita e sistema sanitario, mentre rimpiangono la scuola romena che ritengono migliore. Il 94 per cento dichiara di aver fatto amicizie italiane, il 74 per cento di aver imparato la lingua dopo l'arrivo nel nostro paese, mentre il 36 per cento parla a casa soltanto italiano. Il 92 per cento guarda la tv italiana e i programmi più seguiti sono Anno Zero, Repor t, Por ta a Por ta, non quelli di intrattenimento. Nota dolente: il 90 per cento degli intervistati ha dichiarato che i romeni di propria conoscenza hanno subito discriminazioni, soprattutto sul lavoro. La mattinata finisce con un toccante concerto di musicisti romeni. Una ragazza, Oana Lungu, esce dall'Accademia di Romania esibendo orgogliosa la sua tesi di laurea conseguita alla Lumsa. Il titolo è L'altra Romania in Italia. Storie di integrazione. Lei ne ha raccolte 12. “L'altra Romania siamo noi – spiega – quelli venuti in Italia per lavorare onestamente: la stragrande maggioranza”.

l’Unità 26.3.10
Obama è inflessibile stop alle colonie per dieci mesi
Il flop di Netanyahu
di Umberto De Giovannangeli

Le richieste Usa Liberare i prigionieri, via l’esercito dalle posizioni occupate dopo la II intifada
Nessun accordo E ora il premier israeliano convoca un vertice ministeriale ristretto

Umiliato e indebolito. Così i giornali israeliani raccontano la missione di Benjamin Netanyahu negli Usa. In gioco la sicurezza degli Usa nella regione, avverte il ministro della Difesa americano Robert Gates.

«Ora me ne ne vado negli appartamenti privati per cenare con Michelle e le bambine»: con questa frase Barack Obama ha gelato Benjamin Netanyahu nel bel mezzo del colloquio di martedì sera alla Casa Bianca. A raccontare una serie di umiliazioni inflitte al premier israeliano dal presidente Usa è il più diffuso giornale israeliano, Yediot Aharonot, in una dettagliata ricostruzione. Obama si sarebbe infuriato per l'annuncio arrivato poche ore prima dell'incontro della costruzione di altre 20 case a Gerusalemme est e per le risposte vaghe date da Netanyahu alla richiesta di aperture ai palestinesi per far partire i negoziati indiretti. Così alle 19, dopo un’ora e mezza di infruttuoso colloquio, il presidente americano si è alzato dalla poltrona e, anziché invitare il premier a unirsi per la cena, gli ha chiesto di continuare la discussione con i suoi consiglieri. «Io resterò qui, fammi sapere se ci sono novità», gli ha chiesto con scarsa diplomazia. Successivamente, sempre secondo la ricostruzione del giornale israeliano, Netanyahu ha chiesto e ottenuto un secondo colloquio, durato appena mezz'ora.
SCONTRO CONTINUO
A conferma della freddezza dell'incontro, c'è il fatto che non sono stati fatti comunicati o dichiarazioni alla stampa e non sono state diffuse le foto come è consuetudine per le visite di statisti stranieri. La diffidenza reciproca è attestata anche dalla decisione di Netanyahu di non utilizzare la linea telefonica messa a disposizione dalla Casa Bianca per consultarsi con i suoi consiglieri e con il governo, preferendo il rientro in ambasciata. Obama avrebbe chiesto a Netanyahu tre gesti di buona volontà da offrire ai palestinesi senza chiedere contropartite: l'estensione fino a settembre della moratoria parziale di 10 mesi sulle nuove costruzioni nelle colonie in Cisgiordania, il ritiro dell'esercito israeliano alle posizioni precedenti alla seconda Intifada e la liberazione di un numero di detenuti palestinesi compreso tra i cento e i mille.
UMILIATO
Netanyahu non è riuscito a chiudere la grave crisi nelle relazioni col presidente Usa Barak Obama ma anzi quest' ultimo lo ha posto «con le spalle al muro» avanzando una serie di richieste in tema di processo di pace con i palestinesi. È il preoccupato giudizio nei servizi e nei commenti della stampa israeliana a conclusione del viaggio del premier nella capitale americana. «Pressioni» è il titolo sul quotidiano Yedioth Ahronot che nel sottotitolo afferma che «Obama ha posto richieste che per Israele sarà difficile accettare». Il Maariv, cita una fonte governativa americana, secondo la quale «Obama si è stufato delle tattiche dilatorie» di Netanyahu e in un commento parla di un «agguato» teso a Netanyahu dal governo americano. Duro il giudizio di Haaretz: «Si aggrava la crisi con gli Usa: Obama esige da Netanyahu impegni scritti per passi volti a creare un clima di fiducia» in vista di negoziati di pace indiretti con i palestinesi. Netanyahu, afferma il giornale, esce da Washington «isolato, umiliato e indebolito». La crisi divampa. La «mancanza di progressi» nei negoziati di pace israelo-palestinesi «danneggia gli interessi americani in materia di sicurezza nazionale nella regione», avverte il ministro della Difesa statunitense, Robert Gates.
Netanyahu ha convocato per oggi a Gerusalemme una consultazione urgente con i sei ministri a lui più vicini per riferire dell'incontro avuto con Obama e per esaminarne le conseguenze. In una intervista alla radio militare, il vicepremier Silvan Shalom sostiene che Netanyahu deve respingere le pressioni statunitensi per il congelamento di progetti edili ebraici a Gerusalemme est. «Quella politica rileva ha il consenso della maggioranza degli israeliani». «Gli americani taglia corto Shalom devono comprendere che anche noi abbiamo delle “linee rosse” invalicabili».

Repubblica 26.3.10
Così la filosofia spiega i miti d'oggi
C’è Platone dietro il pop
di Valerio Magrelli

Dall´arte alla tv, dai film ai fumetti due saggi provano ad applicare i metodi della cultura "alta" per decodificare quella "bassa" Con risultati diversi
L´antropologia sessuale e Foucault sono utilizzati per studiare la serie "Sex and the City"
Le riflessioni di Deleuze e Agamben possono essere utili per "Romanzo criminale"

«Perché parlare di tragico pare filosofico e parlare di comico no? Perché si può andare in cattedra con un libro su Heidegger e non con un libro sulla pornografia? Perché i miti sembrano una gran cosa e le barzellette no? Ed è così da sempre, o dipende da una involuzione moderna della filosofia?». Tempo fa, con questa incalzante serie di interrogativi, Maurizio Ferraris, Ugo Perone e Alberto Voltolini hanno introdotto un ciclo di incontri torinesi dedicato alla Filosofia Pop. Affermatasi ormai da vari anni in area angloamericana (ma sulle tracce dello strutturalismo), questa tendenza mira ad applicare gli strumenti della tradizione speculativa a esempi di cultura popolare, un po´ sul genere dei Miti d´oggi di Roland Barthes. Lo ha spiegato bene la studiosa statunitense Avital Ronell, affermando che, se Aristotele scrivesse adesso, si occuperebbe di soap opera.
L´idea di fondo della filosofia pop, insomma, è che non c´è niente di intoccabile: nulla di tanto alto da non poter essere criticato, nulla di così basso da non meritare una considerazione filosofica. Da qui l´idea di affrontare sia temi classici in forma non convenzionale, sia temi che hanno piena dignità teorica, ma che per qualche motivo sembrano marginali.
Grande fortuna ha avuto a tale riguardo il volume Matrix e la Filosofia (a cura di William Irwin e Vincenzo Cicero, Bompiani), dedicato a quel film dei fratelli Wachowski che fra l´altro, nel 2003, fu oggetto di un convegno nel segno di Platone cui parteciparono lo stesso Ferraris, Giulio Giorello, Diego Marconi e Carlo Sini. Sulla stessa linea si colloca il recente Stramaledettamente logico. Esercizi di filosofia su pellicola, a cura di Armando Massarenti (Laterza), che affronta alcune cruciali domande filosofiche basandosi su altrettante sceneggiature per il cinema. Tuttavia, chi si è più concentrato su questo filone di ricerca è stato forse Simone Regazzoni, prima con Harry Potter e la filosofia (il nuovo melangolo), poi con La filosofia di Lost (Ponte alle Grazie), infine con un testo appena uscito a sua cura con il titolo Pop filosofia (il nuovo melangolo, pagg. 253, euro 15). Gli undici capitoli del libro spaziano dall´analisi della pop music di Michael Jackson a quella della fiction televisiva italiana e straniera, passando attraverso l´esame di un film come Mucchio selvaggio di Sam Peckimpah.
Il lettore è avvisato: il gioco consisterà nel sottoporre prodotti di consumo al vaglio critico, per osservarne la configurazione, il funzionamento, l´ideologia sottaciuta. Non a caso, l´intera operazione si colloca nel solco di quanto scrisse Peter Sloterdijk: «Noi non dobbiamo essere titubanti nel pensare oltre i confini dell´attività accademica. La crisi complessiva dei nostri giorni dovrebbe spingere la filosofia che si è rinchiusa nel grembo delle università ad abbandonare il suo nascondiglio».
Vediamo allora come procede questa opera di smontaggio. Mettendo da parte alcuni saggi meno immediati per il lettore-spettatore italiano (che forse non sempre conosce certe serie televisive come Mad men, o certe graphic novel quali Asterios Polyp), cominciamo da Sex and the City. Nelle loro sedute di autocoscienza post-moderne, spiega Francesca R. Recchia Luciani, le quattro protagoniste femminili non fanno che cercare il senso della propria esperienza. Inoltre la modalità interrogativa con cui la giornalista Carrie avvia ogni suo articolo (mettendo così in moto il plot che caratterizza ogni singolo episodio), si mostra come un esercizio eminentemente filosofico. La sua è una vera e propria indagine di antropologia sessuale, e come tale viene esaminata dalla studiosa, vuoi ricorrendo alla riflessione offerta da Michel Foucault, Giorgio Agamben o Jean-Luc Nancy, vuoi accostandola ad alcuni esiti dell´arte contemporanea (Jeff Koons, Tracey Emin, Sophie Calle).
I nomi di Foucault e Agamben, insieme a quelli di Gilles Deleuze e Paolo Virno, tornano anche nell´esame di Romanzo criminale, il romanzo di Giancarlo De Cataldo in cui Lorenzo Fabbri scorge una autentica "cartografia politica" della forma-Stato e in genere della società di controllo. Con una specie di lunga zoomata, le vicende della banda della Magliana finiscono per incrociare le più sofisticate meditazioni sui dispositivi di repressione, tracciando un nero ritratto dell´Italia del secondo dopoguerra. Qualcosa di analogo si verifica anche nel saggio di Giulio Itzcovich sulla versione inglese del Grande fratello, mentre il saggio del collettivo Wu Ming 1 sul film 300 di Zack Snyder propone un´apertura differente.
Attraverso il concetto di "tecnicizzazione del mito" formulato da Furio Jesi, la pellicola finisce per svelare la sua natura sostanzialmente banalizzata, caratterizzata da una serie di falsificazioni storiche. Una volta superato lo sconcerto che nasce dallo squilibrio fra l´oggetto studiato e il mezzo impiegato nella sua analisi, prestazioni critiche tanto brillanti e acute portano a dire che la Pop filosofia ha vinto la sua scommessa. Tuttavia, sarebbe più giusto affermare che la sua funzione, per quanto utile come esercizio di decifrazione, appare decisamente secondaria rispetto a quella dell´elaborazione teorica vera e propria. Ben venga questo tipo di ricerche, a patto però di tenere ben distinte le due fasi del processo speculativo: una cosa è applicare uno strumento ai più diversi aspetti della cultura di massa, un´altra, assai più complessa, riuscire a forgiarlo.