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Libri
I giornalisti secondo Gramsci
• Il giornalismo, il giornalista
•Antonio Gramsci
•Tessere editore
«Come potrebbe essere ritenuto capace di amministrare il potere di Stato un partito che non ha o non sa scegliere (il che è lo stesso) gli elementi per amministrare bene un giornale o una rivista?». Ogni riferimento a fatti reali non è casuale se a farsi questa domanda è Antonio Gramsci. E noi la leggiamo nei giorni in cui il quotidiano da lui fondato e diretto nel 1924, l'Unità, è scomparso dai radar a tempo indeterminato. Ottant'anni dopo la sua morte, in piena crisi della stampa e di un mestiere senza più smalto, vale la pena andarsi a rileggere come si dovrebbero fare i giornali secondo Gramsci, che si autodefiniva prima di ogni altra cosa pubblicista, scritto nero su bianco nel verbale d'arresto. Ci aiuta la raccolta di Gramsci appena pubblicata con micidiale tempismo Il giornalismo, il giornalista (a cura di Gian Luca Corradi, con un'introduzione di Luciano Canfora e una prefazione di Giorgio Frasca Polara) che accanto a una selezione di articoli di cultura e costume scritti per varie testate, raccoglie lettere e riflessioni su come mettere in campo un'impresa editoriale, osservazioni minute sulla titolazione («atteggiamento demagogico-commerciale quando si vuole sfruttare le tendenze più basse» o «educativo-didattico»), gli elementi grafici per attrarre i lettori, le rubriche (indispensabile «una rubrica permanente sulle correnti scientifiche»), i supplementi. Un manuale anche su come si forma il giornalista, preferibilmente attraverso vere e proprie scuole. «Il principio che il giornalismo debba essere insegnato e che non sia razionale lasciare che il giornalista si formi da sé, casualmente attraverso la praticaccia è vitale», dice decisamente in anticipo sui tempi. Lettore onnivoro – nella sua mazzetta in carcere anche il Corriere dei Piccoli–Gramsci ha un giudizio critico sui giornali italiani, provinciali e pieni di difetti – il più grave, «il parlare di antecedenti che non sono stati dati, come se il lettore dovesse conoscerli» suona particolarmente familiare – e una consapevolezza radicale dei rischi del mestiere: «Io non sono mai stato un giornalista professionista che vende la sua penna a chi gliela paga meglio e deve continuamente mentire, perché la menzogna entra nella qualifica professionale. Sono stato giornalista liberissimo». (paola rizzi)