domenica 10 agosto 2008

Corriere Fiorentino inserto del Corriere della Sera 10.8.08
L'intervista Il regista ha esposto ad Arezzo i dipinti e gli story-board realizzati per i suoi lavori cinematografici
Cara Italia, così non va
La pittura, il cinema e la crisi della politica: le amare riflessioni di Marco Bellocchio
di Caterina Pardi


Si chiude oggi ad Arezzo, a Palazzo Chianini Vincenzi, la mostra di Marco Bellocchio organizzata nell'ambito del festival «Il giardino profondo».
L'esposizione riunisce insieme dipinti, disegni e alcuni story-board, che hanno costituito un'importante traccia preliminare alla costruzione delle scene dei suoi film, da «I pugni in tasca», «Buongiorno, notte», «L'ora di religione» e «Il regista di matrimoni»

Sono di sinistra, ma in questo vuoto non so a chi riferirmi. Il Pd è deludente
I film che svelano e scandalizzano non ci sono più. Colpa della tv

Fa cinema da molto tempo, ma adesso «girare un film originale è davvero difficile, perché il linguaggio cinematografico è inquinato da quello televisivo». È di sinistra da sempre, ma oggi «la sinistra sta precipitando ». L'Italia vista dal regista Marco Bellocchio è brutta perché è sempre più semplice e semplificata. Lui si mantiene vivo tornando ad una vecchia passione, l'arte, ed esponendo disegni e story-board dei suoi film ad Arezzo, nella mostra «Quadri. Il pittore, il cineasta».
Bellocchio, qual è per lei il rapporto fra cinema e pittura?
«Non c'è una relazione razionalizzata, premeditata. La mia formazione, prima che cominciassi a fare cinema, era più nella direzione della pittura e della poesia. Dopo, non il destino, a cui non credo, ma la vita mi ha portato alla rappresentazione teatrale e cinematografica. Per me la scrittura è sempre qualcosa d'innaturale: quando preparo un film mi appassiono di più a cercare di trasferire su uno schizzo un'immagine che mi è venuta in mente, piuttosto che descriverla con le parole. Il cinema è molto più faticoso, più incerto e frustrante, ma ha la grandezza del mettersi in gioco umanamente».
C'è qualcosa nelle arti pittoriche che il cinema non possiede?
«Il cinema è trasfigurazione e sconvolgimento della percezione immediata, dell'immagine fotografica, ma deve tenere conto di ciò che registra. La pittura, come la musica, è un linguaggio totalmente libero, al contrario del cinema che è un'arte applicata: per arrivare alla tua rappresentazione devi superare un sacco di ostacoli, specificatamente materiali. Anche i rapporti umani possono essere ostacoli fortissimi».
Quale può essere oggi il fondamento di un'etica laica, alla luce anche della fine delle ideologie?
«Indubbiamente i processi di dissolvimento delle ideologie impiegano alcuni anni, tutto un armamentario marxista-leninista, un'utopia socialista... ma adesso la sinistra sta precipitando ad una velocità accelerata: sono di sinistra ma non so a chi riferirmi. L'unico con il quale posso riconoscermi è il Partito Radicale, mi ritrovo in quegli schieramenti che almeno difendono tutta una serie di principi laici. In questo vuoto, i principi della solidarietà, della carità e dell'assistenza, che non condivido perché non modificano la sostanza delle cose ma le lasciano come stanno, hanno come riferimento la religione, il Cristianesimo e quindi la Chiesa. Credo che Bertinotti volesse rifondare la sinistra, ma il suo tentativo è per il momento fallito. Prevale una linea conservatrice che vuole rivitalizzare certi principi che la storia ha sconfitto. Si stanno ricreando contrapposizioni - penso alla questione degli immigrati - ma rifondare il mito della classe operaia o della lotta di classe mi sembra una strategia perdente».
La società ha una maggiore complessità...
«Quale partito è disposto ad appoggiare politiche di grande apertura verso questa tragedia mondiale dell'immigrazione, questi spostamenti, questa società che cambia? Nessuno. Sembra un paradosso ma è la chiesa la più caritatevole, assistenziale e solidaristica. È una situazione di abisso. C'è bisogno di idee politiche nuove, ho visto il sodalizio fra Fausto Bertinotti e lo psichiatra Massimo Fagioli, il quale proponeva un principio giusto: guardare a una realtà umana. La sinistra dovrebbe occuparsi di cose più profonde. Però questo tipo di proposta non è stata accolta».
E Berlusconi?
«Il suo governo interpreta in modo perfetto una combinazione di decisionismo, i cui risultati sono da vedere. Tutti sanno che distribuire 1.200 soldati in Italia non cambia la situazione: una forza così è ridicola, il provvedimento è rassicurante sul piano puramente psicologico. Poi sui giornali leggiamo dei tagli operati sulla pubblica sicurezza e sulla magistratura, che rappresentano un atteggiamento contraddittorio rispetto a queste operazioni di facciata, di tipo mediatico. Ormai, e mi riferisco alla televisione, si può dire tutto e il contrario di tutto».
«La scomparsa dei fatti», il titolo di libro di Marco Travaglio...
«È come se i numeri, le cifre, non avessero più peso: la scomparsa delle cifre corrette, dei numeri. La sinistra e il centro-sinistra cercano di ribattere ma sono in evidente difficoltà. Non c'è la capacità di fare opposizione».
Che ne pensa della manifestazione di Piazza Navona?
«Fare campagna elettorale puntando sui misfatti e i processi era già perdente, adesso lo è ancora di più... Berlusconi è riuscito in qualche modo a ridimensionarla. La strada non è quella del giustizialismo, non dico che non vada fatto, ma non ci si può basare solo su questo. E il Pd è deludente e inconcludente».
Il cinema come può contribuire a ricreare un contesto culturale e ideale?
«La grande corruttrice e potenziale educatrice è la tv, il cinema che era l'arte popolare per eccellenza, adesso lo è molto di meno, così come la potenza mediatica. Se un film è profondo, ha una lunga vita, ma è più rivolto ad un piccolo pubblico. Il settore della denuncia, in un passato piuttosto recente, aveva un'importanza grande: il cinema che svelava e scandalizzava adesso non esiste quasi più o è molto ridimensionato. Infatti - è ridicolo e patetico - si creano dei finti scandali, pettegolezzi, come nel caso di ‘‘Caos Calmo'', in cui qualcuno aveva rubato le immagini in cui Moretti faceva l'amore con la Ferrari. Prima, fino agli anni '60-'70, i film venivano sequestrati. Il cinema è un linguaggio che può rivelare, ma con difficoltà molto maggiori, perché è fortemente inquinato dal linguaggio televisivo. Riuscire a fare un film - inteso come immagini - veramente originale, è davvero difficile».
Lei che rappresenta così bene le dinamiche psichiche, sia personali che familiari, non crede che oggi siano diffusi cliché rappresentativi che impediscono di vederle e analizzarle? Forse il fatto di non riuscire a «bucarli» deriva da un appiattimento anaffettivo.
«Riguarda la società: tutto tende ad essere materializzato, visto e spettacolarizzato. Questo non significa che non si possa rappresentare una straordinaria storia d'amore o un amplesso fra un uomo e una donna in modo originale. Chiaramente uno non deve andare alla ricerca della bizzarria o cadrebbe in un manierismo di tipo barocco. La forza della rappresentazione e dell'interpretazione dei personaggi può permettere ancora la possibilità di mettere in scena la potenza dei sentimenti: certamente tutto nasce dall'interno».

l’Unità 10.8.08
Oggi a Milano il ricordo dei caduti
Piazzale Loreto 1944, una strage fascista
di Ibio Paolucci


Sessantaquattro anni fa, nella giornata del 10 agosto 1944 alle 6,10 del mattino, i militi fascisti della legione "Ettore Muti", su ordine del comando delle SS, fucilarono a Milano, nel piazzale Loreto, quindici antifascisti prelevati dal carcere di san Vittore. La lista dei quindici martiri venne compilata dal capitano delle SS Theodor Saewecke, che dette anche l'ordine che i cadaveri venissero esposti al sole cocente di agosto, guardati a vista dai brigatisti neri, per impedire alla gente e persino ai famigliari, di avvicinarsi alle salme. Otto mesi dopo, esattamente il 29 aprile del 1945, nello stesso piazzale fu esposto il cadavere di Benito Mussolini e di altri 15 notabili fascisti, che erano stati giustiziati, dopo la cattura, a Dongo.
L'ufficiale delle SS, responsabile della strage, morì nel proprio letto, in Germania, il 31 marzo del 2004, alla bella età di 93 anni. mai chiamato a rispondere del crimine da un tribunale tedesco e, anzi, nella repubblica federale di Bonn, ricevette l'incarico di ricoprire posti di alta responsabilità nei servizi segreti. Saewecke è stato però processato e condannato all'ergastolo, sia pure in contumacia, dal tribunale militare di Torino, su richiesta del Pm Pier Paolo Rivello, al termine di una lunga e rigorosa indagine, nel 1999. Quel processo però avrebbe potuto essere celebrato cinquant'anni prima, nella primavera del 1953, se il fascicolo che riguardava lui, come peraltro tantisimi altri, non fosse stato nascosto, con la connivenza di ministri del governo democristiano, in quello che è stato chiamato l'armadio della vergogna.
Il massacro venne ordinato in risposta ad uno strano attentato compiuto due giorni prima, contro un camion tedesco, parcheggiato in viale Abruzzi dal caporal maggiore Heinz Kuhn, che poi si era pesantemente addormentato sul volante. Il mezzo, colpito da uno o più ordigni, saltò in aria, ferendo leggermente l'autista e provocando la morte di sei passanti e il ferimento di altri cinque, tutti italiani. Nessuna vittima germanica. Diffficile, poi, capire perché quell'autista tedesco avesse parcheggiato il camion nel mezzo di una strada, in pieno centro. L'attentato al camion, inoltre, venne addebitato ai gappisti, mentre il comandante di quelle formazioni, la medaglia d'oro Giovanni Pesce, ha sempre escluso che l'attentato fosse opera dei suoi uomini. Nessun tedesco ucciso, ma Saewecke, il boia di piazzale Loreto, impose la fucilazione di quindici antifascisti. La strage provocò sgomento e indignazione, talmente forte nei milanesi, al punto che lo stesso Mussolini protestò con l'ambasciatore Rahn.
Come ogni anno, il sacrificio dei quindici antifascisti, verrà ricordato oggi sul luogo del martirio. I loro nomi, che non vanno dimenticati perché è anche a loro che dobbiamo il ritorno in Italia della libertà, sono questi: Antonio Bravin, Giulio Casiraghi, Renzo Del Riccio, Andrea Esposito, Domenico Fiorani, Umberto Fogagnolo, Giovanni Galimberti, Vito Gasparini, Emidio Mastrodomenico, Angelo Poletti, Salvatore Principato, Andrea Ragni, Eraldo Soncini, Libero Temolo, Vitale Vertemati. A loro Alfonso Gatto ha dedicato una bellissima poesia: "Ed era l'alba, poi tutto fu fermo/ la città, il cielo, il fiato del giorno./ Rimasero i carnefici soltanto/ vivi davanti ai morti / Era silenzio l'urlo del mattino,/ silenzio il cielo ferito, / un silenzio di case, di Milano./ Restarono bruttati anche di sole, / sporchi di luce e l'uno e l'altro odiosi,/ gli assassini venduti alla paura".
A commemorare le vittime, sarà il senatore Gianfranco Maris, presidente dell'Aned, parte civile nel processo chiuso con la condanna all'ergastolo del boia di piazzale Loreto.

l’Unità 10.8.08
Quel giorno di libertà a Firenze, 64 anni fa
di Silvano Sarti, Presidente provinciale Anpi Firenze


Centinaia e centinaia di giovani, inquadrati nelle formazioni partigiane scese dalle montagne e dai boschi, centinaia di giovani inquadrati nelle squadre d’azione dei quartieri e delle zone cittadine, dopo mesi di preparazione, di attesa, di lotta in città e nei campi di battaglia, l’11 agosto iniziarono i combattimenti strada per strada per liberare la città di Firenze dai nazifascisti. La conclusione della battaglia, proseguita fino ai primi di settembre, fu di esempio per tutta Italia e per il resto dell’Europa ancora sotto il tallone di ferro di Hitler e del suo servo Mussolini.
Il Comitato Toscano di Liberazione Nazionale, che guidò l’insurrezione e si assunse il governo della città e della provincia, era costituito dagli uomini di tutti i partiti antifascisti. L’unità di intenti e di ideali, che fece superare anche divergenze e conflitti politici, fu il cemento su cui si costruì, negli anni successivi, la democrazia repubblicana in Italia.
L’Anpi di Firenze è consapevole del peso che comporta una eredità così grande, in cui confluirono anche venti anni di lotta tenace contro il fascismo, pagata con il carcere e le persecuzioni, e si pone perciò di fronte ai grandi dilemmi e problemi del presente con grande senso di responsabilità.
I principi e i valori di tolleranza che si sono voluti collocare alla base del sistema democratico hanno permesso di affrontare nodi cruciali come la pacificazione e la riconciliazione nazionale. Sono stati perdonati coloro che avevano commesso il tragico errore di aderire al fascismo repubblichino, purché non si fossero macchiati di crimini (sappiamo purtroppo che poi fu fatto un uso distorto e perfino vergognoso della clemenza su cui la Repubblica democratica voleva dare avvio ad un nuovo corso della storia nazionale). Si è provato anche senso di compassione per coloro che morirono dalla parte sbagliata, per una causa sbagliata. Erano anch’essi vittime, purtroppo non sempre consapevoli, dell’inganno del fascismo, in cui erano caduti tanti giovani (istradati da cattivi maestri).
Ma questo perdono non voleva significare, e non potrà mai significare, che battersi dalla parte della libertà, come fecero i giovani partigiani, equivaleva a battersi dalla parte della dittatura e del terrore, come fecero i repubblichini.
Purtroppo la crisi dell’unità antifascista e l’inizio della guerra fredda impedirono che portasse a compimento un vero e proprio processo al fascismo che aveva infettato profondamente il nostro paese e lasciato in eredità i suoi frutti avvelenati. Una certa nostalgia di fascismo è rimasta, più o meno strisciante, più o meno vergognosa di se stessa, ma capace di tanto in tanto di rialzare la testa e di ripresentarsi in vesti nuove, sotto forma di populismo o di razzismo xenofobo, di attacco alla Costituzione e ai suoi capisaldi. Le forze della Resistenza, posti i pilasti fondamentali della nuova identità democratica del Paese, non hanno mai rinunciato a prendere posizioni e a combattere contro tentativi di colpo di stato, contro lo stragismo fascista, contro il terrorismo delle brigate rosse negli anni di piombo, contro la criminalità organizzata della mafia, della camorra, della ‘ndrangheta, contro la P2.
Su questo terreno e partendo da questi presupposti è ancora possibile e necessario costruire e sviluppare un dialogo su cui le forze della democrazia debbano cercare di costruire una società nuova, di rinnovare lo stato italiano. Da parte di ognuno ci si deve accingere a quest’opera con spirito di servizio, recuperando, in un momento di grave crisi di fiducia nei confronti della politica, che molti cittadini e soprattutto le giovani generazioni avvertono sempre più estranea e lontana, il senso profondo di un’etica dell’impegno politico, vissuto non come occasione per ottenere privilegi e sviluppare lucrose carriere, ma come slancio a favore della collettività e per il bene del paese.
I partigiani fiorentini, gli uomini della Resistenza e dell’antifascismo, hanno scritto pagine luminose in questo senso, nei momenti della lotta e nei momenti della costruzione dell’Italia Repubblicana e democratica. Oggi vogliono lasciare questo messaggio forte e inequivocabile alle generazioni nuove, quelle nelle cui mani si trova il destino del paese ed il suo futuro.
A loro un appello a impegnarsi, a battersi per costruire una società più giusta, più consapevole del diritto dei giovani allo studio, al lavoro, alla casa, alla famiglia ed un mondo più equo, dove allo spreco sfacciato di una parte, corrisponde la miseria tragica e disperata di enormi masse di individui.
Questo è il momento in cui occorre un nuovo slancio ed un rilancio dei valori antifascisti che sono sanciti nella nostra Carta costituzionale ed un impegno unitario di tutte le forze progressiste per lo sviluppo democratico e civile del nostro Paese. Nessuna energia deve andare dispersa, nessun conflitto o dissapore deve far perdere di vista gli obiettivi fondamentali della difesa della libertà, del rinnovamento dell’Italia in un’Europa che sia sempre più garanzia di crescita democratica e forza di pace nel mondo.

Corriere Fiorentino inserto del Corriere della Sera 10.8.08
Liberazione. Sessantaquattro anni dopo Teresa Mattei racconta quei giorni a Firenze
di Mauro Bonciani


«Io, donna e partigiana viva grazie a un fascista»
«L'entrata in Palazzo Vecchio, la fame, il rispetto dei comandanti uomini. E quella volta che un gerarca mi salvò dalle Ss»

La voce è flebile, gli anni e le torture subìte pesano, il tempo sfuma. Guerra, fame, paura, si intrecciano a speranza, forza, solidarietà. Il caleidoscopio di 64 anni fa si ricompone, senza sconti per nessuno, con sincerità e umanità. L'11 agosto 1944 Teresa Mattei era al comando della sua compagnia in Oltrarno, in prima linea nella battaglia di Firenze. Comunista, partigiana, costituente, la più giovane parlamentare eletta, ribelle tanto da essere esplusa dal Pci nel 1955, a 87 anni Teresa combatte ancora.
Qual è il ricordo più bello che ha della Liberazione?
«Quando siamo entrati in Palazzo Vecchio, in prefettura, allora ho capito davvero che la città era libera, ho avuto tempo per pensare; prima, nei giorni di battaglia non c'era stato tempo, sono stati momenti terribili, i più duri. In quei giorni abbiamo dovuto seppellire i morti nell'orto botanico di via La Marmora perché non c'era altro posto».
Chi era Teresa Mattei?
«Ero giovane e la nostra famiglia era antifascista. Mi sono iscritta al Pci nel 1942, nel '44 mio fratello Gianfranco, torturato in via Tasso a Roma, si è ucciso per non rischiare di tradire i compagni, e la famiglia, babbo, mamma e sette fratelli, era dispersa».
Donna e partigiana: difficile?
«No. Noi partecipavamo alle iniziative della Resistenza esattamente come gli uomini. Non avevamo vantaggi nelle formazioni partigiane, ma li avevamo per muoverci. Era più facile portare armi, fare le staffette, aiutare chi era in montagna. E avere un compagno, un marito in montagna o in carcere ci dava più forza».
Com'era Firenze in quei mesi?
«Ricordo la fame, che fame... ho lottato con i cani randagi per strappargli pezzi di pane ammuffito. Ma c'era anche tanta solidarietà, tutti ci si aiutava e chi aveva qualcosa lo divideva con gli altri».
I comandanti partigiani uomini la rispettavano?
«Io comandavo 50 partigiani e alla vigilia della Liberazione si unirono a noi molti garibaldini scesi dalle montagne e alcuni ex-prigionieri di guerra russi, inglesi e scozzesi che ci aiutarono, e avevo il rispetto di tutti. E non ero un'eccezione. Le donne erano tante e avevano avuto un ruolo deciviso anche negli scioperi, da quelle delle tabacchine della Manifattura a quello della Galileo».
Il momento in cui ha corso più rischi?
«Mi ricordo benissimo tutte le volte che ho fatto la staffetta passando sopra Ponte Vecchio, nel corridoio vasariano, per portare gli ordini del Cln in Oltrarno (episodio ripreso da Roberto Rossellini in Paisà, ndr). Forse è stato quello».
Ha mai ucciso?
«Io per scelta non portavo armi, neppure in quei giorni. La guerra è dura e noi abbiamo fatto anche molte fucilazioni spicce con i tribunali militari del popolo in piazza Santa Maria Novella, ma non ci furono eccessi. Sapevano benissimo chi erano i veri fascisti».
Quando ha avuto paura?
«Sempre... Ma avere paura, non significava non avere il coraggio di superarla. Ho avuto paura ad esempio quando le Ss mi arrestarono a Perugia, sapevamo cosa significava e io lo sapevo bene, visto quanto era accaduto a mio fratello».
Come si salvò?
«Fui violentata e torturata dai nazisti, le vertebre mi fanno male da allora e oggi sono in carrozzella, e alla fine mi dissero: "Domattina ti fuciliamo". Ma un gerarca fascista, uno dei guardiani, continuava a dire "mi sembra una brava ragazza, non è una partigiana" e la notte mi fece fuggire. L'ho rivisto solo dopo la guerra, quando sono andata al suo processo ed ho testimoniato in suo favore, ricordando quanto aveva fatto, facendogli avere una riduzione di pena. Quando ci siamo parlati è stato emozionante; e lui mi ha detto che era diventato antifascista».
Ha qualche rimpianto per quei giorni?
«Uno solo. C'era un ragazzino repubblichino nel carcere delle Murate, un ragazzo che i fascisti avevano preso dal riformatorio e arruolato e parlandoci capii che la sua non era stata una scelta ideologica. Gli ho parlato a lungo, gli ho detto che lo avrei aiutato, che avremmo riconosciuto che lui era pentito. Ma continuava a ripetermi che era troppo brutto quello che aveva fatto, che non si perdonava anche se noi lo perdonavamo. E la notte dopo si uccise».
Qual è il messaggio della Liberazione per i ragazzi di oggi?
«Liberazione e Costituzione ci dicono che essere cittadini e non sudditi è una conquista. La grande lezione, da insegnare ai bambini fin da piccoli, è che ognuno deve essere responsabile della cosa pubblica. Che la libertà non è un dono e va sempre difesa».

l’Unità 10.8.08
Il concordato
di Furio Colombo


Dialogo o concordato? Non parlo di rapporto fra Stato e Chiesa. Parlo di opposizione e delle nuove misteriose vie di alcuni del Partito Democratico verso il potere e verso il governo.
Durante le lunghe pause del lavoro alla Camera, dove tutti parlano a lungo e parlano a vuoto, «perché comunque la mia legge uscirà dal Parlamento intatta, così come è stata voluta e scritta dal mio governo» (Berlusconi, a proposito della legge finanziaria definita «rivoluzionaria», 8 agosto), durante quelle lunghe pause ripenso ai due anni trascorsi al Senato, senza uscire un minuto, per presidiare il governo Prodi.
Di fronte a noi sedeva l’opposizione, un mezzo emiciclo rabbioso, violento, insultante, fantasioso nei modi diversi di sporcare l’aula, fare pipì sotto il banco, insultare come carrettieri (è un modo di dire antico che non corrisponde alla volgarità contemporanea) Rita Levi Montalcini, il presidente emerito Scalfaro, certe volte il presidente emerito Ciampi, tutti instancabili nel rendere impossibile il lavoro del Senato fino al punto di votare «no» (loro, la destra) al rifinanziamento e adeguamento di difesa delle missioni militari italiane nel mondo.
Lo so che mi ripeto. Ma rivedo quelle scene nel silenzio pacato della nostra aula, dove tanti trovano eccessivo se Di Pietro alza di un decibel la voce per denunciare la penuria di benzina e di fondi in cui è stata lasciata la polizia, e mi domando: dove saranno finiti quelli delle barricate di un Senato praticamente occupato, arringato ogni pochi minuti dal capo popolo Schifani, in un lungo tripudio di applausi, prima, durante e dopo le sue inaudite denunce di tutti i tipi di furto, menzogna e frode da parte di Prodi o di Padoa-Schioppa? Nei libri di lettura per bambini (parlo della infanzia pre-Gelmini) gente così sarebbe finita male, fuori dalla politica, che invece è - ti dicono - fatta da persone competenti e rispettose.
Ma se guardi il telegiornale li riconosci, mentre parlano col nuovo tono condiscendente di chi sa come si gestiscono le istituzioni, li troviamo immersi in alte cariche dello Stato, in ministeri chiave, o in funzioni di bertoldiana memoria (ricordate «scarpe grosse e cervello fino»?) come il fiabesco Ministero della Semplificazione.
Li ritrovi presidenti del Senato intenti a raccogliere sentite e trasversali testimonianze di solidarietà se subiscono attacchi pur mille volte più miti di quelli che lanciavano alla "rovinosa maggioranza di centrosinistra" (quando c’era), quella "che ha messo in ginocchio l’Italia", tanto che poi hanno dovuto rialzarla verso la crescita zero.
Li ritrovi sindaci, come il sindaco di Roma, uno con la croce celtica che ha avuto il pieno sostegno di tutte le minoranze fasciste rimaste sul terreno, uno che vuole armare i vigili urbani invece di vietare la sosta in tripla fila, uno che i soldati di pattuglia li ammette solo nei quartieri poveri, dove evidentemente tutti sono brutti, sporchi e cattivi, uno che, se non era per la indignazione solitaria della comunità di Sant’Egidio (non un editoriale o corsivo della premiata stampa libera), voleva far arrestare coloro che frugano nei cassonetti. Un pronto intervento umanitario, unico ma per fortuna efficace, ha salvato il sindaco di Roma da un proposito che davvero (per una volta si può dire) non era né di destra né di sinistra ma soltanto ignobile: arrestare gli affamati in quello stato di disperazione in cui vai a frugare nell’immondizia. Dispiace che una domanda non sia stata rivolta al sindaco: ma perché una simile crudeltà che, per giunta, è stupida e inutile? Perché diffamare Roma?
* * * *
Ma c’è un’altra domanda: perché un atto così vistosamente inaccettabile non ha fermato la corsa di alcuni grandi personaggi del centrosinistra verso le stanze, il lavoro, i progetti del sindaco Alemanno? Sto continuando la riflessione del direttore di questo giornale nel suo editoriale di ieri. "Grande", è una parola senza ironia, se mai segnata di tristezza, se parlo di Giuliano Amato, di Franco Bassanini, di alcuni che sono andati o stanno andando senza esitazione verso il ragazzo della Via Almirante, sindaco di estrema destra di Roma. O verso il ministro leghista Calderoli, quello delle forbici arrugginite da riservare agli immigrati. Scambiare Alemanno o Calderoli per Sarkozy sembra davvero eccessivo. Far perdere le tracce della propria identità è un colpo grave a qualunque cosa sia l’opposizione.
È vero, il fenomeno, benché inspiegabile, si allarga di ora in ora e di giornale in giornale. Per restare ai quotidiani dell’8 agosto, ho annotato:
Senatore Zanda: "A me la decisione di Amato non dispiace affatto".
Presidente della Provincia di Milano Penati: "Si torni a fare gioco di squadra" (intende con Moratti e Formigoni).
Presidente della Regione Lazio Marrazzo: "Sono grato, nel governo c’è chi mi difende".
Sindaco di Bari Emiliano: "Mi sono congratulato con il Governo per il pacchetto sicurezza" (È quello che impone le impronte digitali ai bambini rom, N.d.R.).
Sindaco di Vicenza Variati: "Non si demonizza chi sta al governo".
Quanto a Bassolino, Cacciari, Velardi, radici e storie e culture diverse, ma tutte "di sinistra", rifiutano con sdegno la mite firma richiesta da Veltroni "per salvare l’Italia". Sembrano davvero persuasi che, come spiegano, "non si firma contro il governo".
Giustamente, lo stesso giorno il Corriere della Sera apre il paginone della cultura con il titolo: "Sinistra, hai tradito i valori della patria". Era una vecchia storia di Orwell, ma che si adatta due volte in modo perfetto alla circostanza. Una prima volta perché ti fa capire che anche arrestare chi fruga nei cassonetti è più "da statista" che stare a sinistra, rinchiusi in una identità colpevole, misera e umile, mentre la vera vita politica trionfa altrove.
In quell’altrove, c’è il misterioso "berlusconismo". Se lo attacchi, vuole la leggenda, commetti un reato di estremismo che ti farà restare fuori dal potere e dai benefici del potere per altri vent’anni. Se non lo attacchi - ti dice la realtà di ogni Paese democratico in cui una vigorosa opposizione è ritenuta l’unica autocertificazione della libertà - resti per forza fuori dal potere e dai suoi benefici per tutti e cinque gli anni di una completa legislatura più i sette anni di un’intera presidenza della Repubblica.
Come uscirne? Chiarisce, per noi del Pd Enrico Letta che - nelle primarie - si era candidato per esserne segretario: "l’antiberlusconismo è definitivamente archiviato. Tutti si stanno interrogando sul post-berlusconismo e noi dobbiamo essere tra quelli". Essere post-berlusconisti mentre Berlusconi ricomincia appena a governare è come essere post-fascisti negli anni Trenta.
In questo clima un po’ allucinato, Orwell è più che mai di casa, lui che ha inventato "il ministero della verità". Non vi viene in mente quando sentite parlare del favoloso Ministro della Semplificazione, che siede allo stesso tavolo in cui una legge finanziaria triennale, priva di correlativa contabilità dello Stato, viene approvata in nove minuti senza che nessuno sappia che cosa c’è dentro? E senza che il ministro della semplificazione faccia una sola domanda, forse per non turbare il record dei nove minuti, non un secondo di più che ci sono voluti per approvare una manovra finanziaria triennale nel periodo più complicato e pericoloso della storia del mondo contemporaneo?
* * * *
Incombe la questione del dialogo, del fare un sacco di cose insieme, maggioranza e opposizione, "per il bene dell’Italia".
Per esempio, ti chiedono i Radicali, facciamo insieme la riforma della Giustizia. È un progetto nobile e dovuto. Ma è davvero proponibile discutere quel problema con un primo ministro che è sfuggito alla giustizia solo con leggi speciali fatte per lui, dalla "Cirami" al "lodo Alfano", una fuga durata dieci anni e fino ai nostri giorni, un specie di conte di Montecristo che ha scavato nei codici il buco della sua impunità? Una volta stabilito, capito e fatto capire da chi è fatta la leadership di questo governo (alcune notizie interessanti e rivelatrici ci giungono quasi ogni giorno alla Camera dagli interventi di personaggi dell’Udc di Casini, che sanno per esperienza di che cosa parlano) "il bene dell’Italia" non sarebbe meglio garantito da una tenace, chiara, implacabile opposizione che tenga alta e ben distinta l’identità diversa di chi si oppone?
"Senta, se devo proprio dirla tutta, le dirò che la questione del dialogo è stucchevole", ha detto due giorni fa Berlusconi ad una giornalista incalzante. Se volete una prova del nostro pentimento per l’uso del persistente e intrattabile "antiberlusconismo" eccola. Scrivo qui per la prima volta: "Berlusconi ha ragione". Lo so, i miei colleghi editorialisti della stampa libera lo scrivono tutti i giorni e poi si precipitano in televisione a ripeterlo. Per una volta - e pur sapendo che non trarrò gli stessi benefici e neanche un invito a "Ballarò" o a "Che tempo che fa" (parlo di fortini della resistenza televisiva) - lo dico anche io: "La questione del dialogo è stucchevole". Lo è perché Berlusconi, come ha dimostrato in tutta la sua vita, come continua a dire con assoluta chiarezza, non concepisce alcuna modifica di ciò che decide, scrive, annuncia o progetta. Meno che mai sulla Giustizia. Tutti e quattordici i punti proposti come base di discussione dal documento parlamentare dei Radicali eletti nel Pd sono importanti, storicamente fondati e di evidente urgenza. Ma ha senso discuterli con gli avvocati di Berlusconi? Non è un percorso che taglia di traverso "il bene dell’Italia" e porta altrove?
A meno di pensare che si debba discutere di Giustizia con Berlusconi come il Papato scelse di discutere di diritti religiosi della Chiesa con Mussolini. Non era fiducia nella religiosità di Mussolini. Era consapevolezza che il fascismo era ormai radicato e non c’era altra soluzione che accettarlo.
Quello che ci propongono, più che un dialogo, è un concordato con Berlusconi, mediato da Fini, che ha come simbolo il Campidoglio definitivamente di destra del sindaco Alemanno. Dunque l’accettazione del vincitore perenne.
Chi ci ha votato merita di più. Può essere legittimo dire che Di Pietro si occupa solo del suo partito, della sua immagine, della sua propaganda, quando si alza, irruente, alla Camera per denunciare ed accusare. Ma avremo il diritto di dirglielo solo dopo avere occupato tutto lo spazio di opposizione, davanti a milioni di italiani che hanno votato per noi e che aspettano. Finché aspettano.

l’Unità 10.8.08
«Dàgli al negro». E la spiaggia si scatena
Scene di razzismo a Porto San Giorgio e Pedaso. Bagnanti contro gli ambulanti: «Ha ragione Maroni»
di Sandra Amurri


Scene di razzismo in riva all’Adriatico. Venditori ambulanti, naturalmente di colore, costretti a fuggire, altri fermati dai bagnanti e consegnati alle forze dell’ordine. E a chi cerca di salvarli arrivano insulti: «Vattene, qui comandiamo noi». La cura xenofoba della destra sta producendo i suoi effetti. Anche in spiaggia.
«Fuori, qui comandiamo noi». Caccia al «nero» sulle spiagge

«MARONI HA FATTO LA LEGGE, QUINDI...» Scene di (già ordinario?) razzismo sul litorale delle Marche, dove il vento della nuova destra gonfia le vele dei peggiori istinti. Ambulanti segnalati e consegnati ai carabinieri, altri costretti a scappare. E ai villeggianti con un briciolo di senso umano urlano: «Non vi sta bene? Cambiate Paese»
«Devono tornare a casa loro... adesso comandiamo noi». Noi, i leghisti di Bergamo, di Verona in vacanza a Pedaso, borgo marinaro dove il fiume Aso dai Sibillini sfocia nel mare Adriatico, nel tratto tra Porto San Giorgio e San Benedetto del Tronto, nelle Marche. «Andate via voi, ma non vedete, è un essere umano che male vi ha fatto?», gridano i bagnanti del luogo e i turisti napoletani e pugliesi. Un folto capannello mi impedisce di vedere. Mi avvicino. Dentro quel cerchio umano, sul marciapiede che guarda il mare, c’è un ragazzo di colore, rannicchiato, il viso coperto dalle mani, come fanno i bambini quando vengono sgridati. Il sole a picco fa luccicare la sua pelle nera, come la vergogna delle parole udite. Un vigile, in piedi, gli blocca le spalle con le mani. «Cosa sta accadendo?» chiedo a un signore che indicando con il dito il «negro» risponde con tono carico di odio: «Non è in regola, non ci deve stare nel nostro Paese, deve tornarsene in Senegal». Mentre una signora mi spiega che è stato proprio lui a chiamare il vigile che lo rincorreva bestemmiando. Non si fa attendere la rivendicazione orgogliosa del signore in costume e marsupio blu sulla pancia, per la nobile impresa compiuta e per la sua appartenenza a quel Nord Italia che mostra i muscoli: «Sì, li ho chiamati io i vigili, ha qualcosa da ridire?», «No, mi complimento di cuore per il suo coraggio, certa che ne avrebbe altrettanto nel chiamare i vigili se un fuoristrada parcheggia sullo scivolo per handicappati o la capitaneria se un motoscafo si fosse avvicinato alla riva a motore acceso...». «Ma che c’entra? Quelli non sono fatti miei, invece questi qua - indicando di nuovo il “negro” con il dito - non hanno il diritto di venire a casa nostra. E poi Maroni ha fatto una legge? Allora, adesso comandiamo noi e se non vi va bene cambiate Paese». Mi torna in mente Sogno di un Valzer di Brancati, 1938: «Non è il fine che distingue i barbari dagli uomini civili, i santi dai delinquenti, ma i mezzi che si adoperano per raggiungere questo fine... dimmi che mezzi adoperi e ti dirò chi sei». Chiedo ai vigili perché lo tengano lì braccato. Risposta: «Aspettiamo i carabinieri per arrestarlo» mentre mi invitano dapprima a non impicciarmi, poi a fornire i documenti. Mentre la folla rimane divisa: da una parte i turisti del nord continuano a inveire contro quel ragazzo che la sola resistenza che oppone sono lacrime; dall’altra quelli del sud, che chiedono semplicemente rispetto umano. «Come ti chiami?» chiedo al ragazzo straniero mentre il vigile mi ripete che devo allontanarmi ed estrae la macchina fotografica per identificarmi. «Sono vigili stagionali», mi spiega invitandomi alla comprensione il vicesindaco di Pedaso, Barbara Toce, che si sta dando un gran da fare per risolvere al più presto la situazione. «Inesperti - rispondo - ma non incapaci di tradurre in azione l’aria che tira nel Paese». Intanto sento una voce flebile: «Mi chiamo Amid. Ho sete, mi prendi una bottiglia d’acqua?», lo vedo che tira fuori dalla tasca un euro e lo dà alla mia amica Donatella, atterrita, al mio fianco. Dignità in risposta a chi lo tratta come un topo che ha osato uscire dalla fogna per invadere la civiltà del lungomare di Pedaso. Dove un viale si chiama «Sacco e Vanzetti», e ogni sottopasso porta il nome di un cantante che ha fatto la storia della canzone impegnata come Gaber. O De Andrè: «Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori» si legge sulla targa affissa a pochi passi da Amid. Svuotata come se quella scena avesse sventrato gli uomini di tutte le loro attese rendendo la vita buia e il loro futuro incerto, ho telefonato a Don Franco Monterubbianesi, fondatore della Comunità di Capodarco e presidente di «Noi Ragazzi del Mondo». «La crisi è morale e culturale - dice - Il “come” vengono trattati oggi gli immigrati da noi è lo stesso “come” hanno sfruttato e sfruttano i popoli del Terzo Mondo senza rispetto per il loro sviluppo. Una legge disumana non sarà mai una legge giusta e, dunque, capace di risolvere il problema».
* * *
Ore 11 di un altro giorno. Chalet Barracuda a Porto San Giorgio dove spesso i gestori Sandro, Magda e Paola invitano a mangiare alla loro tavola i senegalesi, i pakistani che percorrono la spiaggia con i loro borsoni pesanti quanto la loro fame. Gli uomini della Capitaneria di Porto, rincorrono tre senegalesi che vendono collanine e pupazzetti di pelouche. Uno, vistosi perso, si tuffa in mare, perde la sacca, le collanine galleggiano e i pupazzetti anche. Elisa, 15 anni, corre a recuperarli, spera di poterglieli restituire. Ma il ragazzo non sa nuotare, torna indietro e lo arrestano. Intanto la caccia al nero continua. Arrivano i rinforzi: carabinieri e Guardia di Finanza. I bagnanti assistono sconcertati: «Sembra che stiano inseguendo delinquenti incalliti, spacciatori. Certo, sono irregolari, devono essere espulsi, ma come lo fanno è da brivido». E la spiaggia si trasforma presto in un’arena dove c’è chi dà voce alla sensibilità ferita, chi resta indifferente, e chi, come i turisti del nord «dito medio alzato» alla Bossi, gode mentre quegli «sporchi negri» vengono ammanettati. Non sanno che qui con gli «sporchi negri» si condivide il pane e anche i sorrisi, nelle scuole come nelle fabbriche, e che le persone sanno, come scrive Cheikh Tidiane Gaye in Mery principessa albina che «chi ignora il rispetto dei cuori altrui, s’investe della propria autorità ma non di quella del suo popolo e di conseguenza svalorizza la sua terra».

l’Unità 10.8.08
Primo, vietare. Le regole dei sindaci sceriffi


Divieto di sosta ai camperisti, di panchina agli anziani, di massaggi al mare
Denunciate sei prostitute a Genova: di nascosto, facevano le massaggiatrici. Lo hanno testimoniato i loro clienti, interrogati dai carabinieri: altro che prestazioni sessuali, per chi lo chiedeva c’erano veri massaggi relax, con tanto di tariffario. A colpo d’occhio sembra la notizia del postino che azzanna il cane, quella che si insegna nelle scuole di giornalismo. La realtà all’incontrario. Invece è uno dei primi effetti della rinvigorita attenzione alla salute pubblica voluta dalla responsabile del dicastero della Salute, Francesca Martini, che ha vietato severamente ogni massaggio non autorizzato (le associazioni di categoria - delle massaggiatrici - ringraziano).
In realtà l’ordinanza ministeriale se la prende in particolare con le ambulanti cinesi, che sulle spiagge cospargono di olii e profumi i vacanzieri, e vuole «prevenire gli effetti pericolosi che possono essere generati dalla pratica sulle spiagge di prestazioni estetiche o terapeutiche», senza «adeguata preparazione e competenza»; e ne affida ai sindaci la sua applicazione. Ma i sindaci, da parte loro, si stanno già dimostrando particolarmente creativi nel fare gli «sceriffi», con i nuovi poteri che gli ha affidato il ministro Maroni.
Fino a qualche mese fa il Tar interveniva annullando le ordinanze più stravaganti, come quelle del sindaco di L’Aquila che - alle prese con una «guerra» personale contro un cane di nome Briciola - se n’è viste annullare addirittura tre; o quella del sindaco di Galliate che aveva vietato alle «gattare» di dar da mangiare ai micini randagi. Questa, invece, è l’estate dell’«ordinanza crativa» (denominazione d’origine controllata: se l’è inventatata il ministro, non i giornalisti), e in nome della sicurezza e del decoro i sindaci stanno dando sfogo alla fantasia: oltre a tutte le norme anti-lavavetri, anti-borsoni, anti-accattonaggio, anti-nudità (multe a raffica ad Amalfi per chi si toglie la maglietta), ormai in certe città è persino vietato sedersi sulle panchine in più di tre, o bighellonare di notte. I turisti sono avvertiti: meglio girare con la mappa aggiornata dei divieti, città per città.
Sui blog di internet sono insorti i camperisti per la decisione del comune di Vicenza contro i bivacchi di camper e roulotte nei parcheggi pubblici; a Voghera sono insorti i vecchietti, ai quali è stato vietato l'utilizzo delle panchine pubbliche a partire dalle 23 se si mettono a chiacchiera «in gruppi composti da più di tre». Ma a Novara è anche peggio: il sindaco ha imposto il divieto di sostare in parchi e giardini in più di due persone. E a Genova nei carrugi del centro storico non si può più passeggiare con una bottiglia o una lattina di bevande alcoliche in mano (come a Campo de’Fiori a Roma), pena una multa che va dai 25 ai 500 euro.
Più rigide le «invenzioni» anti-immigrati, a partire da Cernobbio, dove chi vuole la residenza deve accettare un'ispezione igienico-sanitaria della sua casa da parte di agenti di polizia municipale; ordinanza subito imitata dai comuni di Romano d'Ezzelino, Teolo, Loria, Montegrotto Terme, Caravaggio. Capofila resta comunque Flavio Tosi, il sindaco leghista di Verona. Quello che fece piangere una bambina in visita alla città, multata perché mangiava un panino sulla scalinata del municipio.

l’Unità Firenze 10.8.08
Decoro in città, a Firenze vietato sgarrare
Domani entra in vigore il nuovo regolamento di polizia urbana con 46 «norme per la civile convivenza». Tolleranza zero con gli abusivi, multe per chi getta cicche o carte in terra
70 vigili di pattuglia e possibili sanzioni tra 25 e 500 euro
di Silvia Casagrande


Il comandante dei vigili: «Sono solo regole di buonsenso»

Ieri sera sulle scalinate di S.Nicolò un gruppo di ragazzi faceva a gara di gavettoni: «Ci sfoghiamo stasera, visto che da lunedì sarà vietato». Anche le pigne di ponte Santa Trinita erano piene di giovani seduti a chiaccherare: un’altra tradizione destinata a scomparire, come conferma il comandante dei vigili Alessandro Bartolini: «Salire o sostare su luoghi che costituiscono pericolo per la propria incolumità comporterà una sanzione di 160 euro. La multa raddoppia nel caso che i trasgressori abbiano bevuto».
Questo e altro è contenuto nel nuovo regolamento di Polizia urbana, che entrerà in vigore domani mattina alle otto. Le “norme per la civile convivenza” sono intese a salvaguardare il decoro in città, ma anche a infondere nei cittadini il senso civico che si respira nelle maggiori capitali europee, i cui abitanti non hanno nemmeno bisogno del deterrente della sanzione monetaria per non gettare cartacce a terra. Tant’è che il capo dei vigili Alessandro Bartolini non è preoccupato del fatto che il regolamento non sia ancora stato tradotto e distribuito ai turisti: «Le norme non sono che regole di buon senso che i turisti il più delle volte rispettano anche dove non ci sono cartelli che le esplicitano».
Da lunedì Firenze si andrà quindi delineando sempre di più come una città europea: ordinata, decorosa e pulita. Chi può dirsi contrario? Eppure in questa corsa verso lo stile nordico, si rischia di perdere proprio quei caratteri di folklore che ci contraddistinguono. Ci sono figure emblematiche dell’italianità che da lunedì saranno costrette a scomparire: i panni stesi all’aria dalle finestre, l’artigiano che lavora sulla soglia della sua bottega, e perfino i richiami con cui l’arrotino o il venditore del mercato attirano i clienti, vietati perché causano inquinamento acustico, ma soprattutto perché «non è conveniente».
E COSÌ, da domani mattina alle 8 entra in vigore il nuovo regolamento di polizia urbana. Durante la prima settimana, un totale di 70 vigili giornalieri saranno impiegati per far rispettare giorno e notte le 46 nuove norme. I trasgressori saranno tenuti a pagare sanzioni che vanno da un minimo di 25 euro a un massimo di 500. Saranno a carico del trasgressore anche le spese per il ripristino dello stato precedente alla violazione. Nell’attesa che il regolamento venga inviato al domicilio di tutti i cittadini, insegnato a scuola nelle ore di educazione civica, nonché tradotto in cinque lingue e distribuito nei centri di accoglienza turistica, può essere utile fare un veloce riepilogo su quelli che saranno i nuovi divieti:
Ubriachezza: vietata nei luoghi pubblici
Fontane: proibito immergersi, far bere i cani e gettarvi monetine
Biciclette: proibito legarle a barriere di protezione dei monumenti, panchine e altri arredi urbani
Cani: dovranno essere tenuti al guinzaglio (e museruola per quelli di razze pericolose) e sarà vietato condurli "non detenendo le attrezzature opportune per rimuovere gli escrementi". Purtroppo sembra essere stata abbandonata l'idea di installare sui marciapiedi gli appositi distributori di sacchetti, provvedimento che aiuterebbe senz'altro a tenere pulita la città e che è consuetudine consolidata già nel resto d'Europa
Gettare per terra cartacce e mozziconi di sigaretta: il divieto di buttare le cicche entrerà in vigore già domani, anche se per i mille posacenere promessi da Cioni bisognerà attendere settembre.
Esigenze fisiologiche: proibito soddisfarle fuori dai luoghi deputati
Bivacco e campeggio: anche sdraiarsi sul suolo pubblico o sulle panchine sarà vietato, mentre mangiare un panino sui gradini del Duomo sarà ancora permesso
Vendita ambulante: vietata all'interno della cerchia delle mura. Non sarà necessaria la flagranza di reato: i vigili potranno anche multare chi detiene borsoni in cui sia contenuta merce "che per quantità e qualità non costituiscano il normale acquisto personale"
Scritte o disegni sui muri: sono vietati, ma è stata modificata la norma “beffa” secondo la quale il ripristino sarebbe stato a carico del proprietario del muro imbrattato; se ne occuperà invece l'amministrazione comunale
Locali pubblici: dovranno garantire la quiete e la pulizia al loro interno ed esterno. Sarà obbligatorio mantenere i bagni in buono stato e consentirne l’utilizzo a chiunque ne faccia richiesta.
Accattonaggio: si può chiedere l’elemosina a patto di non essere d’intralcio. Sarà vietato utilizzare animali di qualsiasi specie per mendicare.
Aiuole: sarà permesso calpestarle, a meno che il divieto non sia palesemente espresso
Artisti di strada: vietati tutti gli spettacoli che non siano stati autorizzati dal Comune
Prostituzione: proibito esercitarla con abbigliamento e atteggiamento non rispondente ai canoni della pubblica decenza e nelle zone abitate

Corriere della Sera 10.8.08
Firenze Cioni, l'uomo delle ordinanze anti-lavavetri: no a candidati imposti dall'alto. E la base pd è con lui
L'assessore sceriffo: primarie vere o scateno la rivolta
di Marco Gasperetti


FIRENZE — Davanti a Palazzo Vecchio, nel cerchio che ricorda il rogo del Savonarola, l'assessore lancia l'ultimatum al partito: «Sono stato un bravo soldato, ho ubbidito, sempre. Stavolta però scateno una rivolta». Che non sarà quella dei Ciompi, che nell'agosto del 1378 sconquassò Firenze, ma che si annuncia velenosissima, tutta da combattere tra le mura del Pd.
Graziano Cioni, 61 anni da Empoli, l'amministratore sceriffo delle ordinanza contro lavavetri e abusivi, mendicanti e ragazzacci ubriachi e denunciatore di corruttori (ne ha fatti arrestare due con le mazzette in mano), ha deciso di contrastare chi, come Roma e parte dell'establishment del partito fiorentino e toscano, ha deciso di «trasformare in una burletta» le primarie del Pd per l'elezione, nel 2009, del nuovo sindaco.
«Vogliono primarie di coalizione per imporre un paio di candidati scelti dal partito senza consenso popolare — spiega Cioni —. Insomma si rifiutano, di far votare la base, la gente, il popolo».
I tumulti, che Cioni annuncia, potrebbero arrivare entro le prime due settimane di settembre, quando l'assessore organizzerà l'assemblea dell'Associazione Firenze democratica, 2.600 inscritti, componente politica del Pd fiorentino, inventata dallo stesso Cioni e alla quale aderiscono il presidente del consiglio provinciale, Massimo Mattei e gli assessori comunali all'Economia, Riccardo Nencini e al Bilancio, Tea Albini.
«Nel Salone rosso del palazzo dei congressi decideremo che nessuno può fare trucchi — annuncia Cioni — come la candidatura di Rutelli che fu decisa da Veltroni. Diremo che i candidati del partito a sindaco li devono scegliere i nostri elettori, che le nomenclature non esistono più e le telefonate da Roma sono fuori dalla storia».
I detrattori dicono che dietro la crociata di Graziano, dalemiano di ferro, c'è anche un bel conflitto di interessi. Cioni, se pur non ufficialmente, è un candidato sindaco in pectore. È stato lui ad ottenere in due sondaggi le maggiori preferenze della base dopo Achille Serra e siccome la candidatura dell'ex prefetto di ferro è tramontata, lo «sceriffo» avrebbe grandissime possibilità di sedere sullo scranno più alto del Salone dei Duecento. A oggi l'unica candidatura ufficiale è quella di Daniela Lastri, assessore all'Istruzione e circolano i nomi del parlamentare Lapo Pistelli e del presidente della Provincia, Matteo Renzi, mentre l'ex ministro Vannino Chiti, dalle pagine del Corriere Fiorentino, ha declinato l'offerta.
A riprova dell'apprezzamento di Cioni ieri è arrivato un documento firmato da un quarto dei coordinatori dei circoli del partito, le vecchie sezioni, nel quale si ammoniscono Roma e la nomenclatura fiorentina e toscana del Pd, a non imporre candidati.
A difendere la scelta di primarie di coalizione sono da Roma il responsabile nazionale Organizzazione dei democratici, Andrea Orlando e il presidente della Regione, Claudio Martini. Con Cioni, per primarie «senza candidati imposti», c'è il segretario del partito fiorentino, Giacomo Billi, per ora in religioso silenzio. Un soldato pure lui. Sull'orlo di una crisi di nervi.

l’Unità 10.8.08
«Ritardi e anestesisti obiettori: la mia Odissea per un aborto terapeutico»
di Gioia Salvatori


La storia di Cinzia: il feto era idrocefalo, la scelta di intervenire. «Se hai un figlio malformato non importa a nessuno»
Martedì le analisi, solo ieri l’operazione dopo giorni di dolori. «La lista dei non-obiettori? A ostetricia non c’è»

VENERDÌ PRIMO agosto, venerdì 8 agosto. La settimana più lunga di Cinzia, nome di fantasia, è iniziata quando in un centro privato del veronese un uomo in camice bianco le ha consegnato l'ecografia morfologica del suo primo figlio, quello che da 20 settimane era nella sua pancia. Idrocefalo e con i reni displastici, «incompatibile con la vita», come si dice in gergo medico. Cinzia e il suo compagno non hanno dubbi: il bambino non sopravviverebbe, portarlo fino al nono mese non ha senso. Optano per l'aborto terapeutico. Il tempo c'è, due settimane, ma i giorni passano tra Verona e Roma in un ordinario calvario di informazioni sbagliate, ferie d'agosto, medici e anestesisti obiettori che non praticano neppure l'aborto terapeutico. Solo ieri all'ora di pranzo, dopo 8 giorni dalla diagnosi e un viaggio da Verona a Roma, Cinzia ha espulso il feto, morto, all'ospedale romano San Camillo-Forlanini. È successo in un reparto di maternità, tra mamme felici, neonati e papà con i mazzi di fiori: il reparto di ginecologia di uno dei più grandi ospedali romani, infatti, è chiuso dal 4 agosto al 7 settembre per mancanza di infermieri. Appena tornata dalla sala parto, dopo tre giorni passati tra contrazioni e vomito, Cinzia si sente serena ma racconta di una settimana dura: «Anche se al San Camillo mi hanno accolto e coccolato per quanto potevano - racconta - ho pensato più volte che se nella pancia hai un figlio malformato, di quel bambino non importa niente a nessuno». L'ordinario calvario di Cinzia è iniziato lunedì al nosocomio veronese Borgo Roma: «Mi hanno prospettato uno scenario devastante: mi hanno detto che, come da prassi, avrei dovuto fare risonanza magnetica al bambino più due visite psichiatriche e che la mia fertilità futura era a rischio. Mi hanno chiesto anche perché avevo fatto la villocentesi». Cinzia, 33enne con un buon lavoro nel terziario e una relazione stabile, quel figlio lo vuole. Ma non per farlo nascere e vederlo morire. Così sfrutta un contatto a Roma, città di cui è originaria, e, passato lo scorso weekend, va dritta al San Camillo. «Martedì ho fatto le analisi, mercoledì pomeriggio hanno iniziato a indurre il parto ma il mio corpo non reagiva e io pensavo di cavarmela in due giorni, volevo cavarmela in due giorni perché ogni ora, quando sei in questo stato, è un'eternità. Quando venerdì mattina mi hanno detto che non c'era l'anestesista non obiettore sono andata in tilt». Così la donna contatta i giornali e i vertici dell'ospedale. Solo alle 21 si trova un anestesista che fa l'epidurale a Cinzia che, nel frattempo, è stata portata in sala parto. «Venerdì mattina non c'erano le condizioni cliniche per fare l'epidurale alla donna - racconta Giovanna Scassellati, medico responsabile del reparto per la 194 del San Camillo - Ciò non toglie che il problema degli anestesisti obiettori (4 su nove anestesisti del reparto ostetricia n.d.r.)ci sia, e non solo durante l'estate ma anche d'inverno. Nel reparto per la 194 mi è capitato di non poter praticare aborti fino a mezzogiorno perché non c’era l’anestesista».
Eppure nell'ospedale ci sono in tutto 152 anestesisti. Però in ostetricia, dove sarà ricoverata fino a domani Cinzia, non hanno la lista dei non obiettori: «Pur avendola richiesta da due anni» - come racconta il primario Claudio Donadio. Non solo obiezione di coscienza, dunque, il calvario di Cinzia è una storia fatta anche di disorganizzazione ospedaliera, di reparti chiusi per ferie e reparti che non comunicano. Eppure l'ordinario calvario di Cinzia si sarebbe potuto evitare se in Italia fosse stata disponibile la pillola abortiva Ru 486: «Induce il parto in 6 ore - spiega la Scassellati - le prostaglandine possono agire anche dopo una settimana. Questa pillola ha passato l'esame della commissione farmaco all'Aifa, quanto dovremo ancora aspettare per poterla usare negli ospedali? Per altro non dà gli effetti collaterali portati dalle prostaglandine, vomito e dolori in primis». Ma questo è un altro capitolo. In attesa che qualcuno si ricordi di scriverlo le donne continueranno ad espellere i loro figli malformati e destinati alla morte dopo tre giorni di contrazioni, dolori e pensieri devastanti. Forse sotto anestesia, sempre che ci sia il medico non obiettore, forse nel reparto giusto, a meno che non sia chiuso per ferie.

l’Unità 10.8.08
Vincenzo Carpino, Presidente dell’associazione rianimatori-anestesisti
«Nessuna omissione di soccorso la coscienza prima di tutto»
di Massimo Palladino


Il caso del San Camillo di Roma, riporta l’attenzione sulla presenza di ginecologi e anestesisti non obiettori nelle strutture dove viene praticata l’interruzione di gravidanza. Vincenzo Carpino è il presidente dell’Aaroi, l’associazione che rappresenta 50mila medici rianimatori-anestesisti in tutta Italia.
Tenendo bene a mente che c’è una precisa normativa in vigore, perché si verificano situazioni simili?
«Nelle strutture pubbliche deve essere garantita la presenza di figure che assolvano a questo compito, mi riferisco al ginecologo e all’anestesista. Questi due professionisti hanno la possibilità di dichiarare, scrivendolo, di essere obiettori. Per quanto riguarda gli anestesisti la media nazionale dei non obiettori si aggira attorno al 30%. Nel nostro lavoro, nelle unità operative si prevede una serie di compiti: cito l’anestesia generale, la terapia del dolore, la terapia iperbarica, la presenza in prima linea con il 118 e naturalmente c’è l’interruzione di gravidanza. A questo punto poniamo il caso che su dieci medici in servizio, tre siano non obiettori. Occorre organizzare il lavoro in maniera tale che nessun giorno rimanga scoperto. Cioè i medici non obiettori devono essere presenti e garantire l’attività in maniera corretta. In questo caso, il periodo di ferie avrà scombinato i turni e così si è trovato l’anestesista obiettore invece che non obiettore».
Dove può arrivare il “no” del medico obiettore, detto altrimenti qual è il limite tra diritto alla salute e omissione di soccorso?
«L’obiezione va rispettata per legge e la norma prevede che si rispetti l’obiezione prima di ogni altra cosa. Nessuno può costringermi a fare l’aborto. È compito della dirigenza della struttura organizzare e coprire adeguatamente i turni di servizio».
La domanda è come mai non c’era?
«Intanto prendiamo atto della nota dell’ospedale Comunque è un problema comune a tutti gli ospedali: gli anestesisti sono pochi, gli obiettori ancora meno e le attività non riescono ad organizzarsi come si deve».

l’Unità 10.8.08
Amato con Alemanno, il Pd si divide
Cofferati e Cacciari: operazione che non convince. Martina e Zanda: scelta limpida, non demonizzare
di Andrea Carugati


GIULIANO AMATO come Attali per Alemanno-Sarkozy? Due giorni dopo l’annuncio del sindaco di Roma, la scelta dell’ex ministro degli Interni di presiedere una commissione bipartisan per lo sviluppo di Roma Capitale continua a non suscitare grandi entusiasmi nel Pd. Di secchi no alla collaborazione ne sono arrivati solo un paio, quello di Rosy Bindi e quello di Franco Monaco. «Un’iniziativa che non mi piace, il confronto tra maggioranza e opposizione si fa in parlamento», ha detto l’ex ministro della Famiglia. Molti dirigenti Pd, complice la giornata estiva, scelgono di non commentare. Enrico Letta, pur premettendo che «la scelta di Amato è condivisibile», spiega che «scimmiottare la commissione Attali, che in Francia è già di fatto tramontata, mi pare solo provincialismo».
Perplessi anche due sindaci di primo piano del Pd come Cofferati e Cacciari. «I rapporti tra maggioranza e opposizione sui grandi temi sono sempre auspicabili», dice il sindaco di Bologna, «ma in questo caso mi sembra che i grandi temi non ci siano, mi sembra soprattutto un’operazione politica. Capisco la commissione promossa da Sarkozy, ma questa ripetizione su scala ridotta dello stesso modello ha una finalità tutta politica, diversa da quelle dichiarate. In Francia si parlava di grandi riforme per rilanciare una nazione, non vedo l’esigenza di coinvolgere personalità così autorevoli come Amato per affrontare temi amministrativi». Un operazione di immagine di Alemanno? «La gente giudicherà i risultati, se non ci saranno l’operazione si ritorcerà contro chi l’ha promossa». Ma queste operazioni possono confondere l’elettorato del Pd? «Credo che questa mossa lasci piuttosto indifferenti, non determinerà alcuna pulsione tra gli elettori, nè in positivo nè in negativo», conclude Cofferati. Cacciari è sostanzialmente d’accordo: «Non ho davvero capito quali siano i compiti di questa commissione». E gli elettori? «Quelli del Pd sono già molto confusi a prescindere dalla scelta di Amato, che avrà un peso irrisorio». «Però Amato potrebbe essere utile ad Alemanno: visto che i Comuni, come al solito, sono massacrati dai tagli avere al proprio fianco un uomo così potente e con rapporti urbi et orbi potrebbe essere un modo per sfangarla...», chiude Cacciari.
Tra i favorevoli all’operazione Francesco Boccia, deputato vicino a Letta e iscritto all’associazione dalemiana Red: «Polemizzare su una scelta limpida come quella di Amato è sintomo di una visione partigiana e miope della politica. Spero che nel Pd si smetta di considerare come tradimenti delle forme alte di collaborazione istituzionale». Un’opinione analoga l’aveva espressa nei giorni scorsi fa il vicecapogruppo in Senato Luigi Zanda: «Se Berlusconi fosse stato intelligente, l’avrebbe chiamato lui Amato per una commissione Attali nazionale». Anche Maurizio Martina, segretario del Pd lombardo, sottolinea questo aspetto: «Alemanno una mossa l’ha fatta, mentre a livello nazionale gli annunci di Berlusconi sul dialogo non hanno avuto alcun seguito, anzi i comportamenti del centrodestra sono andati tutti nella direzione opposta. Amato ha sempre avuto una propensione al dialogo istituzionale, la sua scelta non mi sconvolge e non capisco i polveroni».
Critico Antonio Di Pietro: «Rispetto la scelta di Amato, ma io non l’avrei fatto, per non dare un messaggio di compromesso politico. Temo che gli elettori del Pd vadano in confusione: prima ce la prendiamo con Alemanno che ha sparato addosso a Veltroni e poi collaboriamo con lui? No, hanno vinto dunque si assumano la responsabilità di governare, è troppo bello che sia uno del Pd a togliergli le castagne dal fuoco». Sulla scelta di Alemanno, il leader dell’Idv ha le idee chiare: «È furbo, prende due piccioni con una fava: ingabbia l’opposizione e arruola uno che può aiutarlo a risolvere i problemi».

Corriere della Sera 10.8.08
Israele e la Pensione finale
di Sergio Luzzatto


Nella sensibilità collettiva dell'Occidente, l'immagine di Israele è indissolubilmente legata — non senza ragioni — alla tragedia storica della Shoah. E le classi dirigenti dello Stato ebraico non hanno mai rinunciato, né rinunciano a utilizzare la memoria di quella tragedia come uno strumento della loro politica estera. Ma in politica interna, il destino dei sopravvissuti della Shoah è sempre stato meno glorioso di quanto noi occidentali potremmo essere tentati di credere. Lo dimostra anche una misura recentissima del governo Olmert, che ha deciso di rinviare al 2009 l'eventuale versamento di una (modesta) pensione agli ultimi 43 mila superstiti israeliani della «Soluzione finale» (età media, ottantaquattro anni). Nello Stato ebraico si assiste così a un paradosso che andrebbe considerato derisorio, se non fosse scandaloso. Secondo dati raccolti dall'ufficio stesso del primo ministro, l'ottantasette per cento degli anziani più poveri di Israele sono uomini e donne scampati ai campi di sterminio.

Corriere del Trentino e Alto Adige inserto del Corriere della sera 10.8.08
Il sogno tra epica e simbologia
Viviamo due ore a notte nel mondo onirico l'espressione più segreta e impudica dell'io
di Brunamaria Dal Lago Veneri


Quest'anno sono così sprofondata nel lavoro di raccontare che me lo sogno persino di notte con frasi e citazioni talmente vive che... magari le avessi da sveglia. «E Dolasilla, la principessa dei Fanes, sognò di cavalcare in una landa desolata con grandi rocce color della luna e cespugli di ginepro neri e minacciosi». Oppure: «Nel cuore della notte, Gilgamesch si svegliò di soprassalto. "Mi hai forse svegliato tu? — chiese al compagno — Perché, se non sei stato tu, deve essere stata la forza del mio sogno. Infatti ho sognato che la montagna ruzzolava sopra di me, quando d'un tratto appariva davanti ai miei occhi l'uomo più bello del mondo, che mi tirava fuori da sotto i macigni e mi rialzava in piedi". "Amico — rispose Enkindu — il tuo sogno è un presagio" ».
La prima citazione è dal poema epico Il Regno dei Fanes, il più antico dei poemi epici delle Dolomiti; la seconda deriva dalla storia più antica del mondo, ed è la storia di Gilgamesch, più antica della Bibbia e perfino di Omero, più antica dei poemi epici indiani. I popoli che la scrissero furono i Babilonesi, gli Assiri, gli Ittiti, i Cananei e risalgono a 1600-1250 anni prima di Cristo, ma di sogni premonitori si parla nella Bibbia, in Omero, «la via dei Canti» é secondo Bruce Chatwin, il mezzo evocativo delle storie degli antenati, cioè il sogno.
Ma cos'è il sogno? Secondo Frederic Gaussen il sogno è il simbolo dell'avventura individuale, così profondamente collocato nell'intimità della coscienza da sfuggire allo stesso creatore, il sogno è l'espressione più segreta e impudica di noi stessi. Almeno due ore per notte viviamo nel mondo onirico dei simboli... quale fonte di conoscenza su di noi e sull'umanitá se potessimo sempre ricordarceli tutti e interpretarli!
L'interpretazione dei sogni, ha detto Freud, è la via maestra per giungere alla conoscenza dell'anima.
Le idee sul sogno, come simbolo, si sono molto evolute e non spetta a me di farvene la storia. Anche oggi gli specialisti sono divisi. Per Freud sono l'espressione, cioè il compimento, di un desiderio represso. Per Jung l'autorappresentazione, spontanea e simbolica, della situazione attuale dell'inconscio, per J. Sutter, ed è la definizione meno interpretativa, il sogno è un fenomeno psicologico che si produce durante il sonno ed é costituito da una serie di immagini il cui svolgimento rappresenta un dramma più o meno concatenato.
Il sogno sfugge quindi alla volontá del soggetto: il suo svolgersi notturno è spontaneo ed incontrollato. La coscienza della realtà si cancella e si dissolve il senso della propria identitá. Il confine fra la notte e il giorno viene sorpassato: «La vita è sogno» scriveva Calderon della Barca, e Chuang-tzu, poeta cinese, non sa più se è Chuang-tzu ad aver sognato di essere una farfalla, o se è una farfalla che ha sognato di essere Chuang-tzu.
Roland Cahen, sintetizzando il pensiero di Jung, scrive: «Il sogno è l'espressione dell'attività mentale che vive in noi, che pensa, sente, esperimenta, specula in margine alla nostra attivitá diurna e a tutti i livelli, dal piano piú strettamente biologico a quello più spirituale dell'essere, senza che noi lo sappiamo coscientemente ». Quale valore quindi attribuire alla attivitá onirica? Le risposte sono più d'una, in conformitá con i vari livelli di interpretazioen. La visione che si ha in sogno è un fenomeno, un evento, o invece, facendo parte di quel livello umano in cui non si esercita la volontà, rientra nell'area dell'irrazionale, del proveniente da «fuori »? L'antico Egitto dava ai sogni un valore soprattutto premonitore. «Il dio ha creato i sogni per indicare agli uomini la strada su cui possono scorgere l'avvenire », dice un libro sapienziale.
I sacerdoti-lettori, scribi sacri od onirocriti, interpretavano nei templi i simboli dei sogni, seguendo le indicazioni trasmesse di generazione in generazione. La divinazione attraverso i sogni o oniromanzia, era praticata ovunque. Chi non ricorda gli aruspici, gli auguri, sacerdoti che interpretavano il volere degli dei attraverso l'osservazione dei sogni celesti? Il rituale dell'auspicio è una paratica divinatoria di antichissima origine, condivisa dai Romani, dai Veneti, i Sanniti, e altre popolazioni italiche, ed è passata agli Etruschi, che sembra l'abbiano derivata dal contatto con la cultura con il vicino Oriente e ritrovata anche presso i popoli celtici.
Per tutti gli Indiani dell'America del nord, il sogno è il segno ultimo e decisivo dell'esperienza. I sogni sono all'origine della liturgia, conferiscono il potere allo sciamano, da loro proviene la scienza medica, il nome che si dará ai figli e i tabù. Sono i sogni che ordinano le guerre, le battute di caccia, le condanne a morte, gli aiuti da recare. I sogni sono il tramite con gli antenati che comunicano in questo modo con i vivi dando loro dei veri e propri messaggi.
Ma quali sono e come si possono catalogare i sogni? Primi fra tutti ci sono i sogni profetici, attribuiti a potenze celesti. Poi ci sono i sogni iniziatici, dello sciamano o dell'eletto o del profeta, che attraverso il sogno si vede attribuito un compito o una via (l'illuminazione del Buddha, Maometto predestinato ad essere l'apostolo di Allah, i sogni dei fondatori di ordini religiosi, le apparizioni, i miracoli, i santuari).
Ci sono poi i sogni telepatici, che mettono in contatto con pensieri o sentimenti di persone o di gruppi lontani. I sogni di sogni di altri, la capacità di entrare nei sogni altrui. I sogni visionari che propongono visioni, per lo più mistiche che innestano processi di cambiamenti. La visione-rivelazione di Mose é paradigmatica: la visione-sogno del roveto ardente è la promessa segno della liberazione del popolo dall'Egitto. I sogni premonitori che avvisano di avvenimenti. Per ultimi i sogni ad occhi aperti, che mettono in atto tutto il bagaglio delle speranze e delle aspirazioni dell'uomo.
Ma quali sono allora le vere funzioni del sogno? Ci si potrebbe chiedere se la mancanza di sogni è un grave segno di squilibrio mentale. I desideri, le angosce, le difese, le aspirazioni, le frustrazioni dello stato conscio troveranno nelle immagini oniriche ben intese una salutare compensazione?
Da ciò deriva necessariamente l'analisi dei simboli onirici, il loro contenuto, il significato e la sua finalità. E qui la storia non ha più fine, perchè si imbastardisce fra le analisi psicologiche e le credenze magiche.
Non bisogna mai dimenticare che si sogna sempre di sé e attraverso se stessi. Che cos'è il libro dei sogni e la lettura dei sogni? Perchè ai sogni si unisce spesso un numero (da giocare al lotto)? Come finire?
Sognando di sognare, magari il sogno di un altro.

Repubblica 10.8.08
E tutti sparavano sul quartier generale
di Eugenio Scalfari


TANTE cose che accadono tutte insieme e delle quali ci sfugge il senso. Tante casematte munite di potenti cannoni che sparano da parti diverse sul Quartier Generale. Ma esiste ancora un Quartier Generale? Tanta confusione sotto il cielo che segnala l´emergere d´una nuova storia. Oppure è la vecchia storia che sotto forme diverse si ripete con inevitabile monotonia? Il potere. Quella che sta andando in scena a tutti i livelli è ancora una volta l´eterna vicenda del potere, quello mondiale e quelli locali, scontro di poteri vecchi e nuovi, terremoti improvvisi e scosse di assestamento. Aumentano dovunque le diseguaglianze. Tra ricchi e poveri, tra esclusi e inclusi, tra giovani e vecchi, tra istruiti e ignoranti, tra sani e malati, tra Nord e Sud e Est e Ovest, tra religioni e miscredenze, tra maschi e femmine, tra fanatici e tolleranti. Le popolazioni del pianeta hanno le convulsioni e non sappiamo se esse anticipano un generale declino o piuttosto una nuova aurora. Del resto non è la prima volta e il XX secolo è stato attraversato da fenomeni analoghi.
Ma questo che si sta svolgendo sotto i nostri occhi è amplificato dalla tecnologia. Avviene ed è percepito dai quattro angoli del mondo in tempo reale e questo fa la differenza.
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I giochi olimpici si svolgono in un immenso paese dominato da un regime autocratico che si sta modernizzando con un tasso di crescita dell´8 per cento l´anno. Un miliardo e 300 milioni di anime delle quali almeno un terzo sono già incluse nella civiltà dei consumi mentre un altro terzo vi entrerà tempo una o due generazioni.
L´autocrazia spinge e regola il mercato. Pervasa dalla corruzione come tutte le autocrazie e come tutte le democrazie, l´austerità non alligna in nessun luogo dalla Grecia di Pericle alla Roma dei Cesari, dalla Compagnia delle Indie alle Corti del Rinascimento.
I giochi rappresentano uno scenario ideale per celebrare la lealtà sportiva e l´amicizia tra i popoli in un contesto di lotte sordide e corposi interessi. In piccolo ne vediamo la ripetizione domestica per quanto sta accadendo all´Expo milanese: Moratti, Tremonti, Formigoni, Ligresti e i leghisti del Dio Po. Spettacolo consueto, niente di nuovo.
Ma a Pechino la posta è immensamente più grande. Una grande potenza emergente si presenta ufficialmente al mondo gettando sul piatto della bilancia il peso della sua forza demografica, economica, politica, militare. La Cina si apre scaricando sul resto del mondo la sua domanda di petrolio, di materie prime, di manufatti, la nube tossica del suo inquinamento, il vincolo tra potere autocratico e sviluppo economico. Ancora una volta i contadini pagano il prezzo del risparmio forzato e dell´accumulazione del capitale. L´esercito di riserva fornisce il combustibile necessario a modernizzare il paese dei «mandarini» e del Celeste Impero.
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Nelle stesse ore è scoppiata la guerra tra Russia e Georgia. Mentre scriviamo i bombardieri distruggono il porto principale della Georgia e sganciano razzi e bombe sulla regione.
La posta apparente è l´Ossezia del Sud, un lembo di terra montuosa senza importanza geopolitica ed economica. Ma dietro un minuscolo problema di sovranità c´è l´aspirazione della Georgia ad entrare nella Nato e il desiderio dell´America di accoglierla mettendo un´ipoteca caucasica sul fianco della Russia. Il Caucaso è una terra di cerniera tra Occidente e Oriente, tra il Caspio e il Mar Nero. Lo fu per Alessandro il Grande, lo fu per i mongoli, lo è stato per l´impero inglese ed ora per gli Stati Uniti, ricco di petrolio e sede di transito dei grandi oleodotti che arrivano fino alla Mesopotamia e al Mediterraneo.
La Georgia è la chiave di quella zona del mondo. Il suo esempio di indipendenza può contagiarsi in vasti territori dell´Asia Centrale, le repubbliche islamiche che premono anch´esse per entrare nella galassia euro-americana fino all´Ucraina e alle terre cosacche.
Perciò la reazione russa sarà durissima come lo fu ai tempi di Shevardnadze, il grande comprimario della "perestrojka" ai tempi di Gorbaciov e poi dittatore della Georgia fino alla rivolta popolare che portò alla sua caduta.
Ma lo scossone georgiano sarà avvertito anche a migliaia di chilometri di lontananza. Avrà ripercussioni sulla lotta all´ultimo voto tra Barack Obama, e John McCain, tra i democratici buonisti e i repubblicani intransigenti e conservatori. Bush ha dato per primo il segnale e McCain l´ha seguito a minuti di distanza. Obama ci ha pensato tre ore per allinearsi ma la sua credibilità è scarsa su questo tema; le bombe dei bombardieri russi su Tbilisi spostano voti preziosi in Pennsylvania e in Texas, sulla costa occidentale e nelle grandi pianure dell´Ovest.
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Accade intanto un fatto strano: il prezzo del petrolio diminuisce da due settimane dopo aver superato il traguardo dei 160 dollari al barile. Si pensava che la guerra nel Caucaso lo riportasse al rialzo e ce n´erano parecchi motivi, invece, quando già tuonavano i cannoni e si accatastavano centinaia di morti, il prezzo del greggio ha toccato il minimo di 115 dollari. Le scorte Usa sono in aumento. Contemporaneamente il dollaro si apprezza rispetto all´euro che da 1,60 è sceso in pochi giorni a 1,50.
Petrolio debole, dollaro più forte. Chi pensava che l´ascesa del greggio fosse frutto prevalentemente della speculazione e proponeva lotta ad oltranza per stroncarla si dovrà ora ricredere: la speculazione precede, come è suo utile compito, l´andamento reale delle curve di domanda e di offerta; quando la domanda supera un´offerta la speculazione gioca al rialzo ma quando si indebolisce gioca al ribasso.
Ora la domanda dei consumatori occidentali è in drastica riduzione, il prezzo era andato troppo in alto, i consumi in America e in Europa si sono contratti, la speculazione punta dunque al ribasso. Le proposte e la diagnosi di Tremonti erano sbagliate e non faranno passi avanti.
Il dollaro segue il petrolio: aumentano e diminuiscono insieme. Ma prima che questi movimenti si ripercuotano sui mercati locali passerà un tempo tecnico la cui durata dipende da vari fattori: la lunghezza dei circuiti distributivi, le loro malformazioni monopoloidi, la mancata liberalizzazione delle catene commerciali ed anche alcune imposte mal pensate. La Robin Tax su petrolio ed energia è una di quelle, dovrebbe dare un gettito di oltre 4 miliardi che in gran parte si trasferiranno sulle bollette dei consumatori, ma ne daranno assai di meno se il consumo diminuirà come sta avvenendo, con inevitabili ripercussioni sul gettito.
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In realtà lo spettro della "stagflation" si aggira sull´Europa e sull´Italia in particolare che da due trimestri è a crescita zero. Se il terzo avrà lo stesso andamento o peggio, saremo per la prima volta dopo molti anni ufficialmente in recessione.
I sindacati sono preoccupati, le industrie e il commercio sono preoccupati, Emma Marcegaglia è preoccupata e anche Tremonti lo è. Se cercate uno che non lo sia lo troverete facilmente nel "premier" Silvio Berlusconi che ringrazia la sua squadra di governo e ritiene che la legge finanziaria appena approvata sia la migliore del mondo, loda il suo superministro dell´Economia e promette che passata la buriana saremo più forti di prima.
«Più forti e più felici di pria». Ricordate il Nerone di Petrolini? «Grazie» gridava una voce dalla piazza. «Prego» rispondeva Nerone-Petrolini con la cetra in mano dagli spalti del Palatino. «Grazie» «prego», «prego», «grazie», «prego» in uno scambio sempre più rapido ed esilarante.
Tito Boeri nel nostro giornale di ieri ha qualificato come pessima la Finanziaria di Tremonti. Non ripeterò se non per dire quanto sia falsa l´affermazione «non metteremo le mani nelle tasche degli italiani, ma taglieremo le spese». Tagliare gli sprechi è un conto, tagliare 16 miliardi di spese è un conto diverso.
Quel taglio significa mettere le mani nelle tasche degli italiani; che altro avviene infatti quando si tagliano stipendi, contributi agli enti locali, minori posti letto e chiusura di ospedali, imposizione di ticket, peggioramento dei servizi? Crescita zero del reddito? Inflazione? Non è un altro modo di mettere le mani nelle tasche? Pensate che sia un modo indolore?
Se si tagliano così profondamente e indifferenziatamente le spese, bisogna compensarle in qualche modo. Bisogna scegliere chi si può penalizzare e chi no. Una cosa è certa: la tassa inflazione colpisce i redditi fissi cioè il lavoro. Qualcuno ci rimette, qualcuno ci guadagna, anche qui a livelli diversi si riproducono diseguaglianze e lotta per il potere. Nulla è neutrale e chi vuol darcela da bere è un emerito imbroglione.
Post Scriptum 1. Due giorni dopo l´entrata in scena dei militari nel sistema della sicurezza pubblica alcune villette di Sabaudia (chissà quante altre in tutta Italia) sono state depredate dai ladri. Tra di esse quella affittata da Veltroni in cui dormivano la moglie e la figlia. Ma dov´erano quella sera i lancieri di Montebello? Caro Walter non ti fidare: i ladri se ne fregano delle ronde interforze che magari arresteranno un marocchino in più ma non riusciranno ad ottenere un furto in meno. Meglio ingaggiare un vigilante privato. Costa, ma dà lavoro e protegge.
Post Scriptum 2. Sento dire che l´amico Giuliano Amato è amareggiato perché alcuni del Pd criticano la sua accettazione della presidenza di una Commissione voluta congiuntamente dalla Regione Lazio (centrosinistra) dalla Provincia di Roma (idem) e dal Comune capitolino (Alemanno). Amato ritiene che una Commissione bipartisan sia utile a svelenire gli animi e ad avviare un dialogo costruttivo tra le forze politiche, sia pure a livello locale, sulla linea anticipata dal Presidente Napolitano.
Personalmente credo che Amato abbia ragione ma qualche dubbio ce l´ho anch´io. Non sull´esistenza della Commissione e tanto meno sulla presidenza di Amato, ma sui compiti affidati a quell´organismo. Che deve fare? Si dice: studiare la nuova architettura istituzionale della Capitale. Ma ci vuole una Commissione per questo? Si scavalcano i Consigli comunali provinciali regionali? O se ne occupa una Commissione esterna o se ne occupano i Consigli, una delle due entità è uno spreco di troppo.
Ma si dice anche che la Commissione dovrà fornire idee sul futuro della Città eterna. Che genere di idee? Coltivare il pistacchio nei prati dell´Eur sarebbe un´idea? Istituire un servizio di mongolfiere o di elicotteri tra l´aeroporto di Fiumicino e la terrazza del Pincio sarebbe un´idea?
Mi viene in mente una poesia satirica del Ragazzoni che aveva come suo principale hobby quello di scavare buchi nella sabbia. "Sento intorno sussurrarmi che ci sono altri mestieri / Bravi, a voi! scolpite marmi / combattete il beri-beri /coltivate ostriche a Chioggia / filugelli in Cadenabbia / fabbricate parapioggia / io fo buchi nella sabbia".

Repubblica 10.8.08
È il seguito della guerra tra Russia e occidente. In mezzo un popolo innocente
La rabbia di Iosseliani: "Una guerra assurda"
Il regista georgiano che vive in Francia si scaglia contro le "velleità imperialiste" di Mosca: "Il mondo è stato indifferente"
di Anais Ginori


PARIGI - Dalla sua casa nel Marais, Otar Iosseliani si tiene in contatto costante con Tbilisi. «Questa guerra è assurda, assurda» ripete il regista georgiano che nel 1982 fuggì dall´Urss trovando riparo in Francia. Eterno dissidente e ancora in lotta contro ogni totalitarismo (anche culturale), Iosseliani ha realizzato film di poesia e suggestione, molto amati da un certo pubblico e dalla critica, come "Pastorale", "I favoriti della luna", fino all´ultimo "Giardini in autunno". A lungo, le sue pellicole sono state vietate in Russia. Per lui, che aveva creduto all´indipendenza e all´avvento della democrazia in Georgia, dove è nato nel 1934, sono ore di angoscia. «I miei parenti - racconta - mi dicono cose terribili. E´ già in vigore la legge marziale, siamo vittime di un´aggressione militare dissennata. Sono molto pessimista, la situazione non può che precipitare».
La comunità internazionale può fare qualcosa?
«Finora l´Europa ha volutamente ignorato questo conflitto. Da anni i diplomatici occidentali sanno quello che sta covando. Mai nessuno è voluto intervenire per prevenire l´esplosione della violenza. La Francia ha detto che cercherà una mediazione, ma non ci credo. Siamo arrivati a questa guerra, che rischia di travolgere l´intera regione del Caucaso, nella più totale indifferenza del mondo».
Il presidente Mikhail Saakashvili era stato eletto nel 2004 con grandi speranze, in quella che fu chiamata la rivoluzione delle rose. Anche lui ha compiuto degli errori?
«Saakashvili si è rivelato un folle. Un pazzo. E lo dico nel senso letterale del termine. Siamo nelle mani di un uomo che non ha la minima idea di come si governa ed è in preda al suo delirio di onnipotenza. E´ evidente che si è fatto prendere dal panico, abboccando alle provocazioni della Russia».
Perché l´Ossezia del Sud è così importante per la Georgia?
«I miei nonni erano dell´Ossezia, questa regione ha sempre fatto parte del nostro paese, tranne durante l´Urss. E´ stato Stalin a decidere di frammentare la Georgia, creando l´Ossezia e l´Abkhazia. Creando così due bombe a scoppio ritardato, delle quali adesso i georgiani sono le vittime».
Putin è già andato in Ossezia del Nord per annunciare che la guerra continuerà.
«Anche lui è un pazzo, forse più intelligente di Saakashvili e quindi ancora più pericoloso. Vuole fare una guerra per niente. Stiamo parlando di un fazzoletto di terra che non significa nulla. Nulla. E´ soltanto il simbolo delle nuove velleità imperialiste di Putin. Non vuole rassegnarsi al fatto che la Russia non è più l´Unione sovietica. Farà pagare questo suo sogno imperialista a migliaia di persone, russi e georgiani, che moriranno. Tutto per colpa sua».
La Georgia potrebbe rinunciare?
«Non succederà perché l´esercito georgiano è convinto di poter vincere. E la comunità internazionale presto interverrà per aiutarlo. E così la Georgia si trasformerà in una piazza d´armi dove si combatteranno indirettamente le due superpotenze, Russia e Stati Uniti».
Che notizie ha dai suoi parenti?
«Le persone sono terrorizzate, si sentono terribilmente vulnerabili. Sappiamo di cosa sono capaci i russi, cosa hanno fatto in Afghanistan e in Cecenia. Possono perpetrare atrocità contro donne e bambini, non si fermano davanti a niente».
Lei teme che il conflitto possa allargarsi ad altri paesi?
«E´ molto probabile che la guerra per l´Ossezia del Sud, trascinerà con sé altri conflitti, quello con l´Abkhazia e poi con l´Ucraina, che si sentirà in dovere di appoggiare la Georgia contro l´ingerenza della Russia».
E´ possibile fermare questa escalation?
«L´unica novità che vedo probabile è l´intervento delle Nato. Ma non significherà la fine del conflitto, soltanto la prosecuzione della guerra tra la Russia e le forze occidentali. E´ questo il vero scontro in atto, questo il vero motivo per cui si combatte. In mezzo, c´è un popolo innocente».