sabato 28 marzo 2009

l'Unità 28.3.09
Conversazione con Pietro Ingrao
«Sì, la sinistra non sta bene ma nel mondo oggi c’è una grande novità: Obama»
Intervista di Pietro Spataro


Tu domanda, io rispondo...», ripete spesso Pietro Ingrao. Ha voglia di parlare: della sinistra, del mondo in crisi, della speranza Obama, della lotta per la pace, di Di Vittorio e anche di se stesso. In un angolo del salotto della sua casa a Roma c’è una marionetta di Charlot, l’eroe buffo di Chaplin che tanto ha amato. Su un mobile, tra una foto di Che Guevara e una che lo ritrae con Togliatti, c’è l’immagine (che pubblichiamo qui sotto) di un giovane direttore de “l’Unità” che fa la diffusione. Gliela regalammo noi del giornale per i suoi novantanni. «Mi piaceva molto il lavoro all’Unità...», dice. Il 30 marzo questo storico leader del Pci, ex presidente della Camera e poeta, compie 94 anni.
Cominciamo da qui: il Pd fatica, Rifondazione è in crisi. Che fine ha fatto la sinistra in Italia?
«Tu parli degli errori e della confusione della sinistra italiana: ma io credo che il Pd non sia una forza di sinistra. È un partito moderato, centrista. Quanto alla sinistra – “Rifondazione” e gli altri – purtroppo si è spaccata nelle sue risse. M’auguro ardentemente che torni a discutere costruendo».
Insomma sei pessimista?
«No, non sono pessimista. Cerco di guardare in viso le nostre debolezze. Ma nel mondo ci sono oggi figure e novità profonde. Faccio un nome prima di tutto: Obama. So bene che in Italia il panorama è profondamente diverso. E non è alle viste un Obama italiano».
Dobbiamo rassegnarci a Berlusconi?
«No. Ci mancherebbe altro. Berlusconi ha vinto soprattutto per la debolezza e gli errori dei suoi avversari: ma non ha legami e comunicazione con le forti novità che maturano nel pianeta. È uomo del passato, la sua è una destra vecchia».
Eppure l'Italia somiglia sempre più a lui. Basta pensare alla cultura della paura, alle ronde...
«Io non penso che l’Italia sia diventata tutta berlusconiana. Ma c’è un tumulto più alto e più drammatico nel globo. Si sta scatenando una crisi economica che ha fatto ricordare quella terribile del ’29. Sono prove dure che evocano e ripropongono fortemente la questione del ruolo e della forza del soggetto di classe: le sue forme preziose di autonomia, la sua lettura del mondo, il patrimonio di idee che ha seminato e che ha alimentato una grande storia. Proprio in questi giorni abbiamo visto raccontata in tv la vicenda straordinaria di un umile bracciante pugliese: Giuseppe Di Vittorio, che visse e guidò lo scendere in campo del proletariato del Sud e, attraverso lotte memorabili, divenne un grande capopopolo, un trascinante protagonista della battaglia di libertà e di riscatto delle masse lavoratrici italiane».
Che ricordo hai di lui?
«Ricordo un episodio del lontano ’56: quando pressoché tutto il Pci, me compreso, si schierò a favore dell'aggressione sovietica all'Ungheria, Di Vittorio disse di no e rimase nel partito: e anche per questa ardita limpidezza nelle decisioni, lo amammo molto. Lo rispettavamo tutti, persino Togliatti che pure era cocciuto nelle sue convinzioni, in alcuni momenti anche feroce come fu nella disgraziata polemica con Elio Vittorini».
Abbiamo evocato la crisi economica del 1929. Ci sono somiglianze con le vicende di oggi?
«Credo ci siano tratti in comune su un nodo essenziale: la sorte del lavoro subalterno e la caduta dello sviluppo produttivo. Manca lavoro per gli operai e si producono meno beni».
La crisi del capitalismo sembra ridare vitalità al pensiero di Marx e a quello di Gramsci...
«Tu evochi grandi maestri. Ma da allora tante cose sono mutate. C'è una lettura di un secolo- il grande e terribile Novecento- tutta da rifare. E qui nemmeno Marx e Gramsci bastano. E lo sguardo deve allargarsi all’intero globo».
Ma non sarà che è in crisi il modello del consumismo? Zanzotto, un poeta che conosci, parla di teologia del prodotto interno lordo...
«Amo Zanzotto, ma ho dubbi su questa lettura. Penso alla grande fame che c’è ancora oggi nel mondo, basta pensare all'Africa, all’Asia, all'America Latina. E c’è tanta fame anche qui in Italia, a cominciare dal mio amato Sud. Conosco tanti lavoratori che guadagnano molto poco e hanno scarsissime garanzie quanto al posto di lavoro. Chiedetelo a Epifani e vi dirà se ho ragione».
Rievocando Berlinguer non c’è bisogno, oggi, di austerità, di maggiore sobrietà?
«L'idea dell'austerità non mi convinceva ai tempi di Berlinguer e ancor meno la credo attuale oggi. La grande massa degli uomini non mangia troppo ma troppo poco: alcuni non hanno nemmeno un tozzo di pane...».
Abbiamo ricordato che alla Casa Bianca è cambiato inquilino. Che novità è?
«Prima di tutto la novità sta nell'avere un presidente degli Stati Uniti "nero". Ricordo un libro che si chiamava “La capanna dello zio Tom”: mi prese e mi affascinò, quando lo lessi da adolescente. E non lo dimenticai più. Ebbene, oggi un erede dello zio Tom è presidente degli Stati Uniti. A me colpisce e dà speranza. Poi – certo - è da vedere quanto tutti noi nel mondo sapremo aiutare i tentativi di quel "nero". Intanto però alla Casa Bianca c'è lui, con quel nome: Obama».
Il presidente americano ha già compiuto alcuni passi contro l'idea della guerra. Ma tu credi davvero che sia possibile scacciare la guerra dall'orizzonte degli uomini?
«È una speranza che mi porto da tanto nel cuore. Certo so bene, e amaramente, che la lotta per la pace ha avuto sinora confini troppo limitati e subìto troppe omissioni. È rimasta l'idea di una minoranza. Io stesso per la mia parte sono riuscito a fare troppo poco. Eppure resto testardamente convinto che tener viva l’idea di un mondo in pace sia scegliere un cammino dell’uomo, un’idea di civiltà. Significa leggere in altro modo le facce degli esseri umani che incontriamo per strada ogni mattina».
Alle prossime elezioni Ingrao per chi voterà?
«Per Rifondazione comunista. Non condivido numerose delle posizioni di Ferrero. Tuttavia ritengo che nell’attuale lotta politica sia essenziale la presenza a sinistra di un soggetto politico organizzato. Faccio qualche esempio: in Sinistra e Libertà ci sono tanti compagni che stimo e che mi hanno dato speranza. Penso però che quello che hanno da dire persone come Bertinotti, Vendola, Mussi e la Bandoli è meglio che lo dicano e facciano vivere operando dentro la struttura di un partito, di un soggetto politico “formato”».
Sollecitiamo il poeta: dovessi scegliere una poesia che rappresenti il tempo presente?
«Ti dirò invece la poesia che fra tutte mi piace di più al mondo: “L'infinito” di Leopardi, grande testo lirico su una enorme domanda umana. Se poi dovessi citare due autori del mio tempo che amo da matti ti rispondo: Joyce e Kafka».
E da cinefilo, un regista e un film?
«Dico subito Chaplin: quello di “Tempi moderni”, straordinaria rappresentazione dello sfruttamento capitalistico nella macchina fordista. E poi ne aggiungo un altro, italiano, più scarno, più malinconico: penso a Ladri di biciclette (di De Sica) con quel suo stupendo finale: lui, lo sconfitto, solo nella strada con il figlioletto accanto».
Sembri quasi pentito di non aver fatto cinema, la tua grande passione...
«No, alla fine mi piaceva di più la musica delle parole: più delle immagini».
Ingrao, hai intitolato una tua autobiografia “Volevo la luna”. A 94 anni come ti definiresti: deluso, sconfitto, ottimista?
«Deluso no. La vita è appassionante: mi piace vivere. Mi piacciono i colori della terra, e anche le musiche che da essa stranamente si diramano. Quanto alla luna - se posso dire - l’ho desiderata molto. Sconfitto? Forse mi ci sento e accetto la botta. Ottimista, invece, mi pare difficile esserlo con tanti e tanti anni sulle spalle».

Repubblica 28.3.09
La Federazione degli Ordini: serve diritto mite e condiviso
Medici su testamento biologico "Il Parlamento si fermi a riflettere"


ROMA - Fermarsi e riflettere, in modo che nel passaggio alla Camera, il disegno di legge della maggioranza sul testamento biologico possa essere migliorato. E´ l´appello lanciato non solo dall´opposizione, ma anche dalla Federazione degli Ordini dei Medici, che si sono riuniti appositamente per valutare il testo sul fine vita uscito ieri dall´Aula del Senato.
Il documento degli Ordini dei Medici punta il dito su uno dei punti più controversi del provvedimento: idratazione e nutrizione artificiale, scrivono, «per la comunità scientifica sono trattamenti assicurati da competenze mediche e sanitarie e non forme di sostegno vitale». Per questo i medici, ai quali il ddl lascia l´ultima parola anche in presenza di dichiarazioni anticipate di trattamento, si augurano che il Parlamento sappia produrre «su questa materia così intima e delicata, un diritto mite e condiviso nella certezza di un´etica forte delle persone».
All´interno della maggioranza, intanto, anche il Pri di Francesco Nucara boccia il ddl Calabrò e si dice pronto a sostenere un eventuale referendum. Ma secondo il senatore del Pd Ignazio Marino, che per primo aveva aperto a questa possibilità, non si dovrà arrivare a tanto, perché «ci saranno talmente tanti conflitti negli ospedali» che arriverà prima l´intervento della Corte Costituzionale.

Repubblica 28.3.09
L'Italia che vuole il rispetto del biotestamento
risponde Corrado Augias


Gent. Dr. Augias, la progettata legge sul testamento biologico è frutto di cinque arroganze: etica; scientifica; giuridica; logica in quanto aggirabile varcando una qualunque frontiera. Certo costa, qui viene la quinta: solo chi ha i soldi potrà farlo.
Giovanni Moschini giovanni.moschini4tin.it
Egregio dottor Augias, se la legge sul testamento biologico sarà approvata così, avremo idratazione e alimentazione di Stato. Domanda: chi si occuperà di questi ammalati in coma anche per anni? Non l´ospedale che solleciterà i parenti a trasferire il paziente in struttura adeguata. Chi sono gli Enti gestori di queste strutture?
Lino D. Preatoni lino.preatonipreatoni.com
Caro Augias, si chiama Partito delle libertà. Ma ci nega la libertà di morire in modo naturale, come si è morti da sempre, da millenni, quando la scienza non conosceva ancora sondini e altre tecniche per prolungare una vita vegetale, senza coscienza.
Ezio Pelino pelinoeziotiscali.it
Decine di lettere come ogni volta che un evento percuote in profondità la coscienza degli italiani. La loro maggioranza se dobbiamo stare ai ripetuti e concordi sondaggi. Ancora una volta come nel caso della legge 40 sulla fecondazione assistita ha vinto la gerarchia cattolica imponendo la sua volontà ad un ramo del Parlamento. Per avere un´idea dell´atmosfera in cui si è svolta la discussione ricordo due emendamenti presentati dal senatore Ignazio Marino e respinti dalla maggioranza. Il primo chiedeva che tutte le informazioni per la compilazione del "testamento" fossero pubblicate sul sito del ministero insieme al testo, qual che fosse. Questo elementare diritto all´informazione è stato negato. Il secondo recitava: «La dichiarazione anticipata di trattamento può contenere disposizioni in ordine all´eventuale donazione del proprio corpo, di organi o tessuti a scopo di trapianto, ricerca o didattica, alle modalità di sepoltura e alla assistenza religiosa». Respinto. La coscienza della libertà e la libertà di coscienza sono inseparabili. Al Senato la seconda ha violentato la prima.

Repubblica 28.3.09
Gli scienziati di Lancet sfidano il papa
La rivista inglese attacca Benedetto XVI per le parole contro il preservativo nella lotta all'Aids


Rilievi alla posizione di Ratzinger anche da parte del primate cattolico del Belgio
"Chi pronuncia una falsa affermazione scientifica ha l´obbligo di ritrattarla"

Papa Ratzinger ancora nel mirino di scienziati, politici e, persino, di qualche cardinale per le sue critiche all´uso del preservativo per fermare l´Aids. Contro la posizione del pontefice si è espressa una delle più prestigiose riviste scientifiche del mondo, l´inglese Lancet, che chiede a Ratzinger di «rettificare» quanto sostenuto, perché «ha pubblicamente distorto le prove scientifiche per promuovere la dottrina cattolica sul tema».
«Non è chiaro», scrive la rivista, «se l´errore del Papa sia dovuto a ignoranza o se sia un deliberato tentativo di manipolare la scienza per appoggiare l´ideologia cattolica». Di certo il pontefice «ha detto ai giornalisti che la lotta contro la malattia è un problema che non può essere superato con la distribuzione dei preservativi. I condom, al contrario, possono peggiorare la situazione». Con quest´ultima affermazione, sostiene la rivista, «il papa ha distorto l´evidenza scientifica». È noto infatti che il preservativo «è l´unico e il più efficace fra gli strumenti disponibili per ridurre la trasmissione per via sessuale dell´Hiv».
Nel mezzo della bufera scatenata da queste affermazioni, prosegue Lancet, «il Vaticano ha tentato di moderare le parole del papa, che sul sito web della Santa Sede sono diventate "c´è il rischio che il condom possa esacerbare il problema". Ma quando un personaggio influente fa una falsa affermazione scientifica che potrebbe avere conseguenze devastanti per la salute di milioni di persone, questi dovrebbe ritrattare o correggere la linea».
In difesa delle parole del pontefice si schiera l´associazione cattolica "Scienza e Vita": «Anche con l´editoriale di Lancet ancora una volta ci troviamo di fronte ad una palese forma di disinformazione», controbatte il portavoce Domenico Delle Foglie, «perché non si è voluto capire che il Papa in realtà ha detto che l´Aids non si combatte solo con il condom, ma prima di tutto con la formazione e l´educazione, come è successo in Uganda, che ha ottenuto importanti successi contro l´Aids promuovendo castità, monogamia e, in ultimo, anche il condom. Il Papa non è uno scienziato, è il pastore cattolico che parla ai cattolici».
In difesa di Ratzinger anche il vescovo di Orleans, monsignor Andrè Fort, secondo il quale «tutti gli scienziati sanno che il virus dell´Aids è infinitamente più piccolo di uno spermatozoo. Questo significa che il preservativo non garantisce al 100 per cento». Contro questa tesi è intervenuto il direttore dell´Agenzia nazionale di ricerca sull´Aids, Jean-Francois Delfraissy, che si è detto «scandalizzato da questa presa di posizione completamente falsa». Non meno dure le critiche che arrivano dal Belgio, dove sei deputati hanno proposto al governo il richiamo dell´ambasciatore belga presso la Santa Sede. E una sorprendente critica giunge anche dal primate cattolico del Belgio, il cardinale Godfried Danneels, a parere del quale il Papa sull´uso del preservativo e Aids «non è stato diplomatico». Il porporato ha dichiarato di essere «convinto che con i preservativi non risolve il problema dell´Aids. Ma il Papa avrebbe fatto meglio a non dirlo perché ci sono occasioni in cui l´uso del condom è l´unico modo per salvare una vita».

Repubblica 28.3.09
Gilberto Corbellini, storico della medicina
La Chiesa manipola la scienza ma in Italia si fa finta di niente


«La denuncia di Lancet? Totalmente condivisibile. Solo in Italia nessuno ha il coraggio di dire questa elementare verità», sostiene Gilberto Corbellini, professore di Storia della medicina e Bioetica all´Università La Sapienza di Roma.
Condivide l´accusa sulla manipolazione?
«È dall´evo segnato da Camillo Ruini che le gerarchie ecclesiastiche manipolano sistematicamente la scienza. Il disprezzo per le prove scientifiche era già evidente nel dibattito intorno alla legge 40 sulla fecondazione artificiale. Anche le recenti posizioni espresse sul "fine vita" tradiscono una manifesta volontà di piegare la medicina alla dottrina cattolica. Ma in Italia anche le tesi più antiscientifiche riescono a passare. Nel nostro paese, culturalmente arretrato e affetto da un congenito analfabetismo scientifico, non ci sono più argini».
La colpisce l´attacco di Lancet?
«Non è la prima volta che una rivista scientifica di peso critichi la Chiesa. Anche Science contestò il pontefice a proposito della dottrina degli embrioni. Ora l´accusa di Lancet assume toni molto severi, a ragione: la manipolazione scientifica sull´Aids può avere gravissime conseguenze».

Corriere della Sera 28.3.09
Lancet contro il Papa sul no al preservativo «Manipola la scienza»
di Bruno Bartoloni


ROMA — Lancet, una delle più prestigiose riviste scientifiche del mondo, attacca pesantemente Benedetto XVI per la sua dichiarazione sui preservativi nel corso del recente viaggio in Camerun ed in Angola. Il Papa, afferma in un editoriale, «ha pubblicamente distorto le prove scientifiche per promuovere la dottrina cattolica sul tema». Ed ancora: «Non è chiaro se l'errore del Papa sia dovuto ad ignoranza o se sia un deliberato tentativo di manipolare la scienza». Secondo The Lancet, «quando qualsiasi personaggio influente, che sia una personalità religiosa o politica, fa una falsa affermazione scientifica che potrebbe risultare devastante per la salute di milioni di persone, questi dovrebbe ritrattare o correggere». E commenta così: «Qualsiasi cosa di meno di questo da parte di papa Benedetto sarebbe un immenso disservizio per la salute pubblica, inclusa quella di molte migliaia di cattolici che lavorano senza posa per cercare di prevenire la diffusione dell'Hiv nel mondo».
La Bbc, che ha diffuso con molta evidenza l'editoriale della rivista, lo giudica «di una virulenza senza precedenti». Padre Lombardi, il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, ha replicato che «non c'è nulla da aggiungere» a quanto è andato ripetendo su questo argomento da più di una settimana.
«Si è detto di tutto e di più — ha commentato —. Non mi sembra che si possa dire altro». A sostegno del Papa è intervenuto il vescovo d'Orleans, monsignor André Fort, con considerazioni dal sapore scientifico: «Sapete benissimo e tutti gli scienziati lo sanno: il virus dell'Aids è infinitamente più piccolo di uno spermatozoo. Questa è la prova del fatto che il condom non è una garanzia al cento per cento contro l'Aids». Per il presule francese sui pacchetti di profilattici si dovrebbe scrivere «affidabilità incerta», proprio come sui pacchetti di sigarette è scritto «pericolo».
Il capo dell'agenzia nazionale per la ricerca sull'Aids, Jean François Delfraisey, l'ha immediatamente smentito ai microfoni di Radio France: «Il condom è fondamentale per bloccare il virus dell'Aids: è un dato acquisito e dimostrato». Sempre a difesa del Papa, ma in modo più cauto del vescovo d'Oltralpe, un alto prelato vaticano rimasto anonimo, ha affermato che «è quasi un'ovvietà che il preservativo può fare da barriera al virus, seppure non al cento per cento, ma il punto è che l'illusione di un facile antidoto può incoraggiare comportamenti sociali che sono invece alla base della pandemia».

Repubblica Firenze 28.3.09
Englaro a Firenze "Onorato della cittadinanza"
Lunedì il conferimento. Betori sarà fuori città
Lettera del socialista Falciani per invitare l'arcivescovo alla cerimonia
di Simona Poli


Betori riceve una nuova lettera sul caso Englaro. A portarla in Curia ieri mattina il consigliere comunale dei Socialisti Alessandro Falciani, che scrive all´arcivescovo per chiedergli di partecipare lunedì prossimo alla cerimonia in Palazzo Vecchio in cui verrà conferita al padre di Eluana la cittadinanza onoraria di Firenze. Falciani, che aveva presentato la mozione poi approvata a maggioranza dal consiglio comunale, ricorda la contrarietà del vescovo all´iniziativa ma sottolinea come la scelta riguardi «i valori e le scelte individuali, il senso più intimo dell´esistenza e dunque la spiritualità di ogni persona». Un invito, quindi, ad una riconciliazione su un tema che ha provocato fin qui molte divisioni, sia dentro che fuori Palazzo Vecchio. Ma per sapere se e cosa l´arcivescovo risponderà a questo messaggio bisognerà aspettare qualche giorno. «Monsignor Betori, arcivescovo di Firenze, è da lunedì scorso a Roma dove ha partecipato al Consiglio permanente della Cei», spiegano dalla Diocesi, «e in questi giorni, è impegnato nei lavori del Forum del Progetto culturale della Chiesa italiana». E lunedì, nel giorno in cui Englaro diventerà cittadino onorario di Firenze dove sarà Betori? «All´Argentario», è la risposta, «dove si tiene la Conferenza episcopale toscana». E la lettera di Falciani l´arcivescovo «non potrà leggerla prima del suo rientro in città».
In realtà Beppino Englaro a Firenze arriverà già oggi. Alle 9,30 NovaradioCittàFutura, all´interno del programma "6inCittà" trasmette l´intervista con il direttore Leonardo Sacchetti registrata ieri in cui Englaro si dice «onorato dal conferimento della cittadinanza» e liquida le polemiche che hanno accompagnato il voto del consiglio comunale con questa frase: «Il tema che io ho affrontato è un tema che spacca le coscienze, non è facile l´approfondimento e quindi può succedere che ci siano queste polemiche». Quanto alla legge approvata dal Senato sul testamento biologico Englaro ripete ancora una volta che «per quanto concerne le direttive anticipate di trattamento ci vuole una legge molto semplice che consenta alle persone di non essere discriminate quando si trovano nella situazione di non essere più capaci di intendere e di volere».
Domattina alle 10,30 Englaro incontrerà la Comunità dell´Isolotto (via degli Aceri 1) e alle 16,30 andrà alle Piagge per parlare con don Santoro.

Repubblica Firenze 28.3.09
Testamento biologico, medici in rivolta
Il presidente Panti: "La legge dice il contrario del nostro codice"
Zuppiroli, fondatore di "Liberi di decidere": "Provo vergogna e indignazione"
di Gaia Rau


Una contraddizione insanabile. La legge sul testamento biologico appena approvata dal Senato «dice l´esatto contrario di quanto stabilito dal codice deontologico dei medici». A spiegarlo è Antonio Panti, presidente dell´ordine fiorentino: «Il codice prevede che il medico informi il paziente, ne acquisisca il consenso e solo sulla base di questo agisca, somministrando o interrompendo un trattamento. Ora, la legge dice l´esatto contrario, calpestando la volontà del cittadino che non è più giudicato in grado di stabilire da sé quanta sofferenza può sopportare: non è vero che sarà il medico a decidere, ma è il Parlamento che si è arrogato la facoltà di farlo per tutti, in deroga all´articolo 32 della Costituzione».
Questo, secondo Panti, è l´aspetto più grave della legge. Ma soprattutto la più evidente incompatibilità con il documento che da 2.500 anni indica le regole di condotta dei medici. «La legge non può cambiare il codice, solo i medici possono farlo: questo non significa che il Parlamento non possa legiferare in materia, ma noi abbiamo il dovere di rispettare il codice prima ancora della legge, come è avvenuto quando abbiamo deciso di disattendere la norma che imponeva di denunciare gli immigrati irregolari». Significa che i medici violeranno la legge sul testamento biologico? «E´ presto per dirlo. Tutta questa situazione ci mette in grave imbarazzo, e i vertici dell´ordine sono già stati convocati per discuterne». Grave è, per Panti, anche l´aspetto delle spese legate al «sostegno vitale», «un concetto - avverte il medico - che non riguarda soltanto l´alimentazione e l´idratazione, ma tutte quelle cure che permettono di limitare le sofferenze del malato. Se Eluana è rimasta in vita 17 anni, è perché ha goduto di un´assistenza meravigliosa. Ora la legge, all´articolo 5, prevede che siano le singole Regioni a stabilire le linee guida dell´assistenza, e questo implicherà che non tutti i cittadini italiani saranno trattati nello stesso modo».
«Vergogna e indignazione» sono le prime reazioni di Alfredo Zuppiroli, cardiologo, presidente della commissione regionale di bioetica e tra i fondatori dell´associazione "Liberi di decidere", che nelle scorse settimane ha raccolto 500 carte di autodeterminazione alle quali si aggiungono 3.500 moduli scaricati da internet: «Così si violano principi costituzionali fondamentali: l´articolo 2 sulla libertà personale e il 3 sul divieto di discriminazioni legate alle condizioni personali: perché una persona affetta da una grave insufficienza renale può decidere di andarsene in pace rinunciando alla dialisi mentre una in stato vegetativo permanente non può rifiutare il sondino?». Per lui, l´unica strategia possibile è quella indicata da Umberto Veronesi sulle pagine di Repubblica: «La legge non è ancora in vigore: approfittiamo del poco tempo che abbiamo prima che passi alla Camera per raccogliere più testamenti biologici possibile, e poi aprire un contenzioso di massa». Il prossimo appuntamento è domani dalle 20 al teatro Puccini, con il notaio Luigi Aricò che autenticherà i testamenti. Ospite d´onore della serata, Beppino Englaro. Il gazebo di "Liberi di decidere" sarà poi in piazza dei Ciompi il 4 aprile e in piazza della Repubblica l´11.

Corriere della Sera 28.3.09
Parte la campagna di disobbedienza civile dei radicali
Manifesto sulla bioetica Mobilitate le parrocchie
In piazza per il sì alla vita. I medici: pausa di riflessione
L'associazione Coscioni: da settembre 200 richieste di intervento di «soccorso civile» e 2.500 testamenti biologici online

di M.Antonietta Calabrò

ROMA — «Non possiamo decidere da soli» dicono i medici di famiglia. «Chiediamo una pausa di riflessione» afferma all'unanimità la Federazione degli Ordini dei medici commentando il disegno di legge approvato dal Senato sul testamento biologico. Mentre è al via una mobilitazione del laicato cattolico, con la pubblicazione di un'inserzione a pagamento di una pagina-manifesto su Avvenire contro l'eutanasia e l'abbandono terapeutico. I radicali dell'Associazione Coscioni intanto affermano di aver avuto dal settembre scorso duecento richieste di intervento «di soccorso civile» (sia legale che medico) in tema di fine vita e di aver raccolto oltre 2.500 testamenti biologici telematici.
Claudio Cricelli, presidente della Società Italiana di Medicina Generale (SIMG) ha messo in evidenza in particolare che nel nuovo ddl si «attribuiscono forti responsabilità al medico di fiducia della persona e della famiglia, cioè al medico di medicina generale, che vanno ben al di là dei compiti attuali ». Mentre nel documento della Federazione nazionale degli Ordini dei medici (Fnomceo) si ribadisce che
Il corteo
La manifestazione di giovedì dei Radicali a Roma in favore dell'eutanasia e contro il Ddl Calabrò sul testamento biologico
«nutrizione e idratazione artificiali sono, come da parere pressoché unanime della comunità scientifica, trattamenti assicurati da competenze mediche e sanitarie».
Domani invece sul quotidiano della Cei comparirà il Manifesto- appello di tre associazioni cattoliche (Scienza e Vita, il Forum delle associazioni familiari e Retinopera) che lanciano una mobilitazione capillare su tutto il territorio, a cominciare dalle parrocchie, sui temi del fine vita. Il Manifesto si intitola «Liberi per vivere-Amare la vita sino alla fine» e contiene «tre sì» (alla vita, alla medicina palliativa, ad accrescere e umanizzare l'assistenza ai malati e agli anziani) e «tre No» (all'eutanasia, all'accanimento terapeutico e all'abbandono di chi è più fragile). Sono previsti incontri e pubblici dibattiti che si intensificheranno dopo le festività pasquali.
Sul fronte opposto, i radicali di «Soccorso Civile» — che come ha annunciato da Emma Bonino, metteranno in atto «una vera e propria campagna di disobbedienza civile», con autodenunce e ricorsi alla magistratura — rendono noto di aver ricevuto, a partire da settembre scorso, circa duecento tra email e telefonate, su testamento biologico e eutanasia. Con richieste di assistenza legale e medica. Come una signora che si lamenta della «situazione disperata» di suo padre in stato vegetativo permanente «senza alcuna prospettiva (a detta dei medici) di ripresa (...)» di cui «non riesco a far rispettare la volontà, non riesco a far esercitare il suo "diritto a morire" (per usare sue parole) poiché i medici dell'ospedale sono tutti molto timorosi(...) Vi chiedo solo di mettermi in contatto con un medico anestesista per "un consulto" (...)». Dal momento che la donna ritiene «che l'eutanasia sia davvero "un atto di carità" così come dice il prof. Veronesi, un atto dovuto per non ledere la dignità di ogni uomo».

Corriere della Sera 28.3.09
Londra, uno psichiatra su sei tenta di curare l'omosessualità
di Adriana Bazzi


MILANO — Rodney era felicemente sposato da anni, poi il colpo di fulmine per un uomo. La sua psichiatra aveva provato, con l'ipnosi, a riportarlo sulla strada dell'eterosessualità per salvarne il matrimonio, ma non ci era riuscita. Adesso lui è divorziato dalla moglie e sta con una persona del suo stesso sesso.
A Warren, che si era accorto di essere gay fin dall'adolescenza, i medici hanno fatto anche di peggio. Erano erano ancora gli anni Settanta e gli è toccata una terapia da Arancia Meccanica: scariche elettriche sul corpo tutte le volte che preferiva guardare foto di uomini invece che di donne. È la terapia avversativa che, nel famoso film di Stanley Kubrick, veniva usata per disassuefare dai comportamenti violenti.
Storie che non sono passate di moda, anche se i trattamenti sono un po' cambiati. In Gran Bretagna un'indagine condotta dall'University of London su 1.400 psichiatri e pubblicata su Bmc Psychiatry, ha dimostrato che almeno uno specialista su sei ha tentato di curare l'omosessualità e lo fa tuttora, anche se solo il quattro per cento degli intervistati ha dichiarato di essere disposto a farlo su richiesta del paziente. Nonostante l'omosessualità non sia una malattia e nonostante queste terapie si siano rivelate inutili e qualche volta dannose.
«Fin dal 1973 l'omosessualità — commenta Massimo Ammaniti, psicoanalista a Roma — era stata cancellata dal Manuale dei disturbi mentali (il famoso Dsm, oggi arrivato alla sua quarta edizione, ndr). E successivamente nel 1987 è scomparsa anche la voce "omosessualità egodistonica", quella cioè che procura disagio, ansia e rifiuto della propria persona».
Da qualche anno è nata anche la psichiatria «di genere», per la quale esistono cinque generi: eterosessuali maschi e femmine, gay, lesbiche e transessuali. «A ciascuno si riconoscono caratteristiche specifiche — dice Claudio Mencacci, psichiatra all'ospedale Fatebenefratelli di Milano — e l'omosessualità oggi è riconosciuta come una condizione fisiologica e naturale; non più come un disturbo dell'identità sessuale e tanto meno una perversione». D'altra parte nessun trial clinico ha mai dimostrato che certe terapie, praticate fino a oggi, funzionino. Anzi, in molti casi, si sono rivelate dannose perché provocano ansia, depressione e persino danni fisici. Come, per esempio, certi ormoni femminili somministrati ai gay nel tentativo di ridurre l'attrazione omosessuale o alle lesbiche per aumentarne la femminilità. O sistemi che suggerivano agli omosessuali di masturbarsi, pensando a una persona dello stesso sesso, e di passare, nel momento dell'orgasmo, a fantasie eterosessuali.
«Anche in Italia — continua Ammaniti — c'è ancora chi ritiene che l'omosessualità sia una fissazione dello sviluppo pulsionale e vada curata. Non sono in molti, ma ci sono».
Rimane però il problema di chi, emarginato dalla famiglia, oppresso dall'ambiente sociale, condizionato da una fede religiosa, chiede aiuto per modificare il suo orientamento sessuale.
«Bisogna distinguere — avverte Mencacci —. Se l'identità è forte e consolidata, noi diciamo "sintona" con la persona, qualsiasi tentativo per modificarla è un atto di prepotenza e di violazione della persona. La questione si apre, invece, quando l'identità è "dissintona", cioè crea sofferenza e lacerazione nell'individuo: va allora cercata la vera natura della persona». Con l'aiuto della psicoterapia, della psicoanalisi e anche dell'ipnosi.
Tutte le persone, comunque, a prescindere dal loro orientamento sessuale, possono soffrire di ansie, depressioni, disturbi bipolari e per questo hanno sempre diritto a essere curate. Con tutte le terapie disponibili.

Repubblica 28.3.09
Principe e popolo
di Ezio Mauro


Concepito come una "cerimonia" (lo ha detto Emilio Fede) più che come un congresso, l´atto fondativo del Popolo della Libertà è tutto nel profilo biografico dell´avventura politica berlusconiana che il Cavaliere ha celebrato ieri dal palco, consacrando se stesso non soltanto nel fondatore della destra moderna ma nel destino perenne del Paese, o almeno del 51 per cento degli italiani.
La rivisitazione eroica degli ultimi quindici anni consente al paesaggio politico e retorico attorno al Cavaliere di rimanere immobile, tutto ideologico come nel ´94. Così per il Premier la sinistra resta ancora e per sempre comunista, il Pd è un bluff, il riformismo è un´illusione, anzi la sinistra sta addirittura uscendo di scena, e la stessa parola "non piace più". Un ideologismo coatto, che vuole tenere l´Italia dentro uno schema vecchio e impaurito, mentre rinuncia a parlare all´intero Paese.
Non è infatti al Paese che guarda Berlusconi, ma al "popolo", vero soggetto politico del nuovo movimento, strumento di consacrazione quotidiana del carisma egemone, che nel popolo più che nelle istituzioni cerca la sua forza e la sua legittimazione. Anche il concetto di libertà è giocato in questa chiave, con una diffidente separazione-contrapposizione tra il cittadino e lo Stato, come se la politica - adesso che Berlusconi ha compiuto la sua rivoluzione "liberale, borghese, popolare, moderata e interclassista" - si riassumesse nella delega al Principe, con la fine del discorso pubblico così come lo abbiamo finora conosciuto in Occidente.
La Costituzione resta sullo sfondo, citata dopo il Papa, sovrastata da un moderno "patriottismo della nazione", della tradizione, delle radici cristiane dell´Italia in cui si recupera anche la "romanità". È il profilo classico di una destra carismatica che può forse illudere il Paese di semplificare la complessità della crisi ma che rischia di non governarla: perché il vecchio populismo non può reggere a lungo la sfida della modernità nel cuore dell´Europa.

Repubblica Roma 28.3.09
È polemica sulle autorizzazioni. La questura: dagli universitari nessuna richiesta. In piazza anche i centri sociali
Cortei, la sfida di studenti e Cobas
La rivolta contro il "G8 lavoro" Onda in marcia dalla Sapienza
La questura: non hanno chiesto l´autorizzazione
Gli studenti hanno inviato una lettera alla città e alla polizia, ma non una richiesta formale
Pomeriggio di manifestazioni anti-G8. "Percorreremo le vie vietate dal protocollo"
di Maria Elena Vincenzi


I grandi della Terra si incontrano a Roma e la città si prepara ad una giornata di cortei. La manifestazione ufficiale, indetta dai sindacati, partirà alle ore 15 da piazza della Repubblica e arriverà a piazza Navona passando anche per strade vietate dal protocollo sui cortei. A percorrere vie "off limits" saranno anche i centri sociali e gli studenti dell´Onda che, riferisce la Questura, «non hanno chiesto nessuna autorizzazione formale per il loro percorso». Bisognerà dunque vedere quale sarà il comportamento delle forze dell´ordine, ma gli universitari avvertono: «Ci incontreremo alle 14 a piazzale Aldo Moro e non piegheremo la testa al protocollo sui cortei».

Riunione ministeriale del "G8 lavoro" e cortei, ancora attriti tra forze dell´ordine e manifestanti. Prima ancora che tutto inizi, i nervi sono già tesi. Da un lato, prefettura e questura. San Vitale conferma di non aver ricevuto la richiesta dell´Onda per marciare dalla Sapienza a piazza della Repubblica. Nonostante la disponibilità, annunciata anche dal prefetto Giuseppe Pecoraro, ad accettare richieste tardive: la legge stabilisce infatti che i preavvisi debbano essere presentati tre giorni prima. Stavolta, tuttavia, c´era la disponibilità a fare uno strappo alla regola accogliendo la comunicazione anche all´ultimo momento. Gli studenti però lo hanno comunicato alla città, con una lettera spedita ai giornali. E dicono di averla inviata anche alla questura e al Campidoglio, oltre che ai giornali. Ma per la questura non si tratta di una richiesta formale.
Il percorso deciso dagli studenti non fa parte del protocollo sui cortei: la Sapienza non è centro storico. E gli universitari vogliono partire proprio da piazzale Aldo Moro per poi unirsi al corteo dei sindacati di base. Ma se gli studenti non hanno intenzione di chiedere autorizzazioni, anche le parti sociali sfidano il Viminale dicendo no ai cambiamenti di percorso richiesti dalla polizia. Lo slogan "La crisi la paghino i banchieri, i padroni e gli evasori" è perentorio. «Nonostante la questura ci abbia chiesto di dirottare la manifestazione in ossequio al protocollo sulla regolamentazione dei cortei, sfileremo lungo il classico percorso delle grandi manifestazioni, da piazza della Repubblica fino a piazza Navona, passando per alcune zone proibite dal "protocollo ammazzacortei"». Queste le dichiarazioni dei sindacati di base.
Il corteo - che era stato autorizzato prima della sigla del protocollo - percorrerà dalle 15 alcune zone ritenute "off-limits" dal successivo accordo sulla regolamentazione dei cortei, come l´ultimo tratto di via Cavour, via dei Fori Imperiali, piazza Venezia e via delle Botteghe Oscure. «Avevamo già ottenuto l´autorizzazione a fine gennaio - spiegano gli organizzatori - il corteto non sarà dirottato verso Porta Maggiore e San Giovanni, come ci aveva chiesto la questura». Per la manifestazione, organizzata da Cub, Confederazione Cobas, SdL e a cui aderiranno anche i movimenti studenteschi, sono stati organizzati oltre 70 pullman e due treni speciali.

Repubblica Roma 28.3.09
Dalla "battaglia dei cuscini" degli studenti medi davanti al Virgilio fino alla manifestazione dei Cobas
Sit-in, blocchi stradali, cortei ecco il lungo giorno della protesta
Si dividono gli universitari: Roma Tre e Tor Vergata non partiranno da piazzale Aldo Moro
di Laura Mari


Il corteo ufficiale, quello indetto da Cub, Cobas e Sdl, è previsto alle ore 15. Ma la lunga giornata delle contestazioni contro il G8 lavoro inizierà molto prima. Con blocchi stradali a sorpresa, sit-in non autorizzati e iniziative che intendono sfidare il protocollo sui cortei. Manifestazioni in zone off-limits che però dividono anche il popolo dell´Onda, perché una parte degli universitari (tra cui gli studenti di Roma Tre e Tor Vergata) partirà comunque da piazza della Repubblica e non da piazzale Aldo Moro. Ma andiamo con ordine.
I primi problemi potrebbero nascere intorno le ore 13, quando dalla stazione Tiburtina inizieranno a confluire verso il centro i manifestanti dei centri sociali e delle realtà antagoniste che hanno già annunciato blocchi stradali e mini-cortei non autorizzati diretti a piazza della Repubblica. Altre due manifestazioni non autorizzate dalla questura e dalla prefettura partiranno, sempre attorno alle ore 13, da via De Lollis (nel quartiere San Lorenzo) e da Porta Pia. Un´ora dopo, invece, a piazzale Aldo Moro si raduneranno gli studenti dell´Onda e della Sapienza, che dopo le cariche delle forze dell´ordine e le polemiche dei giorni scorsi, intendono ribadire il loro «diritto a manifestare senza dover sottostare ad un protocollo mai sottoscritto dall´Onda». Da piazzale Aldo Moro gli studenti (accompagnati dai Verdi e dalla Sinistra) se non saranno bloccati dalle forze dell´ordine, dovrebbero arrivare a piazza della Repubblica per unirsi al corteo dei sindacati.
In mattinata, invece, gli studenti medi dei licei romani si incontreranno a via Giulia per inscenare, davanti all´ingresso del Virgilio, una maxi battaglia dei cuscini. Un "pillow-fight" che vuole essere di buonaugurio ad una giornata dove si prevede che non mancheranno momenti di tensione.

Corriere della Sera 28.3.09
La sconfitta della pace. Israele e i pacifisti estinti
«Le destre sono un rischio per l'avvenire»
di Mario Vargas Llosa


Ho passato buona parte degli anni '70 a difendere Israele contro gli scrittori latinoamericani di sinistra che per conformismo attaccano il sionismo e l'imperialismo americano.
Non mi sono mai pentito di aver combattuto quest'esagerazione e di aver difeso il diritto di Israele a esistere e a garantirsi la sicurezza. Inoltre, ho sempre creduto, e scritto, che tale diritto a mio giudizio gli israeliani se lo sono guadagnato non per ragioni divine (nelle quali, essendo agnostico, non credo) ma per il fatto di aver costruito Israele praticamente dal nulla, con il loro sudore e le loro lacrime.
Da allora, ogni volta che sono stato in Israele — tranne l'ultima, della quale tratta questo libro — ho sempre trovato un settore significativo della società israeliana che, mentre lottava per la sopravvivenza del Paese contro coloro che si impegnavano nel distruggerlo, voleva la pace e il dialogo con i palestinesi e riconosceva il diritto di questi ultimi ad avere un proprio Stato sovrano. Gli accordi di Oslo (1993-1995) rappresentarono il momento più avanzato per questa corrente di pensiero grazie alla quale le forze democratiche e progressiste di Israele e Palestina furono sul punto di sconfiggere i fanatici e gli estremisti di entrambe le parti.
Dall'assassinio di Yitzhak Rabin e, soprattutto, dal fallimento dei negoziati di Camp David e di Taba del 2000, tutto è tornato indietro. Sia in Israele che in Palestina coloro che hanno guadagnato terreno sono stati i falchi e i violenti, come dimostrano la vittoria elettorale di Hamas, con cui ottenne il controllo della Striscia di Gaza, e il dominio quasi assoluto in Israele da parte della destra di Kadima, della destra estrema del Likud e dei partiti religiosi. Il movimento «Pace Subito» è praticamente estinto e i promotori della pace e della convivenza sono gruppi e figure isolate senza alcun reale significato nell'opinione pubblica.
Per lo più questa narrazione rende conto, con la maggior obiettività di cui sono stato capace, dell'indebolimento e della quasi totale scomparsa in Israele dell'influente forza elettorale rappresentata dai partiti della pace e della coesistenza e, di contro, dell'esaltazione di un arrogante estremismo convinto che l'unica politica efficace per garantire il futuro di Israele sia la supremazia militare, la repressione sistematica e l'intimidazione dei palestinesi fino all'obbligo di accettare una pace imposta, nella quale i territori del futuro Stato palestinese sarebbero ristretti, recintati e inquadrati da un numero proliferante di insediamenti e colonie israeliane sorvegliate da diversi sistemi di controllo, come il muro e gli sbarramenti militari. Questa corrente, che è sempre esistita come marginale e minoritaria, sfortunatamente oggigiorno può contare sul sostegno della maggioranza della popolazione ed è un ostacolo per la pace, nonché una fonte di ingiustizia e sofferenza per i palestinesi grande quanto il terrorismo di Hamas per gli israeliani.
Gli articoli e i reportage che compongono questo libro non sono esenti da quelle contraddizioni, dubbi e interrogativi senza risposta, inevitabili per chi avvicini la realtà del Medio Oriente senza preconcetti e parti pris. Eppure, forse proprio per questo, potranno aiutare i lettori italiani a farsi un'idea propria della situazione di quell'esplosivo angolo di mondo più di quei testi che, invece di sforzarsi di capire ciò che succede, propongono ricette preconfezionate, atti di fede che prescindono dalla realtà per adattare al meglio le testimonianze e le opinioni ai dogmi e all'ideologia.
Il muro che ha diviso un villaggio. Sopra: lo scrittore con militanti di Hamas e, sotto, manifestazione contro il ritiro dei coloni israeliani (foto di Morgana Vargas Llosa)

Corriere della Sera 28.3.09
Nomine Università
La Gelmini il prof Masia e la missione salva-baroni
di Gian Antonio Stella


Baroni, baronetti e baroncini impicciati in concorsi sospetti comincino a tremare. Il nuovo dominus dell'Università italiana è Antonello Masia.
L'uomo che, dovendo azzerare la nomina dei docenti finiti in cattedra dopo una selezione condannata come truffaldina anche in Corte di Cassazione, ha lasciato tutti al loro posto perché «l'annullamento d'un atto non può fondarsi sulla mera esigenza di ripristino della legalità».
Sintesi burocratica d'un adagio: «chi ha dato ha dato, chi ha avuto avuto».
Non poteva scegliere giorno migliore, il ministro Mariastella Gelmini, per nominare il suo nuovo braccio destro. Poche ore prima, l'Ansa aveva informato dell'ennesimo scandalo: «La squadra mobile, su delega del pm di Reggio Calabria Beatrice Ronchi, ha acquisito al Rettorato dell'Università di Messina la documentazione relativa al concorso per due posti di ricercatore alla facoltà di Giurisprudenza. Un esame che, secondo gli inquirenti, sarebbe stato pilotato per favorire gli unici due candidati, Vittoria Berlingò, figlia del preside di Giurisprudenza, e Salvatore Siciliano, figlio del procuratore aggiunto di Messina. Secondo gli inquirenti, gli altri aspiranti concorrenti sarebbero stati "sconsigliati" dal partecipare alla selezione: ipotesi che ha portato già ad alcune iscrizioni nel registro degli indagati per corruzione».
I candidati a quel concorso, svoltosi tra il novembre 2006 e il gennaio 2007, erano in realtà cinque. Ma, spiega il verbale, una certa Sebastianella Calandra si era presentata così, come fosse un bando per l'assunzione di segretarie d'azienda, «assolutamente priva di esperienza scientifica e didattica ». Un certo Pietro Falletta aveva sì un «curriculum didattico assai buono» e diceva d'avere «pubblicato sette lavori» però, incredibile ma vero, non ne aveva allegato manco uno... Quanto all'ultima incomoda, Aurora Vesto, non aveva «alcun titolo e alcuna pubblicazione, non risultando utile l'attestato di frequenza di un corso di lingua inglese».
Fatto sta che, tolti questi tre che forse non erano figuranti venuti per far numero ma certo ne avevano tutta l'aria, i veri candidati per i due posti risultarono due giovani dai bei natali: Vittoria e Salvatore.
Figlia la prima di Salvatore Berlingò, il preside di Giurisprudenza, figlio il secondo del procuratore Pino Siciliano. Una coincidenza? Certamente! L'ateneo messinese, del resto, dimostra una recente inchiesta di Michele Schinella per la rivista «Centonove», trabocca di coincidenze. Soprattutto nei concorsi varati non per tappare i vuoti di organico ma in quelli decisi, citiamo il magnifico rettore Franco Tomasello, «per motivi strategici».
Tra i vincitori, ad esempio, Marco Centorrino era casualmente figlio di Mario, il pro rettore. Mario Vermiglio era casualmente fratello di Francesco, ordinario a Economia. Rossana Stancanelli era casualmente figlia di Paola Ficarra (ordinario a Farmacia) nonché nipote di Rita (associato alla stessa facoltà) e del marito di questa Giuseppe Altavilla, associato a Medicina. Antonino Astone era casualmente genero di Raffaele Tommasini, docente e delegato del Rettore per le questioni giuridiche. Massimo Galletti era casualmente il quarto di quattro figli del barone Cosimo, tutti e quattro professori nel solco universitario tracciato da papà...
Mettetevi al posto di Mariastella Gelmini: non trovereste intollerabile l'andazzo? E infatti il ministro, fedele alla proposta di legge 3423 presentata nella scorsa legislatura nella quale per 37 volte (trentasette) invocava il ritorno al «merito», l'ha detto e ripetuto: non ne può più. Parole testuali pronunciate qualche settimana fa agli studenti di Galatina: «Non è più possibile andare avanti con una forma di nepotismo dentro le università». Basta! Detto fatto, come dicevamo, ha deciso ieri di nominare Antonello Masia capo Dipartimento per «università, alta formazione artistica, musicale e coreutica e ricerca». Auguri. Il nuovo plenipotenziario chiamato a rinnovare il mondo accademico è imbullonato alle poltrone ministeriali da 38 anni. Teorizza che «i ministri passano, i direttori generali restano». Dice che «non bisogna dare alle baronie un significato così negativo» perché se lui «pensa al barone, pensa al "maestro"». Sbuffa davanti agli allarmi sulle condizioni disastrose dei nostri atenei: «Non credo alle classifiche internazionali ». Irride agli scandali e alle inchieste giudiziarie che descrivono decine e decine di concorsi sospetti perché secondo lui i casi di nepotismo in tutti questi anni «saranno stati cinque, sei, sette...». Il suo capolavoro risale a due anni fa, quando si ritrovò sul tavolo, nei giorni in cui la Moratti se n'era già andata e Mussi doveva ancora insediarsi, l'incartamento di un famigerato concorso di Otorinolaringoiatria bandito nel 1988. Un concorso truccato, vinto da sedici figli di papà o raccomandati di ferro. E sanzionato con la condanna dei baroni coinvolti in Assise, in Appello e in Cassazione. E con sentenze che parlavano di «totale assenza di correttezza, di senso etico, di rispetto della legge». Di «plurime e prolungate condotte criminose». Di «profonda e amorale illegalità».
Bene: di ricorso in ricorso, di rinvio in rinvio, di ostruzionismo in ostruzionismo, tutti i colpevoli e i beneficiati erano rimasti al loro posto. Finché la pratica finì appunto sul tavolo di Masia. Che ci mise una pietra sopra con le parole citate: «Visto che la sentenza penale non annulla automaticamente l'atto amministrativo senza la pronuncia del giudice amministrativo, mai intervenuta» e che «l'annullamento di un atto non può fondarsi sulla mera esigenza di ripristino della legalità, ma deve tener conto della sussistenza di un interesse pubblico», il concorso taroccato «non» andava annullato. Un messaggio davvero «educativo» per i giovani universitari italiani: fatevi furbi, tanto non paga mai nessuno.
Scelto
Antonello Masia è stato nominato ieri dal ministro Mariastella Gelmini capo Dipartimento per «università, alta formazione artistica, musicale e coreutica e ricerca».

Repubblica 28.3.09
Giappone, il mistero della foresta dei suicidi
Settantotto cadaveri sono stati recuperati, altri 200 attendono di essere riconosciuti
di Renata Pisu


Uno dei luoghi più incantevoli del paese, sotto il monte Fuji, è diventato la meta di chi decide di togliersi la vita E le autorità ora lanciano l´allarme: "Con la crisi economica il fenomeno sta raggiungendo picchi da record"

L´anno scorso le squadre speciali di ricerca cadaveri della foresta di Aoikigahara, alle pendici del Monte Fuji, hanno trovato 78 corpi, altri giacciano ancora nei crepacci o sotto la fitta vegetazione di questa foresta primordiale il cui nome significa "mare di alberi" ma che è nota come "foresta dei suicidi".
Dall´inizio degli anni Settanta il numero di coloro che decidono di darsi volontariamente la morte in un luogo diventato meta famosa dei viaggi senza ritorno continua ad aumentare e si teme che il 2009 segnerà un triste record. A Tokyo, alla stazione di Shinjuku, in questi giorni sono guardate sospetto le persone che acquistano un biglietto di sola andata per il Parco Naturale del Monte Fuji del cui complesso fa parte la foresta dei suicidi. Marzo è un mese orribile per i giapponesi, l´anno fiscale si chiude, i conti non tornano, la crisi sta investendo tutti i settori, il numero di chi decide di uccidersi raggiunge il picco. Ogni anno è così, ma quest´anno si teme il peggio per i guasti della bad economy. Le guardie forestali controllano gli uomini soli che acquistano un biglietto di sola andata e sono vestiti non come escursionisti ma in giacca e cravatta: non è raro che il percorso sia diretto, dall´ufficio, senza neanche passare da casa a cambiarsi - a che serve? - all´ultima destinazione. Invano vengono affissi cartelli con sopra scritto "Pensa ai tuoi bambini" o "Non cercare di risolvere i tuoi problemi da solo. Chiedi aiuto".
Nei tre comuni che contornano la foresta dei suicidi, le autorità non si danno pace. Puntavano sul turismo, oggi pensano di reclamizzarsi come "Città dei suicidi - località specializzata, seconda solo al Golden Gate di San Francisco". Ma hanno l´amaro in bocca. Già, perché secondo la legge sono loro i responsabili del recupero cadaveri, dell´identificazione e della garanzia, nel caso non vengano riconosciuti, della loro adeguata sepoltura o cremazione. Un enorme onere finanziario, uno strazio umano rinnovato da una giacenza di oltre 200 corpi a tutt´oggi non identificati che vengono custoditi in stanzette a due letti: un giaciglio per il suicida, l´altro per una guardia forestale. Questo perché, secondo una superstizione diffusa, un cadavere abbandonato nella notte si trasforma in uno spirito maligno. Le guardie forestali tirano a sorte ogni sera il nome di chi dovrà giacere con il suicida.
Ci si interroga in Giappone su come la montagna abbia potuto diventare meta dei disperati: si incolpano i mass media, romanzi e serie televisive, ma in realtà il luogo è sempre stato contornato da leggende di morte. Era lì che le famiglie povere abbandonavano i bambini che non riuscivano a mantenere, tanti Pollicini simili a quelli che vagavano nelle nostre selve nere.
Per il 2009 si attende la raccolta di molti più cadaveri. Peccato, perché la foresta di Aoikigahara è forse il posto più bello del Paese del Sol Levante.

Corriere della Sera 28.3.09
Dopo la riforma del sistema penale voluta dall'Ue, che punisce gli omicidi dei clan, centinaia di casi soprattutto nelle zone curde
Turchia, la strage delle ragazze suicide «per onore»
Costrette ad uccidersi dai parenti, perché hanno «macchiato» il nome della loro famiglia
di Monica Ricci Sargentini


A Derya, 17 anni, la sentenza di morte è arrivata via sms: «Hai infangato il nostro nome — scriveva uno dei tanti zii — ora o ti uccidi o ti ammazziamo noi». A Nuran Unca, 25 anni, l'hanno detto i genitori, entrambi insegnanti. Lei ha resistito per un po', poi si è impiccata nel bagno di casa. Elif, invece, non ce l'ha fatta a togliersi la vita e ha deciso di scappare. Da otto mesi vive come una clandestina, costretta all'anonimato da un'assurda sentenza di morte emessa per aver rifiutato un matrimonio combinato.
Sono solo alcuni dei tanti nomi di ragazze costrette al suicidio per motivi d'onore in Turchia. Un tempo venivano uccise dal fratello più giovane che se la cavava con qualche anno di galera, grazie alla sua età e alla legge che prevedeva forti attenuanti in casi del genere. Ma nel 2005, per avvicinarsi all'Europa, Ankara ha riformato il codice penale prevendendo l'ergastolo per il delitto d'onore. Così le famiglie sono corse ai ripari e, per non perdere due figli, hanno pensato di indurre le giovani ad uccidersi.
In poco tempo le percentuali dei suicidi si sono impennate. Soprattutto nel sud-est del Paese, l'area abitata dai curdi, profondamente influenzata dall'Islam più conservatore. Batman, una cittadina grigia e polverosa di 250mila anime, vanta il triste primato di morti sospette, tanto da essere citata da Orhan Pamuk nel romanzo
Neve in cui un giornalista investiga sulla strana epidemia di suicidi tra le adolescenti. Ma il fenomeno dilaga ormai anche nel resto del Paese. Nella moderna Istanbul, per esempio, si conta un delitto d'onore a settimana. Sui suicidi dati certi non ce ne sono, si parla di centinaia di casi. Gli esperti sostengono che l'emigrazione dei curdi verso le grandi città porta a un'esasperazione del conflitto tra modernità e tradizione. Le teenager scoprono Mtv, i jeans stretti, le feste, l'amore. Basta un'occhiata a un ragazzo o una gonna troppo corta e il loro destino è segnato: il consiglio di famiglia si riunisce e le condanna a morte. «Questo scontro di civiltà — ha spiegato a una troupe della britannica
Channel Four Vildan Yirmibesoglu, capo del dipartimento dei diritti umani a Istanbul - sta rendendo la situazione ancora peggiore. Aumenta la pressione sulle donne perché rispettino i dettami conservatori della tradizione. E, chiaramente, ci sono più tentazioni ».
Ogni giorno decine di giovani bussano alla porta di
Ka-mer, il centro fondato nel 1997 da Nebahat Akkoc per aiutare le donne in pericolo. La sede di Diyarbakir ha le pareti color corallo e una poltrona di pelle dove le ragazze sprofondano raccontando la loro storia. L'associazione le aiuta a trovare una casa-rifugio e a rivolgersi a un tribunale. Per rendere le cose più facili è stata creata anche un'hotline, ma telefonare e denunciare la propria famiglia può diventare improponibile nella regione curda dove, secondo i dati delle Nazioni Unite, si stima che il 58% delle donne sia vittima di abusi e che il 55% sia analfabeta. Vista da qui l'Europa appare ancora più lontana.

Il libro: Meglio morte che senza velo
La storia in «Neve» di Pamuk Un'epidemia di ragazze che si suicidano per difendere i loro ideali contro le imposizioni della Turchia laica: studentesse universitarie che non possono portare il velo in aula e preferiscono la morte.
È la storia al centro di Neve,
romanzo capolavoro del nobel Orhan Pamuk. Il protagonista è un giornalista turco che dopo oltre 10 anni anni passati in Germania torna nella sua terra e scopre le contraddizioni fra la Turchia moderna e laica e le sue profonde radici islamiche.

l'Unità 28.3.09
Il «suicidio d'onore» delle donne turche
di Marina Mastroluca


Per favore, ucciditi». Niente a che vedere con una battuta, non c’è niente da ridere in questa storia. Che poi è la storia di Elif e di altre come lei, messe all’indice dalle famiglie offese nell’onore e per questo indirizzate verso l’ultima versione di lavanderia morale escogitata in Turchia: il suicidio d’onore, opportunamente istigato dai familiari, altrimenti costretti a sporcarsi le mani di sangue e a pagarne il fio dietro le sbarre. Una legge del 2005 ha introdotto l’ergastolo per punire i delitti d’onore: una macchia, questa sì, che ogni anno si replica in oltre 200 casi, nella sola Istanbul ce n’è uno a settimana. Per sfuggire al carcere, l’onore ha trovato altre vie. E il numero delle donne suicide si è impennato.
«Per favore ucciditi». Elif è in fuga da otto mesi, per non dover subire la punizione della famiglia. Ha detto di no al matrimonio combinato dai parenti, che volevano farle sposare un uomo più anziano dei suoi 18 anni. E ha detto no anche quando il padre le ha chiesto di torgliersi la vita: per risparmiargli il carcere una volta che l’avesse uccisa. «Lo amavo così tanto che lo avrei fatto, anche se non potevo rimproverarmi nulla di sbagliato - ha raccontato Elif al britannico Independent -. Ma non ci sono riuscita. Amo troppo la vita». Da allora la sua esistenza è appesa a un filo, i parenti sono venuti a cercarla persino nel rifugio dove ha trovato accoglienza. Erano armati.
Elif in questa storia è l’anomalia, la ciambella mal riuscita, la classica eccezione dove la regola avrebbe voluto una silenziosa obbedienza. La sua, del resto, è chiamata la «Città dei suicidi»: sulla carta geografica non c’è scritto, naturalmente, la località si chiama Batman, sud-est della Turchia. Ma è qui che tre quarti dei suicidi sono commessi da donne, quando nel resto del pianeta sono più spesso gli uomini a togliersi la vita. Per il procuratore generale è sospetto. «Credo che nella maggior parte dei casi siano suicidi forzati».
Un cappio, una pistola o più banalmente del veleno per topi. Di solito va così. Le chiudono in una stanza con quel che serve, aspettando che decidano di togliersi di mezzo da sole. E non è difficile immaginare come possano finire per cedere, quando a chiedergli di sparire sono quelli che più di altri dovrebbero volerle vive, i familiari più stretti, il sangue del sangue. Elif non c’è riuscita. Anche se sapeva di sue compagne di scuola uccise dai familiari. Anche se sapeva che la fuga da sola non l’avrebbe messa al sicuro.
Delitti d’onore. Molti si concentrano tra i curdi, ma non solo tra loro. Chi si occupa di diritti umani denuncia una tacita benevolenza, che travalica la severità annunciata dalla legge. Non sempre si investiga, i casi sospetti smettono di essere tali, se chi dovrebbe indagare e punire ha lo stesso codice d’onore.
«È questo il Paese che vuole entrare in Europa? Dio ci aiuti», è la domanda che rimbalza sul sito dell’Independent. Molti concordano, sembra di vederli mentre scuotono la testa. «Questi omicidi non sono solo contro le leggi Ue, ma contro quelle della Turchia», prova a dire Mimarkhoran. «Forse dovremmo far entrare in Europa solo le donne turche». Forse, chissà.

Corriere della Sera 28.3.09
Mentre esce da SugarCo «Una zampillante fontana», lo scrittore torna sulla Shoah, critica i grandi pensatori e non risparmia i contemporanei
Martin Walser contro Günter Grass «Vuole fermare la Storia, una follia»
Sotto accusa gli intellettuali che si sono sempre opposti alla Germania unita
di Danilo Taino


ÜBERLINGEN (Germania meridionale) — Dopo due ore di colloquio con Martin Walser non avete fatto un'intervista. Ne avete fatte quattro o cinque. Lo scrittore — uno dei maggiori in lingua tedesca — è uno tsunami di idee originali, sue. Tutte, in fondo, riconducibili al fatto che l'equazione «Germania uguale a senso di colpa» è errata. Senza negare nulla del passato e degli orrori nazisti, naviga fuori dalla bolla intellettuale e mediatica che inflaziona, cioè annacqua, le tragedie. Vent'anni dopo la caduta del muro di Berlino, non smette di tenersi lontano da quella che tempo fa definì, tra lo scandalo, «industria dell'Olocausto»: successi intellettuali e politici costruiti su di esso.
Walser — che ha dato questa intervista al Corriere in occasione dell'uscita in Italia di un suo romanzo del 1998, Una zampillante fontana (SugarCo), ha un'idea del suo lavoro diversa dalla maggioranza degli scrittori contemporanei. Non pensa di avere una missione sociale. «Uno scrittore non può credere di avere una funzione di aiuto— dice —. Nemmeno nella crisi che stiamo attraversando. Certo, ha un'influenza, ma come migliaia di altri. Deve semplicemente fare il suo lavoro. Se qualcuno mi ringrazia perché un mio romanzo l'ha aiutato, sono contento. Ma non è il mio scopo ». E su questo, già, si potrebbero scrivere mille righe. Quando Una zampillante fontana uscì in Germania, per dire, Walser fu criticato perché il romanzo — il cui protagonista, Johann, è lo scrittore stesso negli anni che vanno dal 1932 alla fine della guerra — non parla di Auschwitz.
«Ma nei romanzi io sto vicino al protagonista — spiega — Johann non poteva sapere di Auschwitz. Il fatto è che Auschwitz, come è trattato da molti, è un'emozione tedesca, un'atmosfera ideologica riscaldata artificialmente. Un obbligo che non permette l'estetica perché manca la prospettiva ». Ci sono momenti topici, nella cultura tedesca, nei quali si affermano concetti che non hanno senso, a suo parere. La famosa frase di Theodor Adorno, «dopo Auschwitz tutta la cultura è spazzatura», secondo Walser «non ha significato: la cultura non svanisce perché nella storia avviene qualcosa difficile da spiegare. Anche il "Dio è morto" di Friedrich Nietzsche non ha significato. Io preferisco Nietzsche ad Adorno, ma devo ammettere che non ha senso: è come dire "Urrah, sono paralizzato"».
Vent'anni dopo la caduta del muro di Berlino, Walser osserva che oggi molti intellettuali tedeschi si perdono per i prati perché non riescono ad avere un legame con la realtà. Chiedetegli che cosa pensa del fatto che il premio Nobel Günter Grass sostenga che l'unificazione tedesca è stata un takeover del capitalismo occidentale sulla Germania dell'Est. «Bah, bah, bah — risponde —. Devo trattenermi enormemente su questo argomento ». Ma poi non si trattiene granché: «Ancora nel novembre 1989 (quando il muro cadde, ndr) gli intellettuali con Christa Wolf e Grass volevano una confederazione con due monete, due Paesi diversi ma con un confine aperto. E chi avrebbe lavorato ancora per uno stipendio dell'Est che sarebbe stato un terzo di quello dell'Ovest? Prima che il muro cadesse, ero a Dresda e ho visto carovane di umanità che urlavano «Wir wollen raus», vogliamo uscire. Tutto il Paese era una rivoluzione e questi intellettuali arrivano e dicono che le cose si devono fare in un altro modo. Una follia». Altre duemila righe, qui, ci vorrebbero.
«Tra questi intellettuali — continua Walser — c'erano anche quelli da sempre favorevoli a due Germanie, per motivi morali e politici, a causa di Auschwitz dicevano. Ma la divisione della Germania non fu fatta per Auschwitz, fu creata dalla Guerra Fredda, dai Mitterrand e dagli Andreotti. I nostri vicini non si interessavano del fatto che la Germania fosse divisa. Anche Willy Brandt, a un certo punto, disse che non dovevamo irritare gli altri con la nostra idea di riunificazione: tutta la Spd era per la divisione. Le cose sono molto più semplici di come le raccontano alcuni intellettuali: siamo stati divisi per 40 anni e serviranno 40 anni per riunificarci. L'idea che la Germania del-l'Est e quella dell'Ovest fossero due Kulturnationen era insostenibile, serviva solo a lasciare 17 milioni di tedeschi sotto lo stalinismo».
Vent'anni dopo, però, siamo nel pieno della crisi più drammatica dagli anni Trenta. Già, dice Walser, «ma non si può usare la stessa parola: quella era una catastrofe, questa è una crisi, una differenza totale». Rassicurante e ottimista. «Tra cinque anni sapremo che abbiamo avuto una crisi e che il nostro sistema ha imparato qualcosa: non è immaginabile che, a quel punto, le speculazioni finanziarie abbiano ancora la possibilità di creare tanti danni. Una crisi è come un corso serio all'università ». A suo parere, gli intellettuali e l'informazione, di destra e di sinistra, su questo argomento sono del tutto non interessanti: «Scrivono perché per loro è una grande occasione, per istinto darwinista». Ma a suo parere dalla crisi usciremo migliori: in Germania, spiega, ci sono imprese in cui sindacati e padroni si accordano per il bene dell'azienda, tipo lavoro per 37 ore e stipendio per 35. Un'altra intervista di due pagine, meriterebbe. «Oggi, di fronte alla crisi, la scelta tra Angela Merkel e Frank-Walter Steinmeier (i candidati avversari alle elezioni del prossimo settembre, ndr) è una questione di gusto, non di politica — dice —. A me piace Frau Merkel, nonostante sia corsa da Bush quando Gerhard Schröder si oppose alla guerra in Iraq. E nonostante io pensi che lei non abbia, in quanto protestante del Nord, diritto di criticare Benedetto XVI, come invece ha fatto. Per criticare Ratzinger e i suoi si devono conoscere i meccanismi e i significati del loro agire. Ratzinger è sempre stato conservatore, anche da cardinale, ma di lui e di quelli che lo circondano mi piace il modo allegro del loro credere. Avere la capacità di essere religiosi è come avere un dono musicale: non tutti l'hanno. Mi piace così tanto questa cosa e questo mondo degli angeli che nel mio prossimo romanzo voglio che gli angeli abbiano un ruolo». Altra intervista sul Papa.
A proposito del suo prossimo romanzo, Walser rivela che sta pensando alla riabilitazione del «mammone», il figlio di mamma. Il termine tedesco Muttersöhnchen, negativo, lo ha trasformato in Muttersohn (che prima non esisteva), positivo. «Sarà la storia di un trentenne — dice — al quale la madre spiega di averlo concepito senza un rapporto sessuale». Già sentita, come trama: ma l'abilità dello scrittore starà nel convincere il mammone della verità dell'evento con argomenti forti, seri, credibili. E, ovviamente, anche qui si preparano mille interviste fuori dall'ortodossia tedesca dei tempi. Intanto, dalla finestra di casa, Walser guarda la neve e il sole che, assieme, si stendono sul suo lago di Costanza. Anzi, sul Bodensee suo e di Johann, il ragazzo della zampillante fontana, il quale come lui aveva una madre iscritta al partito nazista, che teneva in piedi casa, e un padre antifascista, che suonava il pianoforte.

venerdì 27 marzo 2009

l’Unità 27.3.09
«Consegnano il nostro corpo al potere dello Stato»
Il capogruppo pd in Senato: noi abbiamo voluto difendere la libertà degli individui
I cattolici Pd? Hanno la stessa dignità di tutti
Intervista a Anna Finocchiaro di Maria Zegarelli


Emma Bonino entra nella sua stanza subito dopo il voto finale. I complimenti per le dichiarazioni in Aula e un ringraziamento reciproco per la lealtà con cui è stata condotta questa battaglia. Anna Finocchiaro saluta e poi si dirige verso l’aeroporto di Fiumicino per tornare a Catania. «È stata una settimana faticosa». Non solo per il dibattito in aula con una maggioranza chiusa a riccio. Anche per le fibrillazioni nel Pd, tra gli ex popolari e tra i cattolici e i laici. «Questa sì è una battaglia che abbiamo vinto tutti: il confronto ci ha fatto fare un passo avanti, il Pd ha fatto un passo avanti». Il ddl, invece, «è un imbroglio».
Partiamo dal ddl: perché è un tradimento?
Perché tradisce prima di tutto il suo stesso titolo, “disposizioni in materia di dichiarazioni di volontà anticipate”. In realtà la volontà dei soggetti in ordine ai trattamenti sanitari che verranno praticati sul loro corpo, nel momento in cui non saranno più in grado di intendere e volere, non avrà alcun valore vincolante e potrà essere disattesa.
Che cosa ha indotto il Pdl a chiudere ogni possibilità di dialogo?
Non credo che avessero mai avuto intenzione di dialogare con noi. Ciò che si è scontrato non è una diversa opinione su alimentazione e idratazione, per intenderci. Si sono scontrate due diverse concezioni del rapporto tra l’autorità dello Stato e la libertà degli individui. Quando Aldo Moro scrisse l’articolo 32 della Costituzione, ”nessuno può essere sottoposto a trattamento sanitario contro la propria volontà” aveva ben presente - uscendo da un regime totalitario e temendo quello che stava accadendo in altre parti del mondo - che il rapporto tra libertà dell’individuo e l’inviolabilità del proprio corpo da parte dello Stato andava tutelato a tutti i costi. Il Ddl Calabrò va nella direzione opposta: il corpo viene travolto dal potere dello Stato e c’è in questo una straordinaria violenza.
Secondo alcuni cattolici del Pd, il Pdl si vuole accreditare Oltretevere come unico interlocutore politico. Ipotesi fondata?
Probabilmente sì, ma lo ritengo un tentativo imperfetto perché è grossolano e strumentale.
Ma è evidente che il dibattito sul testamento ha creato fibrillazioni anche nei cattolici Pd. Sanno che la maggioranza userà strumentalmente il loro voto contrario.
Questa è stata una delle prove più impegnative per il Pd in questo ultimo anno e mezzo. A parte il voto favorevole di due senatori che sin dall’inizio avevano annunciato la loro posizione, il Pd ha espresso un “no” compatto al Ddl. Ci siamo arrivati perché abbiamo avuto la capacità di incontraci in una discussione vera, anche molto aspra.
Come le due ultime riunioni del gruppo al Senato dove c’è stata una frattura con alcuni ex popolari?
Mi riferisco a due anni di discussioni durante i quali io per prima ho imparato una cosa importantissima: mi sono imbattuta nel dubbio, l’unico alleato che può avere chi fa il nostro mestiere e si occupa di queste materie.
Noi ci siamo dati un obiettivo: difendere la libertà degli individui dall’invasione dello Stato, abbiamo voluto garantire la libertà di disporre se essere accompagnati alla morte fino all’ultimo momento con il supporto di tutti i presidi medici oppure di poter morire naturalmente.
Secondo Tonini il Pd dovrebbe difendere di più i cattolici per il lavoro che hanno svolto.
I cattolici sono il Pd con lo stesso titolo e la stessa dignità degli altri, non hanno bisogno di essere difesi.
Allora perché ci sono state tensioni?
Sono tre anni che ci sono tensioni, tra i cattolici come tra i laici, ammesso che questa possa essere una distinzione che ha un senso. Non ci porta da nessuna parte fare polemiche di questo tipo. È inevitabile se si affrontano temi etici avere posizioni di partenza anche diverse.
L’”orientamento prevalente” è stato più sopportato che accettato. Non teme conseguenze?
Noi oggi abbiamo raggiunto un punto di massima soddisfazione per tutti, ne sono convinta. Un pezzo dell’identità politica del Pd si è compiuta perché c’eravamo tutti, eravamo tutti lì. Chi ci avrebbe scommesso qualche tempo fa?
Lei oggi in Aula ha fatto un riferimento alla Legge 40, un’altra legge in difesa della vita, come la definì il centrodestra. Come si concilia con il Ddl Calabrò?
Non si concilia, è di segno opposto. In quella legge hanno stabilito che la vita non può essere manipolata per evitare malattie o malformazioni e oggi vogliono manipolare la morte. Qual è il senso?
Se lo aspettava l’intervento di Marcello Pera?
Sapevo che era contrario a legiferare in questa materia, non mi aspettavo però un suo intervento. Ha anche spiegato a Calabrò perché quel testo è incostituzionale. È stato il discorso di un uomo cha fatto lo sforzo di andare al fondo delle cose. Che bellezza.
Maurizio Gasparri vi ha accusato di andare verso una deriva eutanasica.
In Aula l’ho detto con molta chiarezza: il Pd è contro l’eutanasia. Gasparri fa propaganda politica, che possiamo farci? Non si può far sparire con la bacchetta magica, ce lo dobbiamo tenere.
Emma Bonino invita alla disobbedienza civile. Lei è d’accordo?
Le forme di iniziativa politica dei radicali non sempre coincidono con le nostre, ma devo dire che in questa battaglia sono stati compagni leali e affidabili, ciascuno nel proprio campo, ma uniti da un grande rispetto per la Costituzione, la libertà e la dignità umana.
Torna in auge la moratoria sul testamento?
Oggi la invoco a maggior ragione. Questo è un pessimo testo di legge.
Secondo lei Berlusconi accetterebbe uno stop dopo la pedalata senza sosta al Senato?
In questi giorni, dalla stessa maggioranza, sono venuti gli inviti a riflettere. Lo stesso Quagliariello non mi sembrava molto soddisfatto del lavoro fatto.

l’Unità 27.3.09
Come si uccide il testamento biologico
di Ignazio Marino


Mai più un tribunale emetta sentenze di condanna a morte». È con questo ossessivo slogan che il centro-destra, con prepotenza e aggressività, ha voluto approvare la legge sulle dichiarazioni anticipate di volontà. Una legge sbagliata, votata senza ascoltare nessuno, ignorando le obiezioni più ovvie. Era forse inevitabile che nella discussione pesasse la drammatica vicenda di Eluana Englaro, ma è un errore gravissimo dare al Paese una norma fondata sull’ideologia e sull’emotività, una norma che limita un diritto sancito dalla Costituzione: decidere sui trattamenti sanitari. I cittadini chiedono una cosa sola: poter lasciare indicazioni, se un giorno perderanno coscienza, sulle terapie che si accettano e quelle che non si accettano. Chiedono la libertà di decidere. Non serve entrare nei dettagli di una norma che potrebbe, me lo auguro, essere modificata dalla Camera dei Deputati, ma è utile fare chiarezza: la legge va contro la libertà e calpesta il diritto all’autodeterminazione.
È una legge che è stata approvata senza ascoltare il Paese, senza capire che cosa accade negli ospedali quando un paziente arriva alle fasi terminali della sua vita ed è necessario prendere delle decisioni. È una legge che non ha fatto i conti con i disastri cui andrà incontro. Cosa accadrà se una persona incosciente sarà portata, contro la sua volontà scritta e contro quella dei familiari, in sala operatoria per inserirgli un tubo nello stomaco per nutrirlo forzatamente? Che cosa faranno i familiari uscendo dall’ospedale? Io sospetto che andranno direttamente dal giudice a sporgere denuncia, senza nemmeno passare da casa.
Mi sono interrogato a lungo in queste settimane e vorrei che tutti si ponessero la mia stessa domanda: ma che Paese è un Paese che limita la libertà dei cittadini rispetto all’invasione del proprio corpo da parte della tecnologia medica? Che Paese è un Paese dove i medici sono costretti a nutrire e idratare artificialmente i pazienti perché lo prevede la legge e non un’indicazione clinica? È un Paese che ha perso il suo umanesimo e forse anche il buon senso e la carità cristiana.
C’è un’altra considerazione. In nessun altro Paese al mondo si è riusciti a scrivere in una legge che idratazione e nutrizione artificiali non sono trattamenti sanitari, perché nessuno, nemmeno i più conservatori, hanno avuto l’arroganza di affermazioni così contrarie alla conoscenza scientifica e alla logica. Purtroppo questa legge, così attesa e combattuta, potrà servire solo a creare disagi e conflitti. Fortunatamente esistono ancora i margini per modificarla, c’è la possibilità di ascoltare le società scientifiche e dialogare con i medici, con i malati che si confrontano con la sofferenza. Ma ci vuole onestà e uno spirito libero dalle ideologie.
Presidente Commissione parlamentare d’inchiesta sul SSN

Repubblica 27.3.09
George Orwell a Palazzo Madama
di Stefano Rodotà


Ricordate George Orwell e la «neolingua» che compare nel suo "1984"? Parole manipolate per soddisfare le «necessità ideologiche» del regime, per «rendere impossibili altre forme di pensiero».
È esattamente quello che è accaduto ieri al Senato della Repubblica, che ha battezzato come «dichiarazioni anticipate di trattamento» il loro esatto contrario, cancellando ogni valore vincolante del documento con il quale una persona indica le sue volontà per il tempo in cui, essendo incapace, dovesse trovarsi in stato vegetativo permanente. Sarà inutile seguire un tortuoso iter burocratico, da ripetere ogni tre anni, perché con esso si approderà semplicemente al nulla. E la maggioranza dei senatori ha fatto la stessa operazione battezzando come sostegno vitale l´alimentazione e l´idratazione forzata contro l´opinione larghissima del mondo medico internazionale che le considera trattamenti. È lo stesso consenso informato, uno dei grandi risultati civili del tempo recente, perde il suo valore fondativo del diritto di costruire liberamente la propria personalità. Il sequestro di persona, di cui ha parlato ieri Adriano Sofri, ha trovato il suo compimento. Missione compiuta, potrà dire il presidente del Consiglio al cardinale Bagnasco a tre giorni appena dall´ingiunzione dei vescovi a chiudere senza indugi e senza aperture la discussione sul testamento biologico.
È con grande amarezza che scrivo queste parole. Non si sta parlando di una vicenda marginale, ma del modo in cui si stanno delineando i rapporti tra le persone ed uno Stato che, abituato da sempre a legiferare sul corpo della donna come «luogo pubblico», rende ora «pubblici» i corpi di tutti, li fa tornare sotto il dominio del potere politico e si serve abusivamente della mediazione dei medici, di cui viene restaurato un potere sul corpo del paziente che era stato cancellato proprio dalla «rivoluzione» del consenso informato. Ora non sarà più la persona a decidere per sé. Altri lo stanno facendo, e lo faranno, al suo posto. Dov´era un «soggetto morale», quello nato appunto dall´attribuzione a ciascuno del potere di accettare o rifiutare le cure, troviamo di nuovo un «oggetto».
Non è solo una questione di costituzionalità, allora, quella che si è ufficialmente aperta. È una questione di democrazia, perché stiamo parlando del modo in cui si esercita il potere. Sono in discussione il diritto all´autodeterminazione e i limiti all´uso della legge.
Torniamo così alla costituzionalità del testo appena approvato, di cui la maggioranza appare sicura probabilmente perché alla Costituzione e alla sue logiche si mostra sostanzialmente estranea, come provano molte vicende degli ultimi tempi, e dei tempi meno recenti. Ma la Costituzione e i suoi guardiani sono ancora lì. Alla maggioranza conviene far sapere che, mentre si arrabattava in tutta una serie di espedienti legali per impedire che avesse attuazione la sentenza della Corte di Cassazione sull´interruzione dei trattamenti a Eluana Englaro, la Corte Costituzionale (sentenza numero 438 del 23 dicembre 2008) scriveva le seguenti parole: «La circostanza che il consenso informato trova il suo fondamento negli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione pone in risalto la sua funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all´autodeterminazione e quello alla salute».
Da qui bisogna partire già in questi giorni, mentre il disegno di legge passa dal Senato alla Camera. Non è retorica dire che il punto forte è costituito dal sentire delle persone, testimoniato da tutti i sondaggi, da quelli appunto sulle decisioni relative al morire a quelli sull´uso del preservativo, che mostrano non solo una distanza netta dalle posizioni delle gerarchie vaticane, ma soprattutto una consapevolezza profonda della libertà e della responsabilità che devono accompagnare le scelte di vita. Ai deputati bisogna far sentire la voce di questo paese, che la maggioranza politica non ascolta, chiusa com´è nelle sue convenienze e nei suoi ideologismi, e che il Partito democratico rischia di non sentire, lasciando così senza avere rappresentanza parlamentare proprio un mondo che potrebbe essergli vicino.

Repubblica 27.3.09
Veronesi: "Non ho voluto assistere a quel voto, ma conto di poter ancora dare un qualche apporto"
"Che delusione il Parlamento calpesta i diritti scritti nella Carta"
Intervista a Umberto Veronesi di Carmelo Lopapa

Ci misuriamo con quella che Cavour 150 anni fa chiamava dittatura parlamentare
Per ora resto al gruppo, non mi scandalizza il dibattito interno al Pd, i cattolici hanno seguito le proprie inclinazioni

ROMA - Professore Umberto Veronesi, la sua assenza al Senato nel giorno cruciale sul testamento non è passata inosservata.
«Un´assenza voluta, non casuale. Non ho voluto assistere impotente alla celebrazione di una legge che è antidemocratica, perché limita la libertà dei cittadini, antistorica, perché tutto il resto del mondo civile va in direzione opposta, infine incostituzionale, perché calpesta il diritto di decidere della propria vita. Hanno approvato una legge contro il testamento biologico».
Eppure fino a qualche giorno fa lei era in aula, è intervenuto, si è infervorato.
«Sì, ma mi sono reso conto di essere vox clamans nel deserto. Sono un po´ deluso, ero entrato in Parlamento con la speranza di dare il mio contributo anche in forza dell´esperienza di una vita, trascorsa al fianco di chi soffre e muore. Quando mi dicono "che ci rimani a fare al Senato", qualche dubbio in effetti mi viene. Ma resto fiducioso e conto di dare ancora qualche apporto. Anche se l´impressione che ho avuto, nei tre giorni di sofferenza che mi sono imposto in aula, è stata che la legge fosse completamente blindata».
In effetti, non siete riusciti a far passare alcun emendamento.
«Ci misuriamo con quella che Cavour, 150 anni fa, chiamava una dittatura parlamentare. Se la maggioranza si blinda e non accetta alcuno degli emendamenti della minoranza, allora il Parlamento perde gran parte della sua funzione».
La soddisfa la linea tenuta dal suo gruppo, il Pd, in tutta questa partita? In ultimo due senatori hanno votato a favore.
«Non sono iscritto ad alcun partito, la mia libertà di pensiero mi impedisce di esserlo. E non mi iscriverò al Pd. Ho accettato di aderire al gruppo perché sono nato e cresciuto e morirò di sinistra, dalla parte dei poveri, degli ultimi. Resto al gruppo, almeno per adesso».
Detto questo, i cattolici che si sono distinti dal resto del Pd?
«Hanno seguito le proprie inclinazioni. È giusto che in Parlamento si possa discutere, non mi scandalizza il dibattito interno al Pd. Piuttosto la chiusura della maggioranza».
Da laico lamenta invece l´ingerenza della Chiesa.
«Da uomo di scienza, piuttosto. Il termine bioetica era nato perché, come sosteneva il suo inventore, Von Potter, l´etica medica deve ispirarsi alla natura e deve trattenersi dall´invadere e abbattere i limiti naturali della vita. Era un presupposto accettato anche dalla Chiesa, che oggi invece smentisce se stessa plaudendo a una legge che va contro la morte naturale».
E adesso? Referendum?
«Intanto, penso che il presidente della Repubblica avrà qualche dubbio sulla costituzionalità della norma. L´autodeterminazione è alla base della Costituzione. Ma penso che anche la Corte costituzionale avrà dei rilievi. Certo, il referendum resta l´ultima spiaggia. A me sembra più utile e pratico seguire un´altra via, nell´immediato».
Quale?
«Lancio un vero appello agli italiani. Scrivete il vostro testamento biologico prima che questa legge che lo vanifica entri in vigore. Depositatelo dal medico o da un avvocato o da un notaio, nominando un fiduciario. All´occorrenza, un buon magistrato potrà farlo valere. E i medici, com´è loro dovere deontologico, potrebbero decidere di dar seguito alla volontà del paziente. Io l´ho fatto. Avrà un senso se lo faremo in tanti».

il Riformista 27.3.09
Dopo Segni, Veronesi
L'incubo referendum scuote i democratici
Retroscena.Il Pd si spacca sull'ipotesi di consultazione popolare bioetica. Favorevoli la Cgil e i laici, contrari cattolici e fedelissimi di Franceschini. «È un'arma spuntata», dice Tonini. Fioroni su Guzzetta&co: «Ci portano dal porcellum allo scrofellum».

di Tommaso Labate

Quello sulla legge elettorale è già convocato per una domenica di inizio estate, lontana quanto basta dall'election day. Quello sulla scuola, lanciato in pompa magna dall'allora segretario Walter Veltroni sull'onda delle proteste dell'Onda, sembra essere stato inghiottito dalle tenebre (ma forse rispunterà dal nulla, addì primo aprile). E come se non bastasse sta per affiorarne il terzo, abrogativo della (futura) legge sul testamento biologico che ora passerà da palazzo Madama a Montecitorio.Sul Pd incombe l'incubo referendario. Solo che, a differenza del passato, nessuno può sognarsi di dare la "colpa" (virgolette d'obbligo) a Marco Pannella e compagnia.All'una e mezza di ieri, quando il Senato aveva dato il disco verde all'emendamento «ammazza testamento», la consultazione referendaria sul fine vita era già virtualmente convocata. A promuoverla l'Italia dei valori di Antonio di Pietro e, soprattutto, la Cgil.La reazione democrat era quella del marciare divisi per colpire chissà come. Un eventuale referendum sul biotestamento vedrebbe in prima fila gli scienziati prestati al Pd: da Ignazio Marino a Umberto Veronesi, tanto per citare due esempi conosciuti a livello mondiale. E gli altri? Il cattolicissimo Beppe Fioroni la prende alla lontana, dice che «Berlusconi ha fatto di tutto questo un tema da campagna elettorale» e aggiunge che «con la legge che esce dal Senato ci sarà un arretramento rispetto alla vita ordinaria che c'è negli ospedali italiani». Ma le sue conclusioni sono nette: «Un referendum sul testamento biologico avrebbe come unico effetto quello di radicalizzare ulteriormente lo scontro». E questo, aggiunge l'ex ministro, «il paese non può permetterselo».Il fronte laico, però, reagisce in maniera diversa. Molto diversa. «Io sono una donna delle istituzioni e farò di tutto perché quella legge oscena si possa cambiare in Parlamento», premette Livia Turco. «Ma - aggiunge l'esponente (dalemiana) della sinistra piddì - qualora i nostri tentativi risultassero vani, allora non ci resterebbe che il ricorso al referendum». Ricorso sponsorizzato anche da Enzo Bianco e, in linea di principio, da Gianni Cupero («Non possiamo escluderlo»).Cattolici e laici. Laici e cattolici. Giorgio Tonini, già braccio destro di Veltroni, ricorda: «Io ero contrario anche alla consultazione sulla fecondazione assistita. Allo stesso modo, credo che non abbia senso ricorrere alle urne sul testamento biologico. Sarebbe come regalare una comoda vittoria alla maggioranza, che è compatta. E io non voglio che Berlusconi possa "vincere facile", come dice la pubblicità».Condivisibile o meno, il ragionamento di Tonini è molto semplice: «Visto che l'istituto referendario è ormai un'arma spuntata, non ha senso chiamare al voto gli italiani se gli schieramenti sono gli stessi che si combattono in Parlamento». Perché in questo caso, aggiunge, «la maggioranza vincerebbe col più semplice dei richiami: quello a disertare i seggi elettorali».Cambiando l'ordine dei quesiti, il risultato non cambia: anche sul referendum elettorale il Pd si muove a compartimenti stagni. Veltroniani e parisiani sostengono i sì, dalemiani e popolari sono contrari, Franceschini si trova nella "comoda" situazione di chi, visto il boicottaggio dell'esecutivo, non può certo sabotare il duo Guzzetta-Segni. «Noi - dice Fioroni - dobbiamo cambiare il porcellum in Parlamento. Il referendum, invece, ci lascerebbe in dote uno scrofellum, ancora peggiore dell'attuale».Per trovare una consultazione che trovi tutto il Pd d'accordo bisogna guardare al referendum misterioso, quello anti-Gelmini. Adesso quei quesiti sono nel dimenticatoio. Il primo aprile, durante un'iniziativa nazionale, Franceschini potrebbe rimuoverli dalla naftalina. Sempre che, vista la data, non si tratti di uno scherzo.

l’Unità 27.3.09
Berlusconi attacca le Camere
Fini: sbagli, sei qualunquista
di Natalia Lombardo


Ennesimo affondo di Berlusconi contro il Parlamento. Scontro con Fini alla vigilia del congresso del Pdl, ricucito formalmente in un incontro. Il premier smentisce ma resta l’idea di far votare solo i capigruppo.

Frainteso. Sarebbe stato «frainteso» ancora un volta, Silvio Berlusconi, dopo aver scatenato l’ira di Gianfranco Fini che, in aula, dichiara: «Il presidente del Consiglio ha sbagliato». Non voleva dire che i parlamentari sono figuranti, ma solo che «serve una riforma perché i deputati sono solo lì per fare numero e votare con due dita emendamenti che non conoscono». Parole dette dal premier nell’entusiasmo di un brindisi tra la «monnezza» per l’inaugurazione del termovalorizzatore di Acerra, ma che suonano come il fischio di una bomba, alla vigilia della fusione tra Forza Italia e An.
Una gaffe che preoccupa anche i suoi, per la polemica pre-congressuale della quale «non si sentiva il bisogno» confessa Ignazio La Russa. Una mossa studiata, invece, «per far capire a Fini che il padre della patria siede al Quirinale», spiega un fedelissimo di Berlusconi. Tanto per ribadire a Fini che critica il pensiero unico che non si monti la testa. E per avanzare di nuovo l’idea che votino solo i capigruppo. Ma nell’incontro già fissato con il presidente della Camera a Montecitorio alle cinque del pomeriggio si è ripetuto il copione della «ricucitura».
Ad Acerra, sotto il palco con maxischermo (proiettando «Annozero») che pare la prova generale di quello da concertone del congresso Pdl, Berlusconi (che persevera. «sono «più pallido di Obama») con un bicchiere in mano ha detto che «ci sono troppe procedure», bisogna «ammodernare lo Stato» e pure il Parlamento (aveva appena ricevuto i complimenti di Napolitano per l’inceneritore). Poi l’attacco: «Adesso sei lì con due dita ad approvare tutto il giorno emendamenti di cui non sai nulla». Martedì ha votato (cosa rara) il federalismo con il sistema delle impronte voluto da Fini. Il premier spiega il suo «paradosso del capogruppo che vota per tutti, era per dire che gli altri sono lì non per partecipare ma per fare numero».
La reazione di Fini in aula
La notizia vola a Roma, nell’aula della Camera. Il capogruppo Pd Antonello Soro chiede l’intervento del presidente e denuncia le «pulsioni autoritarie» del premier. Fini presiede e risponde: «È sbagliato irridere le regole della democrazia parlamentare, lo dirò con chiarezza al Presidente del Consiglio»; perché il Parlamento è un’istituzione essenziale, le regole devono essere rispettate da tutti, in primis dal capo del governo. Si possono certo cambiarema non irridere». E ancora, «non è vero che i deputati sono qui a fare numero» o a votare con due dita «emendamenti» ignoti. Il solo dirlo «alimenta qualunquismo», ha concluso applaudito da tutti i parlamentari offesi, anche quelli del Pdl.
Prima dell’incontro con Fini, la smentita: «Cado dalle nuvole», fa lo gnorri il premier, ho solo detto che «gli emendamenti dovrebbero essere discussi e approvati in Commissione, mentre nell'Aula si dovrebbero effettuare la discussione e il voto finale su ogni legge, come accade in altri Paesi». Insomma, i deputati si diano da fare in commissione, poi zitti vota il capogruppo.
L’incontro «cordiale»
Così alle cinque e un quarto Berlusconi nello studio del presidente al piano nobile di Montecitorio si trova davanti un Fini più gelido del solito e prova ad ammorbidire con le battute, dicono. Poi si profonde in «mi dispiace, c’è stato un misandestanding, io non volevo offendere il Parlamento». La questione è stata «risolta nei primi cinque minuti», racconta il ministro La Russa, presente insieme a Gianni Letta, «Berlusconi ha descritto come fosse preso dalla “bellezza” dell’impianto di Acerra e non voleva criticare l’istituzione parlamentare». Ancora una volta «clima cordiale», dicono per gettare acqua sul fuoco, e cortesie promesse: oggi Gianfranco ascolterà Silvio alla Fiera di Roma, domani viceversa. Berlusconi si concederà, perché non seguirà tutto il congresso. I due hanno parlato poi degli organi di partito (An è già prosciugata dal 25% di spese per il congresso da sette milioni).
L’opposizione non la fa passare liscia: dal Cile Franceschini commenta: «Qui i capi del governo si occupano della crisi e non passano le giornate a offendere i disoccupati e i parlamentari». Dal Senato Anna Finocchiaro denuncia un incontenibile fastidio per le regole della democrazia da parte del premier».

l’Unità 27.3.09
Un partito unico per un unico padrone
Pdl, dal predellino alla Fiera di Roma
di Federica Fantozzi


Al via oggi pomeriggio il congresso costituente del Popolo della Libertà
Immagini psichedeliche per catturare i giovanissimi. Ma i giornalisti in un’altra sala
Superpalco sospeso di 600 metri, coreografie rutilanti, cori e pennacchi. Ma gli interventi «liberi» di ragazzi e delegati comuni andranno in scena la sera tardi. L’ordine dei lavori indicherà chi sale e chi scende.
Il palco è un candido ponte sospeso, 600 metri quadrati di ideale trait d’union «tra il passato e il nuovo». I 500 metri di fondali luminosi sono il maxischermo su cui scorreranno immagini psichedeliche stile Mtv, due schermi laterali e due quinte esterne in nuances azzurre. Banda musicale con pennacchio e coro. Nuovo inno e nuova «fatina»: al posto di Stefania Prestigiacomo, presenterà la giovane e bionda deputata Annagrazia Calabria che si dice già «emozionatissima».
Le 7200 sedie del Padiglione 8 accoglieranno delegati e ospiti, ma solo ministri e big del partito avranno accesso alla privatissima «zona rossa». Andrà peggio ai giornalisti: confinati nella sala stampa al Padiglione 6, incollati agli schermi (piccoli) lontani dal travaglio che darà vita al nascituro PdL. E peggio ancora ai peones, giovani e delegati comuni, i cui interventi massimo 5 minuti sono previsti dopo cena «a oltranza» fino a mezzanotte.
Nuova Fiera di Roma, ingresso Nord, sotto il cubo con il disco celeste visibile dall’autostrada. «Hostess? Andate pure». In effetti ne passano a grappoli, in 250 accudiranno il Popolo della Libertà. Ieri pomeriggio, ora del sopralluogo di La Russa e Verdini in attesa della benedizione finale di Berlusconi, la Fiera era ancora un cantiere. Operai, attrezzisti, security con la missione di “bonificare” l’area (cacciato persino un gruppo di ricercatori che studia i partiti), carrelli, gru. Discussioni sugli stand: qui Magna Carta, un po’ più in là l’editore Bietti. Pacchi incellophanati di libri: dalla «Svolta del Predellino» alle opere di Quagliariello.
Il clou, croce e delizia, crocevia di ansie e aspettative, è «l’ora della sorpresa». Dalle 17 alle 18 di oggi: tra l’apertura delle assise e il discorso di Berlusconi. Sarà il momento della coreografia: «Un grande colpo d’occhio» gongola La Russa. «Decoro in movimento - la chiama l’architetto globe-trotter Mario Catalano - Ha deciso Berlusconi come sempre, su un ventaglio di dieci proposte». Sugli schermi scorrono meduse digitali, sorride una fanciulla con cappello di paglia e papaveri rossi: «Solo prove». Qualche anticipazione? «Per carità, sono un soldato» inorridisce Catalano. Si ventilano adesioni vip, un caleidoscopio di immagini del quindicennio forzista alle spalle, montaggio emotivo e lacrimucce in sala.
Al lavoro c’è un team decennale. Dopo i triumviri (Bondi, Verdini e La Russa), la triade: Catalano, giacca sahariana e occhiali da sole, già «compagno di scorribande palermitane» con il maestro craxiano Panseca; il curatore dell’immagine Roberto Gasparotti, cravatta azzurra, «Ecco, lì, anzi no, qui»; il direttore della fotografia Gianni Mastropietro.
Berlusconi parlerà da un palchetto più vicino al pubblico: da solo venerdì, con l’ufficio di presidenza alle spalle da presidente eletto. Ancora da limare il resto degli interventi, su cui è rimbalzato il gelo con Fini. Le donne sognano Mara Carfagna coordinatrice. I dettagli chiariscono le gerarchie interne: venerdì sera sindaci e assessori, sabato di giorno Fini, Schifani, ministri e capigruppo. Tremonti subito prima di cena (fornita, al solito, dal catering Ottaviani: pasta tricolore, cotolettine, mozzarelle, caponata di verdure, involtini di pesce spada). Sabato notte «interventi liberi». Domenica mattina saluto dei «piccoli»: il Repubblicano Nucara non aderisce, chissà se lo faranno parlare. Ultimi sussurri: quanto si fermerà Berlusconi? E quali interventi ascolterà? Al via il nuovo borsino di chi sale e chi scende.

l’Unità 27.3.09
I risultati dell’indagine del Cnr di Pisa, un progetto che coinvolge 35 paesi europei Psicofarmaci. I ragazzi italiani al 4°posto in Europa per l’uso di sedativi senza ricetta
Lo sballo fai da te coi farmaci di casa
L’ultima moda tra i sedicenni


La dottoressa Molinaro (Ifc) ha condotto l’indagine su diecimila studenti italiani tra i 15 e i 16 anni. Stabile il consumo di sigarette e sostanze illecite. Cresce del 4% il consumo di alcol nella stessa serata.

Hashish, marijuana, alcol, certo, tutto questo. Ma la gran moda sono soprattutto i cocktail fai-da-te, mescolare l’Aulin con la birra, gli antiaggregganti che usa la nonna per il cuore shakerati con gli alcolici, o la vecchia aspirina con la coca-cola. Per non parlare, ma qui siamo alle soglie dell’impossibile, «del Lasonil spalmato sui fogli di carta». Fai una pallottola, la mastichi e lo sballo, assicurano gli intervistati, è assicurato. Non siamo nelle favelas brasiliane dove i bambini aspirano colla, nelle montagne andine dove le foglie di coca sono pane quotidiano a tutte le età o in medioriente dove le bocche masticano senza sosta il chat. Siamo in Italia, nelle scuole pubbliche e dell’obbligo, tra ragazzi che hanno 15-16 anni.
È un quadro allarmante quello disegnato dall’ultimo studio del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa che ha coinvolto 10 mila studenti. L’indagine scolastica è un programma europeo sul consumo di alcol e droghe nelle scuole (Espad) e dal 1995 osserva la popolazione scolastica di 35 paesi europei.
L’indagine «riguarda ragazzini di 15-16», sottolinea Sabrina Molinaro, ricercatrice precaria («nonostante i miei 35 anni») dell’Istituto di fisiologia clinica del Cnr di Pisa e responsabile del progetto per quello che riguarda l’Italia. Il dato più allarmante riguarda l’assunzione di tranquillanti e sedativi senza prescrizione medica. L'Italia è al quarto posto con il 10% degli studenti che fa uso di questi cocktail. La percentuale è cresciuta del quattro per cento rispetto al 2003. In quel dieci per cento, la percentuale femminile è doppia rispetto a quella maschile (17% contro il 9%).
Cocktail fai-da-te
«Si tratta - spiega la dottoressa Molinaro - di cocktail fai-da-te che i ragazzi sperimentano mescolando le medicine che trovano in casa e utilizzate dai genitori o dai nonni». Internet, il passaparola, molta curiosità e voglia di sperimentazione fanno il resto. La gravità del “gioco” si misura con gli effetti collaterali: problemi con gli insegnanti, scarso rendimento scolastico, tensioni a casa, bugie, distrazione, eccitazione. L’indagine non può e non deve avventurarsi in analisi di tipo sociologico, Le risposte alla domanda «perché» aiutano però a capire molto. Il 40 per cento dice di prendere psicofarmaci «per dormire», il 60 per cento «per aiutare l’umore», il 20 per cento lo fa per questioni legate alla dieta o per curare l’iperattività. «Il totale non fa cento - spiega Molinaro - perché spesso chi si impasticca per dormire lo fa anche per dimagrire». Resta la domanda su come possano i ragazzi avere a disposizione i farmaci. «Le nostre case - spiega la dottoressa - pullulano di confezioni di forti anfetaminici come il Ritanil, ansiolitici come Tavor e Lexotan». I ragazzi lo sanno, vanno, mescolano e consumano. Per non parlare del fenomeno delle mamme che danno calmanti ai figli piccoli per farli dormire.
Guidano la classifica degli psicofarmaci Polonia (15% degli intervistati), Lituania e Francia-Principato di Monaco. Agli ultimi posti ci sono Armenia, Austria, Russia e Regno Unito (tra lo 0 e il 2%).
Vodka il sabato sera
La situazione è meno allarmante quando si parla di sigarette. Il vizio del fumo registra un quattro per cento in meno rispetto ai dati del 1995. «In Italia - afferma Molinaro - ha fumato almeno una sigaretta il 61% degli studenti intervistati e siamo sesti nella top ten europea».
Stabile il consumo di sostanze illecite (cannabis il 19%; Lsd, cocaina, ecstasy il 7%) e degli alcolici («a metà nella classifica europea») mentre aumenta in modo significativo (38% contro il 34) il consumo di tanto alcol nella stessa serata (binge drinking, cinque o più bevute di fila). È la sbronza del fine settimana, bottiglie di vodka comprate al supermercato e poi bevute in gruppo. Lo fanno soprattutto le ragazze.

Repubblica 27.3.09
La scuola che resiste, nonostante tutto
risponde Corrado Augias


Caro Augias, il mio è un necrologio per la scuola che è morta: nell'abbandono dei suoi edifici, nel grigiore delle pareti delle sue aule, nel tanfo delle sue palestre, nel fetore dei suoi gabinetti. È morta di amarezza, nello squallore delle sue sale dei docenti. Di rancore, nella disillusione dei suoi docenti, nella marginalità del loro ruolo, nell'usura dei loro abiti, nell'indigenza, nell'insulto alle loro persone. Morta di vergogna, nella mancanza di carta igienica, nella povertà dei suoi strumenti, nel decadimento delle sue suppellettili. Di noia, nell'inutilità delle sue riunioni, nell'astrusa insulsaggine dei corsi di aggiornamento. Di disgusto, nell'ipocrisia dei suoi ministri, nell'arroganza dei potenti, nella volgarità della cultura dominante. Morta di invidia, nel confronto con le scuole dei paesi civili. Di indifferenza, nell'incuria dell'opinione pubblica, nell'ignavia degli intellettuali, nel disinteresse dell'informazione. La scuola italiana è morta di rimpianto, nella disillusione per i sogni di chi, almeno per un giorno, ci aveva creduto.
Lea Reverberi

Correggerei la disperata diagnosi di questa lettera. La scuola italiana sta sicuramente male ma non è morta. Sta male perché nessuno se ne cura, tra coloro che avrebbero il potere e il dovere di farlo; e perché chi se ne cura come l'attuale ministro lo fa per tagliare, togliere, ridurre, privare. Non mancano solo i soldi, manca il prestigio, il ruolo, la considerazione, l'aura che la scuola dovrebbe avere perché è lì che si fanno i primi passi sulla via della conoscenza e della cittadinanza. E chissà che non sia proprio questa la ragione non detta dell'avvilimento in cui buona parte della scuola si trova. Dico "buona parte" perché, per varie ragioni familiari e di amicizia, so anche di casi di grande vitalità della scuola. Dovuta alla passione di tanti insegnanti, nonostante la scarsità dei fondi e spesso il grigiore degli edifici e delle aule. Ma poiché si tratta di nozioni limitate alle due maggiori città del paese (Roma e Milano) mi viene da pensare che forse le situazioni peggiori di cui altri mi scrivono, si trovino proprio in quelle regioni dove sarebbe più necessario che la scuola fosse l'antidoto all'ignoranza diffusa allo svilimento di un'idea di Stato, di cittadinanza, di legalità. Mi ha scritto Rosanna Lioveri (lio85@libero.it) da Bergamo: «Dopo tanti anni di studio appassionato, a chi dire del nostro disagio in questo clima di finta democrazia? Chi ascolterà le parole di un docente, uno dei tanti? Comunque, nonostante tutto, continuerò a credere fermamente nell'importanza del mio compito, nel mio dovere di educare al sapere e alla legalità». Molti, nonostante tutto, resistono. Ma quale delitto scoraggiare, spegnere, questa competenza, questa passione.

Repubblica 27.3.09
I fedeli distanti dalla Chiesa
I cattolici credono in modo più vago di quanto prescrivono le autorità
Eppure mai in nessuna epoca tanti pellegrini hanno visitato i santuari mariani
di Giancarlo Bosetti


Quale fede e quali fedeli ha in mente il Papa? C´è una serissima vignetta inglese. Due lettori e un giornale con gran titolo sul discorso politico di un vescovo. I due commentano: «Ma tu credi in Dio?». «Sì», risponde l´altro. «E credi in un Dio che può cambiare il corso degli eventi sulla terra?». «No, solo in uno normale»
Solo normale, ovviamente. Just ordinary, non un Dio che entra nei dettagli della vita politica. La vignetta è stata proposta da Grace Davie, in apertura di uno dei suoi studi sullo stato della religione in Europa e illustra la sfida che tutte le chiese si trovano di fronte in questa strana fase della loro storia: la fede tra la gente non diminuisce, al contrario, ma si allontana dall´ortodossia. I credenti non sentono più lo stesso bisogno di un tempo di partecipare con regolarità alle funzioni. Credono, ma in un modo più vago di quel che prescrivono le autorità ecclesiastiche. La Davie ha coniato la formula del «credere senza appartenere», che vediamo confermata nelle analisi di Ilvo Diamanti sui cattolici italiani: si fidano della Chiesa, versano l´8 per mille, ascoltano con rispetto i messaggi dei vescovi, ma decidono con la propria testa che cosa pensare dei preservativi e del testamento biologico, in tutt´altra direzione.
La sfida della fede che non vuole «appartenere» sta davanti alla Chiesa di Roma. E una delle domande interessanti del nostro tempo è: in che direzione risponderà alla sfida? rinforzando vincoli e divieti, per i fedeli, o accettando compromessi con tendenze e abitudini della società? Incoraggiando o no l´afflusso dei non ortodossi? Chiudendo o aprendo al dialogo con le altre religioni?
Da molti segnali si può immaginare (e temere) una risposta nella prima direzione, ma non se ne può essere sicuri fino in fondo perché, nonostante tutto, è rimasto in sospeso un giudizio conclusivo sugli atti del Pontefice, se si sia trattato di errore, leggerezza e sottovalutazione delle conseguenze o se di un vero segnale deliberato e irreversibile. L´ultimo caso, la revoca della scomunica ai lefebvriani, ha avuto l´impatto drammatico che sappiamo a causa della confessata ignoranza del negazionismo del vescovo Williamson. Il gesto era dunque di sicuro di orientamento tradizionalista, ma, senza lo scandalo di Auschwitz, sarebbe stato meno indigesto al mondo; del discorso di Regensburg con la citazione di Manuele II Paleologo sui musulmani «cattivi e disumani» si può anche dubitare che l´intenzione fosse proporzionata alle parole; quanto al Messale con il sacerdote che volge le spalle ai fedeli, alla preghiera del Venerdì santo con il reinserimento dei «perfidi ebrei», o alla beatificazione di Pio XII, non sono certo atti casuali, ma a giudicare dalle precisazioni e mosse diplomatiche successive, non contengono una risposta definitiva a quella domanda.
Rimane un caso stupefacente che, tra le risposte di Benedetto XVI a questi mutamenti di qualità della fede, si affacci anche un attrazione per il rovescio del «credere senza appartenere», e cioè per l´«appartenere senza credere» degli atei devoti, dei non credenti che innalzano la identità cristiana come vessillo politico dell´occidente liberale. Marcello Pera ne guida le file, e proprio al suo libro (Perché dobbiamo dirci cristiani, Mondadori, 2008) il Papa ha consegnato la lettera in cui giudica «impossibile in senso stretto» il dialogo interreligioso, altre volte invece proposto come utile e giusto (perché se no, con i musulmani alla Moschea blu di Istanbul?). Ma neanche questo caso contraddittorio è risolutivo.
Una risposta definitiva sulla direzione del pontificato non c´è ancora neanche per gli ambienti conciliari del cattolicesimo, dove non si è aperto un visibile fronte di opposizione. Si insiste a catalogare quanto sopra tra gli «incidenti». Altri, di diversa ispirazione, come Vittorio Messori, rifiutano decisamente l´idea dell´«errore» e attribuiscono questa linea di condotta alla scelta del un capo della Chiesa di dare priorità assoluta alla tutela della fede, che, come Benedetto XVI ha scritto nella lettera ai vescovi, oggi «in vaste zone della terra è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento» perchè «in questo nostro momento della storia Dio sparisce dall´orizzonte degli uomini». Parole forti, drammatiche, da cittadella assediata.
Se dovesse prevalere la linea della «minoranza creativa», più volte evocata dallo stesso pontefice, saremmo di fronte alla singolare situazione di una Chiesa che, come succede a movimenti politici in una fase di declino, si irrigidiscono nella dottrina aggravando le perdite di consenso che vorrebbero invece difendere. Tanto più singolare mentre i segnali di una vitalità della fede contraddicono il tramonto del sacro sull´orizzonte contemporaneo e ne annunciano il ritorno. Come accordare per esempio quelle previsioni funeste con un inizio di secolo che di fatto appare come «l´epoca d´oro» dei pellegrinaggi cristiani? Mai in nessuna epoca tanti pellegrini hanno raggiunto i santuari mariani: 10 milioni all´anno a Guadalupe in Messico, 6 milioni a Nostra Signora di Aparecida in Brasile. Anche in Europa il boom è evidente: Lourdes aveva un milione di visitatori negli anni Cinquanta, ora sono 6 milioni, poco meno a Jasna Gòra–Czestochowa, 4 milioni a Fatima. Altre cifre impressionanti in tutta Europa, da Lisieux ad Assisi, da Altötting a Medjugorje. Quest´ultima dal 1981 ha attratto 30 milioni di visitatori. Tutta la documentazione è in Philip Jenkins, The God´s Continent, (Oxford University Press, 2007) un autore sulla stessa lunghezza d´onda del «credere senza appartenere». L´eclisse della religione in Europa non esiste. Il fatto è che i credenti trovano in queste esperienze qualche cosa che non trovano (più) nella vita della parrocchia o nel ciclo dei riti ordinari.
Se nella Chiesa prevalesse l´idea che la fede si sta estinguendo, i cattolici si troverebbero di fronte a una situazione imbarazzante come ritrovarsi davanti dei leader politici, che, sconfitti alle elezioni, proclamino la fine della politica, anziché la propria. Più realistica sarebbe una riflessione, per i politici sui voti persi o sulle astensioni, e per i religiosi su quello che Vito Mancuso chiama lo «scisma sommerso», vale a dire quei milioni di credenti che allo stato dei fatti trovano le porte di ingresso troppo strette per imbarcarsi o reimbarcarsi nella Chiesa. Ma il tema della persistenza della religione in questa fase di «assenza di orientamento», come la chiama Hans Küng, è di grande importanza anche fuori delle chiese, per i laici e per la politica democratica. Interpretare queste domande di senso, e di un genere nuovo che sembra sfuggire al controllo e alla cultura dei vertici vaticani, non è solo un compito per chierici.

Corriere della Sera 27.3.09
Dopo l'aumento delle gravidanze tra le minorenni
Gran Bretagna, spot in tv per aborto e preservativi
Le autorità: «Informare serve». Allarme dei cattolici
Tra i promotori della campagna la baronessa laburista Joyce Gould: «Pubblicità intelligente per un sesso responsabile»
di Fabio Cavalera


LONDRA — Il Regno Unito ha il più alto numero in Europa di ragazze minorenni che restano incinte. Su mille donne in attesa di un figlio, 42 non hanno compiuto i diciotto anni. Le statistiche ufficiali, relative al 2007, aggiungono che, ogni settimana, 84 adolescenti si sottopongono all'interruzione della gravidanza e che tre non hanno 14 anni. E ancora: la diffusione di infezioni agli organi genitali per le under 16 e i loro coetanei è superiore a quella di qualsiasi altro Paese del Vecchio Continente con 11 mila casi diagnosticati.
Numeri da allarme rosso. Più in generale, sempre nel 2007, gli aborti, in tutte le fasce di età fertile e con un picco fra i 20 e i 24 anni, sono stati 198.499, e sono raddoppiati nel corso di un trentennio.
Fotografia completata dal dato secondo cui, su dieci giovani o giovanissime che hanno concepito, sei si rivolgono alle strutture sanitarie per non portare a termine la maternità. Colpa, è spiegato in un recente rapporto finito in Parlamento, della insufficiente educazione sessuale e contraccettiva nelle scuole e nelle famiglie.
È di fronte a questa realtà che è partita la proposta di utilizzare la televisione e i giornali come strumento di divulgazione sull'uso del preservativo e di dare sia alle cliniche nelle quali si pratica l'aborto sia alle associazioni che assistono le minorenni, la possibilità di mandare in onda spot pubblicitari mirati alla corretta informazione della paziente. Il tabù sta per essere rotto dal Broadcast Committee of Advertising Practice, la commissione di vigilanza sulla pubblicità, che riformerà il codice di disciplina. Attualmente, esiste la possibilità di trasmettere promo sui condom, ma solo in alcuni orari per «proteggere i minori da contenuti inappropriati » (mai prima delle nove di sera), è invece escluso qualsiasi messaggio sulla interruzione di gravidanza.
Le nuove regole — che saranno varate «non senza avere ascoltato i pareri dei cittadini, degli operatori del settore, dei partiti», ha rassicurato Andrew Brown, il presidente del Broadcast Committee of Advertising — autorizzano la diffusione di spot nel corso della giornata con l'unica raccomandazione - vincolante di non collocarli o durante o a ridosso dei programmi per i bambini fino a dieci anni.
Una svolta che provoca già in partenza reazioni a non finire.
Protagonista della inversione di rotta una baronessa laburista, Joyce Gould di Potternewton, convinta che le proibizioni siano ben più pericolose di una comunicazione scientificamente corretta e tale da non urtare la sensibilità del pubblico.
L'esperienza insegna, ha sostenuto, che norme più aperte accompagnate da pubblicità intelligenti hanno effetti positivi e vengono alla fine associate a «stili di vita sessuale responsabili».
Sul piede di guerra le organizzazioni cattoliche: «Si ottengono risultati opposti a quelli desiderati, più si promuovono forme di controllo delle nascite e più sono alte le percentuali di gravidanza fra le minorenni». Non solo. Una rappresentante di Life contesta così: «I gruppi pro-vita non hanno i soldi di cui dispongono invece i gruppi a favore dell'aborto e non sono in grado di comperare spazi per divulgare il loro messaggio».
L'authority sulla pubblicità va avanti. Chiuderà la consultazioni il 19 giugno, poi via libera alla pubblicità sull'aborto e sui preservativi.

Corriere della Sera 27.3.09
Marcello Sorgi ha trovato a Lipari, dove la donna fu al confino tra il 1945 e il 1946, le lettere che documentano la relazione inconfessabile
La figlia del duce malata d'amore per un partigiano
La passione travolgente tra Edda e il comunista Leonida Bongiorno
di Dino Messina


«Conobbi Ellenica una sera. Al termine di una violenta dimostrazione per le vie del paese, in cui avevo potuto calmare gli animi con poche e semplici parole. Mi apparve come una rondine ferita dalle ali infrante». Lei, invece, rimase affascinata da tanta forza e bellezza, in cuor suo lo chiamò subito Baiardo, il focoso cavallo dell'Orlando furioso e dopo qualche giorno gli scrisse: «Caro amico, se i vostri impegni politici e i vostri svaghi della domenica ve ne danno la possibilità, vorrete essere così cortese di venirmi a fare una visitina?».
Non è un romanzo, ma una storia d'amore vera, una passione struggente tra due persone che non ti saresti mai aspettato di vedere insieme: Edda Ciano (Ellenica), figlia del Duce al confino nell'isola di Lipari dal settembre 1945 al giugno dell'anno successivo, e Leonida Bongiorno (nel lessico della corrispondenza amorosa, Baiardo, o Lecret dal nome del generale che combatté per la liberazione di Cuba nel 1898), capo dei comunisti liparoti, figlio dell'antifascista Eduardu, che ricalcando le carte nautiche ottenute da un amico aveva reso possibile nel 1929 la fuga degli antifascisti Carlo Rosselli, Emilio Lussu e Fausto Nitti. Il padre di Leonida-Baiardo era uno di quegli uomini tutto d'un pezzo, primo trombone nella banda del paese che riponeva lo strumento quando bisognava intonare «Giovinezza». Un socialista da sempre che teneva a un suo orgoglio anticonformista: quando gli americani gli chiesero di fare i nomi dei fascisti locali per vendicarsi, lui declinò l'invito. La soddisfazione se l'era presa da solo, tenendo la schiena dritta. Così il figlio, laureato in economia a Bologna, arruolato come tenente degli alpini, una rarità per un isolano, partigiano in Francia con il nome falso di Paul Zanetti dopo essere fuggito dalla prigionia dei nazisti. Un uomo intelligente ed energico che non aveva esitato a prendersi cura della «rondine dalle ali infrante», anche se era la figlia del Duce.
A raccontarci questa storia, dopo una tenace ricerca dei documenti — le lettere di Edda, il memoriale e i commenti di Leonida — è Marcello Sorgi, ex direttore della Stampa, nel libro Edda Ciano e il comunista. L'inconfessabile passione della figlia del Duce (in uscita da Rizzoli il 1˚aprile, pagine 150, e 18).
Sorgi aveva anticipato la notizia sulle pagine culturali del quotidiano torinese il 1˚ottobre dell'anno scorso. Il racconto si basava sulla lettura delle trascrizioni delle lettere, a volte in francese o in inglese, che, come in un romanzo di Alexandre Dumas, erano sepolte in un vecchio armadio nella casa di Edoardo, il figlio di Leonida, assieme a ciocche di capelli, biglietti, fotografie, annotazioni. Un materiale che Sorgi ha potuto esaminare per primo e ha elaborato in un racconto romantico e avvincente pur rispettando la verità fattuale. L'autore si è avvalso a tal fine della consulenza storica di Giovanni Sabbatucci.
I primi contatti fra Edda e Leonida sono interessati ma cauti. Lei, dopo essere stata scaricata in una stamberga nel centro dell'isola dal commissario Polito, lo stesso che aveva preso in consegna Benito Mussolini dopo il 25 luglio 1943, chiede al nuovo amico se può andare ad abitare nella casa di famiglia del Timparozzo, ribattezzata da Edda la «Petite Malmaison», secondo il nome che Josephine de Beauharnais aveva dato alla sua dimora dopo essere stata abbandonata da Napoleone. Leonida, con l'approvazione del padre, acconsente, e una notte di primavera, sulla terrazza di quella casa incantevole, avviene l'incontro d'amore. Lui la prende appoggiato al muro accarezzandole le gambe, secondo Edda la parte più bella del suo corpo di trentacinquenne. Il coetaneo Leonida-Baiardo si innamora, Edda-Ellenica sulle prime non si lascia andare: Ellenica partecipa al gioco erotico, scandalizza tutti esibendo sulle spiagge di Lipari e Vulcano un audace due pezzi, ma Edda è guardinga, ancora ferita dalla tragedia famigliare. Quando lui si dichiara, «voi per me potreste essere la donna ideale», quasi lo irride: «È possibile che io lo sia per tutti gli uomini?». Lui la ama e la teme, si sente un Ulisse con la sua Circe e le recita a memoria il passo dell'Odissea in cui la maga indica all'eroe omerico due rotte impossibili per far ritorno a Itaca. Lei gli risponde con i versi di Byron: «When we two parted...», «quando noi ci dividemmo, in silenzio e lacrime, i nostri cuori si spaccarono a metà». La passione cresce e con l'amore la confidenza. Edda, al confino con l'accusa di aver spinto il padre a entrare in guerra, scrive un memoriale, probabilmente aiutata da Leonida, negando ogni responsabilità pubblica: «Nel partito non ebbi mai nessun incarico... Come moglie del ministro degli Esteri non potevo che seguire le direttive che mi venivano date». Più che per questo memoriale, ma grazie all'amnistia Togliatti, a fine giugno 1946, arriva la comunicazione della libertà anticipata. In una cronaca maliziosa, un corrispondente del
Corriere della Sera scrive che «l'elegante signora» pare poco interessata a lasciare l'isola, anche perché «non ha disdegnato l'assidua compagnia di un aitante giovane del luogo, il sig. Leonida Bongiorno». Edda, in realtà, ha interesse a ritornare a Roma, per riabbracciare i figli. Con sé porterà un ricordo: il suo ritratto nudo eseguito a matita dal bel Leonida. Comincia così la seconda parte della corrispondenza: lei lo vezzeggia, «caro amico e fidanzato », «Baiardo mi manca molto», abbandona i toni ironici degli inizi quando lo chiamava «adorabile allievo di sieur Palmiro». Ma aumentano i silenzi di Leonida, che intanto ha incontrato Angela, la futura moglie, detta la «Chevelue» per via della folta chioma. Ellenica e Baiardo si rivedono, il primo incontro in un hotel di Messina dove lei si presenta con una carta d'identità falsa. Poi il nuovo distacco. E la sempre più appassionata e dolorosa corrispondenza. Edda si lascia andare a confidenze: «Perché è toccato a me scegliere tra le due persone più care?», alludendo al marito giustiziato e al padre cui non aveva perdonato di non essere intervenuto. Alla fine il grido: «Venite dunque con me. Non abbandonate questa felicità che gli Dei vi offrono». Siamo alla fine. Le risposte di Leonida si faranno sempre più rare, sposerà Angela.
«Ellenica» e «Baiardo» si ritroveranno sessantenni nel 1971, ancora a Lipari, davanti a una parete su cui lui aveva fatto incidere i versi omerici con le parole di Circe: «Tu da solo col tuo cuore consigliati: io ti dirò le due rotte». La passione non si era mai spenta.

Corriere della Sera 27.3.09
L'Anpi attacca Ernst Nolte «Non parli senza confronto»
di Antonio Carioti


Parlerà anche del sionismo, oltre che del nazismo e del bolscevismo, lo storico tedesco Ernst Nolte, nel seminario di tre giorni in programma a Treviso da lunedì a mercoledì della prossima settimana. E questo minaccia di inasprire le polemiche suscitate dall'iniziativa dell'associazione trevigiana intitolata a Jacques Maritain. Basti ricordare lo scalpore che Nolte, oggi ottantaseienne, suscitò nel maggio 2003, quando in una lezione magistrale al Senato accomunò Terzo Reich, Urss e Israele come «Stati ideocratici».
Comunque a Treviso la disputa è già stata aperta in questi giorni dall'Anpi. «Non avremmo nulla in contrario — dichiara Umberto Lorenzoni, presidente provinciale dell'associazione partigiana — se fosse previsto un confronto tra Nolte e altri studiosi di tendenze diverse. Ma ci sembra sbagliato prevedere che tenga delle lezioni a studenti molto giovani come se godesse di un'autorevolezza indiscussa, mentre le sue tesi, che fanno partire tutte le tragedie del Novecento (compresa la Shoah) dalla rivoluzione bolscevica, sono altamente controverse».
Il direttore scientifico dell'associazione «Maritain», Antonio Silvio Calò, ribatte che Nolte è stato invitato «proprio per aprire un dialogo senza pregiudiziali. In precedenza abbiamo organizzato incontri con Angelo Panebianco, Ernesto Galli della Loggia, Mino Martinazzoli. Il 26 aprile premieremo Claudio Magris. Appartengo all'area del centrosinistra e non condivido il revisionismo di Nolte, ma giudico utile una dialettica fra tesi opposte. Bisogna conoscere quello che dice lo storico tedesco per confutarlo seriamente, mentre spesso si parla a vanvera e lo si accusa ingiustamente di aver negato l'Olocausto» Non è d'accordo Nicola Atalmi, consigliere regionale dei Comunisti italiani: «So che Nolte non è un negazionista ed è lontano da personaggi come David Irving. Tuttavia mi pare inopportuno farlo intervenire senza contraddittorio, specie in una città dove l'estrema destra è molto forte. Comunque non vogliamo certo impedirgli di parlare: è giusto che chi è interessato lo ascolti, anche per rendersi conto che è uno studioso di parte. La sua posizione va contrastata sul piano della ricostruzione storica».

Corriere della Sera 27.3.09
Una nuova collana parte con Husserl
Grandi pensatori formato tascabile
di Armando Torno


L'editore Carocci lancia dieci titoli all'anno sui filosofi
Arthur Scho penhauer, che non era modesto, ricorda nei Parerga e Paralipomena (l'unica traduzione è edita da Adelphi) di non fidarsi di storie della filosofia e compendi, giacché le idee dei sommi non riescono a entrare nelle pagine elaborate dai pochi etti di cervello di un professore. Al di là della battuta, oggi — epoca di pasti precotti — il tempo a nostra disposizione ci condanna a conoscere la filosofia proprio grazie a lavori di sintesi che limano e volgarizzano, anche se questo genere è diventato puntuto e informato. D'altra parte, le introduzioni a pensatori, correnti, a questo o quel sistema sono state fiorenti nell'editoria italiana del '900. Di tutto quel patrimonio è rimasta in piedi la sola collana «I filosofi» di Laterza, nata nel 1970 con l'Introduzione a Husserl di Renzo Raggiunti e arrivata oggi a poco meno di un centinaio di titoli, l'ultimo dei quali è Filosofie clandestine di Gianni Paganini. In essa ci sono dei classici. Per esempio, i titoli di Sofia Vanni Rovighi su Tommaso d'Aquino e Anselmo d'Aosta, quelli di Gianni Vattimo su Heidegger e Nietzsche o di Giovanni Reale su Aristotele e Proclo.
Codesta collana di introduzioni ha ora una vera rivale: si chiama «Pensatori». In questi giorni l'editore Carocci pubblica i primi tre titoli. Sono: Husserl di Vincenzo Costa, Heidegger di Adriano Fabris e Antonio Cimino, Plotino di Riccardo Chiaradonna. Volumi tra le 180 e le 220 pagine, con un costo che oscilla tra i 14,50 e i 15,50 euro. Il progetto è ambizioso, giacché Carocci ha intenzione di pubblicarne una decina l'anno; desidera, per dirla in soldoni, occupare una fetta di mercato che si è ampliata. Il grande pubblico, più che testi critici o edizioni particolarmente curate, chiede introduzioni comprensibili, capaci di spiegare anche a chi non è addetto ai lavori i pensatori difficili. Sia chiaro: la formula che ancora guida i saggi introduttivi di Laterza non è invecchiata, giacché oltre il profilo del filosofo in questione sono date una storia della critica, cronologia di vita e opere, bibliografia. Carocci offre uno schema simile — senza la parte relativa alla critica, della quale comunque si accenna nell'opera — ma ha il vantaggio di commissionare tali libri adesso. In altre parole, offre un ritratto nuovo che tiene conto di tutte le domande attuali e risponde alle esigenze che si avvertono tra un dibattito e l'altro. Buoni per le adozioni universitarie ma non soltanto, i «Pensatori » di Carocci — forse è fatto apposta — cominciano con Husserl, proprio il filosofo che Laterza scelse per avviare la sua serie.
Che dire? Spazio ce n'è. E forse si recupererà qualcosa pubblicato da Ubaldini nella compianta collana «Che cosa ha veramente detto...», dove uscì un Marx di Armando Plebe che fece scuola a sinistra e fu smentito un paio d'anni dopo da un testo dello stesso Plebe — edito da Rusconi — intitolato Quel che non ha capito Carlo Marx. Gli studenti li leggevano entrambi. E anche questo ha fatto scuola.

il Riformista 27.3.09
Questa Chiesa è troppo materialista
di Rina Gagliardi


Nella sua sortita a difesa del Papa, il cardinale Bagnasco ha riproposto la "lotta epocale" tra due opposte concezioni dell'uomo: quella religiosa, spirituale, non egoistica che sarebbe propria del cristianesimo (e del cattolicesimo), e quella laica, ciecamente materialistica e volgare che apparterrebbe, appunto, ai laici. Non per caso, il capo della Cei ha rivolto i suoi strali sulla Francia, sede storica e simbolo della laicità più "scristianizzata". L'apparenza è quella di un ritorno a una (postmoderna?) "guerra di religione", anzi di civiltà. Ma siamo sicuri che sia così? Siamo certi che i valori della spiritualità e dell'etica siano oggi rappresentati dalle posizioni (ufficiali) assunte dalla Chiesa? La mia tesi, che può forse sembrare audace, è che, quasi all'opposto, la Chiesa stessa sia in preda a una sorta di "metafisica" di tipo materialistico, quasi positivistico, che si esercita su tutte le questioni "eticamente sensibili".Non è una novità che la Chiesa condanni l'aborto, l'eutanasia, la libertà sessuale. Nuovi sono gli accenti usati, l'assolutezza, la "radicalità". Nuova è la riduzione del concetto di persona alla sua dimensione corporea. Nel corso della dolorosa vicenda di Eluana Englaro, una tale ossessione del corpo ha letteralmente fatto scomparire, nella mobilitazione del mondo cattolico, l'anima di Eluana stessa: scomparsa, inghiottita da un furore dei principi che aveva come unica posta in palio la conservazione a ogni costo del suo povero corpo terreno, alimentato e idratato a forza da 17 anni. Anche sull'embrione - e di conseguenza sull'aborto - la posizione di condanna "assoluta" ha la stessa radice: è persona tutto ciò che si configura come ammasso di cellule, di potenzialità biologiche future o passate, di materia organica. La coscienza non è inclusa, anzi è espunta dalla definizione stessa dell'essere umano - e con essa quell'insieme di capacità cognitive, progettuali, comunicative, sociali, spirituali che lo caratterizzano e anzi lo rendono unico nella specie animale. La Natura, in sé viene assunta come la vera Divinità alla quale piegarsi - ed è una catena di eventi buoni in sé medesimi, sui quali non è lecito intervento umano. Perciò, in coerenza, la Chiesa si oppone a ogni metodo contraccettivo, preservativi compresi, a ogni tecnica di fecondazione assistita, a ogni intervento umano che modifichi i processi "naturali". Qui la dimensione religiosa non c'entra più niente. Al suo posto c'è una metafisica materialistica, vitalistica, naturistica che molti filosofi miscredenti hanno sottoscritto tante volte nella storia.Va da sé che, così, la Chiesa va incontro ad aporie evidenti: ammette il ricorso ai portati più sofisticati del progresso tecnico-scientifico, come nel caso di Eluana, li vieta quando si tratta di vincere la battaglia della sterilità. Ma queste sono incongruenze "tattiche". L'incongruenza vera è un'altra: non è vero che per la Chiesa la vita umana è sacra. Nel Catechismo ancora in vigore non c'è la condanna "absoluta" né della pena di morte, né delle guerre, né della violenza di Stato. Così come non era affatto sacra la vita della madre, quando essa si poneva in alternativa a quella del nascituro (scelta drammatica che, almeno in occidente, per fortuna non si pone quasi più). La sacralità appartiene tutta e soltanto al processo vitale, di cui il singolo la persona, è solo un tassello, e un tassello inconsapevole e subalterno - come la donna è ridotta, alla fine, a un utero, a un mero contenitore corporeo di una futura creatura. Perfino lo stupro può concorrere positivamente alla produzione della vita, così intesa: come si è visto nella incredibile vicenda del vescovo brasiliano.Il fatto è che la vita materiale, non quella spirituale, come per altro ribadisce sempre Benedetto XVI, è comunque un "dono" di Dio, e l'uomo non può disporne, in nessuna circostanza. Come si accorda questa dottrina con quella del libero arbitrio, che è un fondamento del cattolicesimo? Ma se l'uomo può decidere, addirittura, se salvarsi o precipitare all'inferno, come può non disporre mai del bene supremo della vita? E di quale natura è un "dono" che continua ad appartenere, per l'eternità, al donatore invece che al donato?E Dio? Sembra cancellato, o ridotto, cartesianamente, a un propulsore iniziale dell'universo, che poi si ritira in buon ordine. Sembra privo di amore e di pietà. Non è il Dio cristiano che è stato capace di farsi uomo, ma un'astrazione, un sinonimo di legge naturale. E la libertà? E la scelta? Toccherà a noi laici dover portare sulle spalle anche il peso della lotta per una concezione un po' più spirituale e un po' meno positivistica dell'esistenza umana?

il Riformista 27.3.09
Tra i due presidenzialisti l'americano è Fini
di Piero Sansonetti


Lo scontro tra Berlusconi e Fini, che si è riacceso in modo così clamoroso alla vigilia del congresso del Pdl, può diventare paradossalmente il pilastro della formazione di destra che sta nascendo. Il suo punto di forza. Qual è l'aspetto debole di questo congresso? A me sembra che sia la mancanza di dibattito, di confronto tra le varie anime della destra sui grandi temi politici, sulle strategie, sulle "filosofie". I congressi servono a discutere, a progredire, non solo a celebrare. Non vi sembra fragile un partito che si affaccia alla politica italiana con una enorme forza elettorale, con l'ambizione di prendere il posto che è stato della Democrazia Cristiana, se poi costruisce se stesso su una base culturale "volatile", costituita quasi unicamente dalle capacità del suo leader di interpretare l'opinione pubblica e di trovare soluzioni pragmatiche alle emergenze?
Il Pdl, per diventare il partito del futuro, per assumere una dimensione "storica", deve riuscire a andare oltre il berlusconismo, deve definire una propria cultura politica, organica, moderna, che non si limiti alle tecniche di cattura e di organizzazione del consenso. Naturalmente, questo è ovvio, la nuova destra italiana non può rinunciare al berlusconismo, che è la sua carta vincente, però non può fermarsi lì. Perciò a me sembra che questo urto al vertice del partito, tra i suoi due leader più significativi, possa avere un ruolo di supplenza nei confronti del dibattito politico che non c'è stato.Si capisce bene che la divergenza di opinioni tra i due leader non è marginale. Riguarda l'idea che ciascuno ha di democrazia. Berlusconi concepisce la democrazia come sistema di governo basato sul principio di libertà. E calcola il grado della democrazia sul grado della sua efficienza. Non conosce altri parametri. Per Berlusconi non conta il processo della decisione, il chi decide e il come decide. Conta solo il cosa decide, e se la decisione rispetta la libertà e l'efficienza. Punto. La partecipazione, la rappresentanza non gli sembrano elementi fondamentali. Un po' gli sembrano dei lussi.Fini invece è ormai completamente entrato nell'ottica della democrazia repubblicana, ed è attentissimo alle forme della democrazia. Fini concepisce le forme della democrazia come condizione irrinunciabile del potere politico, è molto attento alle procedure, e considera la partecipazione - cioè la larghezza della rappresentanza e la sua tutela - come un principio fondativo.C'è molta distanza tra queste due visioni. Non sarà facile conciliarle. Il centrodestra vince la sua sfida se riesce a conciliare queste idee, altrimenti si accontenta di restare il partito di Berlusconi e di durare quanto durerà Berlusconi.C'entra qualcosa il presidenzialismo con questi ragionamenti e con questo scontro? Penso di no. Non considero il presidenzialismo un tabù. Un sistema politico presidenzialista non necessariamente è più autoritario di un sistema politico parlamentarista. Il presidenzialismo, almeno nella fase attuale, può rappresentare uno sviluppo naturale della democrazia (in Italia è difficile discutere senza tabù di queste cose, perché, avendo vissuto appena sessant'anni fa una esperienza dittatoriale, tendiamo a confondere presidenzialismo e dittatura). Il problema è che il presidenzialismo non può accompagnarsi alla riduzione del peso e dei poteri del Parlamento. Anzi, può affermarsi solo con un aumento di quei poteri. Per questo le richieste di Berlusconi di riduzione delle burocrazie parlamentari e dei diritti dei singoli deputati (anche del diritto a dissociarsi dal partito o dalla coalizione) non reggono in un'ottica presidenzialista. Il più importante Paese presidenzialista, gli Stati Uniti, ha un sistema parlamentare con burocrazie (se vogliamo chiamarle così) e poteri immensamente più grandi rispetto all'Italia. Il presidente degli Stati Uniti deve andare a conquistarsi uno a uno i voti dei 100 senatori, per esempio, se vuole imporre un certo provvedimento. Quasi mai dispone di una maggioranza amica in entrambe le camere (Obama ora dispone di questa maggioranza, ma è una eccezione). Deve spesso fare i conti con il filibustering, cioè con l'ostruzionismo, che è una tecnica parlamentare abituale (che può essere interrotta solo su mozione di una maggioranza del 60 per cento). In America è quasi impossibile compiere grandi scelte, grandi riforme, senza una maggioranza bipartisan. L'idea del presidenzialismo americano super-efficiente è del tutto infondata. In questa discussione tra Fini e Berlusconi il vero americano è Fini. Berlusconi - se mi permettete la cattiveria - appare un po' sovietico.

il Riformista 27.3.09
I cinquecento anni di Bernardino Telesio
Come e perché celebrare la sua opera
Un'occasione imperdibile per rileggere il filosofo cosentino alla luce della "rivoluzione scientifica"
di Franco Crispini


In questo V Centenario della nascita (1509) di Bernardino Telesio, che non è una gloria locale (Cosenza gli ha dato i natali) bensì un filosofo di rilievo, è persino sprecato dirlo, nella storia della cultura moderna, italiana ed europea, nessuno dubiterebbe che l'occasione celebrativa non debba andare sprecata in riti di parole altisonanti, e che le risorse finanziarie impiegate (se ve ne saranno) non debbano andare a finire in mano ai soliti, inaffidabili organizzatori di eventi culturali. Si spera che le manifestazioni siano sobrie, efficaci e servano soprattutto a far diventare per un momento la Città di Telesio un grande teatro di dibattiti culturali e scientifici molto seri; si avrebbero ricadute di evidente utilità. Si spera anche che finalmente si costituisca un Comitato organizzativo per le varie iniziative, soprattutto quelle scientifiche, del quale facciano parte studiosi dell'area filosofica dell'università calabrese e ed esperti di altre sedi universitarie (da Firenze a Napoli, a Padova), conoscitori di primo piano dell'epoca rinascimentale e del pensiero telesiano.In questi ultimi anni, su tutta l'opera di Telesio (il De Rerum Natura (1586), i "libelli" su specifici temi naturalistici) ha lavorato proprio uno studioso cosentino, Luigi De Franco, con acribia e buona cura filologica, ricostituendo un imponente corpus testuale e dandone anche la traduzione italiana dal difficile latino adoperato dal filosofo. Anche la storiografia erudita ha lavorato con buoni risultati ad una documentata ricostruzione delle vicende personali di Telesio, della sua formazione, della composizione della sua opera (manoscritti, autografi, epistolari, diffusione delle sue idee, prime polemiche ed obiezioni).Per parte sua, la storiografia critico-filosofica, dai primi giudizi di Francesco Bacone agli studi del Fiorentino, a Giovanni Gentile, a Nicola Abbagnano, per restare ai maggiori (abbiamo avuto modo di scrivere un po' più minutamente di tutta la vicenda critica quale si presenta nella storiografia telesiana otto-novecentesca), non ha mancato di proporre letture stimolanti, talune troppo attualizzanti, talaltre affidate a forzature spesso eccessive delle idee di Telesio. Quanto alla epoca di quest'ultimo, il ‘500, dall'indimenticato Eugenio Garin, a Vasoli, a Paolo Rossi, a Michele Cliberto (il maggiore studioso italiano ed europeo di Giordano Bruno), è venuta tutta una ricchezza di indagine critica che non resta da fare moltissimo.Ci si può aspettare dalla ricorrenza centenaria altri passi in avanti (già ne sono stati compiuti di interessanti nel 1988, anno Centenario della morte) in una ricerca che riguardi l'insieme delle questioni telesiane sulle quali ancora sussistano lacunosità e perplessità proprie della critica filosofica?C'è da augurarsi che almeno su due punti si aprano nuovi spiragli: all'origine di quella che è stata chiamata la "rivoluzione scientifica" moderna, quale idea di scienza si ritrova e viene praticata in Telesio? Quale immagine di indagatore naturalista incontriamo percorrendo le fitte trame del De Rerum natura? È per questa via che ci si può formare una idea di come il contributo telesiano resti iscritto negli sviluppi e negli avanzamenti delle conoscenze e dei saperi. E dunque anche a questo dovrà servire tutto il lavoro celebrativo che si farà per dare, soprattutto alle nuove generazioni, un profilo meno stantio e logoro dell'opera di Telesio.

Repubblica 27.3.09
E tra i crociati del Pdl serpeggia il dubbio "Questa legge era meglio non farla"
Schifani: "Abbiamo fatto una bella maratona" Sacconi: "Grande prova di coesione"
Nel dibattito schierati tra gli integralisti gli ex radicali Roccella e Quagliariello
di Antonello Caporale


ROMA - La cravatta verde di Federico Bricolo esce con agilità dall´aula e si presenta ai taccuini, come per il dopopartita. E´ giovedì sera e la Lega deve risalire a nord in fretta. «Si è finalmente stabilito che in Italia non si può morire di fame e di sete». Il centrodestra è però un´alleanza larga e piuttosto lunga. Il collega calabrese Gentile: «Mah!». Mah cosa, senatore? «Abbiamo il congresso domani e non parto».
Al concretismo di Bricolo, l´inquietudine di Gentile. Come sempre il Senato ha esaminato a fondo la questione e si è diviso, questa volta era davvero più delicata delle altre - la vita e i suoi confini - e approntato però con puntualità una misura adeguata. «Ha vinto il partito della vita ed è stato sconfitto quello della morte», ha succintamente riassunto Maurizio Gasparri, il capogruppo del Popolo della Libertà. E poi, lo fanno sempre i calciatori con il gol: «Questa legge la dedico alle suore di Lecco e ad Eluana».
Un mese di discussione, due giorni di votazioni. Rapidi, e soprattutto efficienti i senatori della Repubblica. Il presidente Renato Schifani piuttosto soddisfatto: «Abbiamo fatto una bella maratona». A maratona conclusa è affiorato il dubbio che la corsa fosse stata inutile, malgrado i buoni propositi. E´ stato Marcello Pera, oramai lontano dai riflettori e dall´amicizia col capo, che ha riscoperto il suo grande amore: Karl Popper. E con Popper ha illustrato ai colleghi di maggioranza, piuttosto sconcertati, il dubbio di non aver fatto una cosa buona e giusta. «L´articolo 2 della Costituzione vieta l´eutanasia e l´articolo 32 vieta l´accanimento terapeutico. Serviva davvero questa legge?». Il dubbio che lo Stato debba intervenire per allontanare la morte anche quando essa giunge e chiama. Il dubbio. «Io voglio essere libero di decidere...», lo aveva anticipato il senatore Paravia, di An.
Ma il Senato aveva già deciso. Maggioranza compatta, «abbiamo dato prova di grande coesione» ha detto, rinfrancato per il miracolo di questa legge salva-vita, il ministro Sacconi che con la sua vice Roccella ha seguito ogni alito del dibattito. Che ha visto duettare cattoliche e supercattoliche dei due schieramenti. La Dorina Bianchi, del Pd, molto in imbarazzo per l´ostilità del partito al provvedimento ha perorato una causa minima: «Sospendiamo la nutrizione nei soggetti incapaci di assorbire». E´ scattata come una molla Laura Bianconi, supercattolica: «No e poi no». Nutrire e dissetare, anche quando il corpo rifiuta. Si è deciso così, senza per questo riuscire a raccogliere il voto della stessa Bianconi che ha giudicato il testo troppo fragile e aperto alle sfide di chi propaganda l´eutanasia: «Non posso votarlo».
Si è capito tutto, o parecchio, del perché di questa legge quando ha preso la parola Gaetano Quagliariello, chiamato ad esprimere la posizione ufficiale della maggioranza. Lui, con Roccella, ex radicale e con Sacconi, ex socialista e ex laico, nella triade degli inossidabili. E dunque Quagliariello: «Non volevamo fare questo provvedimento, ma poi davanti alla aperta sfida della magistratura...». Sfida. Magistratura. Una molla si è impossessata del corpo di Sacconi che ha applaudito con un impeto, e ha trascinato e travolto i suoi. Sfida a sfida. Sciabola contro sciabola. Eluana, divenuta corpo ideologico, morta infatti «di fame e di sete», secondo il concretista Bricolo, aveva necessità di un comportamento in qualche modo ritorsivo. E dunque bisognava rispondere. «Ma vi rendete conto che così si subisce la prepotenza della scienza? O la scienza è prepotente quando dovete legiferare in tema di fecondazione assistita e non lo è quando la utilizzate perché lo Stato si accanisca su di un corpo?». Domanda di Anna Finocchiaro. Domanda suggestiva, ma ieri poco apprezzata. Fabio Rizzi, della Lega: «Rispondo con Claudio Baglioni: Io sono vivo e sono qui e l´unica paura che resta del futuro è di non esserci».
Qui il punto: la morte. Ieri è parso che si fosse in lotta contro la morte, e la passione con la quale alcuni senatori si sono applicati per sconfiggere ex lege la fine della vita ha contagiato animi di qua e di là. Anche nel Partito democratico c´è stato movimento, e perfino Franco Marini ha tentato di fare qualcosa per addentare ancora più saldamente la vita. Mediazioni, emendamenti, capatine nello schieramento nemico. «Ho fatto quello che era giusto, e io non sbaglio mai», ha garantito a fine seduta quando ogni approccio è risultato vano e la vita e la morte erano state messe ai voti.

Liberazione 27.3.09
Legge inutile e umiliante
di Mario Riccio


Abbiamo assistito ad un dibattito dai toni tragicomici. E mi limito alla sola parte tecnica, quella che conosco e che pratico ogni giorno. L`insostenibilità giuridica del testo di legge licenziato dal Senato è di tale evidenza che non necessita di alcun ulteriore approfondimento. La maggioranza infatti si è mossa spinta dalla convinzione che una legge sul fine vita dovesse colmare un vuoto legislativo. Al contrario c`è un pieno legislativo, per citare l`espressione del prof. Rodotà. I giudici nelle recenti sentenze Welby ed Englaro hanno - come ovvio - rispettato le leggi oggi già esistenti. Ed in particolare la Carta Costituzionale, i cui contenuti sono da anteporre a qualsiasi altra norma di rango necessariamente minore. Tale considerazione, in sintesi, aveva dominato anche la decisone della Corte Costituzionale quando ha dichiarato inammissibile il ricorso - sollevato da Camera e Senato nei confronti della Cassazione e della Corte di Appello di Milano per i loro pronunciamenti sul caso Englaro. Non mi soffermo sul carattere eversivo di tale vano tentativo di attacco alla indipendenza della magistratura. Ma ieri nell`aula del Senato abbiamo ancora una volta sentito dichiarazioni circa sentenze creative e la volontà di sostituirsi da parte della magistratura al potere legislativo. La legge licenziata dal Senato risulta inutile, nel senso letterario del termine. Infatti le volontà contenute in una dichiarazione anticipata di trattamento non hanno alcuna certezza di essere rispettate, visto che è riconosciuta al medico la totale arbitrarietà del rispetto o meno dei contenuti. La non vincolatività - garantita dalla legge - rende di fatto la compilazione di un testamento di vita un esercizio del tutto inutile. Ed anche umiliante per il paziente, che rischia di indicare una volontà che potrebbe trovarsi addirittura in contrasto con quanto il medico gli imporrà, approfittando del suo stato di incapacità di intendere e volere. Una lettura estremamente rigorosa di questa legge potrebbe addirittura inficiare anche lo strumento del consenso all`atto chirurgico. Il chirurgo potrebbe cioè modificare causa lo stato di incapacità del paziente in anestesia generale - il tipo di intervento concordato preventivamente con il paziente stesso. Il testo di legge è dominato dalla astrattezza e vaghezza terminologica, che mal si adattano ad una legge che insiste in un campo scientifico. Vale come esempio per tutti il termine di accanimento terapeutico, concetto che nessuno può definire con certezza. Salvo poter decidere, ovviamente solo per se, quale sia un limite di tollerabilità alla terapia medica. L`amputazione di una gamba? Il vivere connesso ad un respiratore artificiale? Il sottoporsi per tutta la vita residua alla dialisi? Essere oggi trasfuso con il sangue altrui e domani forse con il sangue proveniente da cellule staminali embrionali? Ma il ragionamento tecnico-giuridico più insostenibile, per non definirlo altrimenti, è stato utilizzato per imporre la terapia nutrizionale. Premesso che la diatriba sul carattere terapeutico o meno della stessa appartiene solo al nostro paese. Neanche nell’America di Bush ai tempi del caso Terry Schiavo, c`è stato il coraggio da parte del mondo conservatore - né dello stesso Bush - di sollevare tale ridicola battaglia. La nostra maggioranza invece impone per legge la terapia nutrizionale in ragione del fatto che rappresenta una forma di sostegno vitale e non una terapia. Poiché le due definizioni spesso coincidono, ne dovrebbe derivare - per quei principi di logica assenti nella legge - che tutte le forme di sostegno vitale non potrebbero essere sospese. Tali sono - nei reparti di aria critica - la ventilazione polmonare, la dialisi, la trasfusione di sangue, la somministrazione di antibiotici e di quei farmaci che sostengono più o meno completamente la funzione cardiaca. Oggi nel nostro paese si è stabilito per legge che il sole gira intorno alla terra. Senza dimenticare che tale questione è stata realmente affrontata in un passato che è cronologicamente lontano, ma che sembra pericolosamente ritornare.

il manifesto 26.3.09
La bussola del lavoro
Mario Tronti, Crs, lancia un appello agli intellettuali a riprendere la parola partecipando alla manifestazione della Cgil del 4 aprile
«Solo a partire dal lavoro si può ricostruire la sinistra e spezzare l'egemonia culturale della destra»

di Loris Campetti


«Il 4 aprile è un appuntamento importante. La manifestazione della Cgil può facilitare una percezione di massa della gravità della crisi e, dunque, l'assunzione politica della centralità del nodo del lavoro. Che è una precondizione per ricostruire un ostacolo al rischio di un'uscita da destra dalla crisi stessa. Il 4 aprile può segnare una svolta, un inizio della controffensiva e non certo una conclusione». Ne è talmente convinto, Mario Tronti, che sta preparando un appello rivolto agli intellettuali «formati e in formazione perché salutino con simpatia e partecipazione la protesta della Cgil. E siccome siamo nel tempo dei gesti simbolici, ne voglio fare uno anch'io schierando il Crs (Centro per la riforma dello stato, ndr) come promotore di un appello alle forze intellettuali, ai lavoratori della conoscenza, agli studenti a partecipare alla manifestazione dietro uno striscione che reciti: 'la cultura con i lavoratori'». Da questa proposta a rompere il silenzio parte la conversazione con Tronti sulla sinistra, la cultura e il movimento operaio.
Iniziamo con la crisi, la sua natura e le risposte politiche in campo.
Il tema da sollevare con forza è il rapporto crisi-lavoro, e quanto la crisi pesi sui lavoratori in carne e ossa. Vedo una cosa strana: si è parlato molto di ciò che è e ciò che invece viene percepito - pensa solo al tema della sicurezza, a com'è stata gonfiata la paura nei confronti degli immigrati. Ora c'è un rovesciamento, la realtà è molto più drammatica di come viene percepita. E' forte la percezione individuale della crisi da parte di chi vive in vicinanza con il mondo dei semplici. Nessuno sta più sicuro sul suo posto di lavoro, si è scavalcato il problema della precarietà di una parte perché essa conquista l'intero mondo del lavoro. La crisi ricade sulla vita quotidiana, nelle case, nelle famiglie, si vive male. Però manca la percezione pubblica, il tema non viene gridato. Lo schermo dell'informazione, quel che dice e quel che non dice, è decisivo.
Berlusconi dice agli italiani che devono lavorare di più, all'inizio di una crisi che cancella il lavoro si sono defiscalizzati gli straordinari.
È uno sgarbo nei confronti dei lavoratori, chiamati a lavorare e consumare di più. Ma non esplode la denuncia delle parti politiche, il tema non è assunto neanche da chi dovrebbe avere nel lavoro le sue radici. C'è una crisi mondiale del capitalismo ed è la prima volta che una crisi di tale intensità si manifesta senza il movimento operaio e il suo contrasto. È una novità rispetto al '29, quando una crisi magari ancora più profonda trovava in campo il movimento operaio internazionale che ha imposto l'uscita dalla crisi con il compromesso socialdemocratico sui temi classici, dal lavoro al welfare.
Però, mentre gli Usa rispondevano con il new deal e cresceva il conflitto per i diritti collettivi, in un'Europa divisa crescevano i fascismi, fino alla guerra.
Comunque la crisi ha fatto vedere la forza del movimento operaio che andava contrastata, prima con le concessioni e poi con la repressione. Quando la crisi è profonda, nessuno è in grado di contrastarla e c'è il rischio di uscite pericolose. Anche oggi: in mancanza di un'alternativa al sistema capitalistico passa il tentativo di salvataggio individuale, ognuno cerca per sé un'uscita dalla crisi. Un'opinione disorientata sceglie di affidarsi al sicuro, alle forze politiche che danno risposte populiste facili e accattivanti, o si cerca di attaccarsi ai rimedi del potere pubblico aspettando la ricetta miracolosa - si salvano le imprese e così si salva il lavoro.
Ma l'alternativa al modello capitalistico, come dici tu, non si vede...
È un momento delicato, preoccupa il silenzio delle forze di sinistra sulla natura della crisi e i pericolosi smottamenti che produce; con l'eccezione di qualche pezzo di sinistra radicale, il grosso del movimento è incapace di cogliere il momento che viviamo.
Persino nella sinistra radicale c'è la tentazione di assumere l'esistente come immutabile: c'è l'individuo e ci sono le moltitudini, via la classe non resterebbe che ripartire dall'individuo o, al massimo, dal territorio. Non dal lavoro.
Bella osservazione. In altri paesi, va detto, esplode la protesta di massa ma è più spontanea che diretta. Se la crisi pesa innanzitutto dal lavoro, è da lì che bisogna ripartire. O la sinistra ritrova il suo posto naturale al centro del sociale, dov'è il lavoro di uomini e donne, oppure non vedo la possibilità di una sua rinascita politica. Dentro la globalizzazione neoliberista è venuto avanti uno squilibrio pesante nella distribuzione della ricchezza a danno del lavoro dipendente. La sinistra e le forze della cultura ci si sono adagiate come se il processo fosse irreversibile, come se non si potesse fermare ma, al massimo, mitigare. Penso che la crisi del liberismo sia leggibile come crisi da lavoro, su cui certo si sono innestate le note vicende finanziarie. Va messa in discussione l'idea che la crisi nasca da una cattiva gestione del capitale. Con una lettura marxiana si può dire che la crisi è molto più materiale, legata al meccanismo classico produzione-distribuzione-consumo. Un bel tema, questo, da cui ripartire, il tema classico della sinistra che è il lavoro. Naturalmente il lavoro è cambiato, frantumato, difficile da rappresentare e organizzare. C'è bisogno di un di più di conoscenza della sua struttura, e di un di più di iniziativa politica. Se rimettessimo al centro questi temi, invece di scendere in campo armati a ogni parola del papa o alle buffonerie di Berlusconi, la sinistra potrebbe tornare in campo in modo riconoscibile.
Controriforma dei contratti, smantellamento del Testo unico sulla sicurezza, attacco al diritto di sciopero, sono gli addendi di un'operazione pericolosissima, non solo per i lavoratori dipendenti.
Per questo la manifestazione del 4 aprile diventa un passaggio strategico. Dobbiamo stringerci intorno alla Cgil, dimostrare che non è sola. E' in sintonia con i lavoratori e c'è il dovere politico, non etico, delle forze intellettuali di stare dentro la mobilitazione. Fin qui gli intellettuali sono stati assenti, distanti, e questo è il motivo non ultimo della generale deriva culturale.
È la destra, oggi, ad avere l'egemonia culturale.
Il cambio di egemonia inizia negli anni Ottanta, e non è indifferente la responsabilità delle forze politiche e culturali di sinistra.
Inizia dalla sconfitta operaia nei 35 giorni a Mirafiori?
È partito tutto da lì. Sono cambiate le figure intellettuali, ma non sono scomparse in un magma imprecisato. Ci sono state manifestazioni positive nel campo dell'arte penso al cinema, al ritorno sullo schermo del lavoro. Ma si tratta di uno spiraglio nel buio. C'è un paradosso: la cultura è ancora a maggioranza di sinistra ma l'egemonia culturale è della destra. Forse perché spesso l'intellettuale di sinistra assume pulsioni di destra. Non c'è un ancoraggio al mondo del lavoro, senza cui non può esistere una cultura di sinistra. Gli orientamenti che emergono oggi incrociano lo smantellamento dei diritti dei lavoratori con una grave deriva istituzionale. Siamo al passaggio non contrastato al federalismo che è una tappa verso il presidenzialismo, perché più si articola la struttura federativa più si accentra il potere esecutivo. Dunque, le due battaglie, quella istituzionale e quella sul lavoro, vanno legate. Se non si impegneranno le forze culturali della sinistra, le forze politiche saranno travolte dai processi. La controffensiva può partire proprio il 4 aprile.
La crisi è mondiale, l'Italia non è un'isola. È difficile pensare a una battaglia paese per paese, o fabbrica per fabbrica.
Certo, e la crisi conferma la natura mondiale del capitale. La mondializzazione non poteva che creare un effetto a catena in un sistema integrato in cui il volo di una farfalla provoca un uragano dall'altra parte del mondo. In questo contesto è drammatica l'assenza di una forma internazionale del movimento operaio e di una sinistra internazionale, almeno ci fosse un sindacato europeo. È impressionante il silenzio delle forze politiche che hanno cantato i tempi moderni: dov'è, che dice il Partito socialista europeo? Perché si riuniscono i G8 e i G20 senza che prima i partiti di sinistra si siano incontrati per elaborare un orientamento comune sulla risposta da dare alla crisi? E' questo vuoto che rende drammatica la situazione. Non so se è vero che l'Italia e la sua finanza siano più protette come ci si dice, so che la crisi colpisce ovunque, soprattutto il nostro campo, quello del lavoro che siamo chiamati a difendere. So dunque che dal lavoro dobbiamo ripartire.

il manifesto 26.3.09
I movimenti di un universo pluralistico
Traiettorie temporali
di Ilya Prigogine


Grazie alle scoperte più recenti, la materia non ci appare passiva, come voleva la visione meccanicistica del mondo, ma è associata all'attività spontanea. Un cambiamento così profondo da far pensare a un nuovo dialogo tra uomo e natura. Un'anticipazione da «Lettera internazionale»
Una volta, il giovane Werner Heisenberg andò a fare un'escursione con Niels Bohr. Quello che segue è il racconto di ciò che Bohr disse quando giunsero al Castello di Kronberg: «Non è strano come cambia questo castello appena immaginiamo che Amleto ha vissuto qui? Come scienziati, pensiamo che un castello sia fatto solo di pietre, e ammiriamo il modo in cui l'architetto le ha messe insieme. Le pietre, il tetto con il suo muschio verde, le incisioni in legno della chiesa: tutto questo costituisce il castello. Nulla di tutto ciò può essere cambiato dal fatto che Amleto vivesse in questo luogo - eppure tutto è diverso. All'improvviso, le mura e i bastioni parlano una lingua diversa... Eppure, tutto quello che sappiamo di Amleto è che il suo nome compare in una cronaca del XIII secolo... Ma tutti conoscono le grandi questioni che Shakespeare gli mise in bocca, gli abissi umani che avrebbe rivelato, e dunque anche lui doveva trovare un posto su questa terra - qui a Kronberg».
Alla base del mondo meccanico
Naturalmente, questa storia ci porta a un problema che è antico quanto l'umanità stessa: il significato della realtà. Ed esso non può essere dissociato da un altro: il significato del tempo. Per noi, il tempo e l'umana esistenza, e dunque anche la realtà, sono concetti indissociabili. Ma è necessario che sia così? Cito uno scambio epistolare tra Einstein e il suo vecchio amico Besso. Negli ultimi anni, Besso tornava molto spesso sul tema del tempo. Che cos'è il tempo? Che cosa l'irreversibilità? Pazientemente Einstein rispondeva sempre: l'irreversibilità è un'illusione, un'impressione soggettiva, che deriva da condizioni iniziali eccezionali. La morte di Besso, pochi mesi prima di quella di Einstein, avrebbe interrotto quella corrispondenza. Alla morte dell'amico, in una lettera commovente alla sorella di Besso e al figlio, Einstein scriveva: «Michele ha lasciato questo strano mondo precedendomi di poco. Non è importante. Per noi fisici convinti, la distinzione tra passato, presente e futuro è solo un'illusione, ancorché persistente». Solo un'illusione. Devo confessare che questa frase mi ha molto colpito. Mi sembra che esprima in maniera straordinariamente efficace il potere simbolico della mente. Di fatto, nella sua lettera a Besso, Einstein reiterava ciò che Giordano Bruno aveva scritto nel XVI secolo e che è diventato il credo della scienza: «È dunque l'universo uno, infinito, inmobile. Una, dico, è la possibilità assoluta, uno l'atto, una la forma o anima, una la materia o corpo, una la cosa, uno lo ente, uno il massimo ed ottimo; il quale non deve posser essere compreso; e però infinibile e interminabile, e per tanto infinito e interminato, e per conseguenza inmobile». Per lungo tempo, la visione di Giordano Bruno avrebbe dominato la visione del mondo occidentale. E avrebbe condotto al mondo meccanico con i suoi due elementi di base: le sostanze immutabili come gli atomi, le molecole o le particelle elementari, e il moto. Certo, con la teoria dei quanti, sono intervenuti molti cambiamenti; tuttavia, le caratteristiche di fondo di questa concezione restano immutate. Ma come comprendere la natura senza tempo che pone l'uomo al di fuori della realtà che egli descrive? (...)
Nel Cimitero marino, Paul Valéry descrive la lotta dell'uomo per venire a patti con il tempo in quanto durata, con il suo arco limitato aperto su di noi. Nei Quaderni - quei numerosi volumi di appunti che scriveva di prima mattina - torna sempre e di nuovo sul problema del tempo: «Durata, scienza da costruirsi». In Valéry, c'è un senso profondo dell'inaspettato. Certo, egli non poteva accontentarsi di un determinismo universale che presuppone, in certo senso, che tutto è dato. Scrive Valéry: «Il determinismo - sottile antropomorfismo - dice che tutto accade come in una macchina così come posso comprenderla. Ma ogni legge meccanica è in fondo irrazionale - sperimentale... Il senso della parola determinismo è vago quanto quello della parola libertà... Il determinismo rigoroso è profondamente deista. Perché ci vorrebbe un dio per percepire questo incatenamento infinito completo. Bisogna immaginare un dio, un fronte divino per immaginare questa logica. È un punto di vista divino. Di modo che il dio, sottratto alla creazione e all'invenzione dell'universo, viene restituito per la comprensione di questo universo. Che si voglia o meno, un dio è posto necessariamente nel pensiero del determinismo - ed è un'ironia rigorosa»
L'eredità del XIX secolo
Valéry fa un'osservazione molto importante: il determinismo è possibile solo per un osservatore posto al di fuori del suo mondo - mentre noi descriviamo il mondo dall'interno. Il tema del tempo non è un fenomeno isolato, nella prima parte del XX secolo: possiamo citare alla rinfusa, oltre a Valéry, Proust, Bergson, Teilhard, Freud, Peirce o Whitehead. Come abbiamo detto, il verdetto della scienza è definitivo: il tempo è un'illusione. Eppure, com'è possibile? Veramente siamo costretti a scegliere tra una realtà senza tempo che porta all'alienazione umana e un'affermazione del tempo che sembra rompere con la razionalità scientifica?
La maggior parte della filosofia europea da Kant a Whitehead appare come un tentativo di superare in qualche modo la necessità di questa scelta. La distinzione kantiana tra mondo noumenico e mondo fenomenico era un passo in questa direzione, come anche l'idea di Whitehead di filosofia del processo. Nessuno di questi tentativi ha avuto grande successo e il risultato è la progressiva decadenza della «filosofia della natura». Concordo pienamente con Leclerc quando scrive: «In questo secolo, subiamo le conseguenze della separazione tra scienza e filosofia che ha seguito il trionfo della fisica newtoniana del XVII secolo. E non è solo il dialogo tra scienza e filosofia che ha sofferto». Ecco una delle origini della dicotomia tra le due «culture». Esiste un'opposizione irriducibile tra ragione classica con la sua visione non-temporale e la nostra esistenza con la sua visione del tempo ben rappresentata dalla piroetta che Nabokov descrive in Guarda gli Arlecchini. Ma nella scienza sta accadendo qualcosa di drammatico - una cosa inaspettata quanto la nascita della geometria, o quanto la visione grandiosa del cosmo come è stata espressa nell'opera di Newton. Diventiamo progressivamente sempre più consapevoli del fatto che, a tutti i livelli, dalle particelle elementari fino alla cosmologia, la scienza sta riscoprendo il tempo.
Un dialogo tra scienze naturali e scienze umane, incluse le arti e la letteratura, può essere un nuovo inizio e forse svilupparsi in qualcosa di fruttuoso, come è stato nella Grecia classica o durante il XVII secolo con Newton e Leibniz. Per comprendere i cambiamenti del nostro tempo, può essere utile partire dall'eredità scientifica del XIX secolo. Questa eredità include due contraddizioni fondamentali a cui non è stata data alcuna risposta. Il XIX secolo è stato essenzialmente il secolo dell'evoluzione. Si pensi al lavoro di Darwin in campo biologico, di Hegel in filosofia o alla formulazione della famosa legge dell'entropia in fisica.
Cominciamo da Darwin. A parte l'importanza dell'Origine della specie, pubblicato nel 1859, c'è un elemento generale dell'approccio darwiniano che voglio sottolineare: l'idea di fluttuazioni spontanee nelle specie biologiche che, attraverso la selezione, conducono a un'evoluzione biologica irreversibile. Quindi, il suo modello coniuga due elementi: l'idea di fluttuazione, di casualità, di processo stocastico, e l'idea di evoluzione, di irreversibilità. Diciamo subito che, dal punto di vista biologico, questa idea conduce a un'evoluzione che corrisponde a una crescente complessità, all'auto-organizzazione.
Ciò è in aperto contrasto con il significato che generalmente è associato alla legge dell'aumento entropico così come è stata formulata da Clausius nel 1865. L'elemento fondamentale di questa legge è la distinzione tra processi reversibili e irreversibili. I processi reversibili non conoscono alcuna direzione privilegiata nel tempo. D'altro canto, i processi irreversibili implicano una freccia del tempo. Tale distinzione è ripresa nella formulazione della seconda legge della termodinamica che postula l'esistenza di una funzione, l'entropia, la quale, in un sistema isolato, può solo aumentare a causa della presenza di processi irreversibili, rimanendo invece invariata nel caso di processi reversibili. Dunque, in un sistema isolato, quando il sistema arriva all'equilibrio e i processi irreversibili a una conclusione finale, l'entropia raggiunge il suo massimo.
Probabilità e irreversibilità
È stato uno dei più grandi fisici teorici di tutti i tempi, Ludwig Boltzmann, a dare la prima interpretazione microscopica dell'aumento dell'entropia. Egli si dedicò alla teoria cinetica dei gas con l'idea che il meccanismo del cambiamento, dell'evoluzione debba essere descritto in termini di collisioni tra molecole. La sua scoperta più importante fu che l'entropia è strettamente collegata alla probabilità. Di nuovo, come in Darwin, evoluzione e probabilità, casualità, sono strettamente connesse. Tuttavia il risultato di Boltzmann contraddice quello di Darwin. La probabilità raggiunge il suo massimo quando viene raggiunta l'uniformità. Si pensi a un sistema di due scatole che comunicano attraverso un forellino. Ovviamente, l'equilibrio sarà raggiunto quando il numero di particelle nelle due scatole è lo stesso. Ergo, l'approccio all'equilibro corrisponde alla distruzione delle condizioni iniziali, all'oblio delle strutture iniziali, in opposizione a Darwin per il quale evoluzione significa creazione di nuove strutture.
Così arriviamo alla prima questione, alla prima contraddizione che abbiamo ereditato dal XIX secolo: come possono Boltzmann e Darwin avere entrambi ragione? Come possiamo descrivere, da un lato, la distruzione delle strutture e, dall'altro, i processi che comportano l'auto-organizzazione? Eppure entrambi i processi usano elementi comuni: l'idea di probabilità (espressa, nella teoria di Boltzmann, in termini di collisioni tra particelle) e l'irreversibilità che emerge come risultato della descrizione probabilistica.
Ma prima di spiegare in che modo Boltzmann e Darwin abbiano entrambi ragione, analizziamo la seconda contraddizione. Le problematiche che affrontiamo ora sono molto più profonde dell'opposizione tra Boltzmann e Darwin. Il prototipo della fisica classica è la meccanica classica, lo studio del moto, la descrizione delle traiettorie che portano un punto dalla posizione A alla posizione B. I due tratti fondamentali della descrizione dinamica sono il suo carattere deterministico e quello reversibile. Una volta indicate le condizioni iniziali, possiamo predire rigorosamente la traiettoria. Quindi, a livello dinamico, sembra non esserci posto per la casualità o per l'irreversibilità. In certo modo, la situazione resta identica nella teoria dei quanti, dove parliamo di funzione d'onda e non di traiettorie. Di nuovo, la funzione d'onda evolve secondo la legge deterministica reversibile.
Un nuovo dialogo tra uomo e natura
Conseguentemente, l'universo appare come un grande automa. Abbiamo già detto che, per Einstein, il tempo nel senso di tempo direzionale, di irreversibilità, era un'illusione. Generalmente, come affermano molti libri e pubblicazioni, l'atteggiamento classico nei confronti del tempo è stato una sorta di sfiducia. In L'universo ambidestro, Martin Gardner scrive che la seconda legge della termodinamica rende solo improbabili certi processi, mai impossibili. In altre parole, la legge dell'aumento dell'entropia si riferisce solo a una difficoltà pratica, senza alcun fondamento profondo.
Analogamente, in Il caso e la necessità, Jacques Monod esprime l'idea che la vita sia solo un accidente nella storia della natura. È una sorta di fluttuazione che per ragioni non chiare è in grado di mantenersi. È certo che, qualunque sia la nostra comprensione di problemi così complessi, il nostro universo ha un carattere pluralistico. Le strutture possono scomparire, come in un processo di diffusione, ma possono anche nascere, come in biologia e, in modo ancora più visibile, nei processi sociali. Alcuni fenomeni sono ben descritti da equazioni deterministiche, come nel caso dei moti planetari; ma alcuni altri, come l'evoluzione biologica, possono comportare processi stocastici. Perfino lo scienziato più convinto della validità delle descrizioni deterministiche esiterebbe nell'affermare che al momento del Big Bang la data di questa mia conferenza fosse già iscritta nelle leggi di natura.
Viviamo in un unico universo. Cominciamo a vedere che l'irreversibilità e la vita sono iscritte nelle leggi fondamentali, anche a livello microscopico. Inoltre, l'importanza che attribuiamo ai vari fenomeni che possiamo osservare e descrivere è molto diversa, per non dire opposta, da quanto suggeriva la fisica classica per la quale i processi erano deterministici e reversibili. I processi che implicavano casualità o irreversibilità erano considerati eccezioni, meri artefatti. Oggi, ovunque vediamo all'opera processi irreversibili, di fluttuazione. I modelli considerati dalla fisica classica sono per noi limitati a situazioni che possiamo creare artificialmente, per esempio mettendo una certa quantità di materia in una scatola e aspettando che essa raggiunga l'equilibrio.
L'artificiale può essere deterministico e reversibile. Il naturale contiene elementi essenziali di casualità e di irreversibilità. Ciò conduce a una visione della materia in cui essa non è più passiva, come affermava la vecchia visione meccanicistica del mondo, ma è associata all'attività spontanea. Questo cambiamento è così profondo che credo si possa veramente parlare di un nuovo dialogo tra l'uomo e la natura. (...)
Se avessimo chiesto a un fisico, solo pochi anni fa, che cosa la fisica è in grado di spiegare e che cosa lascia aperto, ci saremmo probabilmente sentiti rispondere che ovviamente non conosciamo abbastanza le particelle elementari o le caratteristiche cosmologiche dell'universo nel suo insieme, ma tra questi due estremi le nostre conoscenze sono abbastanza soddisfacenti. Oggi, una minoranza crescente (alla quale anche io appartengo) non condividerebbe un atteggiamento tanto ottimistico. Personalmente, sono persuaso che ci troviamo solo all'inizio di una più profonda comprensione della natura intorno a noi, e ciò mi sembra di enorme importanza per includere la vita nella materia e l'uomo nella vita. (...)

Studioso della complessità tra chimica, fisica e ecologia
Molto noto soprattutto per le sue teorie riguardanti la termodinamica applicata ai sistemi complessi (che gli valsero il Nobel per la chimica nel 1977), Ilya Prigogine nacque a Mosca nel 1917, ma trascorse gran parte della vita a Bruxelles, dove è morto nel 2003, dopo essere stato direttore del centro di meccanica statistica all'Università del Texas a Austin, e tra i fondatori del Center for Complex Quantum Systems. Il testo di cui vi proponiamo ampi stralci in questa pagina fa parte di un dossier che l'ultimo numero di «Lettera internazionale» (www.letterainternazionale.it), in uscita nelle librerie nei prossimi giorni, dedica al tempo e che comprende anche scritti di Jerome K. Jerome e André Malraux. La rivista dedica inoltre un dossier all'«Economia-Pianeta», su cui intervengono tra gli altri Serge Latouche, Wolfang Sachs, Muhammad Yunus, Amitav Ghosh.

The Lancet 28 March 2009
Redemption for the Pope?


The Vatican felt the heat from an unprecedented amount of international condemnation last week after Pope Benedict XVI made an outrageous and wildly inaccurate statement about HIV/AIDS. On his first visit to Africa, the Pope told journalists that the continent's fight against the disease is a problem that “cannot be overcome by the distribution of condoms: on the contrary, they increase it”.
The Catholic Church's ethical opposition to birth control and support of marital fidelity and abstinence in HIV prevention is well known. But, by saying that condoms exacerbate the problem of HIV/AIDS, the Pope has publicly distorted scientific evidence to promote Catholic doctrine on this issue.
The international community was quick to condemn the comment. The governments of Germany, France, and Belgium released statements criticising the Pope's views. Julio Montaner, president of the International AIDS Society, called the comment “irresponsible and dangerous”. UNAIDS, the UN Population Fund, and WHO released an updated position statement on HIV prevention and condoms, which said that “the male latex condom is the single, most efficient, available technology to reduce the sexual transmission of HIV”. Amidst the fury, even the Vatican tried to alter the pontiff's wording. On the Holy See's website, the Vatican's head of media, Father Federico Lombari, quoted the Pope as having said that there was a “risk that condoms…might increase the problem”.
Whether the Pope's error was due to ignorance or a deliberate attempt to manipulate science to support Catholic ideology is unclear. But the comment still stands and the Vatican's attempts to tweak the Pope's words, further tampering with the truth, is not the way forward. When any influential person, be it a religious or political leader, makes a false scientific statement that could be devastating to the health of millions of people, they should retract or correct the public record. Anything less from Pope Benedict would be an immense disservice to the public and health advocates, including many thousands of Catholics, who work tirelessly to try and prevent the spread of HIV/AIDS worldwide.