venerdì 24 marzo 2006

Corriere della Sera 24.3.06
Prodi e il Caimano: spero non sia dannoso
Il leader dell’Unione: i film di Moretti si vanno a vedere. Berlusconi: io non lo farò
di Monica Guerzoni


ROMA - Quattro anni dopo l’urlo di Piazza Navona, «con questi dirigenti non vinceremo mai!», Nanni Moretti ripiomba sulla scena politica e fa tremare, ora come allora, i leader del centrosinistra. Il Caimano sarà nelle sale solo questa sera, Romano Prodi ancora non lo ha visto, ma già fa gli scongiuri. Intervistato da Rtl 102,5, il capo dell’Unione scandisce per due volte lo stesso, preoccupato concetto: «I film di Moretti si vanno a vedere, poi vedremo se è utile o dannoso alla campagna elettorale». E ancora: «Sarà un film politico, parla certamente di Berlusconi. Come? Non lo so... Ripeto, spero che sia utile e non dannoso alla campagna elettorale». Chi ha paura del Caimano ? Molti, nel centrosinistra. «Rischia di fare danno - teme Beppe Fioroni della Margherita - è intelligenza con il nemico, è un gioco con le carte truccate e io coi falsari non ci gioco». Quindi, onorevole, non andrà a vederlo? «Non ci penso proprio, il premier invece sarà il primo ad andarci». Sbagliato. Il Cavaliere non ci tiene affatto a vedere la parodia di se stesso. Quando la domanda arriva, il premier la gela così: «Assolutamente no».
EFFETTO BOOMERANG - Ma è dentro l’Unione che Il Caimano divide, appassiona, allarma. E se fosse un boomerang? E se avesse le stesse nefaste conseguenze del Fahrenheit 9/11 di Michael Moore, il documentario contro Bush uscito nelle sale americane prima delle elezioni perse dal democratico Kerry? E se, come dice con arguzia un internauta di Forza Italia, «il caimano si mangiasse la mortadella?».
L’azzurro Sandro Bondi non ci trova nulla da ridere, per lui il film di Moretti non è che «il frutto di una cultura fascista e di una cultura comunista fuse insieme». Sul fronte opposto, anche Renzo Lusetti della Margherita vede nero: «Andiamoci cauti, mandare nelle sale un film così sotto elezioni non mi pare opportuno. Più noi rendiamo Berlusconi vittima, più lui ci sguazza dentro». Francesco Rutelli invece vuol mostrarsi politicamente corretto. Ci andrà, ma solo dopo il 9 aprile. Il suo stato d’animo il presidente della Margherita lo rivela citando uno dei collaboratori di Bill Clinton, quando disse che tra Michael Moore e il repubblicano Tom Delay «c’è di mezzo l’America». Cosa voleva dire? «Che le elezioni si vincono sul sentimento prevalente dei cittadini e non sulle posizioni minoritarie di sinistra o di destra».
AUTOCENSURA - Uno che non ha paura del Caimano è Walter Veltroni, che ieri sera si è infilato al Nuovo Sacher, il cinema di Nanni Moretti, con girotondini del calibro di Paolo Flores D’Arcais, Marco Travaglio e «Pancho» Pardi, allibito per le «preoccupazioni pazzesche» di Prodi e degli alleati: «Quando la smetteremo di autocensurarci? Tutte queste cautele non hanno mai fatto bene alla sinistra». Eh, sì, concorda Sandro Curzi, «questa sinistra ha paura di tutto». E il comunista Marco Rizzo teme che un’alleanza tanto cauta una volta al governo «saprà cambiare poche cose».
Fausto Bertinotti è sbigottito, per lui il dibattito uscita sì, uscita no è «un cattivo segno dei tempi». Altrettanto rilassati nei confronti del Caimano sono Giovanna Melandri, ansiosissima di vederlo, Enrico Letta, convinto che non influenzerà il voto, Fabrizio Morri, «non me ne frega niente». Per la libertà di espressione si schierano Dario Franceschini e il prodiano Franco Monaco. E tre donne dell’Ulivo, Rosy Bindi, Livia Turco e Marina Magistrelli, invitano i colleghi a «non perdere il senso della realtà» e a «occuparsi dei problemi veri della gente».
L’APPELLO - Daniele Capezzone della Rosa nel pugno, invece, è preoccupatissimo. Un mese fa si appellò a Moretti perché rinviasse l’uscita e ora scuote la testa: «Mi fa piacere sapere che Romano Prodi è sulla linea Capezzone... Temo proprio che abbiamo lanciato una ciambella di salvataggio a Berlusconi».

mercoledì 22 marzo 2006

il manifesto 22.3.06
INTERVISTA - Faccia a faccia con il segretario di Rifondazione comunista e i suoi progetti

«Comunisti oltre il comunismo»
Il segretario di Rifondazione racconta la sfida di governo e il progetto della Sinistra europea: «Con Marx oltre Marx». Perchè nella storia della sinistra «l'uguaglianza ha prevalso sulla libertà» della persona umana
di Valentino Parlato


In questi giorni si è scritto molto delle svolte di Fausto Bertinotti e del suo modo innovativo e anche audace di affrontare i problemi della sinistra. Così, ieri verso mezzogiorno, siamo andati a trovarlo in tre (per curiosità e per amicia). Eravamo Gabriele Polo, Cosimo Rossi e io. Si è sviluppata una conversazione a quattro voci (ma era difficile frenare Fausto), che qui abbiamo cercato di sintetizzare. Ci assumiamo la responsabilità di tutti gli errori, Però la convcersazione si è riveltata utile e provocatoria, sopratutto ricca di sconfinamenti. Forse però è tempo di cercare nuovi percorsi, contro il veccio provocatorio «chi lascia la via vecchia per la nuova....». Cerchiamo di dividere la discussione in due piani. Un piano è quello che si è letto sui giornali, la persona in sostituzione della classe e l'addio al simbolo: la svolta, o la svolta delle svolte. Un altro piano è cosa succede dopo il voto: queste elezioni si dovrebbero vincere, ma dopo, com'è che Rifondazione sta nel governo? Sul primo aspetto c'è un elemento totalmente forviante in alcuni titoli. Il ragionamento, sul terreno della cultura politica, non è nient'altro che uno sviluppo e un'attesa di accelerazione che ancora manca. Questa cosa della svolta delle svolte, comunque, possiamo assumerla? Se si intende come completamento di una fase. Lo è in quanto partito della sinistra europea. Non è la svolta delle svolte sul terreno della cultura politica: lì c'è ancora l'attesa di un salto. Certo è la precipitazione in un'idea di soggettività poltica: la svolta è nel senso che dà luogo a un processo costituente di questo che chiamiamo puntigliosamente sezione italiana del partito della sinistra europea. La parte di cultura politica è lo sviluppo dei nostri punti di discontinuità. L'ispirazione è sempre quella: ricavare dal nocciolo duro della critica anticapitalista il fondamento per la ricostruzione di una cultura e di una teoria politica della trasformazione: cioè del superamento del capitalismo. Quindi, in primo luogo, la rottura con lo stalinismo. Perché? Perché è un ingombro... Ma la rottura con lo stalinismo è anacronistica... Questo le pensi tu, io penso che invece sia attualissima: perché penso che lo stalinismo è una modalità che si autoriproduce e che insidia permanentemente la politica. Ogni volta che ti affacci al cambiamento incombe costantemente la cosa che più è stata introiettata in un secolo, cioè la conquista del potere, l'alterità e l'autonomia della politica. Maè un fatto che ogni qual volta ci si trova a un passaggio vero lo scontro si fa duro... Vabbè, non vuol dire che debba essere affrontato in maniera militare, come invece c'è una propensione a fare. Ed è così vero che ciò che tende a prendere la forma dell'eco stalianiana si chiama ortodossia. Se guardo all'Europa ci sono partiti assai consistenti: moltissime delle formazione dell'est, dove l'Europa si sta allargando, ripetono questo schema. Ma non lo sento solo fuori, lo sento dentro di noi. E' un vizio fortissimo. Ma a un certo punto può essere una necessità... Penso di no. Penso che quella cosa sia la catastrofe. penso che si debba avere un'idea della trasformazione come elemento processuale. E' l'idea consiliare che va ripresa, è l'idea della partecipazione critica anziché del dominio della grandi forze organizzate. Diciamo così: democrazia anziché comunismo. Diciamo piuttosto democrazia per la trasformazione. Quindi, in ultima analsi, sì: non democrazia invece che, ma verso il comunismo. Poi viene la questione della nonviolenza... Anche su quella, però, io dissento. Nel senso che la violenza è nella società, è nelle cose. Anche il capitalismo, Perciò lo voglio superare. Ma mica viviamo in unmondo di buoni. D'accordo. Noi però bisogna essere diversi. D'accordo. Ma una volta al governo, messo in relazione a forza che la violenza la praticano dal punto di vista dello stato e militare, questa scelta nonviolenta come la fai viviere? Penso che, insieme allo sfruttamento e all'alienazione, quella che sta montando sia una vera e propria crisi di civiltà. Che poi per me è la crisi di un capitalismo vocato all'assolutizzazione della competizione e al rischio d'implosione. Di fornte a questo penso sia fondamentale l'idea dell'Europa, di un Mediterrano come contaminazione di civilità e di culture. Per cui la guerra va bandita strutturalmente, trasformata in tabù. Belle parole. Ma la politica che fa? Intanto bisogna avere un'idea della politica che proponi al tuo partito e quella che proponi al governo. Io scelgo per me un'opzione pacifista, ma non dico che debba essere assunta dai miei alleati. Il governo che fa? Al governo chiedo il ritorno al valore fondante dell'articollo 11 della Costituzione e il rifiuto a praticare la guerra. Cioè, non gli chiedo un'opzione che va dalla nonviolenza alla guerra come tabù. Prodi dice che con l'Onu si può intervenire. E' una condizione necessaria ma non sufficiente. Il genocidio è un terreno praticabile di intervento con il consenso di tutti? Sì. Il consenso di tutto è sufficiente a intervenire? No. Anche perché troppo spesso l'Onu è sotto schiaffo. Quindi, vinte le elezioni... ...Si ritirano le truppe italiane dall'Iraq, e non è una piccola cosa. E' importante. Perché, francamente, anche questa è una cosa che comincia a disturbarmi. Faccio tre anni di lotta, ma nel momento in cui sono per conseguire il risultato chi se ne frega. Ma che cavolo! Il ritiro dall'Iraq cambia la faccia del paese. O no? O ci siamo sbagliati per tre anni? Non ci siamo sbagliati. Quello che volevo chiedere, però, è questo: dato che nel futuro governo ci saranno conflitti, come si gestisce questa cosa? Prodi dice che con l'Onu si interviene, tu no. Non è così. Leggiamo i documenti: nel programma c'è scritto che siamo per il disarmo. Se poi ci sarà una contesa, l'affronteremo. La cosa originale, comunque, è che possano esserci contese gestite senza arrivare all'aut aut. Se ci spostiamo su questo terreno, io le difficoltà maggiori non le vedo sul terreno della politica internazionale, bensì su quello della politica economica. Perché sul piano della politica internazionale ravviso una discontinuiotà profonda rispetto a Berlusconi e ai precedenti governi dell'Ulivo, quando noi per altro aveva avevamo prodotto una rottura prima della guerra nel Balcani. Non so però se ci viene suggerita la riproduzione di questo caso: se qualcuno dice che dobbiamo fare il braccio di ferro a rischio della rottura, verrei fosse esplicito... Ma no... Ecco: non è la mia ipotesi. La mia ipotesi è quella di avere costruito un programma perché penso che ci sia stata una discontinuità nel paese. Penso che dal 2001 a oggi il paese sia cambiato: in peggio per ciò che ci ha messo dall'alto Berlusconi, in meglio per ciò che ci hanno messo dal basso i movimenti. Ma non c'è una rappresentanza politica di quest'onda dei movimenti. Penso che il problema sia duplice: non c'è solo la rappresentanza, ma anche il contributo che i soggetti organizzati forniscono alla capacità di affrontare in avanti i problemi del movimento. Quello della ricomposizione unitaria del movimento è un problema, non solo dei movimenti ma anche della sinistra. Che a sua volta non si ridefinisce senza il movimento. E questa, per me, è la svolta delle svolte: la politica di oggi non si ridifinisce se non in un lavoro politico prioritariamente concentrato sul movimento. Cosa interegasce con questi movimenti? Prima che una forza organizzata, una cultura politica. Questa è la sfida forse più importante e più interessante interessante di Rifondazione. Noi veniamo da comunismo: questo nostro armamentario ha perduto di efficacia ma le sue finalità sono ancora valide... Anche di più. C'è un elemento che di quella storia è imprescindibile, ed è il peso decisivo della questione del lavoro nella vita degli uomini e nella società. Per quello dico Marx, l'impianto marxiamo è sencondo me necessario ma non sufficiente. Per questo mi pare giusta la formula «oltre Marx», perché lo comprende. Penso che quello che ci hanno sollecitato ormai da anni il femminismo, l'ecologismo, le culture critiche e della differenza mi pongano un problema: non posso rispondere che uno più uno fa due. Insomma: né l'assembleaggio dell'organizzazione né l'assemblaggio dlele culture... Devi partirte da questi elementi per costruire una nuova cultura politica. E' per questo che dico che il rappoerto tra uguaglianza e libertà torna in maniera clamorosa. Ha sempre prevalso la libertà sull'uguaglianza. Nel socialismo realizzato per niente. In realtà ha prevalso l'uguaglianza fino a sterminare la libertà. Ed è accaduto persino nella nostra storia più bella: anche nelle forme di democrazia diretta abbiamo fatto prevalere l'uguaglianza, la rappresentanza dell'omogenietà anziché delle diversità. Noi abbiamo sacrificato l'idividualità, quindi la persona. Contro il travisamento, la vulgata del superamento di una visione di classe, che io invece ritengo una chiave di lettura fondamentale del capitalismo del nostro tempo, penso che tuttavia questa dimensione non possa essere ritenuta totalizzante. Detto questo, allora, come riporti a unità tutte queste differenze? Guardiamo anche al movimento: quello che ha fatto di buono, come l'ha fatto? con il meccanismo del comitato centrale o con quello degli insiemi: decidendo insieme. In questo modo i partiti esistenti dovrebbero essere completamente rimessi in discussione e trasformati,.. Certmamente. Ma sempre attraverso la contaminazione. Prendiamo noi. C'è il Prc e ci sono forze con cui c'è una condivisione su tre punti esenziali: il no alla guerra, il no al politiche neoliberiste e la democrazia partecipata. Però hanno in antipatia il Prc: o perché partito o perché rifondazione o perché comunista. Io, per me, proseguo nella rifondazione. A questi altri che sono interessati non posso chiamarli, ma posso proporre loro la fondazione di un nuovo soggetto politico in cui c'è chi pensa di rifondazione un partito comunista e c'è invece chi pensa di fondare questo nuovo soggetto a cui pure noi partecipiamo. Secondo lo schema del movimento: tutti dentro, alla pari. Ma qaunto di riflesso al processo di costruzione di un partito democratico che rischia di soffocare tutto il resto del campo? Ci sono due cose che pesano. La prima, non lo nego, è l'attraversamento del governo.... Hai bisogno di acqua per traversare il deserto... Penso che non si possa fare con la dotazione politica che abbiamo, perché in quel modo siamo sempre attratti dall'aut aut tra accetazione e rottura. Per poterlo spezzare bisogna ricostruire un'autonomia dei progetti politici. Qual è invece il peso del partito democratico? Ci tengo a dei distinguo. Sono contrario al partito democratico perché è un'idea che mette fuori dalla politica uno degli elementi costitutivi della medisima nel mondo contemporaneo, cioè il lavoro. E sono contrareio anche perché è in fondo enfatizzazione della coalizione rispetto al radicamento del partito nella società. Perciò non sono nemmeno sicuro che sarà questo lo sviluppo delle cose. Anzi, sono assai incredulo. Però è una cosa seria. Appunto perciò, nel caso predesse corpo, penso che un atteggiamento aristocratico sarebbe disastroso. Perché in una società in cui il conflitto di classe, pur essendo cruciale, non ascende alla politica, può diventare attraente un'idea del partito grande contenitore, che in politica fa quel che può e consente di recuperare degli spazi nella società civile. Perciò facciamo male a sottovalutarla. E chi lo sottovaluta: lo avversiamo. Con un po' di snobbismo, però. Mentre, secondo me, invece di scegliere la linea del contrasto bisogna scegliere la linea della competizione. Noi siamo un'altra cosa, un'altra forma di aggregazione. Penso che così possiamo attrarre parte della società civile e politica. Anche rispetto al rischio, concretissimo, che tra partito democratico e ortodossia della sinistra vinca il primo a mani basse.
Corriere della Sera 22.3.06
Ingrao: si può rinunciare al simbolo comunista
A 17 anni dalla Bolognina, l’ex dirigente del Pci apre alla svolta Prc: ma i tempi sono lunghi
di Gianna Fregonara


ROMA - Rinunciare al comunismo? «Si può». Parola di Pietro Ingrao, che a diciassette anni dallo strappo contro la Bolognina, oggi è disponibile a ragionare sul cambio di simbolo e di ragione sociale del partito a cui ha aderito qualche anno fa: Rifondazione comunista. L’occasione è un commento sulla svolta annunciata - e poi attenuata - da Fausto Bertinotti: nasce la sezione italiana della Sinistra europea - aveva spiegato domenica scorsa - con l’ambizione di riunificare in un contenitore nuovo Rifondazione comunista e il movimento, dando l’addio definitivo all’ideologia e a Marx sull’onda di un nuovo slogan, «il socialismo della persona». Poi ieri, incontrando il mondo della cultura e dello spettacolo, il segretario di Rifondazione ha un po’ frenato: «Il comunismo? Non ci abbiamo rinunciato quando eravamo sotto schiaffo, non vedo perché dovremmo farlo adesso».
Ma a sorpresa è proprio l’anziano leader del Pci, ospite d’onore accolto con una standing ovation al Residence Ripetta, a spiegare, a margine del convegno, che lui di dubbi ne ha meno. La premessa è che comunque «il partito della Sinistra non è vicino»: «Penso che dobbiate ancora attendere - sorride -, perché finora si sono messi d’accordo solo su alcune questioni immediate elettorali e di governo, ma non vedo un confronto profondo che possa portare a risultati a breve». Insomma, la svolta non sembra a Ingrao così vicina come aveva fatto immaginare Bertinotti, annunciandola per il dopo elezioni. Ma sui simboli e sul «nuovo partito», Ingrao non ha pregiudiziali: «Se si trattasse di una nuova unità, di un contenitore innovativo, non avrei preclusioni: si può rinunciare al nome e al simbolo... E lo dico io che, voi sapete, che cosa significhi per me il comunismo».
E infatti è proprio Ingrao a invocare per il 9 aprile «una risposta proletaria, che rimetta al centro il soggetto di classe», mentre Bertinotti, nelle conclusioni, propone una versione nuova del «proletariato» del secolo scorso: il «movimento».
Il dibattito è comunque aperto dentro il partito e la strada imboccata: «Sarà in questo soggetto che si incontreranno le culture critiche che hanno animato la scena politica di questi anni», ha spiegato Bertinotti, rispondendo anche alle osservazioni di Ingrao che aveva invitato a non abbandonare il «proletariato». E Rina Gagliardi su Liberazione ha tracciato i confini della svolta bertinottiana in un editoriale dal titolo: «La sinistra da una svolta a sinistra». «Nei prossimi mesi - scrive - non ci sarà soltanto sulla scena il partito Democratico, sbocco obbligato del cammino iniziato nell’89, incarnazione di una collocazione neocentrista. Ci sarà un partito che rappresenta l’opzione di una società socialista per il ventunesimo secolo» in un processo «in cui nessuno si scioglie e nessuno rinuncia ad essere se stesso».


Repubblica 22.3.06

IL CASO
Il no di Fausto, ma il vecchio Pietro dice: "Se nascesse un nuovo contenitore..."
"Dire addio al comunismo" e Ingrao medita la svolta
L´ex presidente della Camera: "Forse si può rinunciare a nome e simbolo"
Il leader di Rifondazione: "Un suicidio rinunciare ai nostri simboli"
di Giovanna Casadio


ROMA - Non è un'abiura: «Sapete cosa significhi per me il comunismo...». Ma Pietro Ingrao, il leader storico dei comunisti italiani, è pronto alla svolta: «Rinunciare al comunismo? Se nascesse una nuova unità, un contenitore innovativo, non avrei preclusioni: si può rinunciare al nome "comunismo" e al simbolo». Il convegno di Rifondazione comunista sulla cultura si è appena concluso: sala gremita; viavai di intellettuali, registi, attori. Il «compagno Pietro» - accolto da una standing ovation a cui lui risponde abbandonando il bastone e alzando il pugno - alla vigilia dei suoi novantun'anni, con i cronisti lancia il cuore oltre l'ostacolo. Al contrario del segretario Fausto Bertinotti che sul comunismo ha appena precisato: «Rinunciare al comunismo? No, non ci abbiamo rinunciato quando essere comunisti significava essere sotto schiaffo, non vedo perché dovremmo farlo adesso. Dobbiamo ritrovare le radici ma anche andare oltre, dopo gli anni difficili sarebbe oggi un suicidio rinunciare alla nostra idea di rifondare il comunismo».
Una frenata. Che arriva dopo il dibattito acceso dei giorni scorsi sul progetto del Partito della sinistra - sezione italiana di quello europeo - che Rifondazione individua come il progetto politico all'orizzonte. Rina Gagliardi in un editoriale sul quotidiano del partito, Liberazione, proprio ieri ha sintetizzato: «Nei prossimi mesi non ci sarà sulla scena della politica italiana soltanto il progetto del Partito Democratico... Ci sarà una nuova forza della sinistra». Ecco a parlarne - tra un applauso a Mario Monicelli in platea, e gli interventi di Vladimir Luxuria, Luisa Boccia, Leo Gullotta, Marcello Cini - la coppia Bertinotti-Ingrao. In un reciproco passarsi il testimone. Convergendo e divergendo. Ingrao sul Partito della sinistra dirà poi ai cronisti: «Non è ancora vicino, penso che dobbiate ancora attendere perché finora si sono messi d'accordo su alcune questioni immediate. Ma non vedo un confronto profondo». Bertinotti durante il dibattito aveva invece ammonito sul Partito della sinistra: «È un progetto importante», senza rinunciare alle radici comuniste. Cambiamo ma per ora restiamo comunisti: è lo slogan di Bertinotti che individua nei «movimenti» il nuovo soggetto della trasformazione come il proletariato lo era per il marxismo.
Pressing invece di Ingrao affinché nella campagna elettorale entrino le sfide della sinistra e «il proletariato» torni protagonista della politica: «Nell'ultimo secolo abbiamo maturato l'idea dell'operaio come eroe, fulcro della mutazione sociale. Oggi questa idea mi sembra impallidita. Vorrei capire quanto e se è entrato nella campagna elettorale il tema della liberazione del lavoro. Fausto - si rivolge al segretario - sono preoccupato, mi sembra che non si parli per niente di lavoro. Mi piacerebbe che nei dibattiti tv ci fosse anche una faccia di operaio». Replica di Bertinotti: «Caro Pietro, sul proletariato sono d'accordo con te. Però noi dobbiamo guardare la realtà, questo proletariato è una "bestia", siamo in una fase di transizione e oggi il proletariato riguarda il movimento dove ci sono diverse realtà che si confrontano».
Altra frecciata quindi dell'ex presidente della Camera contro la guerra in Iraq: «Ti chiedo un favore, Fausto: tu che hai una relazione con Prodi, io non ce l'ho, digli che dovrebbe affermare chiaramente che lo stesso giorno in cui l'Unione vince le elezioni sarà finita la guerra dell'Italia in Iraq». Ricorda l'articolo 11 della Costituzione che spetta al capo dello Stato far rispettare. Un duetto. Quindi il comune affondo anti Berlusconi: «Che cosa sarebbe l'Italia in caso di vittoria elettorale del centrodestra? - attacca il segretario - Saremmo una provincia povera degli Usa». E ancora: «Berlusconi sta dimostrando un estremismo populista che inonda il paese di un'aggressività per la necessità di individuare nemici esterni. Fa quello che fa Le Pen all'opposizione, paradossale che lo faccia Berlusconi al governo». Sulla campagna elettorale: «È schizofrenica, perché ci troviamo di fronte a una campagna mediatica e a una reale». Annuisce Ingrao.

Il Riformista 22.3.06
EDITORIALE
RIFONDAZIONI
Bertinotti può scuotere l'inerzia dei riformisti


Chi pensa che la politica non sia solo una gestione più o meno onorevole dell'esistente, ma anche (soprattutto?) progetto e quindi futuro, è già all'opra intento per costruire un nuovo panorama nella prossima legislatura. Ci si muove a destra. Ed è un movimento che non va letto solo come il volo dei corvi sulle spoglie del berlusconismo. Lo ha scritto ieri su queste colonne Gennaro Malgieri, rilanciando il «partito dei moderati». Nello schieramento opposto, il progetto di un partito riformista è congelato fino a dopo le elezioni, ma potrebbe avere un suo primo punto di partenza nella lista unitaria. Intanto, Fausto Bertinotti ha (ri)lanciato la sua idea di un nuovo partito, la Sinistra europea, che superi Rifondazione e metta insieme un'area oggi frastagliata in partitini in conflitto tra loro, «nella pari dignità “assoluta” delle diverse soggettività che partecipano a questa impresa», come ha scritto Rina Gagliardi, ieri, su Liberazione. Non si tratta di sciogliere quel che c'è ma di procedere per «contaminazione reciproca», cogliendo la lezione dei movimenti di questi anni. Un progetto non facile. In primo luogo perché si scontra con gli egoismi partitici che il sistema proporzionale ha esaltato. Eppoi perché le basi culturali e politiche di una rifondazione di Rifondazione sono complicati, anzi pasticciati.
Al di là di una diffusa radicalità, cosa tiene insieme la sinistra dell'Unione? Già l'articolo della Gagliardi mette le mani avanti. Superamento del classismo? Questa «categoria fondativa» può essere «archiviata, in una fase storica come questa che ci parla quasi quotidianamente di un durissimo scontro di classe nel mondo?». Se Bertinotti, dopo aver detto addio al comunismo e alla violenza, vuole gettare alle ortiche (mettere in soffitta, si diceva un tempo) anche la classe, allora si guardi bene le spalle. La Gagliardi avverte anche che «un partito come il Prc, con la sua storia e i suoi vissuti così intensi» non può «diventare come un cono di gelato, scioglibile ad alta temperatura». È un dibattito solo all'inizio e lo lasciamo volentieri ai protagonisti. Ma è un percorso che a noi piace, per almeno due motivi. Il primo è che semplificare il quadro politico è una operazione salutare per la trasparenza democratica e la funzionalità del sistema. Il secondo è che ogni spinta che viene dalla sinistra e dalla destra può scuotere l'inerzia di chi al partito riformista forse pensa, ma evita di parlarne.

Il Riformista 22.3.06
CONVERSAZIONE
IL COMPAGNO AKEL BATTEZZA L'ULTIMA MOSSA DEL LEADER DI RIFONDAZIONE
Occhetto elogia Bertinotti: «Bravo, hai rifatto la Bolognina»

martedì 21 marzo 2006

Virgilio Notizie 21.3.06
SINISTRA EUROPEA
BERTINOTTI: SCIOGLIERE PRC? ASSOLUTAMENTE NO
Ce la teniamo stretta ma con associazioni lavoriamo al 'nuovo'


Roma, 21 mar. (Apcom) - "No, assolutamente. Ce la teniamo ben stretta". Ai microfoni di Gr Parlamento, Fausto Bertinotti smentisce così qualunque ipotesi di sciogliere Rifondazione Comunista a fronte della nascita della sezione italiana della Sinistra Europea. "Lavoriamo alla rifondazione - continua il segretario del Prc - e insieme ad altri lavoriamo alla costruzione di un nuovo soggetto politico in cui ci sarà il Prc con associazioni costruire una soggettività politica unitaria".
Si tratta di un soggetto diverso dal Partito Socialista Europeo, prosegue Bertinotti, "in quanto noi siamo contro la guerra", mentre i socialisti in Europa sono stati "divisi" su questo tema. Inoltre, "noi esprimiamo una critica al neoliberismo e abbiamo un'idea della democrazia come 'partecipata'".
"Di fronte alla prospettiva del governo", aggiunge Bertinotti, la sezione italiana della Sinistra Europea ha una "ambizione: non solo sostenere il governo, ma trascenderlo e proporsi una trasformazione della società, l'idea di un'altra Europa e altri rapporti nel Mediterraneo. Un'idea che non può essere esaurita da un governo di coalizione". Il programma dell'Unione contiene una "chiara spinta riformatrice", conclude il segretario del Prc, ma "bisogna evitare che prenda corpo l'ipotesi delle forze moderate di annacquarlo".

La Stampa 20.3.06
POLITICA
L’ANNUNCIO. VENGONO MESSI IN DISCUSSIONE ALTRI
FONDAMENTI DELLA TEORIA E DELLE PRATICHE COMUNISTE
Bertinotti: basta con le classi
mettiamo al centro la persona
Il segretario: Rifondazione sparirà,
entreremo nel Partito della sinistra europea
di Riccardo Barenghi


ROMA. «Dopo le elezioni politiche, proprio subito dopo, avvieremo la fase costituente della Sezione italiana del Partito della sinistra europea». Il nome è un po' lungo, troppo per stare in una scheda elettorale e anche per avere quella forza di impatto mediatico indispensabile ai giorni nostri. Ma la notizia non è il nome, uno più sintetico si troverà, la notizia è che subito dopo il voto e con il nuovo governo (possibilmente quello di Prodi) appena nato, Rifondazione comunista non sarà più lei. O meglio sarà una sorta di corrente dentro questo nuovo partito o soggetto politico o Sezione italiana (allusione alla vecchia Internazionale comunista) o chiamatelo come volete. E non è azzardato prevedere che quando torneremo a votare per le amministrative o per le politiche non troveremo sulla scheda il suo nome, il suo aggettivo (comunista) e la sua falce e martello ma qualcos'altro.

«Questa è la svolta della svolte», ci dice Fausto Bertinotti quando ormai è sera. «Le altre - racconta - sono state la rottura con lo stalinismo (Livorno, gennaio 2001, settantesimo anniversario della nascita del Pci), la scelta della non violenza (2003) e adesso questa». Nel frattempo c'è stata ovviamente quella (databile al congresso di Venezia nel 2005) che ha portato il partito di Bertinotti nel centrosinistra, nell'Unione e che, se tutto andrà bene, lo porterà al governo tra poche settimane.

Il cambio
Ma la svolta di ieri - alla manifestazione romana in cui sono stati presentati i candidati del Prc - è più svolta delle altre non solo perché prelude a un cambio di nome ma proprio perché mette in discussione altri fondamenti della teoria e delle pratiche comuniste. Tanto che il segretario di Rifondazione non ha nessun problema a dire che «dobbiamo a mettere al centro non più il lavoro ma i lavoratori», che si deve sostituire il concetto di «classe con quello di persona», che «abbiamo bisogno di una forte ipotesi revisionistica, ovvero ripensare tutto l'impianto culturale della nostra storia». Non a caso cita il Concilio Vaticano II «quando fece scandalo il fatto che la Chiesa per la prima volta nella sua dottrina utilizzasse il termine popolo». E se non ce ne fosse abbastanza, Bertinotti aggiunge che «nella nostra storia troppo spesso l'uguaglianza ha fatto premio sulla libertà». E invece, spiega, «la nuova cultura politica di questo partito della sinistra europea deve saper conciliare le due cose molto di più e meglio di quanto in passato abbia fatto il movimento operaio. La libertà della persona non è una concessione all'avversario ma un concetto fondamentale per qualsiasi sinistra moderna».

La persona
Una sinistra che «dovrà magari recuperare il Marx della critica allo sfruttamento e all'alienazione che negli ultimi venticinque anni è stato rimosso», ma che poi dovrà «oltrepassarlo. E immettere dentro si sé elementi nuovi, la comunità, la persona, la libertà appunto». Se non è una fuoriuscita dal comunismo poco ci manca (questione di tempo), non a caso Bertinotti cita modelli come la Linkespartei tedesca, partito nato dalla confluenza degli ex comunisti della Germania est (la Pds), di una costola dell'Ig-metal (la nostra Fiom) e di quei socialdemocratici più radicali che hanno seguito Oskar Lafontaine. «Io mi rendo conto che il mio Partito, Rifondazione comunista, non basta. E allora mi apro al meticciato con associazioni, movimenti, persone che in questi anni si sono appunto mosse a sinistra, contro la guerra, contro il liberismo, sull'ambiente, sui diritti civili, ma che in un partito che si chiama comunista non entrerebbero mai. E allora sono io che mi dichiaro disposto a entrare in un nuovo soggetto politico, un partito che si dia l'obiettivo di creare una Sinistra alternativa europea». Naturalmente, il leader del Prc ci tiene a sottolineare che la sua «svolta delle svolte» non è una svolta a destra. «Anzi, semmai il contrario. Oggi si discute del Partito democratico, ipotesi che mi trova in dissenso ma di cui riconosco il fascino perché la crisi della politica è così grave che la ricerca del nuovo è molto forte: dunque è un'idea suggestiva, non è un bidone. Ma proprio per questo penso che ci sia bisogno di un'operazione analoga a sinistra. Analoga ma alternativa».

La Costituente
La scommessa non è irrilevante, anche perché mentre Rifondazione, le associazioni, i movimenti, la stessa Fiom (il suo segretario Gianni Rinaldini è infatti intervenuto all'assemblea di ieri) daranno vita alla Costituente del nuovo partito, il vecchio partito e i suo annessi saranno impegnati in una sfida di un certo peso. Quella del governo, ammesso che le elezioni vadano bene per l'Unione. «Tanto più - dice Bertinotti - dobbiamo riuscirci. Riuscire cioè a dotarci di una nuova armatura teorica, culturale, politica che ci consenta di guardare non solo al domani ma anche al dopo. Per la sinistra il governo è un passaggio difficile, potremmo definirlo una traversata nel deserto. Più acqua ci portiamo dietro, meglio la facciamo».

ilgiornale.it 20.3.06
Bertinotti avvisa già Prodi: i veri nodi dopo le elezioni
di Roberto Scafuri


da Roma. Un lusso, lo definisce Fausto Bertinotti. Immaginare il futuro mentre infuria la battaglia elettorale e la Carovana di Rifondazione è in procinto di partire - lo farà a fine giornata da piazza Farnese - per il suo tour lungo lo Stivale. Un lusso e una ripartenza: usare il pensiero critico di Marx e «andare oltre Marx, non pretendere di indagare il mondo con gli occhiali dell'ortodossia». Il lusso di un altro «strappetto»: per due giorni il partito si è dedicato alla Sinistra europea, alla costruzione della sua sezione italiana, estraniandosi dalle diatribe politiche e dal «raccogliere voti, che sarebbe pure il mestiere di un partito...», come dice Bertinotti.
Ma oggi il mondo non tiene più, «bisogna coltivare e riformare il rapporto con i movimenti», «revisionare» l'impianto culturale delle origini, aprirsi alle altre culture, come «Se» vuole fare. «Noi che veniamo da storie toste, abbiamo imparato non solo da grandi barbe, ma anche da piccoli uomini...», spiega il leader.
Oggi così è possibile la non-violenza e «riflettere a fondo» sui termini di «uguaglianza e libertà», scoprendo che «molto spesso il primo ha fatto premio sulla seconda, mentre andrebbero pensati in maniera convergente». Il futuro è alle porte, la Sinistra europea si propone già in una prospettiva continentale, lo spazio minimo di intervento per trasformare i rapporti e lottare contro le dinamiche di «un capitalismo che ha fallito». Ma se l'ortodossia è «un cane morto da cui vogliamo liberarci», e la Sinistra europea raggruppa partiti e individui provenienti da esperienze differenti, si possono liberare «tanta parte delle idee che sono parte della nostra storia, ora bloccate». Un orizzonte che potrebbe essere definito come «Socialismo del XXI secolo», per il quale al centro «non c'è più il lavoro, ma le lavoratrici e i lavoratori». Tanto da poter parlare di «Socialismo della persona».
Immaginare il futuro mentre imperversano le polemiche elettorali. «Un'originalità», ci scherza su il leader rifondatore.
Al termine dell'assemblea che vara la Carta dei principi del futuro soggetto politico, si torna al presente. Qualche considerazione sulla marcia della pace, disertata da Ds e Margherita per il rischio incidenti che «naturalmente non si sono verificati, poiché il movimento è concretamente nonviolento», spiegherà Bertinotti, evitando di fare critiche. «Però si è persa un'occasione per essere ancora di più... Non facciamo drammi, nel programma dell'Unione la pace e la richiesta di ritiro dall'Irak ci sono».
Il problema in fondo è sempre lo stesso, «ci sono pressioni da parte dei poteri forti per annacquare il nostro programma», ma guai se il futuro governo Prodi producesse «elementi di disillusione, sarebbe un disastro politico per tutti». Il Paese ha bisogno di un'«impronta fortemente riformatrice», spiega il leader rifondatore, e «noi siamo realisti e lavoreremo perché i problemi vengano risolti». Ma «se vinciamo le elezioni, il giorno dopo avremo problemi e difficoltà rispetto ai quali quelli che abbiamo vissuto fin qui sono rose e fiori...». L'antidoto «ai rischi interni che esistono non è quello dello scontro interno alla coalizione, ma invece la costruzione della partecipazione della società».
Bertinotti ricorda che bisogna lavorare «all'unità della coalizione»: piuttosto che litigare, «dare una qualificazione veramente riformatrice ai programmi: le differenze ci sono e a volte sono anche molto nette, ma anche se siamo tanti e diversi, l'importante è che troviamo una convergenza, un compromesso dal chiaro profilo riformatore».
Lavorare alla «partecipazione democratica, fondata sulle autonomie» sembra essere l'alchimia giusta, a ogni livello, sull'esempio del sindacato, che «non può avere un governo amico, in quanto può essere amico solo dei lavoratori». Come ribadirà anche il leader della Fiom, Gianni Rinaldini, presente all'assemblea, «se Prodi chiederà ancora sacrifici ai lavoratori, il malessere sociale anti-Berlusconi può rivoltarsi contro anche a un nuovo governo».

Il Tempo lunedì 20 marzo 2006
«I POTERI FORTI» vogliono cambiare il programma dell’Unione.
di LUIGI FRASCA


Vogliono annacquarlo. Renderlo meno combattivo dal punto di vista sociale. Neutralizzarlo nei suoi aspetti più radicali, quelli cari alla sinistra del centrosinistra. È l’allarme lanciato da Bertinotti alla luce del convegno di Confindustria a Vicenza. «Bisogna essere realisti, noi lavoreremo perchè i problemi siano risolti e in questo senso il programma dell'Unione è un elemento forte. È però evidente, e questi giorni ne sono l'esempio, che ci sono pressioni da parte dei poteri forti del Paese per annacquare il nostro programma», ha detto il segretario di Rifondazione durante un'iniziativa della sezione italiana del partito della sinistra europea. Se Bertinotti si riferisca al programma fiscale o alle annunciate modifiche della legge Biagi da parte di un eventuale governo prodiano non è chiaro. Ma sicuramente il suo è un modo di «tirare per la giacca» il Professore. Un «avvertimento» trasversale per la gioia dei suoi sostenitori più radicali, per impedire che considerino Rifondazione come un «alleato subordinato» al resto della coalizione e la puniscano alle urne per un atteggiamento non sufficientemente «rivoluzionario», cioè incoerente con il suo passato. «Io penso - ha detto ancora il segretario del Prc facendo appello all’unità interna - che l'Italia ha bisogno di un'impronta riformatrice e penso che l'antidoto al rischio di queste pressioni non sia quello dello scontro interno alla coalizione, ma la costruzione di una partecipazione di tutta la società. Lavoriamo all'unità e, anche se abbiamo dei punti di vista diversi, dobbiamo dare al Paese la garanzia di un governo unitario e di alternativa a Berlusconi». Anche se la parola giustizia non sarebbe «garanzia» ma invece «illusione», visto lo stato dei fatti, Bertinotti ci tiene a sottolineare che «ci sono differenze tra di noi anche nette, ma possiamo trovare una convergenza che si può chiamare compromesso programmatico dal chiaro profilo riformatore». Una sorta di piccolo «compromesso storico» all’interno della sinistra, insomma. Che, tuttavia, non può far dimenticare le divergenze: «Io sono in radicale dissenso dal Partito democratico - ha infatti aggiunto Bertinotti - però penso che potrebbe avere un appeal perchè la crisi della politica è così grave che la ricerca del nuovo è molto forte. Noi lavoriamo per costruire un'alternativa a sinistra rispetto al Partito democratico e il nostro progetto si chiama sezione italiana del partito della sinistra europea. Una nuova forza che può mettere insieme tutte le realtà che in questi anni si sono unite contro la guerra e contro le politiche neoliberiste». Sull’atteggiamento nei confronti del sindacato da un lato e di Confindustria dall’altro, il leader dei «rifondisti» ha le idee chiare: «Il Professore esprime un programma in cui ci sono punti di convergenza con il sindacato e in cui ci sono scritti anche i punti di distacco da Confindustria dice - Nel programma dell'Unione si può leggere che noi siamo per la ridistribuzione del reddito e per colpire la rendita finanziaria. C'è anche scritto che siamo per il superamento della legge 30 e per la riconquista della centralità del contratto a tempo indeterminato». Secondo Bertinotti, «quello che è sicuro è che il programma dell'Unione è un'alternativa alle politiche del governo Berlusconi che ha fallito». Tornando poi a commentare la giornata di sabato, il leader del Prc aggiunge: «La Confindustria ha cambiato la sua direzione dopo il fallimento delle politiche della destra. Il governo ha aggredito l'articolo 18 e per opposizione ha avuto la più grande manifestazione sindacale degli ultimi cinque anni. La Confindustria in un primo tempo aveva pensato di accompagnare le politiche di Berlusconi ma poi di fronte al fallimento non ha potuto che dissociarsi. Il riassunto di tutto ciò - conclude Bertinotti - è che tutte le parti sociali sono contro Berlusconi e il nuovo governo Prodi dovrà avere la capacità di riorganizzare il consenso». Infine, dopo l’annuncio dell’approvazione all'unanimità della «Carta dei principi della sinistra europea», nuova tappa nel cammino che porta alla nascita della «sezione italiana del Partito della sinistra europea», Fausto Bertinotti ha sottolineato come per il nuovo soggetto politico sia «fondamentale il rapporto con i movimenti senza però tralasciare l'importanza delle radici. Non dobbiamo dimenticare Marx ma dobbiamo partire dalla critica marxista dell'economia per poi considerare la critica del produttivismo riscoprendo l'alienazione a cui ci ha portato la società capitalista». Insomma, il nuovo soggetto politico che il segretario del Prc ha in mente deve pensare a una «ricostruzione della società con al centro non il lavoro ma i lavoratori, cioè, le persone con le loro soggettivistà».

ragionpolitica.it 21.3.06
Tutta la sinistra al potere
di Gianni Baget Bozzo

Bertinotti getta il comunismo alle ortiche? Siamo abituati ai cambiamenti di linea culturale del leader di Rifondazione, ma questo certamente è il più significativo di tutti. Bertinotti butta il Capitale di Marx in soffitta, come Giolitti; si attacca al «giovane» Marx - linea comune a tutti i revisionismi; abbandona il concetto di classe e si rifà all'idea di persona. Sembrerebbe una rivoluzione culturale, ma essa è fatta con un tratto di penna del segretario.
In realtà, tutto rimane come prima: l'idea fondamentale rimane quella dell'antagonismo, sostenuto questa volta in nome dei diritti individuali invece che dell'identità collettiva. Ma l'idea forza è quella di portare il movimento e i movimenti dentro il governo, quella cioè di spostare stabilmente a sinistra l'asse dell'esecutivo incidendo con la chiave anti-occidentale e anti-liberale tutte le sue politiche. Bisogna che il nome cambi perché la cosa rimanga come prima.
Ciò significa che l'asse del governo sarà tra il Ds e il nuovo partito della sinistra europea, visto questa volta come una forza parallela al partito democratico promosso da Ds e Margherita e come suo bilanciamento a sinistra. Le politiche fiscali, dell'immigrazione, dello Stato sociale, del ruolo dei sindacati saranno un elemento permanente della posizione di Bertinotti, che potrà contare sull'identità culturale della tradizione comunista che è anche nelle radici del Ds. Avremmo il governo più a sinistra mai esistito nella storia d'Italia e nella storia d'Europa.
Prodi cercherà di mantenere la barra a sinistra e di mediare tra Ds e Bertinotti - quest'ultimo nella nuova veste di leader dell'erigendo partito della sinistra europea. L'idea di un ribaltone e di una nuova maggioranza sognata dai post-democristiani di entrambi gli schieramenti è destinata a cadere in questo spostamento di Bertinotti verso il governo come prima finalità dell'estrema sinistra. Infine, la vocazione comunista è sempre il controllo del potere e il segretario di Rifondazione può usare l'antagonismo come sua presenza all'interno del potere ma mai come causa di esclusione dal governo. La Margherita è marginalizzata da questa intesa profonda tra sinistra e sinistra, e sarà Prodi stesso a garantire la sua emarginazione.