venerdì 14 maggio 2010

l’Unità 14.5.10
Tra i primi 420 nomi politici, grand commis, uomini di Chiesa, dello spettacolo, dell’esercito
Devono andarsene
di Concita De Gregorio

La madre, la moglie, la figlia, la suocera. Il fratello della fidanzata, il cognato, la ragazza dell’amico del figlio, l’ex ragazza. L’amante, la segretaria, l’autista. Il figlio del giardiniere della casa di campagna. Il capo di gabinetto, il capo dell’ufficio legislativo, il capo del dipartimento, l’archivista, il dirigente Rai, il giornalista, il regista, il produttore, il generale. L’assistente del generale. Il ragioniere, suo genero l’attore. L’ex moglie. La sorella.
Il miglior falegname della città, come lo chiama Bertolaso, ha la mappa dettagliata delle parentele e delle relazioni fino al quinto grado, coppie di fatto e clandestine comprese, dei suoi clienti. Siccome è preciso la mole di lavoro, del resto, possente annota in un quadernetto. A volte col solo nome di battesimo. Altre volte col solo indirizzo. In casi di intimità estrema con l’iniziale, con un nomignolo affettuoso. Il miglior falegname della città è generoso: non segna cifre, niente importi, non un pagato o da pagare come succede, per dire, a chiunque di voi porti il cappotto in lavanderia. No, con le case ai Fori o a Cortina non funziona così. A volte dimentica persino di aver realizzato i lavori o di aver fatto dono di un appartamento. Nel mucchio può succedere. Poi capita anche che qualcuno pretenda di pagare, per i lavori ottenuti: una bizzarria, una forma di moralismo che va compresa e assecondata. Qualcuno certamente ha pagato. C’è chi ha persino conservato le
ricevute, gente d’altri tempi. Per il resto: tutto in un conto unico. In cambio di che cosa lo dirà la magistratura, voi intanto siete liberi di immaginare per quale motivo un falegname così prodigioso da esser divenuto il titolare delle ristrutturazioni per conto dei servizi segreti oltre che delle più costose e grandi opere pubbliche degli ultimi anni si adoperasse a riparare tapparelle a casa della suocera del funzionario del ministero, si figuri se disturba, ci mancherebbe.
La moglie di Guido Bertolaso lavorava per lui. Non è vero che l’abbia fatto solo prima che Anemone si aggiudicasse gli appalti, come ha detto suo marito in conferenza stampa. Il falegname con gli occhiali a specchio faceva lavoretti per Bertolaso in casa e in ufficio da molto, molto prima che la signora rimettesse a posto i giardini del Salaria Village. Una piccola menzogna, certo, nel monte di falsità e nella palude di corruttela che la cricca gelatinosa ha costruito e poi abitato per anni. Bisogna partire da quelle spudorate menzogne (omissioni? dimenticanze?) e tirare il filo. Basta, davvero. Devono andarsene, la cloaca di corruzione non può ingoiare il paese intero. Lo divoreranno. Non lasciamoglielo fare. Pretendiamo le dimissioni di chi ha corrotto e chi si è fatto corrompere, pazienza se strilleranno che è una congiura, una gogna, un complotto. Hanno sempre fatto così: colti in flagrante, messi di fronte all’evidenza dei fatti hanno protestato cose tipo: state violando la privacy. Loro invece stanno violando l’ultimo residuo di dignità. Anemone ha avuto anche i lavori di ricostruzione della scuola di San Giuliano, quella dove morirono 27 bambini e un insegnante. Di terremoto in terremoto hanno fatto miliardi e lasciato a noi le macerie. Non sono gli italiani senza lavoro né speranze a dover lasciare il paese. Sono loro che devono andarsene. Ricostruiremo da capo. Staremo meglio.

l’Unità 14.5.10
Sipario strappato per Silvio «Draquila» trionfa a Cannes
Sala gremita, applausi, risate e commenti alla proiezione per la stampa estera del film di Sabina Guzzanti sulla ricostruzione post-terremoto: «Berlusconi sembra Bush». E ancora: «Non vorremmo vivere in Italia...»
di Gabriella Gallozzi

Croisette Applausi e risate alla proiezione della stampa estera. «È un film rigoroso e scioccante»
All’attacco L’attrice e regista: «Quella di Berlusconi è eversione, un vero colpo di Stato»

Quando si dice un boomerang. Se il G8 dell'Aquila è stato per Berlusconi il suo «trionfo internazionale» è, ora, proprio la platea internazionale di Cannes a sdegnarsi per quel reality show, raccontato da Sabina Guzzanti nel suo film messo al bando dal governo. Ieri al Festival non si parlava d'altro. Alla proiezione di Draquila per la stampa straniera la sala era al completo, il pubblico ha partecipato ridacchiando nei momenti di satira più esplicita e, alla fine, sono partiti gli applausi. «Berlusconi sembra Bush», commenta un giornalista americano, «ed è molto interessante com'è raccontata l'intrusione della mafia. Lo stile è quello di Michael Moore, ma il risultato è ancora piu' forte». «In Francia c'era molta attesa per questo film – spiega una collega francese per via di tutto quello che abbiamo letto. E devo dirlo: Draquila è davvero rigoroso e scioccante». Anche perché, sottolinea un'altra «siamo paesi vicini, quello che accade oggi da voi può succedere anche da noi da un momento all'altro». Fuori dalla sala è tutto un groviglio di telecamere. Ed un incrocio di commenti: i francesi che cercano le dichiarazioni degli italiani e viceversa. «Sicuramente non passerà in tv – dice sarcastico l'inviato della radio tv del Lussemburgo, Jean-Pierre Thilges – lo sappiamo bene che anche la Rai è sotto il controllo di Berlusconi. Coraggiosa la regista ad aver raccontato in modo comprensibile per chi non lo sa tutto quello che sta accadendo da voi. Quello che non capisco è perché gli italiani continuino a votarlo. Evidentemente perché non sanno queste cose per via del potente controllo sui media. Certo è che non vorrei proprio vivere in Italia».
Un vero terremoto, insomma, quello che si è abbattuto ieri a Cannes sull' immagine del divo di Arcore. Le recensioni del film si leggeranno soltanto oggi, ma intanto gli addetti stampa francesi già parlano di unanime consenso, a parte Le Figaro, ovviamente, noto per le sue posizioni di destra.
Radiosa, in abito rosa da gran diva, è poi Sabina Guzzanti che, in mattinata, si è concessa finalmente alla stampa di settore italiana, alla quale si era sottratta per il lancio in sala del film. Che, intanto, sta andando alla grande: 413mila euro di incassi. Qui da Cannes Sabina non lesina i commenti. Parla di «deriva autoritaria», di «profonda crisi culturale» di «eversione e colpo di stato» da parte di Berlusconi. «Lo sanno tutti – dice come funzionano le cose in Italia. Se lui vuole la Repubblica presidenziale è senz' altro un suo diritto, ma per averla non continui a inquinare il Parlamento con i suoi fisioterapisti e sovvertendo i principi costituzionali. Questa si chiama eversione e colpo di Stato».
E CHI L’HA INVITATO?
Quanto a Bondi, che ieri ha reso noto di aver visto il film della discordia, Sabina rivela, «nessuno l'aveva invitato». Ma certo che il suo forfait è stato un bel colpo per Draquila. «Quando ha detto no a Cannes abbiamo pensato: evviva, è tutta pubblicità gratuita. Gli mandiamo una cassa di champagne. Ma poi abbiamo capito: le sue sparate sono rivolte a non far vedere il film alla grande massa dei suoi elettori. La loro politica è quella di far passare gli oppositori al governo come degli estremisti. A me più volte hanno dato della posseduta dal demonio». Il risultato, dunque, prosegue Sabina, «non è censurare il film, ma riuscire a censurare quelli che la pensano come loro. Chi legge Il Giornale e vede le reti Mediaset non ha contatti col mondo. E così devono rimanere».
La colpa dell'opposizione, rappresentata malinconicamente nel film con la tenda vuota del Pd, è stata la sottovalutazione del pericolo. «Un un atto di superficialità e di arroganza da parte della sinistra», dice la Guzzanti. A cominciare dallo sposare la tesi di Montanelli buonanima: “lasciatelo governare”». Sui motivi dell'assenza dell'opposizione Sabina preferisce non soffermarsi, «perché sono profondi. Ma del resto basta guardare all'Europa per capire che non riguardano solo noi. In Francia, ed ora pure in Inghilterra, si dibatte soLo su chi deve essere il leader, il nuovo Obama».
Dall’altra parte Berlusconi per la prima volta risponde a Sabina: «Io un dittatore? Assurdo, basta che accendiate la tv e vedrete che in tutte le trasmissioni ci sono solo attacchi contro di me e il Governo». Lo avrebbe detto ad una cena a Palazzo Grazioli. ❖

l’Unità 14.5.10
«La guerra di Gaza causò mutazioni genetiche»
Rapporto shock sui danni provocati dall’uso di armi segrete nel conflitto lanciato da Israele. Sui corpi feriti trovati metalli tossici e sostanze cancerogene
Le analisi condotte dai ricercatori di tre Università, coinvolta anche Roma
di Umberto De Giovannangeli

Le analisi. Condotte dai ricercatori di tre Università, coinvolta anche Roma
Mezzi sperimentali. Non hanno lasciato schegge o frammenti sui corpi colpiti

La guerra di Gaza non ha curato la ferita che avevamo disperatamente bisogno di medicare. Al contrario, ha rivelato ancor più i nostri errori di rotta, tragici e ripetuti, e la profondità della trappola in cui siamo imprigionati». Così scriveva David Grossman riflettendo sulle conseguenze dell'operazione Piombo Fuso scatenata da Israele nella Striscia di Gaza. Quella ferita continua a sanguinare e come un tragico Vaso di Pandora da quella prigione a cielo aperto e isolata dal mondo che è Gaza, continuano a uscire notizie raccapriccianti.
Come la storia che l'Unità ha deciso di raccontare dopo aver compiuto i necessari riscontri. Una storia sconvolgente. Metalli tossici ma anche sostanze carcinogene, in grado cioè di provocare mutazioni genetiche. È quanto individuato nei tessuti di alcune persone ferite a Gaza durante le operazioni militari israeliane del 2006 e del 2009. L'indagine ha riguardato ferite provocate da armi che non hanno lasciato schegge o frammenti nel corpo delle persone colpite, una particolarità segnalata più volte dai medici di Gaza e che indicherebbe l'impiego sperimentale di armi sconosciute, i cui effetti sono ancora da accertare completamente.
La ricerca, che ha messo a confronto il contenuto di 32 elementi rilevati dalle biopsie attraverso analisi di spettrometria di massa effettuate in tre diverse università, La Sapienza di Roma, l'Università di Chalmer (Svezia) e l'Università di Beirut (Libano) è stata coordinata da New Weapons Research Group (Nwrg), una commissione indipendente di scienziati ed esperti basata in Italia che studia l'impiego delle armi non convenzionali per investigare i loro effetti di medio periodo sui residenti delle aree in cui vengono utilizzate. La rilevante presenza di metalli tossici e carcinogeni, riferisce la commissione in un comunicato, indica rischi diretti per i sopravvissuti ma anche di contaminazione ambientale. I tessuti sono stati prelevati da medici dell'ospedale Shifa di Gaza City, che hanno collaborato a questa ricerca e classificato il tipo di ferita delle vittime. L'analisi è stata realizzata su 16 campioni di tessuto appartenenti a 13 vittime.
I campioni che fanno riferimento alle prime quattro persone risalgono al giugno2006, periodo dell' operazione «Piogge estive». Quelli che appartengono alle altre 9 sono state invece raccolti nella prima settimana del gennaio 2009, nel corso dell'operazione Piombo Fuso.
Tutti i tessuti sono stati esaminati in ciascuna delle tre università. Inglobare schegge o respirare micropolveri di tungsteno, metallo pesante e notoriamente cancerogeno, non potrà che provocare nella popolazione sopravvissuta o che vive nei dintorni un aumento della frequenza di insorgenze tumorali.
Sono stati individuati quattro tipi di ferite: carbonizzazione, bruciature superficiali, bruciature da fosforo bianco e amputazioni. Gli elementi di cui è stata rilevata la presenza più significativa, in quantità molto superiore a quella rilevata nei tessuti normali, sono: alluminio, titanio, rame, stronzio, bario, cobalto, mercurio, vanadio, cesio e stagno nei campioni prelevati dalle persone che hanno subito una amputazione o sono rimaste carbo-
nizzate; alluminio, titanio, rame, stronzio, bario, cobalto e mercurio nelle ferite da fosforo bianco; cobalto, mercurio, cesio e stagno nei campioni di tessuto appartenenti a chi ha subito bruciature superficiali; piombo e uranio in tutti i tipi di ferite; bario, arsenico, manganese, rubidio, cadmio, cromo e zinco in tutti i tipi di ferite salvo che in quelle da fosforo bianco; nichel solo nelle amputazioni. Alcuni di questi elementi sono carcinogeni (mercurio, arsenico, cadmio, cromo nichel e uranio), altri potenzialmente carcinogeni (cobalto, vanadio), altri ancora fetotossici (alluminio, mercurio, rame, bario, piombo, manganese). I primi sono in grado di produrre mutazioni genetiche; i secondi provocano questo effetto negli animali ma non è dimostrato che facciano altrettanto nell’uomo; i terzi hanno effetti tossici per le persone e provocano danni anche per il nascituro nel caso di donne incinte: sono in grado, in particolare l'alluminio, di oltrepassare la placenta e danneggiare l’embrione o il feto. Tutti i metalli trovati, inoltre, sono capaci anche di causare patologie croniche dell’apparato respiratorio, renale e riproduttivo e della pelle. La differente combinazione della presenza e della quantità di questi metalli rappresenta una «firma metallica».
«Nessuno – spiega Paola Manduca, che insegna genetica all'Università di Genova, portavoce del New Weapons Research Group – aveva mai condotto questo tipo di analisi bioptica su campioni di tessuto appartenenti a feriti. Noi abbiamo focalizzato lo studio su ferite prodotte da armi che non lasciano schegge e frammenti perché ferite di questo tipo sono state riportate ripetutamente dai medici a Gaza e perché esistono armi sviluppate negli ultimi anni con il criterio di non lasciare frammenti nel corpo. Abbiamo deciso di usare questo tipo di analisi per verificare la presenza, nelle armi che producono ferite amputanti e carbonizzanti, di metalli che si depositano sulla pelle e dentro il derma nella sede della ferita”. «La presenza – prosegue – di metalli in queste armi che non lasciano frammenti era stata ipotizzata, ma mai provata prima. Con nostra sorpresa, anche le bruciature da fosforo bianco contengono molti metalli in quantità elevate. La loro presenza in tutte queste armi implica anche una diffusione nell'ambiente, in un'area di dimensioni a noi ignote, variabile secondo il tipo di arma. Questi elementi vengono perciò inalati dalla persona ferita e da chi si trovava nelle adiacenze anche dopo l'attacco militare. La loro presenza comporta così un rischio sia per le persone coinvolte direttamente, che per quelle che invece non sono state colpite». L'indagine fa seguito a due ricerche analoghe del Nwrg. La prima, pubblicata il 17 dicembre 2009, aveva individuato la presenza di metalli tossici nelle aree di crateri prodotti dai bombardamenti israeliani a Gaza, indicando una contaminazione del suolo che, associata alle precarie condizioni di vita, in particolare nei campi profughi, espone la popolazione al rischio di venire in contatto con sostanze velenose.
La seconda ricerca, pubblicata il 17 marzo scorso, aveva evidenziato tracce di metalli tossici in campioni di capelli di bambini palestinesi che vivono nelle aree colpite dai bombardamenti israeliani all'interno della Striscia di Gaza. Una conferma viene anche da attendibili fonti mediche palestinesi indipendenti a Gaza City contattate dall'Unità. Tra queste, Thabet El-Masri, primario del reparto di terapia intensiva presso l’ospedale Shifa di Gaza, il dottor Ashur, direttore dello Shifa Hospital e il dottor Bassam Abu Warda direttore della struttura medica attiva a Jabalya, il più grande campo profughi della Striscia (300mila persone).
«L'occupazione di Gaza – riflette Gideon Levy, una delle firme del giornalismo israelianoha semplicemente assunto una nuova forma: un recinto al posto delle colonie. I carcerieri fanno la guardia dall'esterno invece che all'interno». Ed è una «guardia» spietata.❖

l’Unità 14.5.10
India e Cina. Due colossi senza stabilità
Scenari globali È uno degli economisti più importanti del subcontinente e nel suo ultimo libro cita Tien An Men, Woodstock, le Br e il fascismo La sua tesi: l’infinita transizione di «Cindia» al capitalismo comporterà conflitti
di Maria Serena Palieri

Cindia? Dopo il profluvio di saggi di economisti, sociologi, giornalisti occidentali sull' affascinante «mistero» del boom asiatico, ecco una voce diversa. Prem Shankar Jha, indiano settantunenne laureato a Oxford, considerato tra i massimi economisti del pianeta, già autore del Caos prossimo venturo tradotto da noi nel 2007, in Quando la tigre incontra il dragone (in uscita in Italia anch'esso per Neri Pozza) offre una lettura inedita di quanto avviene in Cina e in India. È vero che Cindia si avvia a diventare egemone nel pianeta e che l'Occidente è irrevocabilmente destinato alla zona d'ombra? Quando la tigre incontraildragoneèunsaggiofluviale,dove Shankar Jha ripercorre anche la nostra storia novecentesca, leggendo con occhio originale fascismo e Woodstock, guerre mondiali e Br. Ma veniamo al terzo millennio e a quest'Asia ruggente, dove i dirigenti del Pc cinese girano in Rolls mentre i contadini indiani 200 mila dal 2002 si suicidano in massa. Jha dice che questo saggio nasce da un «se»: nel rapporto sui cosiddetti Brics (Brasile, Russia, India, Cina) Goldman Sachs, nel 2005, affermava che gliultimiduepaesipotevanoconquistare l'egemonia entro il 2050 «se» avessero raggiunto una stabilità politica. Perché quel “se” ha colpito la sua immaginazione di studioso? «Perché entrambi i paesi stanno affrontando una fase di transizione non solo verso un'economia, ma verso una società capitalista. E questa transizione lì dove è già avvenuta, in Europa e negli Usa, ha provocato conflitti. La forza trainante del capitalismo è la concorrenza. Dentro il capitalismo c'è sempre un conflitto, c'è chi vince e chi perde. In Europa, e in misura minore negli Usa, il conflitto si è ricomposto grazie a sindacati, democrazia e Welfare, esattamente in quest'ordine. Il capitalismo si è umanizzato, ma il processo non è avvenuto automaticamente, è stato frutto di una lotta politica che è durata duecento anni».
In India e Cina esistono le condizioni perché il capitalismo si umanizzi? «La Cina potrebbe arrivare già prima del 2030 ad avere un'economia, in dollari, molto più grande di quella statunitense. Ma in Cina non c'è democrazia, i sindacati sono solo portavoce del governo e quanto al Welfare, ciò che c'era ai tempi di Mao è stato distrutto. In Cina il conflitto sociale cresce in modo costante e non ci sono istituzioni che possano contenerlo. Lo strumento confuciano che il sistema concedeva ai cinesi per reclamare giustizia, il cosiddetto 'diritto all'appello', è stato travolto dalla corruzione che pervade il Partito comunista a tutti i livelli. In Cina il problema non è solo politico, è morale».
La storia del suo Paese è diversa: Gandhi, Nehru... «In India c'è una democrazia vivace, vibrante. La percentuale di votanti cresce a ogni elezione. L'India è caratterizzata da un'enorme diversità, più di trecento minoranze etniche, con quindici principali cui fanno capo 150-200 milioni di cittadini. Questo, senza neppure parlare delle caste. Tra questi gruppi, salvo poche eccezioni, c'è armonia sociale. C'è un senso di appartenenza comune ed è ciò che si manifesta quando si va al voto. Eppure anche da noi ci sono difficoltà analoghe a quelle cinesi. Il sistema politico ancora non riesce a raccogliere la sfida che viene dal capitalismo. Il problema è nel fatto che la convivenza delle minoranze produce una divisione verticale della società, mentre la riconciliazione sociale deve avvenire in modo orizzontale. È il capitalismo a dividere la società orizzontalmente, tra ricchi e poveri, in modo trasversale a etnìe e fedi religiose. E cos'è successo in India negli ultimi sessant'anni? Preoccupati per la convivenza tra minoranze, non ci siamo accorti che la borghesia aveva preso il controllo: tra il 1956 e il 1991 commercianti, imprenditori, ricchi agricoltori avevano messo le mani sul governo. Dopo la liberalizzazione del '91, il giro d'affari si ingigantisce. Ma eccoci al problema politico squisitamente indiano: la macchina democratica costa e, a differenza di quanto avviene in molti paesi europei, il governo indiano non ha mai formulato leggi né stanziato fondi a questo scopo. Il sistema da noi è simile a quello della Gran Bretagna, ma mentre lì un candidato deve confrontarsi con un distretto di 60.000 elettori, in India un distretto copre 6.000 kmq, con un bacino di 1.200.000 votanti. Un candidato spende per la sua campagna tra un milione e tre milioni di dollari. E modi legali di raccogliere fondi non ci sono. Allora chi paga? Le grandi aziende, di nascosto. Per i poveri perciò lo Stato è per natura un nemico. I poveri vedono il nemico nei burocrati, nella polizia, nel mondo dei grandi affari. È vero: lo Stato si 'sdebita' regalando alle imprese soldi per erigere infrastrutture. Si costruiscono strade e dighe nelle terre dei più poveri, ma nessuno dà loro niente in cambio. Il risultato è questo: l'India partiva da un passato egualitario, la crescita economica ha migliorato lo stile di vita dell'80% della popolazione. Ma c'è un 20% che sta peggio. E a questi la politica non sa dare risposte».
Lei dedica nel suo saggio uno spazio importante a Tian an Men. Ne dà una lettura diversa da quella che ce ne diedero allora i nostri media. Perché Tiananmen fu il momento in cui la Cina perse il treno per una conciliazione tra sviluppo economico e una propria, originale, democrazia?
«Tian an Men fu frutto di un movimento d'élite, studenti, lavoratori dell'industria ed esponenti dello stesso Pcc, la prima ribellione all'ineguaglianza che andava nascendo e in nome degli ideali che si andavano perdendo. All'epoca i contadini stavano ancora bene. Il governo ci mise sei lunghe settimane a reprimere la rivolta. Perché? Non voleva giustiziare la futura classe di governo. Ma, Prem Shankar Jha è uno dei massimi economisti indiani. Tra il 1986 e il 1990 è stato il corrispondente indiano dell’Economist, e nel 1990 è diventato collaboratore del primo ministro V.P. Singh. Dal 1997 al 2000 ha insegnato all’Università della Virginia. Il suo libro più celebre è «Il caos prossimo venturo».
dopo Tiananmen, fu imposta la linea dell'arricchimento veloce, per emarginare gli scontenti e chi denunciava la corruzione. Ha funzionato fino al '97. Poi con la recessione hanno cominciato a imporre tasse illegittime: oggi gli scontenti tra i contadini sono 60 volte più che allora». L'Europa nel suo saggio non ha spazio: non è uno dei “giocatori”. Cosa pensa della crisi dell'eurozona?
«Obama mi ha dato speranza. Ma c'è la crisi dell'euro, Usa e Gran Bretagna, con la politica di spesa, non hanno raggiunto i risultati sperati, dal 2003 i conflitti di India e Cina sono diventati più evidenti. I poteri stabilizzati da tempo collassano, i paesi nuovi sono tormentati da guerre intestine. E, legato a tutto questo, c'è il problema del riscaldamento globale. Il mondo è in una crisi esistenziale. E il fatto è che abbiamo pochissimo tempo per capire come affrontarla».

l’Unità 14.5.10
Abbiamo bisogno di eroi
di Carlo Lucarelli

Parlare di Emilio Fede in un confronto con Roberto Saviano, sia dal punto di vista umano che civile e giornalistico, sarebbe come sparare sulla Croce Rossa e io non lo faccio. Prendo spunto, quindi, da una delle tante sciocchezze devo ripetere questo termine già usato qui in precedenza più o meno allo stesso proposito per fermarmi sul concetto di eroe. Benedetto il paese che non ha bisogno di eroi, diceva Bertold Brecht. Bene: noi non siamo quel paese.
Quel paese che non ha bisogno di eroi è un paese in pace e con una società così matura da non avere bisogno di simboli, stimoli ed esempi. Noi non siamo quella società.
Siamo un paese in guerra la guerra contro le Mafie di cui abbiamo tutti i giorni coscienza attraverso crimini, sequestri, arresti e denunce che ha bisogno continuamente di essere risvegliato e allarmato. Saviano, col suo essere scrittore e giornalista, col suo essere intellettuale ma anche soltanto col suo essere Saviano, fa esattamente questo. Come hanno fatto tante altre persone che devono essere chiamate eroi, da coloro che sono stati uccisi a quelli che ogni giorno testimoniano della lotta alla mafia senza avere addosso i riflettori che ha Saviano. Riflettori che vanno benissimo: abbiamo sempre denunciato il silenzio attorno alla Mafia, che senso ha lamentarsi quando i riflettori arrivano, non importa chi se li tira dietro, anzi, grazie, soprattutto se lo fa sulla propria pelle.
Ora, un paio di domande ad Emilio Fede. La prima: che significa che Saviano è un rompiscatole? In che modo rompe? Che fa per rompere, che dice? Io lo conosco, seguo il suo lavoro, leggo le sue cose e non l’ho ancora capito.
La seconda, ed è più maliziosa: a chi le rompe, le scatole, Saviano?

giovedì 13 maggio 2010

l’Unità 13.5.10
FIEG e FNSI Difendiamo il diritto di cronaca
Intercettazioni: Appello congiunto al Parlamento
Riportiamo di seguito l’appello congiunto rivolto al Parlamento dalla Federazione italiana editori di giornali (Fieg) e dalla Federazione nazionale stampa italiana (Fnsi) a proposito del ddl sulle intercettazioni

In occasione della discussione al Senato della Repubblica del disegno di legge sulle intercettazioni («ddl Alfano»), la Fieg e la Fnsi si uniscono nel rinnovare al Parlamento e a tutte le forze politiche l’appello a non introdurre nel nostro ordinamento limitazioni ingiustificate al diritto di cronaca e sanzioni sproporzionate a carico di giornalisti ed editori.
Il testo all’approvazione dell’Aula del Senato è ancora più restrittivo di quello già negativo approvato dalla Camera dei deputati. Viene imposto, infatti, il divieto di pubblicare il contenuto, anche per riassunto, di tutti gli atti d’indagine, anche se non più coperti da segreto, fino alla chiusura delle indagini.
Si tratta di previsioni che nulla hanno a che fare con la pubblicazione delle intercettazioni e che intervengono in modo sproporzionato impedendo di fatto il diritto di cronaca giudiziaria sancito dalla Costituzione italiana e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Il divieto di pubblicazione non è giustificato né dalla protezione dell’attività investigativa, perché si tratta di atti non più coperti da segreto, né dalla tutela della riservatezza delle persone, perché si tratta della notizia di atti d’indagine tipicamente oggetto del diritto di cronaca giudiziaria.
Gli editori e i giornalisti concordano sulla necessità che sia tutelata la riservatezza delle persone, soprattutto se estranee alle indagini, ma denunciano con forza l’inaccettabilità di interventi che porterebbero ad un risultato abnorme e sproporzionato: impedire la cronaca di eventi rilevanti per la pubblica opinione, quali le indagini investigative, imponendo il divieto di pubblicare la notizia di atti non segreti.
Allo stesso effetto di limitazione della libertà di informazione portano le previsioni del disegno di legge che introducono pesanti sanzioni nei confronti dei giornalisti e la responsabilità oggettiva a carico dell’editore, per la pubblicazione di notizie di cronaca interdette dalla nuova normativa, responsabilità che verrebbe ad aggiungersi, e in modo confuso, a quella del direttore di giornale.
È necessario salvaguardare il diritto di cronaca e di libera informazione. Occorre tutelare la funzione della stampa e del giornalista. L’Italia deve restare in linea con la propria tradizione e con i principi europei e delle nazioni più evolute.

Repubblica 13.5.10
Gli esperimenti dello psicologo Tomasello mostrano che per istinto siamo portati a cooperare I test sono stati condotti su gruppi di bambini fino a 18 mesi. Poi i comportamenti cambiano
Ecco perché generosi si nasce ma la bontà dura fino a due anni
"Mi schiero con Rousseau che considerava gli esseri umani per natura solidali, ma poi corrotti dalla società"
di Marina Cavalieri

Generosi per vocazione, altruisti per istinto. Portati ad allearsi più che a scontrarsi. Più disposti ad aiutare che a tradire. Così sono i bambini piccolissimi, tra il primo e il secondo anno di vita, con una tendenza naturale ad aiutare il prossimo, un sentimento non indotto da condizionamenti sociali e culturali, non influenzato dai desideri e dalle minacce dei genitori. Solo dopo questo istinto originario si trasforma. Solo più tardi si perde l´innocenza. Ed eccoci da adulti, così come sappiamo: un po´ meno angeli e un po´ più demoni.
Altruisti nati Perché cooperiamo fin da piccoli è l´ultimo libro di Michael Tomasello (Bollati Boringhieri, pagg. 144, euro 15), noto psicologo evoluzionista americano, considerato un impavido pioniere dai suoi colleghi. Tomasello illustra con pignoleria ed esperimenti di laboratorio il comportamento dei bambini nelle prime fasi dell´esistenza, raggiungendo risultati da molti giudicati sorprendenti perché dimostra, stupendo molti genitori, che i cuccioli d´uomo, a differenza di quelli di scimpanzé, sembrano più disposti a mettere da parte il vantaggio individuale e ad aiutare generosamente il prossimo. «Mi schiero con Rousseau», scrive deciso Tomasello, «il filosofo che considerava gli esseri umani per natura cooperativi e solidali ma poi corrotti dalla società. Anche se integro quella teoria con alcune critiche: sostengo che i bambini si dimostrano collaborativi in molte situazioni ma non in tutte perché ogni organismo deve avere anche un po´ di egoismo per sopravvivere».
E Tomasello si assume l´onere della prova. Con i suoi esperimenti vuole dimostrare alcune cose: i bambini sono capaci di prestare aiuto, fornire informazioni, condividere. Tutto con assoluto e disarmante disinteresse. Il punto di partenza è molto semplice: bambini tra i 14 e i 18 mesi vengono messi di fronte ad un adulto che vedono per la prima volta. L´adulto si trova ad affrontare un banale problema pratico e i piccoli lo aiutano a risolverlo, sia che si tratti di recuperare oggetti lontani dalla sua portata o aprire un armadietto se l´adulto ha le mani impegnate. Su 24 bambini presi in esame 22 hanno offerto il loro aiuto almeno una volta. Immediatamente.
Ma non finisce qui. Per lo psicologo c´è nei bambini una propensione spontanea a simpatizzare con qualcuno in difficoltà. Infatti vediamo i bambini-cavia di Tomasello solidarizzare con un adulto a cui era stato strappato intenzionalmente un foglio: «guardano la vittima con un´espressione partecipe», scrive lo psicologo. I piccoli sono anche capaci di fornire informazioni utili. In un altro esperimento li osserviamo aiutare un adulto che aveva perso un oggetto, i bambini, ignari protagonisti, si sforzano di dare indicazioni, fornendo una specifica forma d´aiuto che solo i cuccioli d´uomo sanno fare ovvero «condividendo le informazioni necessarie».
Ma le gesta eroiche e gentili dei nostri piccoli altruisti sono molteplici. È evidente, si sente in dovere di aggiungere Tomasello, che gli esseri umani non sono angeli della cooperazione, uniscono le forze anche per compiere atti ignobili, tali atti però non sono diretti contro gli appartenenti al gruppo. Come i politici hanno sempre saputo, il modo migliore per motivare le persone è identificare dei nemici. E i bambini hanno un innato, e squisitamente umano, senso del «noi». Fin qui gli ingegnosi esperimenti per dimostrare le radici dell´altruismo. Alla base ci sarebbe una tendenza innata. Dopo vengono le norme, le istituzioni. Tutte le complicazioni, più o meno necessarie, che conosciamo. Ma a che punto si perda la primitiva innocenza, e quando anche i bimbi s´incarogniscono, Tomasello non lo spiega, non è parte della ricerca. Questa è un´altra storia.

Repubblica 13.5.10
Lo scrittore Ammaniti: "Molto dipende dal carattere"
"L'egoismo sembra quasi genetico i piccoli seguono la legge della giungla"
intervista di Dario Pappalardo

«La mia sensazione è esattamente contraria». Secondo Niccolò Ammaniti, che guarda il mondo dell´infanzia con gli occhi dello scrittore e lo racconta dentro romanzi come Io non ho paura, i bambini non nascono altruisti. Anzi. «Ma non mi baso su ricerche e dati statistici, solo sulla vita vissuta».
Ammaniti, i bambini sono tendenzialmente cattivi?
«Credo che naturalmente esista un egoismo quasi genetico. Anche i bambini rispondono in qualche modo alla legge della giungla. Tendono a sopraffarsi. Poi l´educazione mitiga le cose. Ma l´istinto naturale a sopravvivere va contro quello di condividere le cose».
Insomma, concorda più con Hobbes che con Rousseau...
«Direi di sì. Certo, oltre all´istinto, ci sono le attitudini del carattere: i bambini generosi esistono. In loro, come negli adulti, mi pare di vedere comunque la tendenza a dividersi in leader e in gregari. È quello che ho descritto in Io non ho paura, dove ci sono leader tirannici, ma il protagonista è un gregario sentimentale».
Tornerà a raccontare i bambini in un romanzo?
«Sicuramente riprenderò l´argomento nei prossimi romanzi. La crescita è sostanziale come momento della vita. E uno scrittore non può rinunciare a raccontarla».

mercoledì 12 maggio 2010

il Fatto 12.5.10
Da donna a donne: stupratele, tanto abortiscono
A Massa durante un convegno sulla pillola Ru486 l’incitamento da parte delle estremiste di destra
di Giampiero Calapà

Presente anche Roberto Fiore, leader di Forza Nuova Per lui l’aborto è come l’eutanasia

Insulti misogini pronunciati da donne contro altre donne: “Stupratele tanto abortiscono”, violenza con spintoni e la telecamera della tv locale “Antenna3” distrutta, oltre al caos politico con reciproche accuse tra i partiti. L’iniziativa di domenica scorsa sulla pillola Ru486, organizzata al Teatro dei Servi di Massa dalla rivista “Ordine Futuro” (riconducibile a Forza Nuova), lascia questa eredità alla città toscana, non nuova a tensioni e episodi di violenza fra estrema destra e Carc.
Al convegno, a cui partecipavano diversi medici e altre sigle politiche, come i Radicali, il parapiglia è cominciato sulle parole del leader di Forza Nuova, Roberto Fiore: “L’aborto è come l’eutanasia”. A quel punto, racconta la giornalista di Antenna3, Manuela D’Angelo, “un gruppo di donne del comitato ‘Usciamo dal silenzio’ hanno deciso di abbandonare il teatro”. Qualcuna di loro ha
gridato “siete i soliti fascisti”. “Ci avevano già riconosciute mentre entravamo – raccontano una rappresentante del comitato – e alcuni di loro ci hanno detto che quella era la casa dei fascisti, che era il prezzo da pagare alla democrazia che noi abbiamo voluto, una vergogna”. Anche perché fuori dalla sala del convegno, dopo le parole di Fiore, gli insulti si sono fatti più pesanti e quello “stupratele tanto abortiscono” per bocca di una simpatizzante
dell’area di estrema destra ha fatto molto male, proprio perché pronunciato da un’altra donna. “Da parte nostra – precisano al comitato – non c’è stata alcuna provocazione, ma ci siamo sentite dire anche altre cose come: ‘Se non apriste le gambe certe cose non servirebbero’, incitazioni allo stupro gravissime”. Sentite le urla provenienti da fuori la sala del convegno, D’Angelo e il direttore di Antenna3 Andrea Lazzoni, per l’occasione in funzione da operatore, sono accorsi al corridoio d’ingresso, ma “ragazzotti di destra, non sappiamo se tesserati a Forza Nuova o meno, ma comunque simpatizzanti, hanno alzato le mani scaraventando per terra la telecamere e minacciandoci fisicamente”.
A un chilometro di distanza dal Teatro dei Servi, contemporaneamente, andava in scena una manifestazione di protesta delle sigle di estrema sinistra. Intanto la maggioranza in consiglio comunale, che va dall’Udc a Rifondazione ma senza il Pd, si è impegnata a chiedere al sindaco Roberto Pucci di adottare un regolamento che consenta di non concedere spazi pubblici, quel teatro è comunale, a soggetti di evidente ispirazione “xenofoba, razzista, omofoba e fascista”: chiudere le porte di Massa a movimenti come quello di Fiore insomma. Dal Pdl arriva la difesa, invece, dei camerati di Forza Nuova, infatti per il consigliere comunale Stefano Caruso “tutto il caos è stato creato dai comu-
nisti esaltati e anacronistici, altro che apologia di fascismo, l’iniziativa è stata utile per divulgare informazioni rispetto a un argomento poco conosciuto e oggetto di errate interpretazioni: è preoccupante sentire etichettare come antidemocratico chi si propone di fare cultura”. E per Forza Nuova chi ha minacciato o insultato “non è un esponente o iscritto al partito, ci dispiace che nessuno si sia accorto della sala gremita e dei professionisti che hanno preso parte al convegno”. A muso duro contro il sindaco Pucci parte quel Partito democratico che qui non è nella maggioranza di centrosinistra: “Quando si amministra una città medaglia d’oro della Resistenza non si può transigere sui principi fondamentali facendo finta di non vedere”. Francesco Mangiarcina, responsabile di Forza Nuova, replica che “il Pd che si schiera con i Carc lo fa solo per non perdere occasione di attaccare il sindaco Pucci, per loro motivazioni politiche che non ci riguardano”.


il Riformista 12.5.10
«O ci chiedi o ci chiudi» dissero
Il comitato di bioetica è stato chiuso
Scadenza. L’organismo consultivo della presidenza del Consiglio chiude i battenti nel disinteresse generale. «Meglio così» dicono molti membri. Ma Palazzo Chigi smentisce il taglio.
di Anna Meldolesi
qui
http://www.scribd.com/doc/31262438/il-Riformista-12-5-10-p6

Repubblica 12.5.10
"Il burqa è contro i valori della Francia"
L’Assemblea nazionale avvia l´iter per vietare il velo integraleVoto quasi unanime Ma nelle Università islamiche si potrà studiare per diventare imam
di Giampiero Martinotti

PARIGI - Il burqa è contrario «ai valori della Repubblica»: l´Assemblea nazionale ha avviato ieri sera l´iter che porterà al bando del velo integrale in qualsiasi spazio pubblico. Lo ha fatto con una risoluzione votata alla quasi unanimità, una convergenza effimera, poiché la sinistra non intende votare la legge proposta dalla maggioranza, ritenuta eccessiva e, probabilmente, incostituzionale. Solo questo primo passo ha trovato tutta la classe politica d´accordo, con la sola eccezione del gruppo comunista, che parla di una «stigmatizzazione della comunità musulmana». Eppure, se la Francia s´incammina sulla strada di un divieto totale per burqa e niqab, lo deve proprio a un deputato comunista, che per primo ha lanciato il dibattito e convinto la destra, ma non i suoi compagni di partito.
Il voto di ieri è stato consensuale e non poteva essere altrimenti, trattandosi di una risoluzione sui principi, un atto solenne ma dal valore puramente simbolico. Nel testo si fa esplicito riferimento al burqa: «Le pratiche radicali che offendono la dignità e l´eguaglianza tra uomini e donne, fra cui il porto di un velo integrale, sono contrarie ai valori della Repubblica». Secondo i deputati, la libertà di espressione non può «affrancarsi dalle regole comuni senza curarsi dei valori, dei diritti e dei doveri che fondano la società». Ma se tutti sono d´accordo sui principi, la loro applicazione è oggetto di forti contrasti e di appassionati dibattiti.
Il capogruppo parlamentare del centro-destra, Jean-François Copé, difende l´idea del divieto globale: «La risoluzione spiega, la legge agisce». Logico, secondo lui, che il consiglio dei ministri vari la settimana prossima un ddl senza ambiguità: «Nessuno può, nello spazio pubblico, portare una tenuta destinata a dissimulare il suo volto». Su questo punto, la destra fa blocco, seguita solo da qualche raro deputato socialista: «Il burqa non è il benvenuto», aveva detto l´anno scorso Nicolas Sarkozy. Senza dare il minimo peso alla marginalità del fenomeno: appena duemila donne, secondo dati ufficiosi, porterebbero il velo integrale su 5-6 milioni di musulmani. Unica concessione alla comunità islamica: in due università pubbliche si potrà studiare per diventare imam. Anche per questo i socialisti presenteranno una proposta di legge più morbida, in linea con le conclusioni cui è giunto, qualche settimana fa, il Consiglio di Stato: il velo integrale va vietato solo nei servizi pubblici, nei trasporti e nei commerci, non per strada.
La maggioranza, tuttavia, ha deciso di andare avanti e di seguire l´esempio del Belgio, che ha già bandito il velo integrale dalle strade. Un´idea che non piace all´assemblea parlamentare del Consiglio d´Europa, che si appresta a bollare il divieto totale come una violazione del diritto alla libertà religiosa.

Repubblica 12.5.10
I guerrieri delle banlieue giovani, stranieri e soli
di Jenner Meletti

Gang, palazzi-ghetto e poco lavoro la mappa delle banlieue d´Italia
Da Roma a Milano, le zone a rischio. "Troppe frustrazioni per i più giovani"
L´allarme dalla ricerca della Cattolica: "Stanno diventando una polveriera"
"Nelle nostre città manca ancora la capacità di vivere insieme, italiani e immigrati"

Per un anno ha camminato nelle strade romane di Tor Pignattara, è entrata nei palazzi e nei negozi. «Secondo la nostra ricerca questo quartiere è fra quelli più a rischio. C´è un pericolo banlieue perché c´è una seconda generazione di immigrati che è alla ricerca di una propria identità. Sono giovani che subiscono angherie e prima o poi reagiranno. Il disagio si sente, si tocca, e può diventare una polveriera».
Stefania Della Queva è una delle ricercatrici che ha lavorato per la facoltà di sociologia dell´università Cattolica di Milano per studiare «processi migratori e integrazione nelle periferie urbane». Dopo avere letto questa ricerca il ministro Roberto Maroni ha annunciato il rischio-banlieue per l´Italia. Nella relazione presentata dal professor Vincenzo Cesareo si rileva anche che le periferie critiche possono diventare «recruitment magnets», calamite di reclutamento, «ovvero luoghi di incubazione e progettazione di eventi eversivi».
Tor Pignattara è una delle sei aree studiate dai sociologi della Cattolica. «Dal 1997 al 2007 - dice Stefania della Queva - in questo quartiere gli immigrati sono aumentati dell´81%. In alcune strade vedi quasi soltanto bengalesi con negozi alimentari e internet point e cinesi con ristoranti e laboratori. Meno visibili i romeni, impegnati nei cantieri. La tensione è pesante. «Non siamo più a casa nostra», dicono gli italiani, che accusano soprattutto i bengalesi di sporcare la città, di fare chiasso fino a notte fonda davanti ai loro negozi, di infestare i condomini con gli odori di aglio e altre spezie… Ci sono stati assalti ai negozi di stranieri. Finora i giovani bengalesi, in gran parte nati in Italia, non hanno reagito, ma c´è il pericolo che una scintilla provochi l´esplosione. Per i bambini la scuola funziona, anche se la percentuale di stranieri alle elementari Pisacane (l´82,2%) è la più alta d´Italia. Alle medie Pavoni è del 28,5%. I problemi iniziano dopo, quando i giovani non trovano più un luogo dove incontrare gli altri giovani del quartiere e si riuniscono in gruppi etnici».
L´Italia non è la Francia ma i segnali di allarme non mancano. «Le banlieue parigine - racconta Rita Bichi, docente di metodologia della ricerca sociale - hanno la loro ossatura nei palazzoni periferici di edilizia popolare anni ‘50 poi occupati da chi arrivava dalle ex colonie. Là c´è stata una ghettizzazione pesante. Da noi le banlieue sono a pelle di leopardo, occupano pezzi di periferia e anche centri storici. Ma ciò che manca, anche in Italia, è quella che noi sociologi chiamiamo mixité, mescolanza, quella voglia di conoscenza reciproca che caccia gli stereotipi e abbassa le paure. Nel 2005 in Francia protagoniste della rivolta sono state le seconde e terze generazioni di francesi che non si sentivano francesi. Da noi queste generazioni stanno crescendo adesso».
Due le zone di Milano sotto inchiesta: via Padova e San Siro - Gratosolio. «Uno dei problemi più seri - dice il ricercatore Davide Scotti che ha seguito via Padova - è rappresentato dagli adolescenti che arrivano qui tramite il ricongiungimento familiare. Sognano di trovare la ricchezza e si trovano in case fatiscenti, magari con una famiglia per stanza, nelle quali non se la sentono di invitare i compagni di scuola italiani. Qui le tensioni sono soprattutto fra le diverse etnie, in particolare fra magrebini e sudamericani. I rapporti fra italiani e immigrati in questi ultimi mesi sono meno tesi che in passato. Dopo gli incidenti, tutti hanno interesse a tenere un profilo basso. La tensione nasce dalla coabitazione non governata di persone arrivate da tutto il mondo. Qui l´edilizia è soprattutto privata e i privati affittano badando soltanto al denaro. Non ci sono custodi sociali, come nelle case comunali. Un´azienda svizzera affitta stanze in ex albergo. L´hotel degradato è diventato il rifugio dei transessuali. Il presidente della zona 2, che voleva visitare il palazzo, è stato accolto con il lancio di wc dai balconi. Il nuovo si costruisce quando si capisce che l´integrazione non può essere un obiettivo ma una conseguenza. Faccio un esempio: non si organizza un "torneo di calcio per l´integrazione" ma un torneo aperto a tutti. Se va bene, potrà nascere la scintilla giusta».
I ricercatori hanno lavorato anche lontano dalle metropoli. «Qui ad Acerra - dice Emiliana Mangone - sarà difficile arrivare ad una integrazione fra italiani e immigrati perché c´è divisione anche fra gli italiani. Siamo poco lontano da Napoli e in sette anni la popolazione è aumentata del 19,8%. Migliaia di napoletani sono venuti ad abitare qui e c´è ancora una distinzione netta fra loro e gli acerrani doc. La periferia è cresciuta in modo abnorme, causa "immigrazione" dal capoluogo e anche perché il centro storico, davvero malridotto, è stato abbandonato dagli acerriani. Nei "bassi" ora ci sono soltanto immigrati dell´Est, soprattutto donne, e magrebini. Gli africani sono nelle campagne, pronti a lavorare per pochi euro al giorno. Anche questa potrà diventare una banlieue, quando gli immigrati chiederanno una vita migliore. E anche perché le tensioni della città sono arrivate da noi, ad esempio con la trasferta dei gruppi disoccupati organizzati».
Sesta e ultima inchiesta nella città di Chieri, sulle colline piemontesi. «È stata scelta quasi a caso - spiega Paolo Parra Saiani - per capire cosa succede in una città "normale". Abbiamo studiato i numeri e fatto tante domande. Questa sembra davvero un´isola felice. Non c´è un´alta criminalità, non ci sono ghetti. Ma i residenti doc e gli stranieri arrivati da 70 paesi diversi vivono in mondi paralleli e separati. Lo straniero è arrivato anche qui. La convivenza ancora no».

Repubblica 12.5.10
La postmodernità secondo Bauman
L´ultimo saggio dello studioso polacco spiega in che modo possiamo affrontare un destino senza certezze
È finita per sempre la pretesa degli intellettuali di essere coloro che stabiliscono ciò che è falso e ciò che è vero
di Zygmunt Bauman

Anticipiamo un brano del libro di "Modernità e ambivalenza" pubblicato da Bollati Boringhieri e in uscita in questi giorni
Il crollo delle "grandi narrazioni" (come le definisce Lyotard) – il dissolversi della fede nelle corti d´appello sovraindividuali e sovracomunitarie – è stato visto con timore da molti osservatori, come un invito a una situazione del tipo "tutto va bene", alla permissività universale e dunque, alla fine, alla rinuncia a ogni ordine morale e sociale.
Memori della massima di Dostoevskij «Se Dio non esiste, tutto è permesso», e dell´identificazione durkheimiana del comportamento asociale con l´indebolirsi del consenso collettivo, siamo giunti a credere che, a meno che un´autorità imponente e indiscussa – sacra o secolare, politica o filosofica – non incomba su ogni individuo, il futuro ci riserverà probabilmente anarchia e carneficina universale. Questa credenza ha efficacemente sostenuto la moderna determinazione a instaurare un ordine artificiale: un progetto che sospettava di ogni spontaneità finché non se ne provava l´innocenza; un progetto che metteva al bando tutto ciò che non era esplicitamente prescritto e identificava l´ambivalenza con il caos, con la "fine della civiltà" così come la conosciamo e potremmo immaginarla. Forse la paura scaturiva dalla coscienza repressa che il progetto era condannato fin dal principio; forse era coltivata deliberatamente, dal momento che svolgeva l´utile ruolo di baluardo emotivo contro il dissenso; forse era solo un effetto collaterale, un ripensamento intellettuale nato dalla pratica sociopolitica della crociata culturale e dell´assimilazione forzata. In un modo o nell´altro, la modernità decisa a demolire ogni differenza non autorizzata e tutti i modelli di vita ribelli non poteva che concepire l´orrore per la deviazione e trasformare la deviazione in sinonimo di diversità. Come commentano Adorno e Horkheimer, la cicatrice intellettuale ed emotiva permanente lasciata dal progetto filosofico e dalla pratica politica della modernità è stata la paura del vuoto; e il vuoto era l´assenza di uno standard vincolante, inequivocabile e applicabile a livello universale.
Della popolare paura del vuoto, dell´ansia nata dall´assenza di istruzioni chiare che non lascino nulla alla straziante necessità della scelta, siamo informati dai racconti preoccupati degli intellettuali, interpreti designati o autodesignati dell´esperienza sociale. I narratori però non sono mai assenti dalla loro narrazione, ed è un compito disperato quello di provare a separare la loro presenza dalle loro storie. È possibile che in generale ci fosse una vita fuori dalla filosofia, e che questa vita non condividesse le preoccupazioni dei narratori; che se la passasse piuttosto bene anche senza essere disciplinata da standard di verità, bontà e bellezza provati razionalmente e approvati filosoficamente.
È possibile persino che molta di questa vita fosse vivibile, ordinata e morale proprio perché non era ritoccata, manipolata e corrotta dagli agenti autoproclamati della "necessità universale". Ma non c´è dubbio sul fatto che una particolare forma di vita non possa passarsela bene senza il sostegno di standard universalmente vincolanti e apoditticamente validi: si tratta della forma di vita dei narratori stessi (più precisamente, la forma di vita che contiene le storie narrate per gran parte della storia moderna).
È stata soprattutto quella forma di vita a perdere il suo fondamento una volta che i poteri sociali hanno abbandonato le loro ambizioni ecumeniche, e a sentirsi dunque minacciata più di chiunque altro dal dissolversi delle aspettative universalistiche. Finché i poteri moderni si sono aggrappati con risolutezza all´intenzione di costruire un ordine più efficace, guidato dalla ragione e dunque in definitiva universale, gli intellettuali non hanno avuto grande difficoltà ad articolare la loro rivendicazione a un ruolo cruciale nel processo: l´universalità era il loro dominio e il loro campo di specializzazione. Finché i poteri moderni hanno insistito sull´eliminazione dell´ambivalenza come misura del miglioramento sociale, gli intellettuali hanno potuto considerare il loro lavoro – la promozione di una razionalità universalmente valida – come veicolo principale e forza trainante del progresso. Finché i poteri moderni hanno continuato a denigrare, mettere al bando e sfrattare l´Altro, il diverso, l´ambivalente, gli intellettuali hanno potuto contare su un massivo supporto alla loro autorità di giudicare e di distinguere il vero dal falso, la conoscenza dalla mera opinione. Come il protagonista adolescente dell´Orfeo di Jean Cocteau, convinto che il sole non sorgesse senza la serenata della sua chitarra, gli intellettuali si sono convinti che il fato della moralità, della vita civile e dell´ordine sociale dipendesse dalla loro soluzione del problema dell´universalità: dalla loro capacità di fornire la prova decisiva e definitiva del fatto che il "dovere" umano sia inequivocabile, e che la sua inequivocabilità abbia fondamenti incrollabili e totalmente affidabili.
Questa convinzione si è tradotta in due credenze complementari: che non ci sarebbe stato niente di buono nel mondo, a meno che non ne fosse provata la necessità; e che provare questa necessità, se e quando ci si fosse riusciti, avrebbe avuto sul mondo un effetto simile a quello attribuito agli atti legislativi di un governante: avrebbe sostituito il caos con l´ordine e reso trasparente ciò che era opaco.
L´effetto più spettacolare e durevole dell´ultima battaglia della verità assoluta non è stato tanto la sua inconcludenza, derivante come direbbero alcuni dagli errori di progetto, ma la sua totale irrilevanza per il destino mondano di verità e bontà. Questo destino è stato deciso molto lontano dalle scrivanie dei filosofi, giù nel mondo della vita quotidiana dove infuriavano le lotte per la libertà politica e dove si spingevano avanti e si ricacciavano indietro i confini dell´ambizione statale di legiferare sull´ordine sociale, di definire, segregare, organizzare, costringere e reprimere.

Repubblica 12.5.10
"Draquila, la Guzzanti denuncia la deriva autoritaria d´Italia"
di Maria Pia Fusco

Le frasi-choc del catalogo ufficiale sul film

CANNES. Se l´ignaro spettatore, senza nessuna conoscenza del nostro paese, leggesse la presentazione di Draquila-L´Italia che trema al festival di Cannes contenuta nel catalogo ufficiale che accompagna le proiezioni, avrebbe l´impressione di un´Italia sull´orlo della dittatura. «Perché gli italiani votano Berlusconi? La virulenza della propaganda, l´impotenza dei cittadini, un sistema economico precario, giochi di potere illegali, una città devastata dal terremoto: sono questi - si legge nel catalogo nella presentazione del film in programma domani - i fattori che, combinati insieme, possono spiegare come la giovane democrazia italiana sia stata assoggettata». E ancora «la caricatura di Berlusconi - una delle imitazioni più celebri dell´attrice - passeggia nella tendopoli dell´Aquila e vaga nella città deserta, come un imperatore alla fine di un regno... «. Perfino più pesanti le considerazioni della rivista Le film français: l´Aquila, devastata dal terremoto - si legge - «diventa lo spazio ideale per raccontare la deriva autoritaria dell´Italia, l´imbroglio dei ricatti, gli scandali, la corruzione e l´inerzia di una classe politica, dei media, degli abitanti e di tutto ciò che paralizza il paese».
Parole forti, che gettano benzina sul fuoco delle polemiche che in Italia hanno già reso il film un "caso", già infuocate dopo la decisione del ministro Bondi di prendere le distanze dal film rinunciando a una visita al festival. Secondo la rivista Le film français, Draquila risponde non solo alla domanda sulle ragioni del voto a Berlusconi, ma anche al «perché gli italiani non considerano la democrazia un sistema adatto al governo della nazione» o «perché credono di più a quello che dice la televisione piuttosto che alla realtà di quello che vedono». E ancora: «Perché gli abitanti dell´Aquila hanno scambiato ciò che avevano di più prezioso, la loro comunità, una città dinamica piena di studenti e di opere d´arte, con un piccolo appartamento fornito da Berlusconi nelle periferie?».
Anche le recensioni del film non vanno per il sottile: Screen International, analizzando le tesi della Guzzanti, sottolinea che «in nome dell´emergenza, si è permesso alla Protezione civile di agire senza controllo e al di fuori della legge». E secondo Screen questo fatto «dovrebbe avere come conseguenza processi ed arresti».
Altrettanto partecipe la critica di Variety: «Un tragico terremoto, scioccante corruzione e gigantesco abuso di potere. Anche per gli italiani abituati agli scandali del loro paese Draquila è un pugno nello stomaco». La rivista riconosce alla Guzzanti il merito di essere «scrupolosamente corretta. Non ignora i fan di Berlusconi ed è pronta a denunciare l´inefficienza dell´opposizione. Tuttavia il ritratto di questo disastro e il modo in cui Berlusconi ha convinto la maggioranza degli italiani del suo benevolo paternalismo, suscita un profondo disturbo. E soprattutto, dando voce all´Aquila, suggerisce che le sofferenze della città dopo il terremoto siano il risultato di una deliberata politica di disinformazione».

l’Unità 12.5.10
Emilia, il caso Ronchi travolge i vendoliani
«Logiche di potere»
A migliaia su Facebook i sostenitori dell’ex assessore alla cultura sostituito da un altro dirigente di Sel: la vicenda rilanciata da Fofi Lui accusa il suo partito e i grillini: fanno vecchia politica
di Adriana Comaschi

È l’ultima “ferita” lamentata a Bologna dal popolo di sinistra, già scosso dall’addio con scandalo dell’ex sindaco Flavio Delbono. Questa volta a fare rumore è la mancata riconferma dell’assessore regionale alla Cultura, Alberto Ronchi, nella giunta guidata per la terza volta consecutiva da Vasco Errani: da sempre nei Verdi, anticonformista (non ha il cellulare), apprezzato in modo trasversale per il suo lavoro negli ultimi cinque anni, Ronchi è rimasto a casa. «Triturato» dice lui, dalle logiche di spartizione che ormai affliggono tutti i partiti. Anche a sinistra: un’accusa rilanciata domenica sulle pagine dell’Unità da Goffredo Fofi.
Accusa che per Ronchi trova conferma nelle parole del suo successore, Massimo Mezzetti, entrato nella squadra di Errani “in quota” Sel (di cui era coordinatore regionale): «Anche noi vendoliani avevamo diritto a un posto». Un dibattito che in Emilia non è confinato ai salotti della politica: a chiedere un secondo mandato per Ronchi è stato pratica-
mente tutto il mondo della cultura in regione. Con un appello sottoscritto da 3500 persone su Facebook, tra cui 170 intellettuali e artisti: da Guccini a Giuseppe Bertolucci, da Lucarelli a Fresu.
Ronchi stesso dirà la sua, questa mattina in una conferenza stampa in cui sono attese diverse “anime” della sinistra cittadina, molta società civile, operatori culturali. Obiettivo, svelare i “retroscena” della sua esclusione, lanciare «un progetto» in dieci punti per Bologna, scagliarsi contro quella che chiama «politica spettacolo», virus di origine berlusconiana dilagante «anche in Emilia-Romagna». È la politica «fatta di dichiarazioni, di frottole» raccontate ai cittadini mentre nella pratica di tutti i giorni si fa tutt’altro: «Nella retorica quotidiana della sinistra si insiste su merito, esperienza, cultura, ruolo della società civile. Nella realtà, di queste cose non importa nulla». Nel caso emiliano, ecco allora una Sel «che a livello nazionale, con Vendola, parla di poesia nella politica, di fabbriche, ma che poi si muove secondo la vecchia logica delle “componenti interne”, dei posti. Vedi le affermazioni di Mezzetti, a cui peraltro auguro buon lavoro di cuore».
Il paladino di teatri, fondazioni, biblioteche, musicisti e di una miriade di associazioni assicura di non serbare rancore. Non ce l’ha con Errani, precisa, «lo stimo come prima delle elezioni e penso che senza di lui qui ci sarebbe stato un altro Piemonte. È uno dei pochi che non fa politica spettacolo, non va nei salotti tv ma sta sul territorio». Certo l’ex assessore si dice dispiaciuto, «poteva dare un segnale diverso con la mia riconferma, non ha voluto o potuto farlo». Le stilettate più forti vanno dunque a Sel, ma anche ai grillini: «Sono comunque un partito su base leaderistica e dal linguaggio mass mediatico, l’unica differenza è che usano internet invece che giornali e tv». La prova? Il «pasticcio» andato in scena dopo il voto, quando a scegliere il secondo eletto da portare in Regione «è stato il leader bolognese, che ha voluto un proprio uomo scavalcando la seconda più votata».
I vendoliani danno un’altra versione dei fatti. E invitano a valutare cosa sarebbe successo se ogni assessore “forte” della giunta Errani avesse fatto “campagna” su Facebook per la riconferma.
Al di là delle vicende personali il rischio all’orizzonte, nell’affaire Ronchi, è quello di una nuova fuga dalla politica. «In parte sono d’accordo con Fofi. E cioè sul fatto spiega la scrittrice Grazia Verasani, firmataria del documento pro Ronchi che il Pd oggi a Bologna non ha più il concetto di diversità. Se va avanti così però a votare non vado più».

Repubblica 12.5.10
Rivelazioni del leader radicale: la mia compagna non è mai stata gelosa
Sesso, le confessioni di Pannella "Ho amato tre, quattro uomini"
di Antonello Caporale

"Non mi sono mai sposato, ci andai vicino ma lei era troppo innamorata"
"Non ho mai avuto voglia di un figlio, ma credo che ci sia un cinquantenne che mi somiglia"

ROMA - «Io alle tre di notte esco per la città perché ho voglia di piangere e amare», spiegò Marco Pannella ai compagni raccolti attorno a lui in un congresso a Napoli.
Della essenza della vita e del valore, «anche politico», delle «carezze» Marco ha variamente illustrato. Ora dal palco, ora ai microfoni di radio radicale, e anche nelle stanze del partito, durante le chilometriche riunioni in via di Torre Argentina. Oppure a casa sua, dietro Fontana di Trevi. Una casa aperta nel senso letterale, avendo egli deciso, lo rivela Filippo Ceccarelli ("Il letto e il potere", Longanesi) di lasciare per anni senza serratura la porta d´ingresso e così rendere plateale la sua idea di convivenza plurima e felice.
Perciò Benedetto Della Vedova, ora deputato amico di Fini ma fior di ex per essere stato dentro la trincea radicale, ha letto senza stupore il flash d´agenzia che riportava il "coming out" pannelliano, e i "tre, quattro uomini che ho amato molto". «Solo chi è lontano da quel mondo si stupirebbe. Io no».
Eppure, ad ottant´anni e qualche giorno, Pannella ha voluto rievocare, in un´intervista a Clemente Mimun che oggi pubblica il settimanale Chi, anche il carattere bisessuale della sua inesauribile e polimorfa personalità. «Sono legato da 40 anni a Mirella (Paracchini, ndr), ma ho avuto tre, quattro uomini che ho amato molto. Non c´è mai stata alcuna gelosia con lei. Potevamo avere, e avevamo, anche altre storie».
Tre o quattro uomini. O cinque o anche sei e più. Certo tutti particolarmente giovani, e particolarmente militanti, decisamente coinvolti e rapiti dall´idea di contribuire alla sovversione dell´ordine e al ridisegno di valori finora destinati a colorare di grigio per tanti la vita striminzita e borghesuccia. Era, è anzi sempre risultata temeraria ma avvincente l´idea pannelliana di fare sesso come complemento e pratica politica, in qualche modo ideologizzarlo. E quindi è divenuto usuale, naturale abbracciare, anche come compimento finale di un ragionamento, i corpi in casa sua, nella stanza accanto a quella dove per esempio poteva capitare dormisse la propria compagna.
«Labile e deformato il confine tra politica e amore, linea d´ombra, segno indistinto», dice Marco Cappato, anch´egli espressione della straordinaria fucina di giovani talenti radicali. Militante semplice, ma presto segretario e poi eurodeputato. Un cursus honorum simile ai tanti coetanei che hanno raccolto dalla bocca di Pannella le prime parole d´ordine, e sfidato, avanzato, issato e poi ammainato la bandiera. Alcuni tradendola. Si ricordano solo i volti più noti: quello di Francesco Rutelli, o anche di Giovanni Negri («ma adesso mi occupo di vino e non di Pannella»), o di Daniele Capezzone, oggi portavoce di Berlusconi, o il belga Jean Fabre, uno dei primi segretari del partito divenuto "trasnazionale".
«L´amore come topos definito», afferma Della Vedova che si è aggiunto a quel mondo senza mai troppo mischiarsi. E´ questo Pannella. E anche quest´altro.
«Non mi sono mai sposato, ma arrivai alle pubblicazioni con Bianca, una ragazza che conobbi a Pavia. Però era troppo innamorata, pendeva dalle mie labbra, non poteva funzionare». E sulla mancata paternità: «Con Mirella ci abbiamo riflettuto tanto ad avere un figlio. Ma io non ne ho mai avuto voglia. Anche se ho un forte dubbio su una ragazza che conobbi tanti anni fa, Gabriella. Chissà se non ci sia un cinquantenne in giro che mi somiglia fin troppo». Ecco, un piccolo Pannella sarebbe una notizia. E una novità eccessiva e insopportabile: per il figlio putativo e forse anche per suo padre.

martedì 11 maggio 2010

Agi.it 10.5.10
CINEMA: BELLOCCHIO MERCOLEDI' AL VIEUSSEUX, CINEMA POTERE PSICOSI
Roma, 10 mag. - E' il suo momento d'oro: vinto il David di Donatello 2010 come migliore regia con il film 'Vincere', Marco Bellocchio mercoledi' prossimo incontra, nel prestigioso Gabinetto Vieusseux di Palazzo Strozzi a Firenze, il pubblico sul tema 'Cinema, Potere e Psicosi'. L'incontro, promosso dal Gabinetto Vieusseux con la Scuola dottorale in Storia dello Spettacolo dell'Universita' e' ispirato, si legge in una nota, alla vicenda raccontata nel film della relazione fra Benito Mussolini e Ida Dalser e prevede la partecipazione dello storico del cinema Sandro Bernardi e dello psichiatra Stefano Pallanti. "Vincere non e' solo un film sulla Storia d'Italia, ma e' anche e soprattutto un film sull'essenza del fascismo, sia storico che metastorico, ovvero sui micropoteri che reggono la societa' moderna - recita la nota - fra cui e' incluso il potere erotico: la seduzione sessuale come strumento di dominio". Infatti, 'Vincere', e' un film sulla donna: la storia di una donna "plagiata e distrutta da un uomo che aspira solo al potere".
Melodramma e storia convergono cosi' in una sintesi enigmatica: "la seduzione di una persona e la follia di un popolo", prosegue la nota. Nella prima parte, "la seduzione e il plagio della protagonista Ida Dalser sono collegati a un rapporto erotico con un Mussolini giovane, che pero' potrebbe essere un qualunque uomo aspirante al potere (questo l'aspetto melodrammatico, universale). Nella seconda parte, l'unica lotta che la Dalser riesce a sostenere, e' la rivendicazione di essere riconosciuta come moglie del Duce e madre di suo figlio. Interamente plagiata, privata di ragioni e di argomenti, non sa fare altro che rivendicare questo plagio. La sua chiusura in manicomio rievoca il tema bellocchiano della strega (Il diavolo in corpo, 1986; La visione del sabba, 1987), anticamente donna scandalosa e dannata, poi trasformata in isterica nell'800, e successivamente in donna moderna dalla sessualita' mitica e dirompente. Le scene del coito, immerse nell'oscurita', fanno pensare a una donna presa da un demone, e anche la fotografia di Daniele Cipri' fa brillare gli occhi di Mussolini di una luce diabolica. Nella seconda parte Mussolini scompare dietro una cortina di immagini di repertorio (questo e' il lato storico del film, con i cinegiornali Luce). Ma il demoniaco rimane. Come il diavolo spariva dietro una cortina di fumo, anche Mussolini, dopo avere sedotto la Dalser, scompare dietro una cortina di immagini". Il film Vincere! ha ricevuto numerosi riconoscimenti alle premiazioni del David di Donatello 2010, tra cui quello per la miglior regia a Bellocchio. (AGI) Pat

Corriere della Sera 3.4.95
Psicoanalisi e fascismo: un episodio inedito
"All' eroe della cultura Mussolini Con rispetto, Sigmund Freud"
di Massimo Ammaniti

Nel libro Freud e la ricerca psicologica (a cura di R. Canestrari e P. Ricci Bitti, ed. il Mulino), c' e' da segnalare un episodio poco noto raccontato nel capitolo scritto dallo psicoanalista Glauco Carloni, che ripropone, in una luce probabilmente diversa, il rapporto fra psicoanalisi e fascismo. Lo scenario del racconto e' Vienna, anche se l' antefatto e la conclusione sono ambientati in Italia. E' il 1933, a Vienna serpeggia un clima di allarme, perche' si avverte anche in Austria il pericolo di una svolta autoritaria e antisemita, come da poco e' successo in Germania con l' avvento di Hitler. La comunita' ebraica e' in allarme, anche se non tutti condividono queste preoccupazioni confidando nell' intervento della Societa' delle Nazioni. Ma torniamo allo scenario viennese. Tre persone provenienti dall' Italia giungono a un indirizzo divenuto storico, Berggasse 19. E' un grigio e austero edificio asburgico dove abita con la sua famiglia Sigmund Freud, l' eminente psicoanalista ebreo. Freud, molto avanti negli anni e consumato da un tumore con cui sta combattendo da tempo, e' ancora molto attivo, svolge la sua attivita' clinica e di ricerca e scrive saggi scientifici con cui allarga la conoscenza del mondo psichico. Dei tre uno e' un quarantenne allievo di Freud di origine triestina, Edoardo Weiss, con cui il maestro intrattiene da tempo un fitto scambio epistolare. Insieme a lui c' e' un personaggio che non ha nulla a che fare con la psicoanalisi, e' Giovacchino Forzano, uomo di teatro molto legato al regime fascista, che ha scritto addirittura delle opere teatrali in collaborazione con Mussolini. Con loro c' e' una giovane donna che e' la figlia di Forzano. Che cosa fanno tutti e tre davanti al portone dello studio di Freud? La soluzione la possiamo trovare in una lettera che Freud aveva inviato a Weiss il 12 aprile, in risposta a una lettera del suo allievo che faceva riferimento a "una malata isterica grave, figlia di un importante personaggio politico". Weiss aggiungeva che la paziente, nonostante avesse gia' raggiunto importanti miglioramenti, aveva manifestato reazioni cosi' negative verso di lui da allarmare il padre, che aveva sollecitato un consulto con Freud. A questa richiesta Freud rispondeva nella lettera del 12 aprile: "Per quanto riguarda la sua paziente sono pronto a fare qualsiasi cosa per giovare alla cura della signorina. Ma lei sa che questo giovamento ci si puo' aspettare sempre solo se la paziente stessa desidera ardentemente l' incontro. Se si lascia solo accompagnare e poi mi tratta come fa con lei, non possiamo che fare del danno". Non sappiamo che cosa si dissero durante il consulto e se soprattutto fu proprio la figlia di Forzano a volere l' incontro, o se intervenne con insistenza l' autorevole padre. Quello che sicuramente sappiamo e' che al termine dell' incontro Forzano, probabilmente affascinato dall' autorevolezza del vecchio maestro, gli chiese un suo libro per portarlo a Mussolini con una dedica indirizzata al Capo del Governo Italiano. Freud prese dalla sua grande libreria un libro che aveva pubblicato l' anno precedente "Warum Krieg?" (Perche' la guerra?) e di suo pugno scrisse la dedica, naturalmente in tedesco: "A Benito Mussolini coi rispettosi saluti di un vecchio che nel Governante riconosce l' eroe della cultura". E' difficile dare un' adeguata interpretazione della dedica di Freud cosi' apertamente encomiastica nei confronti di Mussolini. Weiss ritornando su questo argomento molti anni dopo riferi' che lui si era sentito "imbarazzatissimo", perche' sapeva che Freud non l' avrebbe rifiutata "per amor mio e della Societa' Psicoanalitica Italiana". Ma la versione di Weiss era di parte, la sua preoccupazione era quella di dimostrare che "Freud non aveva simpatia per Mussolini" e che lui era sempre stato un antifascista. Quello che rimane e' la dedica sicuramente calorosa su un libro molto particolare come e' "Perche' la guerra?". Il libro, pubblicato proprio nel 1933, e' un carteggio fra Einstein e Freud sul pericolo della guerra, stampato per conto della Societa' delle Nazioni, in un momento storico in cui si cominciano ad addensare i pericoli di una nuova guerra mondiale. Probabilmente Freud confermo' con il suo comportamento le sue teorie sulla contraddittorieta' della psiche umana. Infatti con la mano destra scriveva una dedica particolarmente positiva, mentre con la sinistra porgeva al dittatore un libro che richiamava i pericoli della violenza e dell' ostilita' nei rapporti fra i popoli. Purtroppo dopo qualche anno anche Freud fu vittima della violenza nazista, quando la Germania invase l' Austria. Nel 1938, ormai ottantaduenne e allo stremo delle sue forze, dovette assistere alla perquisizione della sua casa da parte della Gestapo e due suoi figli furono arrestati. Il clima di Vienna era diventato irrespirabile e Freud prese la decisione di abbandonare l' Austria. Ma il suo espatrio fu ostacolato dal nuovo governo nazista e fu necessaria una mobilitazione internazionale di uomini di stato, fra cui Roosevelt, ambasciatori e uomini di cultura per ottenere l' autorizzazione a partire. E' qui che in modo inatteso ricompare Forzano. Forse memore dell' incontro e forse ancora riconoscente per l' interessamento di Freud, o forse anche per l' intervento della figlia, Forzano si decide a scrivere a Mussolini una lettera in cui ne sollecitava l' intervento: "Raccomando a Vostra Eccellenza un vecchio glorioso di 82 anni che tanta ammirazione ha per l' Eccellenza Vostra: e' Freud, ebreo". Ancora una volta ci manca il riscontro se la lettera di Forzano ebbe un esito positivo. Molti anni dopo Weiss escluse un intervento diretto di Mussolini, mentre Ernst Jones, il biografo ufficiale di Freud, sembrava convinto che Mussolini in persona si fosse dato da fare per salvare il grande maestro viennese. Secondo quest' ultima versione i rapporti fra psicoanalisi e fascismo verrebbero ad assumere sfaccettature piu' complesse di quelle che siamo abituati a riconoscere, ulteriore riprova dell' assunto di Freud che la natura umana e' profondamente contraddittoria e forse per questo imprevedibile.

l’Unità 11.5.10
Forza Nuova. Pillola Ru486
Donne contro donne: «Stupratele, che abortiscono»
di A.C.

D onne che inneggiano allo stupro di altre donne. È successo anche questo domenica a Massa, a margine di un rovente dibattito con il leader di Forza Nuova Roberto Fiore sulla pillola Ru486. Una decina di donne di associazioni pro 194, di tutte le età, ha deciso di partecipare al dibattito, in una sala concessa dal Comune tra mille polemiche all’associazione Ordine futuro, legata a Fn. All’ingresso i primi insulti. Alle donne che chiedevano un programma, due giovanotti hanno risposto: «Il programma è che oggi le compagne fanno i pompini ai fascisti». E ancora: «Siete venute nella casa dei
fascisti, oggi comandiamo noi». Due ragazze, a quel punto, hanno deciso di andarsene, una in lacrime. Altre hanno scelto di restare, hanno ascoltato la discussione e hanno anche avuto uno scambio di opinioni, corretto, con Fiore. «L’aborto è come l’eutanasia», ha tuonato il leader di Fn, «è un diritto», hanno risposto. Quando il gruppo ha deciso di andarsene, altre due donne,simpatizzanti dell’estrema destra (Forza Nuova sostiene che non sono iscritte) le hanno aggredite verbalmente: «Stupratele che tanto poi abortiscono». I toni si sono arroventati, altri simpatizzanti dell’estrema destra sono corsi a dare manforte, con nuovi insulti: «Assassine», «Compagne bagasce». A una ragazza incinta sono stati rivolti commenti pesanti sulla sua gravidanza. Nessun contatto fisico, anche grazie alla massiccia presenza di forze dell’ordine che presidiava la sala, il Teatrino dei Servi, mentre fuori a distanza manifestavano varie sigle di sinistra, dai Carc al Prc, contro la decisione del sindaco Pucci (che guida una maggioranza di sinistra senza Pd) di concedere la sala all’estrema destra. Un cameraman della tv locale Antenna Tre, che stava riprendendo il parapiglia, è stato aggredito: un giovane ha tentato di strappargli la telecamera, ma lui ha difeso il suo strumento di lavoro. Una delle donne aggredite racconta: «Ho chiamato io la Digos per difenderci, ma gli agenti hanno deciso di accompagnarmi fuori». Nella maggioranza si levano voci per portare in Consiglio una “carta dei valori” che in futuro dovrebbe essere firmata per poter avere in uso le sale del Comune. Il Pd rivendica la primogenitura della proposta e critica il sindaco: «Non si doveva dare la sala a un’associazione che inneggia al razzismo». E il segretario Brizzi ricorda: «Nella lista Udc a sostegno del sindaco era candidato anche Francesco Mangiaracina, referente locale di Forza Nuova...».

Repubblica 11.5.10
Quei funerali contro l’aborto
Risponde Corrado Augias

Gentile Augias, il 7 maggio a Cremona è stato celebrato il funerale di un feto abortito. Quelli di cui non viene richiesta sepoltura o cremazione sono presi in carico, per un accordo con l'Azienda ospedaliera e l'amministrazione comunale, da un'associazione religiosa che si occupa a proprie spese dell'inumazione. L'interramento è accompagnato da un rito con preghiera e benedizione. Al funerale di cui parlo un violinista ha eseguito un brano toccante, c'erano rose bianche e soprattutto, per dare valore politico alla cerimonia, il vicesindaco Pdl e esponente di Cl, nonché l'assessore ai servizi cimiteriali, leghista. L'associazione "Difendere la vita con Maria" è un'organizzazione di volontari che operano, negli ospedali dove si fanno aborti, con la finalità di promuovere il seppellimento dei feti non venuti alla luce per aborto spontaneo o procurato. L'associazione combatte la legge 194 con pressioni 'trasversali', esibendo spirito caritatevole, certo non verso le donne e la loro vita, ma per equiparare, nel sentire comune e poi nella giurisprudenza, il feto ad una persona dotata di diritti. Il passo successivo è breve: se il feto è soggetto giuridico, l'aborto è un omicidio. È evidente il carico di colpa che si vuol gettare sulle spalle delle donne che hanno affrontato l'immenso dolore dell'interruzione di gravidanza.
Annamaria Abbate annamariabbate@yahoo.it

Leggo su un giornale locale questo 'sommario' posto in testa al servizio: "Il rito celebrato al civico cimitero è stato seguito da una piccola folla Preghiere, raccoglimento e nessuna sbavatura . C'era anche una mamma: Per me oggi è una giornata di luce. Ora so finalmente dov'è mio figlio Una volontaria depone una rosa". Dare sepoltura ad un feto abortito sarebbe in sé un atto pietoso se non si trasformasse invece, per le modalità con cui viene eseguito, in un gesto intimidatorio. In questo paese c'è, al momento, una legge confermata da referendum popolare che consente, in determinati e limitati casi, di abortire. Le autorità comunali che partecipano al rito portando rose bianche accompagnate dal canto mesto di un violino trasformano la cerimonia d'inumazione in un manifesto politico. Nessuno si chiede per quale seria, forse drammatica, ragione quella madre ha voluto, dovuto, interrompere la gravidanza. Nessuno precisa di quante settimane fosse quel feto. In queste circostanze l'intenzione di deprecare la legge, di far sentire colpevole la donna che ha manifestato quella volontà, supera di gran lunga la pietà verso le povere membra chiuse nella minuscola bara, diventa una truce affermazione di principio. Vorrebbe sembrare pietà e invece è un gesto avvelenato dall'ideologia.

Repubblica 11.5.10
Legge 40, dopo le modifiche 700 bimbi in più ogni anno
di Letizia Magnani

Al congresso di Riccione riunite le otto sigle che si occupano di salute riproduttiva A dodici mesi dalla sentenza della Corte Costituzionale una ricerca segnala molti progressi: più embrioni impiantati, meno aborti, una nascita ogni 52 transfert
Sembra diminuito il numero di parti plurigemellari Costi e problemi per le over 45

Una delle battute più frequenti ai congressi medici sulla riproduzione è quella che i bambini è meglio farli alla vecchia maniera, sotto le coperte e non sul lettino di un ambulatorio, ma la procreazione medicalmente assistita (Pma) in realtà è molto più che una alternativa per numerose coppie che incontrano problemi a diventare una famiglia con prole in maniera naturale.
È questo uno degli argomenti che hanno tenuto banco anche a Riccione, dove si è concluso il secondo congresso unificato delle società italiane di medicina della riproduzione. Sono otto e mettono assieme 400 esperti di biologia, andrologia e ginecologia.
Al centro del congresso, che si è concluso con l´annuncio della nascita della Federazione delle società che si occupano di salute riproduttiva (la notizia verrà ufficializzata a Roma, nel corso del congresso europeo di medicina riproduttiva, dal 27 al 30 giugno), ci sono stati alcuni temi fondamentali per la salute riproduttiva. Primo fra tutti quello dei passi in avanti fatti ad un anno dalla sentenza della Corte Costituzionale sulla legge 40, che attribuisce agli operatori della procreazione assistita maggiore autonomia nella scelta delle tecnica migliore per offrire più possibilità alla coppia infertile. Al centro c´è la madre, la sua salute. Poi vengono le esigenze dell´embrione e, anche, la possibilità di optare sul congelamento, solo nel caso in cui, però, tutte le altre possibilità siano state infruttuose.
Da qui i risultati della prima analisi italiana su coppie trattate prima e dopo la sentenza 151 della Suprema Corte. Sono 6.976 in tutto i cicli presi in esame. Con un numero superiore di embrioni trasferiti dopo la sentenza, una diminuzione percentuale degli aborti e un bambino nato ogni 52 transfert. «Il che ha spiegato Filippo Maria Ubaldi, curatore assieme ad Andrea Borini e Paolo Emanuele Levi Setti della ricerca significa circa 700 bambini in più all´anno. Dopo la sentenza c´è stata la possibilità di preferire morfologicamente gli embrioni nel 48% dei cicli, con l´aumento di gravidanza evolutiva». La ricerca, condotta dall´Istituto Clinico Humanitas, da Tecnobios Procreazione e da G.en.e.ra., per conto di Sifes, una delle società italiane che si occupa del tema, mette in evidenza come sulle donne dai 30 ai 35 anni bastino meno di due embrioni trasferiti per il buon esito della terapia. Mentre maggiori problemi incontrano le donne dai 35 ai 39 anni, dove pure, dopo la sentenza, c´è stato «un aumento significativo delle gravidanze, con un bambino nato ogni 28 transfert».
È inoltre parere di tutti gli esperti che «i medici fertilizzano il numero di ovociti necessari per avere bambini, cioè non hanno creato embrioni in più dopo la sentenza». Questa la sintesi di Guido Ragni, portavoce delle società organizzatrici del Congresso. La sentenza serviva anche a tutelare le madri dai parti multigemellari indesiderati, ma al momento i dati italiani non danno indicazioni utili, anche se pare che sui casi considerati ci sia una netta diminuzione di questa possibilità.
Uno dei grandi limiti alla procreazione rimane il fattore età. Per Marco Costa, del Galliera di Genova «le donne dovrebbero essere ben informate e non seguire i miti mediatici, come Madonna o altre super donne che cercano la maternità anche oltre i 45 anni. Da uno studio australiano emerge infatti che nelle donne di 40 anni nasce un bambino dopo 8 tentativi, con un costo, nel caso di procreazione medicalmente assistita, che varia dai 40 ai 60mila euro. Costo che arriva a 700mila euro nel caso di madri di 45 anni, che riescono ad avere un bambino solo dopo 167 tentativi». Se non si hanno portafoglio e tenacia, insomma, meglio desistere.

il Fatto 11.5.10
Il cardinale attacca Sodano, ma l’obiettivo è il futuro conclave
Le parole di Schönborn si rivolgono al “dopo Ratzinger”
Da Vienna inizia la guerra ai “reazionari” e la difesa dell’azione del Papa contro gli abusi nel clero
di Marco Politi

L’attacco al cardinale Sodano apre il tavolo del futuro Conclave. Con la sua mossa Schönborn pone il problema dell’organizzazione del potere ai vertici della Chiesa e sottolinea l’urgenza di una riforma.
La sortita straordinaria dell’arcivescovo di Vienna non è una rissa tra porporati. Triplice è la sua traiettoria: sostenere l’operazione pulizia di Benedetto XVI, salvaguardare la memoria di Wojtyla, porre le basi per il dopo-Ratzinger. Il cardinale di Vienna Schönborn, sollevando il caso del suo predecessore Groër costretto alle dimissioni per pedofilia, mira in realtà allo scandalo del fondatore dei Legionari di Cristo, Maciel, la cui condotta ignominiosa è stata certificata da un recente documento della Santa Sede. Mai nella storia della Chiesa si è assistito a un tale cinico, lurido, paranoico sdoppiamento tra la pretesa di porsi come Grande Padre di un movimento per il Regno di Cristo e una pratica di vita immorale con un potere spirituale totalitario usato a fini predatori. Chi tocca i fili di una vicenda del genere, muore. E le accuse di Schönborn al cardinale Sodano sono implacabili. Se l’ex segretario di Stato viene catalogato fra coloro che hanno impedito l’indagine sui crimini di Maciel, la sua credibilità crolla. In gioco viene messa automaticamente la posizione di Sodano quale decano del Sacro Collegio, cui tocca in caso di Conclave la presidenza delle riunioni preparatorie dei cardinali-elettori. Papa Wojtyla, benché malato di Parkinson, rimase lucido sino alla fine nel tracciare la sua strategia geopolitica. Ma per il resto ha sempre lasciato ai suoi più stretti collaboratori la gestione della macchina cur iale, la nomina dei vescovi, gli affari correnti. Sodano – con il segretario papale Dziwisz e lo stesso Ratzinger – rappresentava la cerchia interna degli intimi collaboratori di Wojtyla. Indicandolo tra gli oppositori delle inchieste volute da Ratzinger, Schönborn solleva una questione cruciale: come è stato informato o disinformato Giovanni Paolo II su Groër, Maciel e altri casi similari? Che tipo di disinformazione gli è stata fornita su altre vicende ecclesiali? Domanda esplosiva. Che rimanda all’uso del potere nelle stanze segrete della Curia. C’è anche un aspetto di allarme attuale. Sotto la pressione degli eventi, che hanno toccato le sue convinzioni morali, Benedetto XVI è stato costretto negli ultimi mesi ad una perestrojka accelerata all’interno della Chiesa: decapitazioni di vescovi, pubbliche autocritiche, ammissione della necessità di affidare ai tribunali statali i preti colpevoli (in controtendenza alla pratica secolare di mantenere all’interno della propria giurisdizione i casi sporchi), sconfessione delle pratiche secolari di omertà, accettazione di responsabilità dinanzi alle vittime e all’opinione pubblica. Non tutti nei ranghi ecclesiali sono d’accordo con questa eclatante tolleranza zero. La rivolta clamorosa del cardinale Castrillon Hoyos che a Murcia, in Spagna, poche settimane fa ha esibito tra tonanti applausi una sua lettera del 2001 al vescovo francese Pican, lodato perché non aveva “consegnato” alle autorità statali un prete pedofilo, ha rivelato in modo allarmante questa opposizione sotterranea. Specie perché tra gli entusiasti sostenitor i di Castr illon Hoyos, fattosi forte di un’autorizzazione di papa Wojtyla, c’era anche il cardinale di Curia Antonio Canizares, da poco chiamato a Roma dallo stesso Benedetto XVI per guidare la Congregazione per il Culto. L’intervento pasquale del cardinal Sodano, che ha derubricato a “chiacchiericcio” la documentazione dei mass media sugli abusi del clero, ha aggravato la situazione. L’intervento del cardinale Schönbor n mira a bloccare il sabotaggio anti-Ratzinger. Però con la sua mossa audace il cardinale di Vienna guarda – oltre lo scandalo pedofilia – al futuro della Chiesa. Il porporato, grande elettore di Ratzinger al conclave del 2005, sa che l’elezione di Benedetto XVI è avvenuta in uno “stato di emergenza”. Dinanzi alla necessità di riempire rapidamente il vuoto enorme lasciato dalla scomparsa del carismatico Wojtyla (e in assenza del candidato r ifor matore Martini, fuori gioco per malattia) venne scelto Joseph Ratzinger come unica personalità di alto livello intellettuale e spirituale, dotata di prestigio internazionale. Fu portato da una maggioranza moderata e conservatrice, desiderosa di un pontificato “di pausa” e di garanzia dottrinale.
Ma all’interno di questo schieramento esiste un blocco reazionario, supercentralista, ottusamente anti-moderno, che Schönborn con la sua sortita senza precedenti vuole portare alla luce e isolare per impedirgli di pesare sul futuro Conclave. Perché quello che nel pensiero ratzingeriano è pessimistica meditazione di un monaco, che vede l’Europa cristiana desertificata dall’arrivo di nuovi barbari, nella visione del blocco reazionario è soltanto desiderio ossessivo di una rivincita sul moder no.
Schönborn , e con lui molti vescovi nei vari continenti, sono invece convinti che la Chiesa abbia bisogno di riforme e che dopo l’intervallo del pontificato ratzingeriano sia inevitabile sciogliere molti nodi. Nel 2005, per responsabilità di Ratzinger allora decano del Sacro Collegio, fu impedito ai cardinali elettori – nelle settimane antecedenti al Conclave – di discutere apertamente in interviste e riunioni pubbliche l’agenda dei problemi della Chiesa. Come invece era avvenuto nel 1978. Questa volta Schönborn , e non è il solo, ritiene che vadano affrontate le sfide sul tappeto. A partire dall’organizzazione del potere nella Curia e dalla collaborazione tra papa ed episcopato mondiale. Non a caso, conversando con i giornalisti austriaci, ha definito “urgente” la riforma della Curia, ha evocato “considerazione” per le coppie omosessuali stabili, ha riparlato dei divorziati risposati. Di recente aveva anche proposto un riesame del celibato del clero. Come il cardinale Martini, del resto.
La partita è appena iniziata. Sarà di lungo respiro e riserverà colpi di scena.

il Fatto 11.5.10
É definitivo: don Cerullo è un pedofilo
Sei anni e otto mesi in Cassazione per il prete arrestato in flagranza di reato
L’avvocato: “Il vescovo di Aversa non ha mai pronunciato una parola di pietà per la vittima”
di Vania Lucia Gaito

Sei anni e otto mesi. È questa la pena, confermata dalla Corte di Cassazione, per don Marco Cerullo, vice parroco di Casal di Principe e insegnante di religione a Villa Literno, arrestato in flagranza di reato dalle forze dell’ordine il 19 dicembre 2007, mentre in macchina abusava di un suo alunno di 11 anni. La vittima raccontò che don Marco lo aveva allontanato dalla scuola con la scusa di comprare i colori del presepe e aggiunse che già altre volte aveva abusato di lui, anche a casa del bambino.
La Cassazione ha sostanzialmente confermato la sentenza di Corte d’Appello, compresa la provvisionale già disposta di 50.000 euro. Ma finora il sacerdote non ha pagato neppure un centesimo. E qualsiasi azione legale per la richiesta di risarcimento rischia di cadere nel vuoto: il sacerdote, infatti, risulta nullatenente. Al momento dell’arresto di don Marco, il vescovo di Aversa monsignor Milano dichiarò che preferiva aspettare i tempi della giustizia. “La giustizia ha fatto il suo corso ma monsignor Milano non ha ancora pronunciato una parola” afferma Sergio Cavaliere, l’avvocato della vittima. “Non una parola di pietà per la sorte della vittima in questi due anni e cinque mesi. Eppure si è preoccupato della sorte di don Marco, promettente teologo”.
In questi due anni e cinque mesi, don Marco Cerullo è stato agli arresti domiciliari presso una comunità religiosa, nel frusinate, che accoglie anche giovani e giovanissimi. “Non sappiamo se nella comunità protetta si sia astenuto da ogni ufficio o servizio in strutture frequentate da minori come prescritto dal gup Chiaromonte il 19 novembre 2008” sostiene l’avv. Cavaliere. “E non sappiamo se don Cerullo continuerà a dir messa, scontata la reclusione”.
Sul conto di don Marco e della diocesi di Aversa rimangono aperti molti interrogativi. Don Marco ha frequentato il seminario minore di Aversa, dove accedono bambini delle scuole medie e ragazzi delle scuole superiori. Ed è proprio in quel seminario che è celebre il “gioco dello scarpone”, una metafora, neppure troppo velata, per l’atto dell’abuso sessuale. In quel seminario don Marco è tornato, in seguito, come assistente spirituale dei giovanissimi allievi. È stato poi trasferito come parroco a Villa Literno e da lì, appena un mese prima dell’arresto, trasferito come viceparroco a Casal di Principe.
Possibile che la diocesi non abbia mai ricevuto segnalazioni sul conto di don Marco, sospetti, chiacchiere, insomma, qualcosa che inducesse a una maggiore attenzione sull’operato del sacerdote? In fondo, certe “inclinazioni” non si manifestano improvvisamente.
“Non ho ricevuto mai alcuna segnalazione, sul conto del sacerdote” afferma il vescovo di Aversa, monsignor Milano. “È un grande dolore che sopporto ormai da quando ho saputo dell’arresto. Tuttavia la cattiva condotta di un sacerdote non deve inficiare l’opera dei sacerdoti che invece compiono quotidianamente il proprio dovere nei confronti della Chiesa e dei fedeli.”
Le disposizioni del Papa, in merito alle accuse di abusi sessuali nei confronti di sacerdoti sembrano essere piuttosto chiare e prevedono un procedimento canonico. “Il procedimento è già stato aperto – sostiene monsignor Milano – Si tratta di una indagine della Congregazione per la Dottrina della Fede, cui spetta la competenza per questi casi particolari. La Chiesa segue le direttive del Santo Padre, che è un faro lungo il nostro percorso spirituale.” Le persone abusate hanno necessità di rivolgersi a specialisti per tentare di superare il trauma e le cure sono piuttosto costose. Don Marco non ha mai risarcito la vittima e risulta nullatenente. Forse la diocesi, per dovere se non altro morale, potrebbe in qualche modo provvedere al risarcimento, o comunque all’assistenza della vittima. “Queste sono decisioni che un vescovo non può prendere da solo – prosegue il vescovo Milano – sarà vagliato il problema dalla collegialità e sarà presa una decisione”. Non una parola sulla possibilità di incontrare la vittima, almeno per offrire le scuse e il conforto spirituale alla famiglia.
Don Marco Cerullo, che non era presente alla sentenza, sarà probabilmente tradotto in carcere a breve. Ha scontato 2 anni e 5 mesi agli arresti domiciliari. Gli restano 4 anni e 3 mesi da trascorrere in carcere, ma con lo sconto della pena per buona condotta (3 mesi l’anno) il sacerdote probabilmente finirà col restare in carcere poco più di due anni e mezzo. La sua vittima, invece, resterà segnata dagli abusi subiti per tutta la vita.

il Fatto 11.5.10
Chiesti 5 anni per il parroco di Arese
di V. L. G.

Il pm di Milano, Giancarla Serafini, ha chiesto una condanna a 5 anni di reclusione per don Marco Redaelli, salesiano, parroco 75enne di Arese, accusato di violenza sessuale aggravata nei confronti di una bambina di 7 anni. La bambina raccontò prima alla nonna e poi al padre quanto aveva subito, e ha poi confermato il racconto, con descrizioni precise, durante l’incidente probatorio. Il sacerdote, ex missionario in Africa e in America Latina, si è sempre professato innocente. Secondo la difesa, le accuse sarebbero state montate dal padre della vittima per speculare sulla vicenda. Anche gli aresini si sono schierati dalla parte del sacerdote, ritenuto un prete caritatevole. La famiglia della bambina è stata costretta a trasferirsi a seguito della manifesta ostilità dei propri concittadini. E, davanti ai giudici, il padre della vittima ha raccontato: “Non hanno nemmeno permesso a mio figlio maggiore di iscriversi all’oratorio”. Lo stesso oratorio dove il 24 settembre 2007 sarebbero avvenuti gli abusi sulla piccola.

L’Express 10.5.10
Marco Bellocchio fait sa leçon de cinéma
qui
http://www.lexpress.fr/culture/cinema/marco-bellocchio-fait-sa-lecon-de-cinema_890976.html

Repubblica 11.5.10
La democrazia come stile di vita
di Carlo Alberto Dalla Chiesa

"La libertà non può prescindere dal rispetto che dobbiamo avere l´uno per l´altro"
"È il cittadino che deve sollecitare i suoi rappresentanti sollevare battaglie, porre problemi"
Alla rassegna che apre giovedì verrà presentato il libro-intervista a Scalfaro e Caselli È dedicato all´importanza e alle prospettive della Costituzione e della Repubblica
L´ex capo dello Stato invita i giovani a impegnarsi in politica e nelle istituzioni

Anticipiamo alcuni brani del libro "Di sana e robusta Costituzione" (Add editore). Nel volume Oscar Luigi e Scalfaro e Gian Carlo Caselli rispondono a , figlio di Nando, sui problemi e l´attualità della nostra Carta costituzionale. Pubblichiamo alcune delle risposte del presidente emerito della Repubblica Scalfaro

Quali sono i costumi, i comportamenti negativi che stanno prendendo piede nella nostra società? E quali sono gli anticorpi necessari per contrastarli?
«Mettiamoci intorno a un tavolo e chiediamoci: che cosa pensiamo della persona? Che abbia dei diritti, o che non li abbia? Che cosa pensiamo della libertà? Arriva fino al punto di permettere che ognuno faccia ciò che vuole o è una libertà limitata da quella degli altri? Discutiamone.
Possiamo essere tutti liberi, ma bisogna che ognuno di noi abbia rispetto dello spazio dell´altro. Se uno pensa solo a se stesso e basta, questa è prepotenza. Su queste cose si sconfina con facilità e la grave tragedia di oggi è il qualunquismo(...)».
Lei accennava al qualunquismo che sta sempre più prendendo piede nel nostro Paese; come ribatte a quanti sostengono che estraniarsi dalla vita politica è una scelta legittima?
«La politica è un´attività obbligata, necessitata, dell´uomo. L´uomo nasce politico, nella polis, nella civitas, nasce nella comunità. Nasce come animale sociale: la tribù, la famiglia, la comunità, il paesello, la provincia. Così nasce l´uomo, e ha bisogno di tutti e di tutto. Così è il bambino, dopo la nascita. Quando qualcuno dice: "Basta! Non ne voglio sapere! Non voto più! Non vado! Sono contrario!", questo qualunquismo, che è pericoloso, questo disinteressamento, che è molto pericoloso, sono in realtà posizioni politiche: chi dice simili cose, mentre le dice sta prendendo una posizione politica che ha conseguenze politiche negative su tutta la comunità. Questo dimostra che la politica è necessitata, non c´è niente da fare. Perciò non consente contestazioni, questa è la realtà».
Lei, che ha ancora negli occhi quell´Italia da cui è sorta la nostra Repubblica, conserva la saggezza e la capacità di analisi di chi ha lottato per far uscire il Paese dalla guerra e dalla dittatura in cui era sprofondato. Chi oggi di fatto fa professione di qualunquismo sembra invece non rendersi conto delle conseguenze portate da tale posizione. Presidente, quali sono i rischi di questo allontanamento dalla politica?
«In una storia non lontana abbiamo assistito a situazioni in cui non ha vinto la parte che aveva la maggioranza, e la maggioranza è rimasta a guardare, speculando su certi interessi: "la dittatura mi serve perché tiene a bada quel settore o quest´altro; e io ho a che fare con questi settori…"; infatti la dittatura ebbe poi aiuti da settori ben chiari che avevano soprattutto un concreto interesse materiale finanziario. Oggi votare non è facile; ma perché non votare? è meglio chiamarsi fuori o è doveroso cercare una soluzione magari poco soddisfacente, ma comunque una soluzione? Quali sono le alternative alla partecipazione? Disinteresse? Lavarsene le mani? Da magistrato posso ricordare un collega famoso che fece questo gesto: si chiamava Ponzio Pilato, magistrato romano. Per quel gesto, Gesù Cristo andò sulla croce. Dico sempre: per chi ha il potere, il primo male è non esercitarlo. È di gran lunga questo il male peggiore. Chi esercita male il potere fa un danno grave, ma intanto lo esercita. E mi dà anche la possibilità di fare battaglia. Invece il non esercitarlo e chiamarsi fuori è la cosa peggiore al mondo. Allora, che dirvi? Questo tempo è vostro. Non ve lo dico come un´accusa, ve lo dico con tanto amore. Questo tempo è vostro. Gli anni dal 1940 al 1945 erano tempo nostro, mio. E non sapevamo, a volte, dove mettere le mani. Ogni volta che parlo, specie ai giovani, dico: ho vissuto l´inverno del 1944. Non ho ceduto e ringrazio Dio, che mi ha impedito di farlo. (...) Quel tempo era nostro. Non che questo non lo sia, perché fin quando uno è al mondo deve sentire la responsabilità della propria presenza. Ma questo tempo è vostro. Non state immobili a guardare. La Costituzione è da scrivere con la vostra vita. Ve lo dico, perché ci credo fino in fondo: la Costituzione è da amare. E per amarla bisogna conoscerla e viverla, attuarla e sentirla propria. È una pagina che non abbiamo affrontato, ma che voi scriverete. Sono certo che la scriverete bene. E vi ringrazio».(...)
La Carta costituzionale ha tanto da insegnarci per vivere il presente che ci è stato dato in sorte e per continuare a mettere le basi per il futuro della nostra società; quali insegnamenti possiamo quindi trarre per il futuro?
«La democrazia deve rimanere vitale nei punti focali. Se il parlamentare ha un vincolo diretto con il cittadino, è il cittadino che pone le questioni, gliele trasmette e lui porta avanti questa battaglia, solleva i problemi.
La democrazia è uno stile di vita, universale e completo. È scomodo. Molte volte ho letto che la democrazia è scomoda, ed è vero. Siamo entrati da tempo in una forma di diseducazione. Non si deve avere una visione disastrosa, perché è sbagliato…
Non arrendetevi mai! Quando fate una battaglia sui princìpi, non arrendetevi mai! (...)».
Si sente spesso parlare delle nuove generazioni come di giovani senza sogni, senza valori, apatici, indifferenti… Come definirebbe i giovani di oggi, visto che spesso è a loro che si rivolge? Sono una risorsa o un problema?
«I giovani sono sia una risorsa sia un problema. Rappresentano una risorsa, se siamo in grado di valorizzarli e di dare spazio alle loro capacità e ai loro talenti. Il tema del lavoro è un esempio significativo delle difficoltà che i giovani devono affrontare nella società odierna: ai miei tempi, finiti gli studi si avevano di fronte diverse possibilità di impiego tra cui scegliere; oggi invece la situazione è molto pesante, anche se devo dire che ho conosciuto molti giovani che, dotati di una volontà straordinaria, non si sono arresi mai».