martedì 4 aprile 2006

Corriere della Sera, 03.04.06
«Feto senza il primo respiro non è mai nato»
La procura di Milano archivia il caso di una donna che aveva partorito senza accorgersene in un water: «Non costituisce reato»


MILANO - Un feto che muore, subito dopo il parto, senza riuscire a fare il primo respiro, si deve considerare in senso giuridico come «mai nato». È quel che sostiene la consulenza medico legale chiesta dalla Procura di Milano e finita agli atti di un caso, oggi archiviato dal gip, di una donna obesa che, mai accortasi di essere rimasta incinta, circa un anno fa, inconsapevolmente, partorì sulla tazza del water un bimbo già all'ottavo mese facendolo morire annegato.

Il piccino, completamente formato e attaccato al cordone ombelicale, perse la vita in acqua per asfissia per le modalità del parto: dopo l'espulsione e prima di finire, con la testa sommersa, in acqua «il feto percorreva - scrivono i medici legali - un brevissimo tratto, del tutto insufficiente, a consentire l'inizio dell'attività respiratoria».

La donna, una 36enne dell'hinterland milanese e moglie di una guardia giurata, inizialmente accusata di omicidio volontario, reato derubricato in omicidio colposo, è stata oggi prosciolta. Il giudice Marco Maria Alma, che ha disposto l'archiviazione del caso perché il fatto non costituisce reato, ha accolto la tesi del pm Elio Ramondini, cioè «l'assenza di colpa in capo all' indagata», anche in relazione alla consulenza tecnica disposta, «e prima ancora, probabilmente, della capacità di intendere e volere» quando partorì.




























La Stampa, 03.04.06
MILANO I MEDICI FORENSI: QUEL PICCOLINO ERA ANCORA UN FETO E NON UN BAMBINO
«Mai nato» senza il primo respiro
Assolta una donna per la morte del piccolo partorito da sola in bagno
Paolo Colonnello


MILANO. Una storia di ignoranza e degrado ma anche al limite dell’assurdo: una donna, obesa, non si è accorta di essere incinta e ha partorito sulla tazza del water, causando la morte del suo bambino. Per mesi è rimasta indagata con l’accusa di omicidio volontario, poi derubricata in omicidio colposo. Infine, ieri, è stata prosciolta. I periti nominati dalla procura infatti hanno stabilito
che non solo era compatibile la versione della donna - inconsapevole delle proprie condizioni - ma che il bambino appena partorito, seppure vivo, era tecnicamente «non vitale», cioè non respirava. Ed essendo ancora attaccato al cordone ombelicale quando la donna - grazie ai soccorritori di un’ambulanza - si è accorta di averlo messo al mondo, era come se non fosse «mai nato».

«Occorre ricordare - scrivono i medici forensi - che, perchè un soggetto possa essere dichiarato “nato vivo”, è necessario che autonomamente si sia insaturata la funzione respiratoria». Circostanza che in questo caso non si sarebbe verificata sebbene il feto avesse le funzioni cardiocircolatorie perfettamente funzionanti. Il caso ovviamente solleva più di una perplessità ed è forse destinato a far discutere.

Ma sembra di capire che il pm Elio Remondini, abbia accertato soprattutto l’assoluta mancanza di volontà della donna di voler sopprimere una vita (sul corpicino non è stato riscontrato alcun segno di violenza) di cui nemmeno conosceva l’esistenza. E sulla base di ciò abbia soprattutto deciso. I fatti risalgono al marzo del 2005, quando la giovane donna, affetta da una grave forma di obesità (pesa oltre 100 chili per un’altezza che non supera il metro e cinquanta) avverte dei forti dolori all’addome. In quel momento si trova in casa da sola, un appartamento alla periferia di Milano, e chiama al telefono il marito. Poi va in bagno e in preda a dolori lancinanti si siede sulla tazza del water dove partorisce «in uno stato di momentanea incapacità d’intendere e volere».

Forse, dicono gli inquirenti, nemmeno si accorge di quanto le sta accadendo. Il marito quando torna a casa, dopo un paio d’ore, la trova ancora in bagno, nella stessa posizione in uno stato di chock e «in un mare di sangue». È solo quando arrivano i soccorritori che la donna viene sollevata e si scopre così che nella tazza c’è il corpicino ormai senza vita del neonato. Possibile che la donna non si fosse mai accorta di essere in uno stato “interessante”? Sofferente di disfunzioni ormonali, pare non si fosse sottoposta nei mesi precedenti ad alcun controllo ginecologico. Aveva fatto diverse analisi mediche ma i valori alterati degli esami erano stati ricondotti all’obesità. Così come nausee e disturbi vari. Nessuno insomma, e non solo la donna, si era accorto che fosse incinta.

Tantomeno, stando alle ricostruzioni degli inquirenti, lei si è resa conto che stava partorendo: «Ho pensato - ha detto - a una colica tremenda e niente più». Infine le perizie eseguite sul neonato, hanno stabilito che il feto non era mai nato perchè non aveva mai emesso il primo respiro. Del resto, finendo nell’acqua di scarico con la testolina non avrebbe potuto fare diversamente. Eppure l’autopsia non ha rilevato acqua nei polmoni. Dunque per i periti, il neonato era giuridicamente «mai nato». Considerazioni che potrebbero far storcere il naso a qualcuno. Ma si tratta più probabilmente di definizioni pietose per un caso che lo stesso magistrato ha definito «doloroso» inducendolo a decidere, insieme al gup, per il proscioglimento della donna.

La cui «innocenza» per i magistrati è stata provata per la mancanza di volontà di uccidere, per l’assenza, sincera, di quell’elemento soggettivo che va sotto il nome di «volontà» e che, viceversa, ne avrebbe determinato l’incriminazione.


DAL CONCEPIMENTO
Per la Chiesa l'aborto è sempre l'assassinio di un essere umano. Non viene accettato neanche quando la madre è in pericolo di vita. Lo scorso novembre i vescovi hanno chiesto che la legge 194 fosse «pienamente attuata» nella parte che riguarda la tutela della maternità e l'aiuto alle donne che in difficoltà durante la gravidanza.

DAL TERZO MESE
L'articolo 12 della legge 194 varata dal Parlamento nel 1978 prevede che l'interruzione di maternità entro tre mesi della gestazione, oltre solo se c'è pericolo di vita per la madre. Per una minorenne senza il consenso di consenso dei genitori è possibile quando vi siano «seri motivi» che ne impediscano o sconsiglino la consultazione.

DAL PRIMO VAGITO
La sentenza del Tribunale di Milano considera la relazione dei periti forensi per i quali il bambino appena partorito, seppure vivo, era tecnicamente «non vitale», cioè non respirava. Ed essendo ancora attaccato al cordone ombelicale quando la donna si è accorta di averlo messo al mondo, era come se non fosse «mai nato».

















Corriere della Sera, 04.04.06
Il sogno della vita extraterrestre
Edoardo Boncinelli


Chi sa se mentre noi guardiamo il cielo c'è qualcun altro lassù che guarda verso di noi? Serissime ragioni di simmetria porterebbero a rispondere di sì, ma noi per secoli abbiamo pensato di no, probabilmente perché come dice Leopardi «anche le lucertole e i moscherini si credano che tutto il mondo sia fatto a posta per uso della loro specie». Come potremmo sapere se lassù c'è qualcun altro? Frank Drake, fisico e spirito dell'omonimo corsaro, buttò giù quasi per scherzo una formula che permettesse di stimare il numero dei possibili mondi abitati. Non era una scoperta e nemmeno una valutazione certa, ma è diventata una delle formule più famose degli ultimi decenni e un must per la comunità dei cercatori di alieni. Come si fa a determinare il numero dei possibili mondi in grado di inviare segnali radio intelligenti?
Il numero può essere calcolato in una prima maniera moltiplicando tra di loro due valori assai diversi: il numero dei mondi esistenti e la probabilità che in un mondo qualsiasi sia comparsa una forma di vita intelligente. Si tratta di moltiplicare un numero enorme per uno piccolissimo: il primo noto, almeno approssimativamente; il secondo assolutamente sconosciuto. Il prodotto può dare qualsiasi risultato: può dare soltanto 1 — non zero perché noi almeno ci siamo — 10, 100 o un miliardo e più. Nessuno può saperlo. Il merito della formula di Drake è stato quello di entrare nel dettaglio di tale calcolo, introducendo almeno sette termini diversi:
1) il numero delle stelle create in ogni istante (R);
2) la frazione di queste che può avere un pianeta (fp);
3) il numero medio di pianeti abitabili per stella (n);
4) la probabilità che ognuno di questi abbia albergato la vita (fv);
5) la probabilità che la vita sia arrivata a sviluppare un'intelligenza (fi);
6) la probabilità che si sia giunti a una civiltà tecnologicamente avanzata tanto da poter comunicare (fc) e infine
7) la durata media della vita di una civiltà tecnologica (V).
Sembra che sia stato previsto proprio tutto. Il punto è che ognuno può inserire per ogni termine i valori che più gli aggradano, ottenendo così tutti i risultati possibili. Con i primi valori ottimistici che vi furono introdotti negli anni Sessanta, si otteneva un numero totale compreso fra mille e cento milioni. C'era quindi di che sperare e molti si misero al lavoro... L'incognita maggiore è data, come abbiamo visto, dal fattore che esprime la probabilità di forme di vita. Negli anni Sessanta tale probabilità venne stimata addirittura il 100 per cento, cioè la certezza. Successivamente questa stima è caduta di moltissimo e ha trascinato con sé il totale generale che è così crollato al di sotto di un'unità, che significa nemmeno una possibile sorgente di radio-onde intenzionali in tutto l'universo.
Possiamo immaginare un mondo senza uomini? Leopardi ci provò nel «Dialogo di un folletto e di uno gnomo». Gli uomini sono tutti morti e i due protagonisti parlano dell'evento, definendolo un «caso da gazzette». Ma «la terra non sente che le manchi nulla, e i fiumi non sono stanchi di correre, e il mare ancorché non abbia più da servire alla navigazione e al traffico, non si vede che si rasciughi». Ma noi non ci saremo.













Corriere della Sera, 03.04.06
Tecnologia intelligente. Se il computer funziona «a mente»
Scrivere una mail con la sola forza del pensiero? Sarà possibile grazie a un progetto di un centro di ricerche newyorchese


NEW YORK – E se alla comunicazione non occorresse più la voce per parlare, la mano per scrivere, o il corpo per la gestualità? È quello che potrebbe accadere se il progetto portato avanti dal centro di ricerche Wadsworth Center avesse successo. Si tratta di un'apparecchiatura in grado di comandare un computer con la sola forza del pensiero: per usarlo basterebbero le onde cerebrali. Nessun muscolo deve essere scomodato per scrivere un testo, né per scegliere foto o icone, né per le più svariate attività immaginabili. E immaginare è lecito, anzi, doveroso quando si è proiettati in avveniristici progetti. Attualmente i ricercatori stanno per avviare le sperimentazioni del progetto, e sperano di trovare dai cinque ai dieci volontari per avviare i test in giugno.
UNA INNOVATIVA INTERFACCIA – Se, per diletto o per costrizione, si volesse scrivere una mail con la sola forza del pensiero, sarebbe possibile farlo con l'uso di questo innovativo dispositivo chiamato BCI (brain-computer interface) che consiste in un'apparecchiatura in grado di cogliere l'attività cerebrale attraverso un sistema analogo a quello utilizzato per l'elettroencefalogramma. Tale apparecchiatura è in grado di registrare le informazioni provenienti dalla materia grigia mentre è impegnata in un processo di selezione. L'utente, infatti, attraverso uno schermo sul quale sono proiettate cicli di immagini e lettere in modo rapido e casuale, può scegliere gli elementi di cui ha bisogno per comporre – in questo caso – la mail che desidera inviare. Il sistema, quindi, legge l'attività della corteccia cerebrale mentre l'utente si sofferma e si concentra su uno degli oggetti apparsi sul display, decidendo qual è quello da selezionare. La scelta è quindi del tutto mentale: la focalizzazione del cervello su un determinato elemento provoca un picco nell'andamento dei processi cerebrali. Se il picco sarà confermato anche nel ciclo successivo, il sistema provvederà a passare l'impulso al computer, realizzando così materialmente la scelta effettuata dal soggetto.
ALCUNE PERPLESSITÀ – Le possibili applicazioni sono molte, ma le aspettative più alte si concentrano in ambito medico. Effettivamente un dispositivo di questo genere potrebbe rivelarsi rivoluzionario per molte persone affette da patologie con forti impedimenti fisici, paralisi, lesioni alla spina dorsale. Gli studi di mercato rilevano che almeno 170 mila persone potrebbero avvalersi del dispositivo: la loro vita quotidiana ne sarebbe ampiamente migliorata, nonostante alcuni sostanziali problemi tutti ancora da sbrogliare, a cominciare dalla lentezza del sistema usato. La scrittura, infatti, richiede dai due ai quattro minuti per la composizione di ogni parola. Non ultimo, perché questa novità possa davvero entrare a far parte della vita quotidiana, deve prima raggiungere delle cifre commerciabili; invece attualmente il costo si aggirerebbe fra i 10 e i 13 mila dollari. È vero che con questo progetto i rapporti fra uomo e tecnologia appaiono sempre più intimi, c'è però ancora da attendere perché diventino anche più popolari.
Serena Patierno













Liberazione, 31.03.06
Il discorso ai deputati europei del partito popolare. Su vita, famiglia ed educazione impossibili le mediazioni. E’ una specie di chiamata alle armi per un partito trasversale cristiano che risponda non alle istituzioni democratiche ma al Vaticano
Il papa sogna lo stato confessionale e indica tre dogmi non negoziabili
Rina Gagliardi


Nella campagna elettorale, a poco più di una settimana dal voto, irrompe il fattore C: la Chiesa Cattolica, nella sua figura più alta e rappresentativa, il papa Benedetto XVI. L’occasione era solenne: un incontro in Vaticano con una folta delegazione, circa cinquecento persone, del Partito Popolare Europeo.

Ad essi il pontefice (che sta per celebrare il suo primo anno di pontificato) ha dettato un vero e proprio programma in tre punti: tre posizioni su vita, famiglia ed educazione riproposte come «non negoziabili», ovvero non discutibili e non mediabili con altri e diversi punti di vista. Idee che certo appartengono da sempre al patrimonio della Chiesa, ma che, in questa circostanza, assumono una fisionomia di straordinaria rigidità, come fossero veri e propri dogmi.

In sostanza, l’iniziativa di ieri, nei fatti e forse anche nelle intenzioni, va assai al di là delle indicazioni di principio che la Chiesa dà, tradizionalmene, agli elettori cattolici. Essa configura, appunto, non solo una dottrina morale, ma un’ipotesi politica organica. Implica conseguenze molto concrete, in fatto di leggi e di normative. Punta a modellare i costumi e i comportamenti della società in senso universalistico. In breve: rilancia con forza e autorevolezza lo Stato etico, lo Stato confessionale.

Questa operazione non passa, dicevamo, attraverso novità assolute. Da tempo, la Chiesa ribadisce, quasi ossessivamente, la sua crociata contro la modernità e contro l’autonomia delle donne: vale a dire la condanna dell’aborto e dell’eutanasia, l’intolleranza nei confronti dell’omosessualità, la difesa della famiglia tradizionale, rappresentata come l’unica «naturale», la rivendicazione del diritto delle scuole cattoliche a ricevere consistenti finanziamenti dallo Stato.

Dove stanno le novità? Intanto, nella centralità, nel carattere ossessivo e prescrittivo, pressoché esclusivo, che esse hanno assunto. Qui scompare la svolta relativa - ma politicamente molto rilevante - rispetto al lungo regno di Wojtyla: Giovanni Paolo II era certo un pontefice antimoderno e reazionario, ma aveva il mondo come suo “naturale” teatro. Assumeva certo la morale cattolica tradizionale su vita, morte, libertà femminile e formazione, ma si schierava con forza contro la guerra e lo sterminio dei popoli. Ribadiva, con grande frequenza, la condanna dell’aborto, ma riservava toni apocalitici alla condanna del mercato, delle diseguaglianze e della povertà. E compì alcune scelte - come il memorabile viaggio a Cuba - che resteranno a lungo nella memoria per il loro impatto simbolico.

Papa Ratzinger, invece, in quasi un anno, non ha pronunciato un solo discorso solenne sullo stato del pianeta: Iraq, Palestina, Africa gli sono pur passate accanto, senza un autentico cenno di attenzione. Lo spazio si è fatto italiano e, al massimo eurocentrico. Lo stile ha perduto ogni vigore mistico e ogni volontà profetica - si è fatto “minimal”, come dicono i vaticanisti, rigido, teologico. E la «difesa della vita» non è quasi mai stata richiamata per dire no alla violenza, alla fame, alla guerra, agli stermini.

Anche in conseguenza di questo suo temperamento, nonché di una scelta politica interna di “decentramento”, cioè di ricostruzione di un potere diffuso delle gerarchie vescovili e cardinalizie, il papato di Benedetto XVI tende a caratterizzarsi per una forte ingerenza negli affari italiani. Il monarca Giovanni Paolo II, dicevamo, si occupava del pianeta - l’Italia lo interessava relativamente poco. L’oligarca Ratzinger opera sulla scena italiana ed europea - in Italia in perfetta sintonia con la Cei.

Ed ecco l’altra vera novità: l’aggettivazione. Benedetto XVI dichiara che la dottrina cattolica non è «negoziabile». I cattolici che stanno per andare a votare, ed i cattolici che stanno per diventare o ridiventare parlamentari, sono avvertiti: su queste cruciali questioni, non è pensabile andare a un qualche tipo di accordo o di compromesso con lo schieramento laico. Chi lo farà, o chi sarà tentato di farlo, si troverà in contraddizione, nientemeno, che con il Papa - un prezzo comunque pesante da pagare.

Qui il nesso con il voto del 9 aprile si rivela stringente. Alla fine, è pur vero che il Papa non ha dato specifiche indicazioni elettorali (in verità, una dichiarazione così diretta è proprio impensabile). E’ vero piuttosto che si è riferito ad un possibile «partito trasversale» cattolico - le forze politiche italiane che aderiscono al Ppe - che, nel prossimo Parlamento potrebbe contare sugli eletti della Margherita, dell’Udeur, dell’Udc, di Forza Italia. Un blocco massiccio, che travalica i confini tra centrodestra e centrosinistra e, quantomeno potenzialmente, è “indifferente” al risultato elettorale: nel senso che punta a condizionare il prossimo governo, qualunque esso sia. Il governo Prodi, per intenderci.































Liberazione, 31.03.06
Religioni. A proposito di apostasia
Gabriele Barabino, Tortona (Al)


Cara “Liberazione”, la insolita vicenda del musulmano afgano colpevole di apostasia perché convertitosi al cristianesimo ha fatto molto rumore in occidente, soprattutto per i gravi rischi, addirittura di morte, che quell’uomo ha corso nel suo Paese. Infatti quelle pesanti minacce qui da noi sono parse quasi incomprensibili. Però, per un peccato che parrebbe meno grave del cambiare religione, cioè “soltanto” essere pubblicamente in disaccordo con la religione sua propria, e quindi colpevoli di eresia, sarebbe corretto ricordare che anche dalle nostre parti tempi addietro non si scherzava, ad esempio strappando letteralmente la lingua (e poi uccidendo) chi si permetteva di contraddire in buona fede certi principi delle Scritture (ad esempio il filosofo Vanini) o accatastando con sacro zelo fascine purificatrici, che cuocevano a fuoco lento e fino alla morte chi osava contrastare i sacri dettami (Giordano Bruno e quanti altri). Certo, si obietterà come sempre che “quelli erano i tempi” ma per una religione che si è sempre detta messaggera di pace, libertà e perdono, e che dovrebbe ricordare il chiaro quinto comandamento - non uccidere - ben pensando alle relative richieste di perdono, dire che sono cose del passato è una giustificazione che lascia amarezza.
































Liberazione, 31.03.06
Ratzinger riceve i parlamentari del Partito popolare europeo e li «apprezza». «Ma non è ingerenza»
Papa, «Non si tratta su aborto e famiglia»
Fulvio Fania


Per Berlusconi è stato uno spot mancato. La protesta di preti, religiosi, fedeli cattolici nonché i prudenti e segreti consigli delle sacre stanze, lo avevano convinto che era meglio abbandonare il proposito di sfilare davanti al Papa a pochi giorni dal voto. E così è andata anche per Casini e Mastella. Per Ratzinger invece l’udienza ai parlamentari del Partito popolare europeo è stata un’occasione da sfruttare con cura, senza guardare troppo per il sottile alle inevitabili ricadute politiche nel nostro Paese, benché non rappresenti certo un dettaglio sulla scena europea. Del resto il cardinale Ruini nei giorni scorsi era stato esplicito circa i “contenuti irrinunciabili” che dovrebbero guidare le scelte elettorali dei cattolici.

«Vita, famiglia, educazione sono valori non negoziabili», ha detto Benedetto XVI ricevendo nell’aula delle benedizioni uno stuolo di esponenti del Ppe. Poiché l’uditorio era composto da politici è proprio alla politica che il Papa chiede di non transigere su aborto, eutanasia, pacs e scuola. Una linea più rigida di quella solitamente raccomandata ai legislatori cattolici, di adoperarsi per “ridurre il danno” provocato da leggi non condivise. Ed è un discorso preciso che ripete formule ormai classiche: «Protezione della vita dal concepimento alla morte naturale», «riconoscimento e promozione della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, respingendo i tentativi di equipararla giuridicamente a forme di unione che sono radicalmente diverse, la danneggiano e contribuiscono a destabilizzarla oscurandone l’insostituibile ruolo sociale». Infine, «la protezione del diritto dei genitori all’educazione», un concetto apparentemente innocuo che però significa richiesta di maggiori spazi e finanziamenti per le scuole private e confessionali.

Le parole che Ratzinger ha pronunciato in inglese vengono riportate a tutta prima pagina dall’Osservatore romano. Segno evidente che nelle intenzioni del Vaticano non si è trattato di un semplice incontro di cortesia. Benedetto XVI seleziona le udienze. In questi giorni, ad esempio, non riceverà le teologhe che stanno svolgendo un convegno internazionale dedicato appunto all’Europa.

Il vecchio continente è in cima ai pensieri del nuovo pontefice ed è qui che la Chiesa ratzingeriana cerca di rovesciare quello che considera un pericoloso relativismo «sconfiggendo - ha affermato il Papa - quella «cultura che relega alla sfera privata e soggettiva la manifestazione delle convinzioni religiose» «ripudiando il ruolo pubblico del cristianesimo».

L’affermazione delle radici cristiane d’Europa, anche sul Trattato dell’Unione, è una vecchia battaglia delle gerarchie, fin dai tempi di Wojtyla. Benedetto XVI si inoltra in un ragionamento più complesso: non riconoscere la «tradizione» in tutta la sua «polifonia», negarla oppure opporvisi sarebbe un atteggiamento «nemico della tolleranza e di una sana visione secolare dello Stato e della società». Da qui la polemica contro chi accusa la Chiesa di ingerenze ai danni della laicità. «Gli interventi della Chiesa nell’arena pubblica non sono intolleranza o interferenza - sostiene il Papa - perché sono volti solo a illuminare le coscienze». Ciò che segue è in contrasto aperto con la cultura laica, tranne che per i teo-con: il Papa ribadisce infatti che su famiglia, vita ed educazione i principi sostenuti dal cattolicesimo sono «iscritti nella natura umana» e questa è appunto la ragione per cui l’azione della Chiesa «non è confessionale ma si indirizza a tutti».

E’ questo il cuore del discorso di Ratzinger. Un editoriale fresco di stampa di “Civiltà cattolica”, la rivista dei gesuiti che passa al vaglio della Segreteria di Stato vaticana, è illuminante. Si tratta di una dura polemica contro l’ex presidente della Corte Costituzionale Zagrebelsky a proposito del concetto di democrazia. Paventando tra l’altro che il ricorso all’aborto contribuisca a fare dell’Europa un paese sempre più musulmano, gli scrittori della “Civiltà cattolica” negano che la democrazia «sia essenzialmente relativistica», ma soprattutto sostengono che «nel campo etico» non deve applicarsi la regola della maggioranza. «Non si può parlare - scrivono - di diritto oggettivo all’aborto, all’eutanasia
o a unioni omosessuali». Secondo la rivista dei gesuiti non c’è maggioranza parlamentare che possa legittimare norme in questa direzione perché sarebbero contrarie non solo all’ordine religioso ma anche a quello «razionale». Dunque, impedire quelle leggi non sarebbe affatto un’ingerenza della Chiesa. Al contrario «sono oggi i cattolici che devono accettare aborto e divorzio in contrasto con la loro coscienza». Una bella giravolta logica, come se la legge imponesse a tutti di divorziare o abortire.

Quella di ieri non è stata la prima udienza per il Ppe, che ha comunque intascato «l’apprezzamento» del Pap» per l’impegno nella difesa della «eredità cristiana». Un bel complimento per uno schieramento di forze che nei diversi paesi non sembrano nemmeno tanto fedeli agli indirizzi vaticani.

Benedetto XVI ha sottolineato la «lunga serie» di incontri di Giovanni Paolo II con «movimenti politici di ispirazione cristiana». Di Wojtyla si ricorda addirittura un Giubileo dei governanti nel 2000 e, quanto ai Popolari europei, le udienze del 1986 e del 1997.

Nessuna contraddizione sui temi della morale naturale e della “difesa della vita” tra i discorsi di allora e quelli attuali. Colpisce piuttosto la maggiore varietà di argomenti trattati dal vecchio pontefice. Negli anni 80 raccomandò alla delegazione del Ppe di mettere il progresso economico al servizio dell’uomo e citò gli immigrati. Dei «poveri, bisognosi e indifesi» parlò ancora dieci anni dopo. E rivolgendosi ai politici di tutto il pianeta denunciò un mondo in cui «i ricchi diventano sempre più ricchi» per colpa di «un mercato selvaggio».
























Liberazione, 31.03.06
Il filosofo sulle tesi del Papa e sulla forte presenza della Chiesa nella vita politica italiana. «La discriminante è tra chi si crede infallibile e chi è tollerante»
Giorello: «Occorre più decisione e più laicità»
Antonella Marrone


Professor Giorello, in questo clima chiesastico, viene voglia di confessarsi: mi sento turbata ed inquieta, niente a che fare con la ragione, ma insomma... come elettrice di sinistra, mi sembra che la risposta dei laici al Papa sia debole, le parole misurate...

La passione ha la stessa dignità della ragione. Anzi, Hume diceva che la razionalità è al servizio della passione. E’ il mondo laico che non trova le parole. Il fenomeno dei ”devoti“ laici o atei che siano, non è cosa così recente come potrebbe evincere qualche lettore del Foglio di Giuliano Ferrara. Nel 1988 sul
“Corriere della Sera“ Giuliano Amato stigmatizzando l’ egocentrismo ed egoismo degli anni 80 caldeggiava il ritorno a quei valori incarnati dei credenti che, cito Amato “avrebbero una marcia in più“. Ad Amato rispondeva sulla Stampa sempre nel 1988 tal Marcello Pera con un articolo intitolato ”L’apocalisse di San Giuliano“ in cui Pera accostava le idee di Amato a quelle dell’allora cardinale Ratzinger, ritenendo le une e le altre antimoderne e apocalittiche. Vuol dire che bisogna datare Pera come si datano i vini, a seconda dell’annata... Dunque i laici cambiano ed hanno tutti la bizzarra convinzione che i credenti abbiano una marcia in più. Quando si dice questo la partita è già un po’ persa.


Forse perché gli italiani, come si sente dire spesso in questo periodo, si sentono tutti di origine cattolica...

A parte il fatto che ci sono degli italiani che sono di altri origini (ebraiche o puritane, come me per esempio), ma non serve dirsi cattolici. La discriminante non è fra credenti e non credenti. Una persona seria come Carlo Maria Martini che non mi sembra un ateo, ricordava con una metafora come il confine tra credente e non credente passi in ciascuno di noi, come se fossimo di fronte a un ring, anzi il ring è dentro di noi e ogni giorno queste due figure si affrontano.


La questione non è, allora, tra fede e ragione, credere o non credere?

La questione importante è la questione etico politica e riguarda la discriminante tra persone che sono disposte a un atteggiamento fallibilistico e tollerante da una parte, e coloro che si ritengono dotati di un sapere e magari di un potere infallibile dall’altra. La protervia di certi scientisti non è, in linea di principio, molto diversa dalla protervia di coloro che ritengono, in nome dei loro valori, cristiani o meno, di poter legiferare anche per chi cristiano non è o ha un modo di vivere l’esperienza cristiana diverso dal loro.


Da qui al fondamentalismo di cui tanto si parla oggi, anche se solo in ”versione“ musulmana, il passo è breve...

Sì certo, anche se il fondamentalismo è una parola curiosa che noi non usiamo più alla lettera. Lo usiamo come termine traslato per indicare un attegggiamento letteralistico nella lettura di un libro sacro, ma anche per indicare alcune forme di adesione fanatica a questo o a quel tipo di rivelazione. Anche se devo dire che, come fondamentalismo, certi protestanti degli Stati Uniti ci potrebbero mettere in difficoltà... Dalle nostre parti questo fondamentalismo oggi si esprime con la pretesa che, nelle carte della Costituzione europea, si accenni alle radici ebraico-cristiane. A parte il fatto che ci sono intellettuali ebrei molto più intelligenti che sono i primi a rifiutare sia la menzione, sia quell’insidioso trattino (ebraico-cristiano) come se ci fosse tra le due religioni una pacifica continuità che non c’è stata: ci è stata invece l’accusa di deicidio agli ebrei e le persecuzioni, volute e pianificate dai cristiani (cattolici, protestanti e ortodossi). Ma non la vogliono - la menzione - neanche alcuni cristiani che sono stati una linfa preziosa per la democrazia, penso ai valdesi, che ritengono che un vero atteggiamento cristiano si riconosce dai comportamenti e non dalla menzione di un nome. Queste cose interessano le gerarchie


Le gerarchie, a cominciare dal Papa, sembrano molto interessate, oggi, alle elezioni del 9 aprile. Il Papa ai politici del Ppe ha detto che ci sono valori ”non negoziabili“. Ha usato proprio questa espressione. Come dovrebbero comportarsi i cattolici che fanno politica a sinistra?

I cattolici grazie a Dio sono tanti e non la pensano tutti come Ratzinger, che sarà infallibile in materia di fede, ma non certo in materia politica. Questa storia della non negoziabilità è storia antica, per esempio i Quaccheri nel 1776 sostenevano che non era negoziabile minimamente la loro non violenza e quindi si tirarono fuori da quella agitazione politica militare che poi portò alla ribellione nelle colonie e alla guerra d’indipendenza. Si tirarono addosso l’attacco di uno dei maggiori radicali amercani che è Thomas Paine che li prese di mira nel libretto piuttosto famoso Common sense (ripresentato in italiano recentemente con il titolo Senso comune): li attaccò per la mescolanza indebita di politica e religione.


Mi sembra di capire che non considera abbastanza ”radicale“ la politica del centrosinistra che si propone di governare l’Italia....

Occore che le donne e gli uomini che sono in questo momento discriminati - mi riferisco alla vicende matrimonio e famiglia - siano più decisi. Altro che Pacs. I Pacs sono semplicemte una forma di mediazione. E questo vale anche per la scuola e l’ora di religione. Vanno benissimo tutte le scuole religiose, ma se le paghino loro, lo Stato deve fare le sue scuole. Il diritto all’espressione pubblica non deve diventare pressione politica. E non va bene che i rappresentati dello Stato si ritrovino nei confronti di una particolare religione in ginocchio. Il laico deve avere la forza di reagire e di attaccare.















il Manifesto, 31.03.06
Benedetto l'inflessibile
FILIPPO GENTILONI


Quasi ogni giorno il papa ripete le sue prese di posizione con crescente rigidità: come se temesse di non essere stato abbastanza chiaro. Questa volta con una solennità anche maggiore, di fronte ai dirigenti del Partito Popolare e alla vigilia del voto italiano. Le posizioni di Ratzinger sono ormai note. Esiste una vasto pericolo - europeo e non solo - di tradimento dei valori fondamentali della società. Valori che avevano trovato casa nella storia europea, ma che l'Europa di oggi rischia di dimenticare. La chiesa cattolica li difende. Il grande nemico è il relativismo e contro di esso la chiesa cattolica conduce la sua grande battaglia soprattutto sul matrimonio e sulla famiglia. Perciò la difesa della vita dal concepimento alla morte, con la condanna dell'aborto e delle leggi che lo permettono. Perciò la condanna di tutte le forme di convivenza che non siano quella classica del matrimonio fra uomo e donna. La difesa delle posizioni cattoliche deve riguardare tutti, non soltanto i cattolici: il loro fondamento e la loro giustificazione, infatti, non risale ai sacri testi ma a quella famosa «legge naturale» che riguarda tutti e della quale la chiesa - cattolica - è custode. Posizioni ormai ben note. Il papa precisa che non sono negoziabili. O prendere o lasciare: su questi punti il Vaticano non tratta e rivendica il suo diritto «a intervenire in politica». Forte anche di quel consenso che i partiti popolari gli assicurano nei vari parlamenti europei. Un consenso che, comunque, è tutt'altro che unitario e universale. Non la pensa così una buona parte del mondo extraeuropeo, fra l'altro non la pensano così tutti quei paesi africani ed asiatici - musulmani e non solo - con i quali il Vaticano continua a dire di volere il dialogo. E non la pensa così anche buona parte del mondo europeo più moderno, quello che ha accettato la grande lezione della laicità e la sa distinguere bene dal relativismo. Dai segnali e da molte voci che si fanno sentire, anche se sommessamente, si può affermare che la rigidità di Ratzinger non è bene accolta neppure da tutto il mondo cattolico. Per non parlare dei protestanti. Non che alle rigide posizioni di Ratzinger manchino alleati. Anche se non credenti del dio di Gesù Cristo (i vari Pera, Fallaci, ecc.) ma credenti in una identità europea - italiana - da imporre a chiunque voglia prendere casa in mezzo a noi. Nonostante quell'universalismo che, fin dagli inizi, il cristianesimo ha cercato di diffondere in un'Europa riluttante, egoista, superba. Ricca non tanto di un'identità etica quanto dei suoi denari.




















il Manifesto, 31.03.06
Tutti in ginocchio da Benedetto
Il papa chiude il negoziato su embrioni e Pacs e rivendica le radici cristiane di tutta la politica europea. Centrodestra in delirio, l'Unione non fa una piega e prova solo a disinnescare la bomba B16. La Rosa sale da sola sulle barricate
MATTEO BARTOCCI


Il papa chiude unilateralmente il suo negoziato con il resto del mondo sulla «struttura naturale della famiglia » e la «difesa della vita dal concepimento alla fine». E subito la politica italiana si inginocchia devota pensando alla fine imminente della campagna elettorale. L'appello di Benedetto XVI, a dieci giorni dal voto, è una bomba per i palazzi profani della politica. Solo dopo mille polemiche i leader italiani dei partiti membri del Ppe (Berlusconi, Casini e Mastella) avevano rinunciato a presenziare al discorso del pontefice. Ma anche se l'erudizione di Ratzinger non è la dettagliata elencazione di Ruini la sostanza politica del risoluto interventismo ecclesiastico non cambia di molto. Il centrosinistra, Rosa nel pugno esclusa, ha un obiettivo solo: disinnescare la bomba B16. Il centrodestra, invece, urla come un sol uomo: «Santità, già fatto. E' tutto scritto nel nostro programma ». Se si legge lo striminzito volantino fatto in Casa in effetti su famiglia, tutela della vita nascente e radici cristiane dell'Europa (cioè. dell'Occidente), non manca proprio nulla. I cori sono impressionanti entrambi. La destra sembra uno stadio: «L'Udc è col papa, non con il dio Po o la dea Luxuria », avvisa gli astanti il centrista Luca Volonté, mentre tutto intorno a lui i condomini sgomitano per dimostrare la propria fede(ltà) al soglio di Pietro. Ma anche l'Unione non è da meno. Tra il distratto e il pudibondo è Massimo D'Alema, non certo un ateo devoto, a dire che «non solo è giusto ma è doveroso che la chiesa intervenga sui grandi temi della vita sociale, però se interferisse nella legislazione dello stato sarebbe improprio». Tutti i commenti insomma sono rivolti alla Cdl e non rispondono su nulla all'articolato progetto politico papale (che nell'occasione proprio a politici europei parlava). Piero Fassino critica gli osanna della destra: «Chi rispetta il papa non lo usa in campagna elettorale». Francesco Rutelli, a Dopo il Tg1, non si cura del fracasso fondamentalista, promette «tanta concretezza e poca retorica»: «Le parole del papa sono condivise dalla stragrande maggioranza degli italiani. In concreto dobbiamo fare qualcosa di utile per la nostra famiglia. Dobbiamo aiutare le donne ad avere figli e a non abbandonare il lavoro, aiutarle anzi a lavorare di più anche creando più asili nido». Romano Prodi è preoccupato. E in una nota prova a tenere la rotta: «Le parole del santo padre richiamano ancora una volta le nostre coscienze di cristiani a promuovere i valori della vita e della famiglia. Un richiamo che responsabilizza anche quanti sono impegnati in politica a tradurli in azioni finalizzate al bene comune. È in questo senso - conclude il Professore - che la voce della chiesa si fa legittimamente sentire nel rispetto della reciproca autonomia e libertà». In mattinata, a Radio anch'io, però era stato "leggermente" più fermo e aveva cercato di rassicurare un incerto ascoltatore: «Sono profondamente cattolico e i principi fondamentali della chiesa sono per me un ammonimento veramente importante. Ma lo stato laico è un punto fermo della nostra coalizione». Non per tutti. La margheritata in Lombardia Paola Binetti (Opus Dei, Scienza e Vita) martella da giorni assieme all'altro candidato cattolico Luigi Bobba sull'impossibilità di modificare la legge 40 e, soprattutto, sulla necessità di inserire volontari cattolici nei consultori. Offrendo così più di una sponda nell'altro polo ai fondamentalisti di An e Udc. La Quercia e i «cattolici adulti» della Margherita iniziano a dare segni di vera insofferenze: Fassino liquida le opinioni della Binetti come «strettamente personali» e precisa che la linea dell'Ulivo prevede modifiche sostanziali alla legge sulla fecondazione e un parere negativo alla presenza dei volontari cattolici. Ma le sortite degli ultrà «pro-life» infastidiscono anche qualche petalo della Margherita. I prodiani, per esempio, sono più loquaci del loro leader: «Non comprendo la rigidità e il protagonismo della Binetti, che non rappresenta certo la sensibilità di tutto il partito», dice Mario Lettieri. Fausto Bertinotti si tiene alla larga da un dibattito simile. Non commenta di una virgola le parole papali e punta tutto sull'economia reale e il fisco. Così a far da contraltare alle voglie confessionali nell'Unione restano in pochi. Franco Grillini, Ds e presidente onorario dell'Arcigay giudica del tutto «non condivisibile » l'appello papale: «Sono le persone a decidere se la loro relazione costituisce una famiglia. Lo stato deve semplicemente prenderne atto». In un clima così la Rosa nel pugno prepara le barricate per il prossimo parlamento: «Siamo alla chiusura della campagna elettorale e ormai è evidente che il papa e Ruini hanno scelto di intervenire a gamba tesa addirittura con dei comizi finali - dice il radicale Daniele Capezzone - l'attivismo della chiesa è sconcertante anche perché non c'è un solo paese al mondo in cui le gerarchie da una parte godono di privilegi e dall'altra entrano direttamente nella contesa politica. Le due cose insieme non sono possibili: la chiesa scelga o l'una o gli altri».










































il Manifesto, 31.03.06
Il pontefice che fa le leggi
«La religione non può restare nel privato, i governi provvedano» Embrione, famiglia, Europa B16 chiede ai dirigenti del Ppe un impegno «non negoziabile»: struttura naturale uomo-donna, niente Pacs, difesa assoluta della vita e radici cristiane dell'Occidente
MIMMO DE CILLIS


Questa volta papa Ratzinger ha parlato fuori dai denti. All'udienza concessa ai membri del Partito popolare europeo, in assemblea a Roma - dopo le polemiche per la ventilata presenza dei leader politici italiani, che poi hanno rinunciato - riafferma con granitica fermezza i principi basilari «non negoziabili » che qualsiasi stato o comunità civile deve rispettare. Benedetto XVI indica ai politici i loro doveri e i principi universali. Parla a tutti, non solo ai credenti. Lo si comprende anche per la scelta di esprimersi in inglese, raro alle udienze generali fatte in Vaticano dove la lingua ufficiale è quella italiana. Parla perché «se la chiesa interviene nel dibattito pubblico non lo fa per interferire, ma per illuminare le coscienze ». Para il colpo della «presunta interferenza» e stabilisce il ruolo chiave della santa Sede, che compie la sua missione di «luce del mondo» insegnando la verità assoluta. Che significa: «Difesa della vita umana in tutte le sue fasi, dal concepimento fino alla morte naturale; riconoscimento e protezione della naturale struttura della famiglia, quale unione tra un uomo e una donna, basata sul matrimonio, e la sua difesa dai tentativi di equipararla giuridicamente a forme radicalmente differenti di unione che in realtà la danneggiano e la destabilizzano, oscurandone lo specifico carattere e il suo ruolo sociale irripetibile; protezione dei diritti dei genitori di educare i loro figli». Cari politici, sembra dire Ratzinger, su questi tre punti, non si transige. Siate cattolici o laici, credenti o non credenti, questa è materia che nessuna maggioranza di governo, nessuno «stato etico» può toccare, arrogandosi il diritto di violare quella che è chiamata «legge naturale». Il perché lo ha spiegato il cardinale Angelo Sodano in un telegramma inviato al convegno, che chiarisce il rapporto tra chiesa e società: «Le realtà temporali, seppur rette da norme proprie, non sono sottratte ai riferimenti etici derivanti dalla legge di natura posta dal creatore in ogni persona umana». Sono posizioni note, comprensibili in quanto derivanti da un riferimento «assoluto». Sono, in altre parole, le stesse cose che il cardinal Ruini aveva ribadito dieci giorni fa, quando aveva detto che «la chiesa non si schiera ma indica contenuti », come la tutela della vita e della famiglia. Ma l'effetto delle parole di Ratzinger è deflagrante per la sua rappresentatività universale, per il suo stile dottorale di maestro che impartisce lezioni a tutti i politici d'Europa, e soprattutto perché Benedetto XVI, nel pieno della campagna elettorale italiana, si addentra in una materia contesa specificando il «no» alle unioni di fatto. Sceglie, insomma, di indicare deliberatamente agli elettori una applicazione pratica - il rifiuto ai Pacs - di quei «principi non negoziabili». Un passo che, invece, la chiesa e le gerarchie dovrebbero lasciare alla coscienza dei cittadini, dei singoli cattolici, dei «laici» (inteso in senso ecclesiale) che sono chiamati a tradurre i principi evangelici nella prassi sociale, economica, politica, nelle strutture temporali dove vivono. Ma il pontefice non si è limitato a indicare le priorità che nessun governante dovrebbe lasciar cadere. Ha anche avuto la ghiotta opportunità di andare a monte del problema sottolineando ai 500 congressisti come la religione non possa e non debba «essere relegata alla sfera privata». Le politiche che partono da questo principio «escludono il coinvolgimento dell'Europa dalla sua tradizione religiosa, minacciando in tal modo la stessa democrazia, la cui forza dipende dai valori che essa promuove». Ratzinger chiede dunque che la Costituzione della Ue delinei «una relazione con le comunità religiose, riconosca la loro identità e il loro contributo». In particolare, com'è ovvio, si vuole il riconoscimento delle radici dell'eredita cristiana «che ha forgiato l'identità del continente» E i politici del Ppe, come scolaretti, ad ascoltare e applaudire.











il Manifesto, 31.03.06
Vis-à-vis tra due vite parallele
Ieri a Roma la «Lectio Magistralis» di Edoardo Sanguineti dedicata a Pietro Ingrao. L'avventura ostinata di costruire una «cosa semplice»
ROBERTO CICCARELLI


«Odio», «Vendetta», «Rivoluzione». Sono le parole forti, cariche di un certo fascino desueto ma quantomai attuali, che ieri Edoardo Sanguineti non ha avuto alcun timore a pronunciare nella sala del Refettorio della Camera davanti a centinaia di persone durante la sua lectio magistralis organizzata dal Centro per la Riforma dello Stato in onore dei 91 anni di Pietro Ingrao. Parole che hanno indicato una «linea di condotta »: «In un mondo in cui il 98 per cento delle persone vive una condizione di precarietà o di vera e propria miseria - ha detto il poeta e intellettuale genovese - il vero lusso è quello di permettersi ancora di essere gentili con gli altri. No, oggi è doveroso essere sgarbati per rendere evidente a tutti che viviamo in un mondo disumano ». Questo è stato l'inizio sconcertante della lezione del teorico più famoso del «Gruppo 63», autore di un recente Il chierico organico. Scritture e intellettuali (2000) e dell'ultima antologia Microcosmos (2005), che raccoglie la sua opera poetica dal 1951 ad oggi.Ma sono bastati pochi istanti per chiarire che l'odio per chi detiene le più grandi ricchezze del pianeta, la necessità di vendicare non solo le sofferenze dei padri ma anche quelle attuali dei figli, non risponde soltanto ad un'elementare esigenza etica o, peggio, ad un risentimento per chi non ha nulla ed aspira ad avere un credito illimitato per fare shopping tra le vetrine luccicanti dell'Impero. Essere sgarbati, oggi, non significa essere violenti. Almeno fino a quando non sarà viva l'esigenza di dare giustizia alle nuove generazioni, e non solo a quelle dei loro padri. Che hanno potuto permettersi il lusso, ha detto Sanguineti, di seguire una educazione intellettuale e sentimentale che non separava l'attività mentale della ricerca teorica da quella della pratica politica. Un itinerario che in quel secolo grande e terribile che è stato il Novecento ha prodotto un pensiero - quello del «materialismo storico» - che Sanguineti ha usato come sinonimo di «marxismo» - che non si è mai fermato alla constatazione dei dolori biografici degli intellettuali, ma si è proiettato su uno scenario infinitamente più largo, quello «della condizione oggettiva della lotta di classe». Oggi anche le nuove generazioni dovrebbero godere di quello stesso lusso che ha permesso di rispondere alla domanda, che alla lezione magistrale ha dato anche il titolo, «come si diventa materialisti storici?». Storie personali e storie politiche si sono intrecciate in platea. Antonio Bassolino seduto accanto a Alfredo Reichlin, dietro c'era Luciana Castellina, e ancora Goffredo Bettini, Giuseppe Vacca, Alfonso Gianni e Gianni Ferrara, Massimo Serafini e Walter Tocci. Più dietro il gruppo de «la voce della luna» del dipartimento di salute mentale della Asl Roma E, oltre ad una serie di giovani e meno giovani legate alla storia politica ed intellettuale di Ingrao. «Una buona abitudine». Così Mario Tronti, seduto accanto a Sanguineti, ha definito la lezione dedicata a Ingrao che, a partire da quest'anno, sarà tenuta ogni 30 marzo. Sanguineti ha poi raccontato la storia della sua conversione politica da «giovane anarchico radicale» a «materialista storico » ripercorrendo il proprio itinerario intellettuale e politico. Un lungo apprendistato che non si è ancora concluso, ma che si è giovato di una lunga serie di incontri. Il primo è stato a Torino nel 1940. Siamo in Corso Porto, oggi Corso Matteotti. Un gruppo di ragazzi tira calci ad un pallone. Sanguineti entra per la prima volta in contatto con un altro mondo, quello operaio, quando un giovane di nome Felice si avvicina e propone di giocare insieme. Era il primo avvistamento della rude razza pagana, ma anche la scoperta di un mondo ancora lontano per quei ragazzi, quello della sessualità. Seguì la scoperta della politica, avvenuta grazie ad un compagno di scuola che indicava al «giovane anarchico radicale qual'ero» la strada per una solidarietà umana «che allora ignoravo ». «Era pieno di quell'attenzione verso la debolezza di coloro che non erano conquistati alla causa del partito - ha raccontato Sanguineti - Sono stato stalinista, filo- cinese in polemica contro gli eccessi di burocratismo dei partiti di sinistra, fino all'ultimo approdo l'euro-comunismo di Berlinguer quando feci il deputato dal 1979 al 1983». «Se fossi oggi in politica - ha continuato Sanguineti - consiglierei a Prodi di tornare ad applicare i principi di quel capolavoro che è la Costituzione italiana: diritto al lavoro, alla scuola e alla sanità pubblica, innanzitutto». In un momento in cui un'intera generazione europea reclama il proprio diritto al futuro, questo non sarà rivoluzionario, ma almeno risponde ad un criterio minimo di giustizia. «Non è follia ma invece/fine della follia. Non è il caos ma/ l'ordine, invece./ E' la semplicità/ che è difficile a farsi» scriveva Bertolt Brecht, nella sua Ode al comunismo del 1933. Oggi, come ieri, ha ricordato Sanguineti, si sa che questa semplicità è il risultato di una lunga ostinazione.












































Liberazione, 31.03.06
In un impietoso pamphlet Fulvio Abbate attacca le convenzioni culturali, i luoghi comuni e le mode che affollano l’immaginario di certa sinistra di oggi e di ieri e ne indirizzano le pratiche quotidiane
Il conformismo di chi aspira solo ad un “paese normale”
Matteo Di Gesù


Una sindrome diffusa, quasi una vera e propria nevrosi collettiva patita dalla sinistra riformista italiana, e più specificamente dagli eredi del Pci, dalle sue classi dirigenti ma anche (e forse soprattutto, comunque più di quanto non si ritenga di solito) dai suoi militanti ed elettori, è stata la fatale soggezione intellettuale, finanche morale, rispetto alle critiche e ai giudizi provenienti, per così dire, “da destra”. Se si dovesse ripercorrere retrospettivamente la trasformazione (o meglio: la vera e propria mutazione genetica) occorsa a parte della sinistra italiana negli ultimi trent’anni, del resto, se ne potrebbero fissare le tappe proprio nel progressivo accoglimento di quei rimbrotti autorevoli e di quelle lezioncine severe e nell’affanno suicida a voler somigliare a tutti i costi a quello che professori accigliati ed esigenti editorialisti illustravano doveva essere la sinistra “leggera”, moderata e rassicurante del terzo millennio.

Ripensando a quegli assai edificanti modelli, fa un effetto stridente e spiazzante leggere Sul conformismo di sinistra di Fulvio Abbate (Gaffi editore, pp. 78, euro 4,00), snello e feroce pamphlet sulle convenzioni sociali e culturali, sulle mode e sui luoghi comuni che affollano l’immaginario di certa sinistra di oggi e di ieri e ne indirizzano le pratiche quotidiane. Per prima cosa perché questo è un libro scritto “dal di dentro”: Abbate non è certo un neomoderato dell’ultim’ora, sebbene abbia avuto un passato di militanza nel Pci come molti degli odierni terzisti di casa nostra; semmai uno scrittore con una spiccata vocazione civile e insieme grottesca, cocciutamente libertaria e anticonformista, come sanno i lettori della rubrica che tiene sulle pagine de L’Unità, di romanzi come Teleduruti o di racconti documentari come Il ministro anarchico o C’era una volta Pier Paolo Pasolini. In secondo luogo proprio perché lo scrittore, nel suo scanzonato libretto, demolisce a colpi di sberleffi proprio quei modelli culturali da sinistra “per bene” e salottiera che hanno sostituito molti dei vecchi valori e principi che ispiravano, un tempo, la visione del mondo e delle cose di chi soleva professare aspirazioni di rivolta e di trasformazione dello stato presente. Ma non si creda che si tratti di uno scritto nostalgico sui bei tempi che furono (l’autore non dimentica le radici antiche di certo bigottismo da militante modello del Grande Partito), né di una pletorica dichiarazione di schieramento nelle file antagoniste (non vengono lesinate frecciate anche ai conformismi disobbedienti): piuttosto di una divertita e sardonica rassegna di luoghi comuni, di un lungo e spassoso sghignazzo polemico sulle banalità condivise dal progressista postmoderno italiano.

Il “conformismo di sinistra” è esemplificato dal disprezzo sussiegoso per i programmi televisivi, che tuttavia risparmia lo spot con Tonino Guerra perché nel poeta si dovrebbero riconoscere i tratti dell’umanità ruspante e strapaesana della Romagna rossa; si incarna nell’arruolamento della bellissima Carla Bruni, già indossatrice ora raffinata cantautrice, ricca borghese di buone letture, nella gauche di casa nostra (proprio perché raffinata, elegante e di buone letture) o nell’indignazione per il mancato rinnovo, da parte di una casa di cosmetici, del contratto pubblicitario alla compagna Isabella Rossellini; si rivela nel riconoscere in Veronica Lario una quinta colonna infiltrata nella villa di Arcore, per la quale vale la pena spendere slogan come “Veronica, non ti merita” o giù di lì; si manifesta nella difesa acritica di qualunque cosa faccia o dica Roberto Benigni contro quelli che ne dicono male o nel dover farsi piacere, a tutti i costi, La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana riconoscendosi perfino nel suo film; si rintraccia nell’ammirazione per scrittori italiani i cui romanzi sono riassumibili in una sola battuta: «Mamma, ha telefonato nessuno per me? No, nessuno»; si conferma nell’individuare in Franco Battiato un eroe per il suo prendersi sul serio «come concessionario di Buddha e dei dervisci per Catania», e con lui il filosofo conterraneo Sgalambro, che non ha mai trovato il tempo per denunciare l’esistenza della mafia; trova la sua apoteosi nell’immaginario girotondino fatto di «tisane, torte alle carote, l’ultimo romanzo di Rosetta Loy, le inserzioni di case (“possibilmente con terrazzo”), baby sitter, rivestimenti per i divani, la collina di Ansedonia, l’ingresso del cinema Nuovo Sacher».

Abbate si è di certo divertito a scrivere il suo piccolo libro, sciorinando le sue idiosincrasie, e con lui si diverte chi legge. Tuttavia, la sua denuncia è irriverente quanto circostanziata, ed è rivolta a chi ha rinunciato al pensiero critico, anticonformista, radicale; a chi, a sinistra, aspira soltanto a un “paese normale” senza più “né rabbia né incanto”. E trova, questa sua accusa ghignante, un controcanto “grave” nella dedica finale «ai poveri che non hanno mai sognato di diventare ricchi, a quella che Pasolini, insieme a Volponi, chiamava “l’umile Italia”... Gli stessi che semmai furono conformisti, fu soltanto per eccessiva fiducia nel futuro e nelle parole dei loro compagni - come dire? - più istruiti, più importanti, più garantiti».









































Liberazione, 31.03.06
Le polemiche della RnP con Rifondazione
I dolori e le angosce di Marco Pannella
Piero Sansonetti


Marco Pannella è molto arrabbiato con Bertinotti. Dice che da tempo lo sfida per un duello televisivo, ma Fausto fugge. Fausto - probabilmente - nemmeno conosce questo grande desiderio di Pannella. Lo informeremo. Chissà perché Marco Pannella vuole fare un duello con Bertinotti in Tv. Forse nessuno gli ha detto che il suo partito - e per sua scelta - dopo anni di vagolare incerto e dubbioso è approdato allo schieramento del centrosinistra, ed ha un ruolo importante nel centrosinistra. E che anche Rifondazione è un pezzo essenziale - noi, presuntuosamente, diciamo: il “più” essenziale... - di questa alleanza. Dunque non bisogna fare duelli. In una campagna elettorale a schieramenti contrapposti, i duelli si fanno tra avversari. Per esempio l’altra sera, a “Ballarò”, Emma Bonino e Fausto Bertinotti hanno evitato di entrare in conflitto (se ne sono presentate molte occasioni) perché l’obiettivo della loro presenza non era quello di combattere tra loro ma di mettere in difficoltà Berlusconi. E ci sono riusciti bene.
Ma allora perché Marco Pannella - che di tutto può essere accusato, proprio di tutto: tranne che di essere un ingenuo in politica... - se la prende con Bertinotti, fino a definirlo (cito dal Riformista di ieri) «compagno di merende di Berlusconi» (frase assai volgare, oltre che un po’ stupida e così palesemnte infondata)?
Naturalmente un motivo c’è, ed è giusto discuterne. Cerchiamo di spiegarlo. L’ingresso del partito radicale nella alleanza del centrosinistra - ne abbiamo già scritto su questo giornale - è la conseguenza di una crisi profondissima e devastante dello schieramento liberale e liberista. Il berlusconismo è stato un tentativo di dare uno sbocco populista e personalistico al liberismo (e al liberalismo) che ha spaccato la borghesia italiana e ha fatto saltare il blocco sociale che avrebbe dovuto essere l’ancoraggio sicuro e tradizionale del centrodestra. Questa rottura, questa crisi della borghesia classica, ha avuto vari contraccolpi politici. Uno dei quali è stato l’allontanamento dal centrodestra, rapido (e anche iroso), di quel pezzo di mondo politico, rappresentato dal vecchio partito radicale di Pannella e Bonino, che invece per molti aspetti (politica economica, sindacale, estera, militare, eccetera) era del tutto organico a quel blocco politico.
Badate che queste crisi, e questi spostamenti netti e veloci, di pezzi di mondo politico ed economico, all’interno degli schieramenti politci, non sono piccole cose: sono, talvolta, gli elementi determinanti di scomposizioni e ricomposizioni che portano a oscillazioni rilevanti nell’asse politico del paese. In questo caso l’oscillazione è a sinistra. Perché è la destra che si indebolisce e che perde una fetta importante della propria identità e della propria cultura.
Naturalmente, però, l’assimilazione di un partito nuovo, in qualunque schieramento politico - in qualunque alleanza, crea problemi. Più vasta è l’alleanza più vasti e complicati sono i problemi. I radicali non possono che stare nel centrosinistra, ma naturalmente soffrono. Per due ordini di ragioni. La prima è il contrasto con la componente cristiano-moderata dello schieramento, dovuta al fatto che i radicali sono molto laici, e anzi - se si può usare la parola senza offesa - anticlericali. Ed è vero che su queste posizioni trovano l’appoggio e la solidarietà soprattutto della parte più radicale del centrosinistra, ma è anche vero che con questa parte della coalizione (cioè, fondamentalmente, con Rifondazione) il conflitto è nettissimo sulla politica economica. E questo è, appunto, il secondo ordine di problemi. Proprio riducendo tutto in pillole, possiamo dire che il partito radicale, ora Rosa nel Pugno dopo l’alleanza con lo Sdi, è ultraliberista e Rifondazione è antiliberista; e che la Rosa nel pugno è interventista in politica estera (e abbastanza filo-americana) e Rifondazione è pacifista e molto critica con l’America.
E’ evidente che tutto questo provoca una sofferenza. E Marco Pannella non può pensare - anche per la sua visione sempre movimentista e molto attiva, moderna, della politica - di lasciare sopire questa sofferenza. Lui la pungola, la esalta, la mette in evidenza. Il modo che gli è più semplice per far questo è accendere la polemica con Bertinotti, con Rifondazione. E’ comprensibile: faccia pure. Se però evita di essere insolente è meglio. E’ più elegante...





















il Manifesto, 01.04.06
Bertinotti: no alla sfida Pannella: «Komunisti»
A.MAN.

Anche senza il confronto tv Marco Pannella cerca di trascinare in uno scontro Fausto Bertinotti, che invece si sottrae. La posta in gioco sono i voti, chissà quanti, di chi intende contrastare o almeno condizionare le forze clericali dell'Unione sui temi che investono la laicità delle istituzioni, dai Pacs alla scuola e a mille altri, sui quali la Rosa nel pugno ha mostrato fin qui una linea più intransigente del Prc.
Da giorni Pannella chiede un confronto televisivo con Bertinotti. E lui gli fa rispondere di no. Ieri mattina il no è stato ribadito un editoriale del direttore di Liberazione: «I dolori e le angosce di Marco Pannella». Toni un po' imbarazzati: «Fausto - scriveva Piero Sansonetti - forse neppure conosce questo desiderio di Pannella».... E accuse di «insolenza» e «ineleganza» al vecchio leader radicale che a più riprese, con il consueto stile del martello pneumatico, aveva definito Bertinotti nientemeno che «compagno di merende di Berlusconi» - proprio lui che amoreggiava con il Polo e solo qualche tempo fa era pronto ad andare con l'uno e con l'altro schieramento, ma oggi è quasi l'incubo del Prc e della sinistra cosiddetta «radicale».
Anche ieri Pannella, fin dal mattino su Radio Radicale, ha insistito. Anzi ha annunciato che c'era stato almeno un primo contatto per l'agognato confronto con Bertinotti. Poi Massimo Bordin, direttore della radio, ha detto di aver saputo dal portavoce del segretario del Prc che «ufficialmente fino al voto Bertinotti si ritiene impegnato a misurarsi con gli avversari e, ritenendo Pannella un alleato, intende datare la sua disponibilità al confronto a dopo il 10 aprile». Un perfetto assist per il suo leader: «Questa impostazione - si legge nell'ultimo comunicato di Pannella - coincide perfettamente (e altrettanto la serve) con quella di Berlusconi. Gli 'avversari' di Bertinotti usano tutto il loro potere, la loro potenza e prepotenza per mostrare e dimostrare agli italiani che lo scontro effettivo è fra la Cdl da una parte, e 'i komunisti' dall'altra. Sicché questi 'komunisti', in primo luogo Bertinotti e Rifondazione, dispongono di tali tempi radiotelevisivi, di propaganda, di 'confronto' con il governo Berlusconi e la sua maggioranza, da rendere plausibile la tesi per la quale l'Unione e soprattutto Prodi non sarebbero altro che mera facciata, per convincerne l'elettorato».













Liberazione, 01.04.06
Concordato, Fassino: va rispettato

«Il Papa parla al mondo intero e i suoi messaggi vanno considerati in questa chiave: come capo della Chiesa cattolica è del tutto legittimo. Altra cosa è utilizzare nella politica italiana le sue parole». Lo ha detto il segretario dei Ds, Piero Fassino. Sul Concordato il leader della Quercia ritiene che non sia una priorità rivederlo: «Il problema è rispettarlo».





















Liberazione, 01.04.06 Festa ieri al X municipio. Ed è polemica. Margherita e Udc: «Una vergogna».
I Dl: «Siamo per la famiglia»
Unioni civili, a Roma la prima volta di tre coppie
Castalda Musacchio

«Ma quali polemiche? Inviterei tutti coloro che le stanno sollevando a venire qui per conoscere le persone che hanno compiuto come dicono loro il “fatidico” passo». Sergio Cherubini (Rc) del decimo municipio non avrebbe mai immaginato che la notizia dell’iscrizione delle unioni civili compiuta ieri per la prima volta a Roma avrebbe sollevato un tale vespaio. A sentire Claudio Moscardelli (vicecoordinatore della Margherita nel Lazio) quello che è accaduto ieri addirittura «confonderebbe l’elettorato». «E’ stata una vera forzatura - continua Moscardelli - e una forzatura che non aiuta il centrosinistra nella difficile competizione elettorale. I pacs o i vari surrogati del matrimonio sono fuori - secondo Moscardelli - dal programma dell’Unione che pone al centro la famiglia e la dignità delle persone». Sarà, eppure, ieri, al decimo municipio, non vi è stata alcuna cerimonia in pompa magna, nessun altare, solo tanti giornaliti - quelli sì - a presenziare un semplice gesto fatto da tre coppie. Di fatto. Che hanno chiesto di iscriversi al registro delle unioni civili inaugurato appunto ieri dopo l’approvazione della delibera municipale da parte del consiglio comunale. Parliamo di Serena e Roberto, Gabriele e Silvia, Daniele e Katia che hanno compiuto il fatidico gesto davanti alle telecamere. A presenziare la cerimonia lo stesso presidente Sandro Medici che prima di accompagnare gli invitati a un buffet ha regalato a ciascuno di loro un bel libro di poesie d’amore. «Forse - suggerisce Cherubini - sarebbe il caso di sfatare tutti i miti che circondano questa questione che pare sia diventata un caso nazionale. Perché non parliamo di loro? Si tratta di persone che hanno voluto essere semplicemente riconosciute come coppie e hanno compiuto una scelta di libertà ma anche di diritti. Possibile che non si riesca a capire questo?». E allora accogliamo l’invito di Sergio Cherubini e parliamo di loro. Serena e Roberto per esempio. Lei 48 anni, lui 51, una vita insieme. Da oltre venti anni. Hanno due fgli di 14 e 10 anni, oltre - come ci tengono a precisare - a «due cani e due criceti». «La nostra? - dice Serena - E’ una scelta di libertà. Non crediamo nell’istituzione del matrimonio ed è per questo che non ci siamo mai sposati. Quello che abbiamo voluto fare è stato un atto simbolico e speriamo davvero che si continui su questa strada. In una coppia ciò che conta - continua Serena - è il dialogo quotidiano, il rispetto, la crescita dei figli». Accanto a Serena e Roberto ci sono anche Gabriele e Silvia. Lui 44 lei 42 anni. Hanno firmato il registro perché lei è in attesa di divorzio. Vivono insieme da dieci anni. «Noi? - spiega Gabriele - Abbiamo deciso di iscriverci al registro delle unioni civili perché pur salvaguardando ciò che la nostra Costituzione intende per matrimonio e che non è da intaccare, è la possibilità di estendere diritti a chi non li ha e a chi non può o non vuole sposarsi. Noi non abbiamo proprio nulla contro l’altro tipo di famiglia, ma crediamo in una società basata sui diritti più civile e più giusta». Di fronte a queste parole chi parla di «vergogna per la città» come fa Luciano Ciochetti (Udc) in realtà dovrebbe per lo meno impallidire. Ma è il caso di specificare quanto detto dal segretario regionale dell’Udc del Lazio per capire davvero ciò che una certa destra pensa. «La gente - ha tuonato Ciocchetti - deve sapere e capire che cosa c’è dietro a quella che la sinistra chiama battaglia per i diritti civili: un attacco vero e proprio alla famiglia che si cerca in tutti i modi di delegittimare. «L’iniziativa intrapresa dal X municipio - continua Ciocchetti - assume contorni ancora più sconcertanti se si pensa che proprio ieri il “Santo Padre” aveva fatto un richiamo ai valori della famiglia e in difesa del matrimonio. Ecco la risposta che un municipio governato dalla sinistra ha voluto dare. Una vergogna». «Domani - aggiunge - con la sinistra al potere avremo pacs, unioni tra persone dello stesso sesso, bambini adottati da coppie omosessuali». Verrebbe quasi spontaneamente da dire: «Magari».
Ma in verità ieri al decimo municipio si è celebrata una vera festa. E all’appello mancava inoltre l’unica coppia omosessuale: Claudio e Alfredo. Nessun ripensamento da parte di uno dei due. E’ stata solo colpa del traffico nel quale è rimasto imbottigliato Alfredo ad impedire la fatidica firma sul registro. Claudio e Alfredo potranno comunque recuperare già dalla prossima settimana quando verranno aperti gli uffici per richiedere l’iscrizione nel registro. E a loro - per lo meno noi - facciamo i più sinceri auguri.





















Liberazione, 02.04.06
Stupro.Come attenuante ... il degrado

Caro direttore, non bastava la verginità... ancora una sentenza della Corte d’Appello che mi fa sobbalzare dalla sedia. Sono state date attenuanti e addirittura uno sconto di pena a due “persone” che hanno violentato per anni una ragazzina poco più che adolescente. E perché sono stati dati attenuanti e sconto di pena? Per l’ambiente degradato, come se questo potesse “giustificare” una violenza. Uno dei due violentatori era il convivente della madre e l’altro addirittura è il marito di un’amica al quale la ragazzina si era rivolta. Sono disgustata e a volte di sembra di vivere in un Paese di barbari. Una violenza è una violenza, soprattutto se perpetrata a una ragazzina che si sta affacciando solo allora alla vita. E che c’entra se vive in un ambiente povero? I valori e il rispetto sono dovunque, in una villa megagalattica come in una stamberga. I valori e il rispetto abitano dentro di noi, non dentro una casa!
Daniela via e-mail






































Liberazione, 02.04.06
Rese pubbliche le motivazione della sentenza di corte d’appello. Intanto negli Usa, condannato l’uomo che aveva fatto firmare un “contraro” da schiava d’amore alla moglie
Violenza sessuale su una 13enne, sconto di pena per «l’ambiente degradato in cui si sono svolti i fatti»


Ieri si sono potute leggere le motivazioni che hanno portato i giudici della corte d’appello di Roma alla concessione delle attenuanti generiche e uno sconto di pena a due imputati accusati di aver violentato nel ’98 e nel ’99 una ragazzina prima e dopo il compimento dei suoi 14 anni. La sentenza di primo grado (2003) si era conclusa con la condanna di un anno e mezzo di reclusione per G. N. (all’epoca convivente della madre della ragazza, poi costretto a lasciare la casa dopo la denuncia alla magistratura) e a due anni («per la maggiore gravità degli atti di libidine compiuti») per G. C., marito della donna cui la ragazzina si era rivolta per confidarle di essere stata oggetto in più occasioni di attenzioni di natura sessuale. Poi la difesa del patrigno aveva presentato ricorso in Cassazione. E a febbraio, con una sentenza choc, la Suprema Corte aveva deciso che lo stupro di una minorenne era meno grave se la ragazzina aveva già avuto rapporti sessuali. Accogliendo il ricorso, la Cassazione aveva dunque rimesso gli atti al giudice di secondo grado perché fosse riesaminato il diniego di un’attenuante («fatto di minore gravità») invocata dall’imputato. Nelle motivazioni della sentenza di secondo grado il collegio, presieduto da Afro Maisto, ha ricordato che «le degradatissime condizioni di vita nell’ambiente in cui i fatti sono maturati non coinvolgono, evidentemente, soltanto la parte offesa e sua madre ma anche gli stessi imputati, ai quali non possono essere negate le attenuanti generiche».

Nessuna attenuante invece è stata concessa a Travis Frey, 33 anni. L’uomo è stato infatti condannato per violenza sessuale e maltrattamenti domestici nei confronti della moglie. Frey durante il processo che, in un primo tempo, lo vedeva imputato per sequestro di persona e violenze, ha continuato a sostenere che i loro rapporti sessuali erano sempre stati consensuali. Prova mostrata in suo favore un vero e proprio contratto da «schiava d’amore» firmato dalla moglie ed esibito nel processo come «una fantasia sessuale ideata da entrambi i coniugi». Ma i giudici dello Stato dello Iowa (Usa) non si sono lasciati convincere dalle “giustificazioni contrattuali” avanzate di Frey, tanto da averlo condannato.



















il Manifesto, 02.04.06
L'angelo Tommy
MARIUCCIA CIOTTA


È stato ucciso perché piangeva, Tommaso, Tommy per tutta l'Italia, incollata alle tv per scrutarne il sorriso, non tornerà nei tg per dare un happy end alla tragedia del suo rapimento. La macchina mediatica in questi giorni ha proposto un doppio racconto dell'Italia, quello della politica, dei plastificati faccia a faccia elettorali, delle scaramucce, sgarbi, insulti e quello di un paese fatto di corpi, pulsioni indecifrabili, orrori e dolori. Ma adesso che Tommy è morto ci appare immenso l'abisso che separa queste due Italie. L'una non interpreta l'altra, è muta e sgomenta.

La sovraesposizione televisiva con le sue luci accecanti ci nasconde quel che c'è nell'ombra, ci informa ma ci nega la conoscenza. Cosa può spiegare l'inconcepibile? Quale linguaggio è adeguato per farci ritrovare la ragione di fronte all'assassinio di un bambino di 18 mesi? La politica dovrebbe fare salti da gigante per rassicurarci che domani sarà un giorno diverso. Una cosa è certa, quel giorno non può che nascere da quell'amato bambino, che adesso tutti nei messaggi inviati nell'etere chiamano angelo.

«Ciao, angelo, mandiamoli sulla forca». «Angelo, aiutaci tu, pena di morte», «Angelo, quei bastardi devono morire» molti sms mandati in onda dicono questo. Parole che sprigionano e diffondono mostri, che li moltiplicano e infettano l'aria. L'onda emotiva che sale in queste ore dice di vendetta, di linciaggi, e segue la spinta delle indiscrezioni e degli abusi mediatici che hanno descritto un set morboso, spietato, dove Tommy era fuori campo. Volgiamo lo sguardo altrove. È solo in quel corpicino, cercato lungo il fiume, che possiamo ritrovare un senso, il desiderio di sconfiggere gli orchi, di essere dalla sua parte. Dalla parte dei più piccoli, di chi non ha voce e che non può neppure piangere.
























La Stampa, 03.04.06
Sartori: «In Italia la destra è raccogliticcia
e la sinistra non ha idee»
di Alessandro Barbera


«Centro contro centro. L’Italia in declino, il bipolarismo in crisi» è il titolo della raccolta di interviste pubblicate da Alessandro Barbera, giornalista de La Stampa per Johan&Levi editore, con la prefazione di Lucia Annunziata. «Le interviste raccolte in questo libro - spiega l’autore - sono state realizzate fra il Natale del 2005 e il febbraio del 2006. L’idea era quella di descrivere, attraverso la testimonianza di politologi, economisti, uomini delle istituzioni e politici, alcune delle grandi questioni che attendono risposta a partire dal 10 aprile 2006. Pubblichiamo uno stralcio del colloquio con il politologo Giovanni Sartori:

Giovanni Sartori«I politici di oggi sono preoccupati solo di cosa scrivono i giornali il giorno successivo. Non sanno più niente di niente. Vivono di sospetti. Spesso dicono bufale o stupidaggini. Dovrebbero parlare meno e leggere di più». Giovanni Sartori non perde mai il piglio tagliente del toscanaccio. Quello del professore di lungo corso che ha osservato e insegnato la politica al di qua e di là dell’Atlantico. Sartori, come sempre, ne ha per tutti. Destra e sinistra. «Una coalizione raccogliticcia» la prima, «senza identità» la sinistra. «Con quale sistema elettorale si voterà dopo il 2006 Dio solo lo sa. Lui, Prodi, dice che il centro-sinistra vuole tornare al sistema uninominale, cioè al Mattarellum, perché darebbe maggiore governabilità. È già stupido che lo dica, la tragedia è che lo pensa»


Professor Sartori, cosa sono oggi la destra e la sinistra in Italia? Come le rappresenterebbe?

«C’èuna destra raccogliticcia nata attorno alla stella di Berlusconi, una specie di armata Brancaleone senza storia il cui pedigree politico, salvo pochi casi, è ancora povero. La sinistra invece ha troppa storia. I sessantenni e i settantenni hanno ancora in testa il Pci di matrice togliattiana e le lezioni delle Frattocchie. Nella vecchia Dc se non venivi dall’Azione Cattolica, se non avevi studiato alla Cattolica, ti tenevano alla larga. Il Pci invece ha fatto tesoro della lezione gramsciana dell’egemonia. Per questo, anche se come indipendenti, a sinistra hanno accolto Guido Rossi e Luigi Spaventa, Gianfranco Pasquino e Furio Colombo. Ma non a caso il nucleo dirigente è ancora costituito da chi proviene dall’apparato di partito».


Quali sono i loro punti di riferimento ideali?

«La destra un’identità vera non l’ha mai avuta, e forse non la cerca nemmeno. I suoi punti di riferimento restano sempre gli stessi: il libero mercato, la concorrenza, la libertà, la fede nell’individuo. Tutte cose di cui però i suoi dirigenti non sanno granché e nelle quali credono solo fino a un certo punto. La destra, intellettualmente, rischia poco. Invece la sinistra è in gravissima difficoltà: ha perso il suo ideale vivente, l’Unione Sovietica. Checché se ne dica, e fino a dopo la vicenda dei missili di Comiso, il Pci ha sempre sostenuto la politica di conquista sovietica. Oggi si arrabatta per cercare un’identità, in un modo a mio avviso stravagante. Dicono “viva i matrimoni gay”; ma si vogliono identificare con i gay? Sia chiaro: io non mi scandalizzo, ma non riesco a capire quale sia il nesso fra omosessualità e la sinistra. Si dicono terzomondisti. Anche in questo caso si tratta di una scelta politica che rischia di identificarli con l’Islam. È di sinistra dire “viva i musulmani”?»


Insomma, per usare una metafora si potrebbe dire che secondo lei la sinistra vaga per il bosco senza bussola. Quale dovrebbe essere la stella polare?
«Per molti anni la sinistra ha avuto una guida sicura in Norberto Bobbio, il quale ha sempre individuato il fattore identificante della sinistra nell’eguaglianza. Aristotele disse che le eguaglianze sono di due tipi: l’eguaglianza aritmetica e quella proporzionale. Se significa “a tutti lo stesso” allora è addirittura il comunismo primitivo, letterale, che si spera archiviato. Se invece si parla di eguaglianza proporzionale allora passiamo a quella di matrice liberale: a tutti le stesse opportunità. Sono d’accordo, ma non lo vedo come vero fattore connotante. Ciò che caratterizza la sinistra è piuttosto l’istanza etica. La giusta società, la difesa dei deboli, la moralizzazione della politica. Mentre la destra capitalistica “tira al soldo”, pensa soltanto alla crescita dell’economia, insomma è sorda alle istanze morali perché non fanno parte del suo patrimonio genetico, la sinistra dovrebbe puntare essenzialmente su questo. L’istanza morale è la sua vera ragion d’essere».


Dai finanziamenti illeciti dell’Unione Sovietica fino alla vicenda Unipol sembra un’istanza un po’ appannata.

«Io cominciai a scrivere di finanziamenti alla politica ai tempi del Corriere di Spadolini. Proposi che ci fosse solo il finanziamento pubblico e che quello in “nero” fosse severamente punito. E invece, nella buona tradizione lassista dell’Italia, si sono sempre fatte entrambe le cose. Finanziamento pubblico e privato, ufficiale e sottobanco».


Però la sinistra italiana ha una tradizione di buongoverno a livello locale.

«Il politologo americano Robert Putnam la elogiava negli anni sessanta. Ma ho la sensazione che si stia perdendo anche quella».


E il tema dell’ecologia? Non potrebbe essere un elemento caratterizzante l’azione della sinistra?

«Lo vado dicendo da tempo. La situazione ecologica è grave, gravissima. Rischiamo il collasso globale. La destra in tutto il mondo ha una fiducia illimitata nel mercato e nelle sue terapie. Compito della sinistra dovrebbe invece essere quello di non crederci. Non capisco perché non sposa fino in fondo la battaglia ecologica. E non è nemmeno vero che sarebbe una battaglia difensiva, contro il progresso. Ripulire la terra è un investimento più importante di quello di sporcarla. Anche la politica ecologica produce stipendi e posti di lavoro. Se la sinistra capisse che la destra su questo tema si è imbottigliata guadagnerebbe popolarità e un sacco di voti. Invece la sua adesione all’ecologismo è marginale. Lo si lascia ai Verdi – che sono ecologisti da quattro soldi– o ammiccando alle battaglie dissennate dei no-global come quella contro la Tav.










Le Scienze, 03.03
La vera scienza. Natura e modelli operativi della prassi scientifica
di Ziman John


Tra i personaggi di La lentezza di Milan Kundera, c’è un entomologo ceco che, epurato durante la repressione della Primavera di Praga, ha appena ripreso la propria attività scientifica a seguito dei fatti del 1990. Quando, a un convegno internazionale, prende la parola, è talmente entusiasta di raccontare la propria vicenda umana e politica (reale motivo dell’interesse nei suoi confronti), da dimenticare la sua relazione sulla mosca, ragione ufficiale della sua presenza al convegno. Troppo tardi - quando ormai scrosciano gli applausi - si accorge della dimenticanza. Lo smacco del personaggio è tutto racchiuso in quell’uditorio che lo applaude senza curarsi del suo lavoro. Ogni scienziato vive in un mondo della produzione scientifica, a sua volta parte di un più ampio «mondo della vita». Non si può capire la scienza, sostiene Ziman, a prescindere dalle sue istituzioni, pratiche e rituali, nonché dai legami con le altre sfere del mondo della vita, dal quale gli studiosi traggono, peraltro, le proprie motivazioni esistenziali, il proprio «senso comune» e l’ immagine di se stessi in quanto scienziati. Ignorando tali aspetti, gli epistemologi hanno spesso fornito immagini della scienza estranee all’esperienza dei ricercatori. Ciò detto, Ziman cerca di descrivere il mondo della prassi scientifica e di avanzare qualche congettura sul futuro della scienza «post-accademica», su cui, complici Internet e i settori «Ricerca & Sviluppo», ci staremmo a suo dire affacciando.
Alfredo Agustoni

La vera scienza. Natura e modelli operativi della prassi scientifica
di Ziman John
Dedalo, Bari, 2002
pp. 490 - euro 20,00

























Le Scienze, 04.06
Maschi Bestiali. Basi biologiche della violenza
di Richard Wrangham e Dale Peterson


Il titolo originale del libro è Demonic Males. Apes and the Origin of Human Violence: non c’è traccia di quel «basi biologiche» presente invece nell’edizione italiana. La precisazione potrebbe sembrare oziosa, ma sul concetto di basi biologiche del comportamento umano il dibattito tra gli scienziati di diversa estrazione assume anche toni pesanti. Soprattutto negli Stati Uniti, dove può capitare di veder litigare ferocemente professori universitari. Da una parte i sostenitori della teoria del gene egoista, secondo cui ogni nostro comportamento è determinato dalla volontà del DNA di essere trasmesso di generazione in generazione. Dall’altra coloro che sostengono l’importanza dell’ambiente, della società, nel plasmare il nostro comportamento. Nella terra di nessuno si trovano personaggi come Richard Wrangham, uno dei primatologi più autorevoli a livello mondiale, e libri come questo, che tenta di analizzare le basi della violenza umana. La tesi è che esista una forte componente biologica, selezionata dall’evoluzione, in grado di spiegare i nostri comportamenti violenti. Secondo gli autori, questa spiegazione poggia sulle solide basi fornite dal comportamento nostri cugini scimpanzé, simili anche nei comportamenti bestiali. Siamo dunque destinati all’ineluttabile violenza della nostra specie, a meno di interventi che eliminino i geni del male? No, perché nel libro si fornisce anche una radice sociale della violenza, che lascia aperte le porte a interventi di carattere culturale. Insomma, lo stupro, uno degli esempi di comportamento bestiale, non è una tattica di fecondazione dettata dal DNA ma un atto volontario da cui ci si difende con norme sociali. Così come ci dovrebbe difendere dalle guerre, figlie terribili sia di un richiamo ereditario sia di una precisa volontà di dominio, con la forza degli strumenti culturali. Basi biologiche, certo, ma senza esagerare.
Giovanni Spataro

Maschi Bestiali. Basi biologiche della violenza
di Richard Wrangham e Dale Peterson
Franco Muzzio Editore, Roma, 2005
pp. 280 - euro 18,00




















Le Scienze, 29.03.06
Intelligenza e sviluppo del cervello
La corteccia si ispessisce nell'infanzia e si assottiglia nella tarda adolescenza


I giovani con un alto QI si distinguono per la velocità con cui si trasforma – ispessendosi o assottigliandosi – la corteccia cerebrale. Lo hanno scoperto i ricercatori statunitensi dei National Institutes of Mental Health. Le scansioni effettuate con la risonanza magnetica funzionale (fMRI) hanno mostrato infatti come la corteccia cerebrale, soprattutto di quella prefrontale, raggiunga la sua massima velocità di ispessimento durante l’infanzia, raggiungendo il suo picco più tardi rispetto ai coetanei meno dotati. Tale meccanismo, spiegano i ricercatori nell’articolo pubblicato sulla rivista “Nature” a firma di Philip Shaw, Judith Rapoport e Jay Giedd, sarebbe il riflesso di una più lunga finestra di sviluppo dei circuiti nervosi che sovraintendono al pensiero di alto livello. Durante la tarda adolescenza, per contro, ha luogo un assottigliamento, probabilmente dovuto a un indebolimento di connessioni neurali non utilizzate via via che il cervello si abitua a ottimizzare il proprio funzionamento.
“Precedenti studi - ha spiegato - hanno dimostrato che i soggetti con un QI più alto non hanno necessariamente un cervello di dimensioni maggiori. Grazie alla tecnologia di imaging del cervello, ora possiamo vedere che la differenza può essere nel modo in cui esso si sviluppa.”
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Le Scienze, 28.03.06
Sonno o veglia, per il cervello pari sono
Il risultato è stato raggiunto grazie a tecniche di risonanza magnetica funzionale


Il sonno rafforza la memorizzazione delle informazioni: a questa nozione risaputa se ne aggiunge ora un’altra, frutto delle ricerche svolte presso l’Università di Liegi, in Belgio. A quanto risulta in base ai test con l’ausilio della risonanza magnetica funzionale (fMRI), un meccanismo simile è attivo anche di giorno. In definitiva, il cervello non smette mai di elaborare e strutturare ciò che dovrà ricordare in futuro.
Philippe Peigneux, primo firmatario dell’articolo che è apparso sulla rivista PloS Biology ha monitorato, in due sessioni separate di alcune settimane, l’attività cerebrale di un gruppo di volontari mentre essi erano impegnati in un compito di attenzione uditiva. In ciascuna sessione ogni compito durava 10 minuti e, tra uno e l’altro, trascorreva una mezz’ora, durante la quale i volontari dovevano imparare qualcosa di nuovo: nella prima sessione un itinerario in una città virtuale; nella seconda alcune sequenze di rappresentazioni visivo-motorie.
L’attività cerebrale durante il secondo e il terzo monitoraggio dei compiti di attenzione uditiva erano sistematicamente modificati, rispetto al primo, dal tipo di esperienza di apprendimento che aveva luogo nella mezz’ora di pausa. I risultati della risonanza magnetica funzionale, inoltre, hanno permesso di concludere che nel corso dei compiti di attenzione aveva luogo l’elaborazione delle tracce mnemoniche appena formate.
Più in generale, lo studio dimostra per la prima volta come il cervello umano non agisca semplicemente mettendo in stand by le nuove informazioni acquisite finché vi è un periodo di calma o di sonno che consentano di rafforzarle. Piuttosto, sembra che continui a elaborarle dinamicamente non appena ha fine l’episodio cognitivo, anche se deve affrontare una serie ininterrotta di attività differenti.
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Le Scienze, 23.03.06
L'apprendimento linguistico comincia a 10 mesi
Nel corso di un test, anche sotto l'anno di vita i soggetti hanno imparato due parole nuove per ogni sessione


I bambini cominciano ad ascoltare e a imparare le prime parole fin dall’età di 10 mesi, ma apprendono solo le parole che designano gli oggetti che sono di interesse per loro, non di colui che parla. È questa la conclusione di uno studio svolto dai ricercatori della Temple University, dell’Università del Delaware e dell’Università di Evansville il cui resoconto è pubblicato sulla rivista “Child Developement”.
Nel corso dello studio, i ricercatori hanno mostrato ai bambini due oggetti separati, uno per loro “interessante” e uno “noioso” per insegnare loro nuove parole e per capire in che modo fossero influenzati, utilizzando poi una specifica misura del loro grado di comprensione linguistica. Si è così trovato che anche i bambini molto piccoli possono imparare due nuove parole peroogni sessione di test, ma seguendo il proprio gusto.
“Ciò che abbiamo rilevato è che lo sperimentatore può guardare un oggetto, prenderlo in mano, e anche muoverlo, ma il bambino naturalmente assume che la parola che proferite sia associata al loro oggetto di interesse, e non all’oggetto verso il quale voi mostrate interesse”, ha spiegato Leftkowitz, docente di psicologia e direttore dell’Infant Lab della Temple University.
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Le Scienze, 16.03.06
C'è movimento e movimento
L'esperimento mostra quanto siano radicati nell'uomo i rapporti sociali


In un articolo apparso sul numero odierno di Neuron, Marius Peelen e colleghi dell’Università del Galles a Bangor riferiscono i risultati di una serie di esperimenti in cui, grazie all’uso della risonanza magnetica funzionale, hanno potuto scoprire che per il nostro cervello non tutti i movimenti sono uguali. In particolare, se si osserva un “movimento biologico” si attivano aree altrimenti silenti.
I ricercatori hanno fornito ai loro soggetti solo informazioni relative al movimento e non alla forma umana, mostrando su uno schermo un’animazione di pochi punti luminosi che mimavano un movimento umano di salto o di corsa.
In altre sedute mostravano invece punti che seguivano le stesse traiettorie, ma senza essere disposti in un modo da suggerire l’analogia.
Hanno così notato che mentre in quest’ultimo caso venivano attivate solamente le regioni destinate a identificare il movimento in generale, nell’altra situazione entravano in funzione immediatamente anche le aree che si attivano in risposta alla visione di corpi umani o facce, mobili o immobili che siano.
Secondo i ricercatori questi risultati mettono in evidenza quanto sia basilare nella nostra specie la funzione svolta dai rapporti sociali.
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Le Scienze, 09.03.06
Uomo-scimpanzé: la differenza è nell'espressione dei geni
Forse è stata determinante l'abitudine alla cottura degli alimenti


Le differenze fra esseri umani e scimpanzé non è tanto dovuta a singoli geni in sé, quanto a variazioni nei meccanismi di regolazione dei geni: è quanto risulta da uno studio condotto da ricercatori dell’Università di Yale e dello Hall Institute a Parkville, nello Stato di Victoria, in Australia.
Lo studio conferma l’ipotesi più accreditata, che era stata avanzata dopo la scoperta che scimpanzé ed esseri umani condividono il 99 per cento circa dei geni.
Per ottenere il risultato Yoav Gilad e Kevin White hanno messo a punto il primo dispositivo in grado di misurare le variazioni nell’espressione dei geni in specie differenti, che essi hanno poi applicato al confronto fra essere umano, scimpanzé, orango e macaco reso. Hanno così potuto confrontare i livelli di espressione simultanea di 1000 geni. "Se guardiamo all’espressione dei geni – ha detto Gilad – troviamo pochissimi mutamenti nei 65 milioni anni dell’evoluzione di macachi, oranghi e scimpanzé, seguiti da rapidi cambiamenti lungo la linea evolutiva che in 5 milioni di anni ha portato all’uomo. Il nostro studio mostra che questi cambiamenti hanno interessato un piccolo, specifico gruppo di geni. Da quando questa linea evolutiva si è allontanata dal primate ancestrale comune, la probabilità di un cambiamento nei geni per i fattori di trascrizione, ossia quelli che regolano l’espressione di altri geni, è diventata quadrupla rispetto alla probabilità di un mutamento nei geni che essi regolano. Questo rapida evoluzione nei fattori di trascrizione è avvenuta soltanto nell’uomo.”
La grande questione aperta riguarda quali cambiamenti nell’ambiente o nello stile di vita possano aver determinato questo rapido cambiamento nell’uomo ma non negli altri primati. Secondo gli autori della ricerca – pubblicata sul numero odierno di Nature – un ruolo essenziale può essere stato svolto dal cambiamento di dieta e, in particolare, dall’acquisizione del fuoco e dell’uso di cibi cotti. "Forse qualcosa nel processo di cottura ha alterato le esigenze biochimiche per lo sfruttamento massimale dei nutrienti, o la necessità di una metabolizzazione naturale delle tossine presenti negli alimenti animali e vegetali."
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Corriere della Sera, 03.04.06
Dai laboratori del MIT
Gli occhiali che tradiscono le emozioni
E' un dispositivo che, attraverso un paio di lenti, è in grado di leggere gli stati d'animo. Studiato per gli autistici


MASSACHUSSETTS, (Usa) - Decisamente frustrante comunicare con una maschera che non tradisce emozioni, due occhi che non dicono nulla, nessuna mimica facciale in grado di fornire indicazioni sullo stato d'animo. Dedicato alle persone con problemi di autismo, l'emotional social intelligence prosthetic, attraverso una micro-telecamera fissata sugli occhiali, è in grado di elaborare le espressioni facciali dell'interlocutore, cogliendone disinteresse, disappunto o tedio. Ma secondo la madre dell'invenzione, Rana El Kaliouby del Media Lab del Massachusetts Institute of Technology, potrebbe anche aprire nuove frontiere tecnologiche nell'insegnamento o nelle scienze sociali.
AUTISMO - Il disturbo autistico si sviluppa entro il terzo anno di età, e si manifesta come una netta diminuzione delle capacità del bambino nelle aree di interazione sociale e del linguaggio. Per la medicina l'autismo è «una condizione psichica di distacco dalla realtà e di prevalenza del mondo interiore. … porta al progressivo ritiro degli interessi e degli affetti del mondo esterno, per cui il soggetto vive in un mondo proprio: mondo che può essere popolato da deliri e allucinazioni, o caratterizzato da un completo isolamento mentale…». Non tutti sono concordi con questa definizione e ancora non è chiaro se all'origine della patologia ci siano cause ambientali o genetiche. Certo l'interazione con una persona autistica è difficile, talvolta impossibile. Non c'è contatto oculare, non c'è palesamento delle emozioni, qualcosa che dica se al di là di quella cortina di ferro c'è gioia, noia, irritazione, confusione.
L'APPARECCHIO - Questo congegno fresco di laboratorio, come spiega New Scientist , avvisa il suo utilizzatore attraverso vibrazioni del palmare collegato a un paio di occhiali ogni qual volta sorge un nuovo stato d'animo. Al software, basato su un algoritmo, sono stati «mostrati» più di cento videoclip, da 8 secondi ciascuno, in cui una serie di attori simulavano differenti emozioni. Una volta registrato questo archivio, l'applicazione ora è in grado di rilevare le condizioni emotive da impercettibili movimenti delle palpebre o del naso. Nel caso di espressioni non memorizzate il margine di errore è del 10 per cento se simulate da attori e del 36 per cento se raccolte da persone sconosciute. Solita vecchia dialettica tra intelligenza umana e artificiale. Forse la macchina può arrivare laddove non arriva l'uomo persino nel terreno più umano che ci sia: le emozioni.
Emanuela Di Pasqua
















La Stampa, 25.03.06
Che parto difficile, la psicoanalisi
Al di là delle polemiche, l’edizione antologica delle opere di Freud e dei suoi allievi e seguaci, ideata da Ranchetti, ha il merito di documentare il lento e contraddittorio formarsi di una disciplina che aspirava a divenire scienza, il dibattito interno, le origini di un movimento con ortodossi e eretici


AL pari della teologia, la psicoanalisi è un sapere infondato. Entrambe cercano di conciliare una fede con la ragione. Entrambe aspirano a una validità universale delle leggi individuate, siano esse leggi generali dello sviluppo psichico o leggi di natura, dimenticando che anch’esse, almeno così come le veniamo scoprendo, sono storicamente determinate. Entrambe si valgono di ingegnosissimi accrocchi concettuali e mettono in campo topologie affascinanti, movimenti dialettici del pensiero, nuovi linguaggi che poi diventano, spesso a sproposito, koiné. Entrambe accompagnano gli adepti lungo un cammino di salvezza, trascendente o immanente, e si contendono la nostra anima. Di entrambe è dubbia l’efficacia. Però sono tra le più meravigliose macchine di senso finora inventate. Una inserisce Dio l’uomo il mondo e l’universo tutto in un grandioso orizzonte di eternità sul cui sfondo si agita una vicenda storica di caduta e di redenzione; l’altra compone i frammenti sparsi e insensati della nostra esistenza in una storia dotata di significato; e poco importa che a uno sguardo scientista entrambe le costruzioni poggino sul nulla. O sul tutto della fede, che però è un’esperienza personale, difficilmente partecipabile a chi non abbia percorso il medesimo cammino. Di tutto ciò è ben avvertito Freud se si sente in dovere di chiedere scusa per il suo procedere senza corda di sicurezza: «Spero che il lettore (…) sarà ora indulgente se per una volta la critica si ritira di fronte alla fantasia e se verranno esposte cose non sicure, semplicemente perché sono stimolanti e permettono di guardare lontano». Ora una brillante iniziativa editoriale (merito di Michele Ranchetti, che l’ha ideata e curata, e della Bollati Boringhieri che l’ha accettata e prodotta) ci mette sotto gli occhi il lavoro che ha istituito il più recente dei due saperi, la psicoanalisi. Sono infatti appena usciti, e già hanno suscitato furibonde polemiche nell’ortodossia, due dei 10 volumi previsti che riproporranno la parte più significativa delle opere di Freud: il terzo, Scritti di metapsicologia, curato da Michele Ranchetti, e il quinto, Sulla storia della psicoanalisi, a cura di Martin Dehli. Ogni volume della serie accompagna i testi canonici (ma ci sono anche inediti preziosi: nel terzo, a esempio, c’è una prima mondiale assoluta, un Frammento inedito che è uno straordinario compendio di psicoanalisi, oltre che una sorprendente interpretazione del rapporto tra cristianesimo e omosessualità) con documenti che contestualizzano la ricerca, spesso drammatica sempre appassionante, di Freud. Abbiamo quindi lettere, verbali di riunioni, regole di iniziazione e di formazione, recensioni, articoli o estratti di opere dei seguaci e allievi: si delinea in tal modo il lento e contraddittorio formarsi di una disciplina che aspira a darsi rango e statuto di scienza, a inventarsi il suo lessico e a formare i suoi accoliti. In una bella veste grafica, che innova richiamando però la tradizionale eleganza della Boringhieri, ogni volume è poi ricco di apparati: una introduzione generale, introduzioni alle singole sezioni interne, note, bibliografie, fortuna editoriale dei testi presentati: insomma, un modello che sarebbe bello diventasse un prototipo per iniziative analoghe in altri campi. E’ affascinante, anche per i non addetti, seguire il dibattito interno, le tattiche e le strategie verso l’esterno, soprattutto verso l’ambiente medico, ovviamente, e l’elaborazione di una paideia di gruppo. Non solo si definiscono particolareggiati piani di studio, ma ci si preoccupa anche dell’analista che si trova a operare da solo in una città sconosciuta come fosse un giovane monaco bisognoso di una guida, un famulus o «garzone», come viene definito. La costruzione del movimento psicoanalitico è molto simile al costituirsi di una Chiesa, con ortodossi ed eretici. Esemplare in proposito il distacco e la radiazione di Jung, l’allievo prediletto. Il moto, come accade, è duplice: allontanamento da parte sua e anatema da parte del gruppo, qui preparato a freddo da una sconfessione di Abraham, che recensendo La libido scrive : «Jung non ha più alcun diritto di chiamare con il nome di “psicoanalisi” le opinioni da lui sostenute». Analogo il trattamento riservato all’altro grande eretico, Adler. E’ inoltre ora possibile, grazie ai testi diciamo accessori, dare nuovo senso a quelli canonici, che si spogliano dell’aura della genialità intangibile acquisendo in compenso una dimensione concreta: la psicoanalisi non è come Minerva che esce tutta armata dalla testa di Giove ma è frutto di un paziente lavoro su un’intuizione che matura accumulando dati, tra ripensamenti e giri a vuoto, confronti e scontri e frustrazioni, nella difficoltà di dire ciò che al tempo era indicibile (ma ancora oggi, nonostante il, o forse proprio a causa del, libertinismo coatto). Proprio qui sta forse l’utilità maggiore di questa edizione del corpus freudiano: esso si mostra nel suo divenire, incrociato con altri interessi culturali (l’etnologia, l’antichità classica, la mitologia ecc.), percorso da mille rivoli, frastagliato in direzioni diverse, in una continua apertura di nuove costellazioni di senso. E soprattutto nella consapevolezza, ben presente in Freud, di non possedere una verità definitiva, ma di avvicinarsi a essa per approssimazioni successive, in un cammino sempre asintotico.

Sigmund Freud
Scritti di metapsicologia
a cura di Michele Ranchetti
Bollati Boringhieri, pp. 534, e
Sulla storia della psicoanalisi
a cura di Martin Dehli Bollati Boringhieri, pp. 324, e
22 SAGGI Gianandrea Piccioli





























La Stampa, 18.03.06
Bollati Boringhieri: sarebbe un errore ingessare Freud
Intorno al dibattito sulle traduzioni degli «Scritti di metapsicologia» Il direttore editoriale Cataluccio: «Polemica fuori luogo, auspichiamo una discussione serena sulla terminologia freudiana, alla luce dei nuovi studi»
di Mirella Appiotti


CHE li abbia seccati è inevitabile. Manca comunque qualsiasi astio, almeno per telefono, a Francesco Cataluccio, direttore editoriale di Bollati Boringhieri, in relazione alla polemica innescata da Umberto Galimberti su Repubblica a proposito delle traduzioni di Michele Ranchetti degli Scritti di metapsicologia, terzo volume, secondo in ordine di uscita, dei dieci tomi previsti per la collana «Sigmund Freud-Testi e contesti», impegno notevolissimo che si concluderà entro i prossimi tre anni (prima comunque del 2009, anno in cui Freud uscirà dai «diritti») e che, come sottolinea Ranchetti nella sua risposta al filosofo non «intende assolutamente sostituirsi ai 12 volumi dell'Opera di Freud, vanto della casa editrice cui anzi idealmente si riferisce...». Mentre Stefano Mistura su «L'Indice» elogia il lavoro di Ranchetti, certo non l'ultimo venuto nel mondo psicoanalitico, Galimberti aveva messo in dubbio la versione italiana di alcuni capitali termini freudiani individuando poi più d'un refuso (il piccolo Hans passato dai suoi 5 anni a 15...). «Alla base della polemica c'è un equivoco - sottolinea Cataluccio - anzi la polemica dovrebbe qui essere fuori luogo. Invece una discussione serena sulla terminologia di Freud, alla luce dei nuovi studi, sarebbe quanto mai necessaria». Insomma andare avanti rivedendo se necessario il passato è pressochè una tautologia per case editrici di progetto, le poche rimaste, come la Bollati che si muove su terreni sempre impegnativi (vedi uno dei titoli più importanti e imminenti La fantasia delle immagini-Aby Warburg e la storia dell'arte di George Didi-Huberman), anche quando decide di rivolgersi ad un lettore non accademico (vedi in arrivo nella narrativa delle «Varianti» il romanzo «cinese» di Maurizio Ciampa; la inquietante Vera della von Arnim; lo smarrimento tra i labirinti del passato e le «meraviglie» del Nuovo Mondo Flessibile in Piove all'insù di Luca Rastello); ad un lettore in lotta con il tempo, proprio quel tempo materiale per leggere quanto mai risicato, frammentato, divenuto schizofrenico. Così nasce «Incipit» Centopagine o anche meno, libriccini a non più di 10 euro (a prezzi di copertina equi rinasce anche la Universale Bollati Boringhieri entro cui segnaliamo i due volumi di Una guerra civile di Pavone, indispensabile specie per i più giovani) per «offrire quell'affascinente genere di testi che stanno a metà strada tra l'informazione e la letteratura: i saggi. Non studi ponderosi, con molte note, né divagazioni letterarie con molti aggettivi: un genere che scommette sulla scrittura per arrivare a chiarire meglio ciò che l'argomentazione scientifica stenta a mettere a fuoco. «Incipit» è l'inizio, l'attacco,la prima nota che fa capire quale sarà la composizione...». Non per nulla l'autore del primo titolo Sui sogni è Adorno, filosofo e anche musicista, ma nei nove che usciranno tra maggio e giugno, i temi spaziano in tutti i campi del sapere rivelando lo spirito della piccola collana che l'editore riassume in una parola: curiosità. Per palati fini, naturalmente poichè si va dalle riflessioni Sulla malattia di Viginia Woolf, «uno dei saggi più rivoluzionari, più ambiziosi e meno noti» dove l'autrice di «Gita al faro» lamenta «che la letteratura non abbia rivolto alla malattia fisica altrettanta attenzione che alle attivtà della mente», all'ultima stazione del lungo viaggio dell'husserliano Günther Anders (primo marito di Hannah Arendt, di lui la Bollati pubblica a settembre Contro Heidegger) sull'obsolescenza delle emozioni e dei sentimenti schiacciati dalla Tecnica che ha reso «l'uomo antiquato» e dove, in questo «incipit», anche L'odio è antiquato diventato «un sovrappiù per occasioni speciali...»; dal Jackie Derrida. Ritratto a memoria di Maurizio Ferraris, «una chiave nuova per leggere il pensiero e la vita del filosofo, a cominciare perfino dal suo nome: Jackie e non Jacques, questo solo uno pseudonimo, poichè «gli ebrei d'Algeria non amavano dare nomi troppo cattolici ai figli...», al Diario americano dell'economista Giulio Sapelli, a La nascita del fascismo di Angelo Tasca, a La prova matematica dell'esistenza di Dio dimostrazione del grande logico non credente Kurt Gödel. Poi Roberta De Monticelli, Herman Strobel e, dall'autunno, Kant, Dostoevskij, Bialik, Barrie, Ivan Illich con il suo «Elogio della bicicletta». Piccoli saggi nei quali - è l'idea di Cataluccio - sta il futuro della comunicazione culturale e del sapere non universitario. Ma in essi sta anche, forse, una delle prospettive più interessanti di una letteratura che non vuole essere di puro intrattenimento».