sabato 10 giugno 2006

Repubblica 10.5.06
Sempre più terapie avvengono on line. Il parere degli esperti: "Va bene nelle fasi iniziali, ma ci deve essere anche il contatto diretto"
"Il lettino è morto", psicanalisi via Internet
I medici Usa: permette di raggiungere più pazienti. Rivoluzione anche in Italia
Il setting. La disposizione classica separa la persona in analisi da chi lo ascolta
L'evoluzione Nel tempo si è diffusa la consuetudine di sedersi uno di fronte all'altro
di Elena Dusi


ROMA - Il lettino dell'analista sta scomparendo negli Usa, e anche in Italia non si sente troppo bene. I suoi eredi sono schermo, tastiera e webcam. Se negli Stati Uniti la terapia online è oggi raccomandata dall'Associazione psichiatrica americana, in Italia si affacciano le prime applicazioni. Studi privati che offrono consulenza via mail o chat, progetti pilota per i pazienti che non possono alzarsi dal letto di ospedale, un forum sperimentale per adolescenti organizzato dalla Asl Roma E, e un progetto di ricerca con dieci "sedute" online sul sito dell'università di Bari. «Il futuro della medicina va verso l'uso della rete. La psichiatria non rimarrà estranea a questa tendenza» prevede Carlo Altamura, psichiatra all'università di Milano. «L'intervento via Internet ha molti limiti, ma ci permetterebbe di raggiungere quei pazienti che non hanno voglia di presentarsi in uno studio». Ancor prima dell'arrivo dell'onda di Internet, il lettino con il paziente disteso e il medico alle sue spalle ha in realtà già fatto il suo tempo. «Psicanalisi a parte, il setting tipico di uno studio di psichiatria o psicoterapia prevede terapeuta e paziente seduti uno di fronte all'altro su due poltroncine» spiega Altamura.
Durante l'anno scolastico in conclusione, la Asl Roma E ha aperto un portale sulla salute mentale per 32 scuole della capitale. «I ragazzi erano liberi di confrontarsi tra loro in un forum o di chiedere l'intervento di un terapeuta. Di fronte a problemi normali, sofferenze che non raggiungono il livello di patologia, il confronto in rete è stato utile. I ragazzi si sono resi conto che il dolore è un'esperienza comune che in genere viene superata senza conseguenze. Ma di fronte a un vero disturbo psichiatrico non credo che la terapia online sia sufficiente» spiega Tommaso Losavio, psichiatra curatore del progetto.
Sono gli stessi professionisti della psicologia in rete a riconoscere i limiti dello strumento. Vito Pisa, psicoterapeuta e responsabile della consulenza online del sito psicologinrete.it di Avellino, racconta. «Abbiamo un anno di vita, una rete di studi in molte città e in media riceviamo tre contatti a settimana. Ci sono capitati pazienti con tendenze suicide. Gli abbiamo subito consigliato di rivolgersi ai servizi competenti». La rete raccoglie una nicchia di individui che esigono l'anonimato. «Siamo stati contattati - spiega Pisa - da diverse donne che sospettavano comportamenti pedofili da parte di mariti o compagni».
Comunicare attraverso uno schermo, fanno notare gli analisti, fa perdere molto dell'immediatezza della comunicazione. «Vis à vis con il paziente - dice Domenico Nesci, psicanalista, ricercatore alla Cattolica di Roma - possiamo cogliere i lapsus, le frasi lasciate a metà. Un testo scritto è molto meno immediato». Come comunicare la diagnosi via computer è un problema ancora tutto da studiare. «Il counseling on line può aiutare nel monitoraggio di una terapia già consolidata, o in caso di un lungo viaggio del paziente, ma non credo possa sostituire il contatto diretto. Il canale principale della comunicazione in psicoterapia è fatto da reazioni immediate, la mimica facciale del paziente, la sua spontaneità» ritiene Andrea Fossati, professore di psicologia clinica al San Raffaele di Milano.
L'esperimento dell'università di Bari (www.psichiat.uniba.it), nato da un'idea di uno psichiatra e di un fisico informatico, non ha finalità terapeutiche, ma serve come aiuto per conoscere meglio se stessi. «Recentemente è stato scoperto - spiega Piero De Giacomo, professore di psichiatria nell'università del capoluogo - che un testo scritto contiene molte informazioni che il discorso orale trascura. Scrivere richiede la capacità di ordinare i propri pensieri. Il modo in cui questo viene fatto ci dà molte informazioni sulla mente degli individui che si presentano a noi tramite la rete».

INTERVISTA
Lo psicoterapeuta Cicogna: l'analisi è un percorso complesso. Non si può abdicare agli strumenti classici
"Ma da lontano non si va in profondità"
Utile per attività preventive e sostegno alle famiglie
Si risolvono problemi ma in maniera accidentale

ROMA - «Cambiano i rapporti all'interno della società, e cambia anche il rapporto medico-paziente», sostiene Massimo Cicogna, antropologo, psicoanalista e presidente della European Psychoanalytic and Psychodynamic Association.
Negli Stati Uniti medici e pazienti sembrano apprezzare il vantaggio di potersi raggiungere in rete.
«Il sistema è in sintonia con la filosofia anglosassone utilitaristica e pragmatica. Terapie brevi o focali possono trarre vantaggio da Internet. Ma la psicoanalisi è tutta un'altra cosa. Non possiamo pensare di seguirla via computer».
Qual è la differenza?
«Psicoanalisi è andare in profondità. È un iter, un percorso paragonabile alle pratiche iniziatiche e filosofiche dell'antica Grecia. Questa disciplina non può abdicare agli strumenti che le sono propri. Accanto agli psicanalisti esistono poi gli operatori della psiche, che cercano di risolvere problemi specifici e si rivolgono anche a strumenti come Internet. Stiamo parlando di due ambiti distinti».
Quali le possibili applicazioni della consulenza online?
«Compilare schede, questionari con domande e risposte, raccogliere dati. Svolgere tutti quelle ricerche in cui servono dati sintetici, compendiati e consultabili rapidamente. O anche svolgere attività di prevenzione e sostegno alle famiglie. In breve, la consulenza online è utile quando non c'è bisogno di raggiungere la profondità. Quando basta affrontare un problema limitato senza porsi questioni sui massimi sistemi».
Ma la psicoanalisi non serve a risolvere i problemi?
«La psicoanalisi risolve qualche problema, ma in maniera accidentale. Il suo approccio è diverso rispetto alle terapie mirate, più culturale. Ma visto che la cultura occidentale ormai è completamente omologata, anche il rapporto medico-paziente sta subendo l'onda del cambiamento». (e. d.)

Liberazione 10.6.06
La casa farmaceutica Eli Lilly già lavora ai nuovi foglietti illustrativi con le indicazioni per pazienti oltre gli 8 anni
L’Europa prescrive Prozac ai bambini. Ma in Italia c’è chi si ribella all’uso dello psicofarmaco
di Tiziana Barrucci


«La nostra non è una cultura farmacologica, soprattutto quando si parla di bambini». E’ netto il commento del neuropsichiatra infantile Enrico Nonnis a proposito dell’uso del Prozac nell’età evolutiva. La novità è senza dubbio grande: l’agenzia comunitaria del farmaco (Emea), ha autorizzato l’utilizzo del medicinale sui bambini con un’età superiore agli otto anni. Anche se da tempo l’impiego pediatrico di alcuni antidepressivi è diffuso in alcuni paesi del vecchio continente, il via libera dell’Emea sostanzialmente permetterà alla casa farmaceutica Eli Lilly di inserire nei nuovi foglietti illustrativi l’indicazione “per pazienti di età superiore a 8 anni”.

Una novità che ha scatenato un coro di «no» a tutti i livelli, soprattutto medico. E non soltanto perché secondo diversi studi la percentuale di bambini con pensieri suicidi è nettamente maggiore tra coloro che assumono prozac rispetto a quelli che ingoiano una pillola placebo, ma soprattutto perché «scegliere la via del prozac per quei bambini che vengono ritenuti “depressi” rappresenta una scorciatoia pericolosa», continua Nonnis. In generale un malessere di questo tipo ha delle cause socio- psicologiche che vanno rintracciate e curate con approcci multidisciplinari. «Un’idea che in Italia fino a oggi è maggioritaria e che non andrebbe in nessun modo modificata».

A otto anni si può essere “depressi”? «Difficile la risposta - spiega Emilio Lupo, presidente di psichiatria democratica - io tenderei a parlare di un bambino “triste” e a ricercare le motivazioni di tale tristezza nella famiglia, nelle istituzioni formative, nell’ambiente che lo circonda. Per questo dare usare un farmaco è improprio. Noi parliamo spesso di “presa in carico”, che vuol dire avvicinarsi al problema da diverse angolazioni: sociale, psicologica pedagogica e non farmacologica».

Ma l’Emea non sembra avere dubbi: gli effetti benefici del prozac sono maggiori dei potenziali rischi del trattamento in bambini e adolescenti con forme depressive, si legge nel comunicato. Una risposta che non convince, poiché in molti non tengono solo a sottolineare gli effetti collaterali - che pure esistono e sono molti - del farmaco. «In tanti casi si tratta di effetti che si potrebbero vedere nel bambino dopo diversi anni - ricorda Lupo - per questo non vorrei soffermarmi su di essi, ma su un approccio che non può e non dovrebbe essere condivisibile».

Il punto è infatti quello di una sorta di «biologismo», una «volontà di ricercare cause biologiche a situazioni che derivano da realtà sociali», come spiega Erminia Emprin, responsabile dipartimento welfare di Rifondazione. Le fanno eco la psicologa Giusy Gabrieli e lo psichiatra Luigi Attanasio, direttori di dipartimenti salute mentale a Roma: «parliamo di problematiche che devono essere affrontate a livello socio psicologico. Questo utilizzo farmacologico mi spaventa perché rinvia a un’idea di controllo sociale, di normalizzazione che a lungo andare è davvero pericolosa. Le problematiche dei bambini o degli adolescenti spesso sono legate a realtà dove l’assenza di figure di riferimento nel mondo degli adulti è determinante». Quali potranno essere i passi successivi in italia, una volta dato il via a livello europeo al prozac per gli under 18? «Il lasciapassare europeo non condiziona l’Italia, che potrà avere ancora spazi di manovra. Sarà compito del ministro convocare le organizzazioni scientifiche e interloquire».

Anche Attanasio non ha dubbi: «non possiamo ridurre l’uomo a una sinapsi. Bisogna stare attenti a quello che ormai appare come il “mercato delle malattie”, alla tendenza delle case farmaceutiche non solo di lanciare le medicine, ma di definire le nuove malattie che dovrebbero essere curate con quelle pillole». Attanasio va anche oltre nella sua critica, ricordando un po’ di storia della Eli Lilly, la casa farmaceutica americana che produce il prozac e che oltreoceano sta avendo molto successo: «tra il 1977 e il 1979 Bush senjor era nel consiglio di amministrazione, ricorda. E nel 1992, da presidente degli Stati uniti d’America salvò l’azienda dagli attacchi dei tribunali proprio sulla questione del prozac».

venerdì 9 giugno 2006

Corriere della Sera 9.6.06
L’agenzia europea del farmaco accoglie il modello americano: «Più vantaggi che rischi»
Già sperimentato negli Usa. L’agenzia Ue: ma approfondire gli studi
Autorizzata la cura antidepressiva per chi ha più di 8 anni
Bambini depressi, via libera dall’Europa al Prozac dagli 8 anni
di Margherita De Bac


L’agenzia comunitaria del farmaco, l’Emea, ha approvato l’uso del Prozac nei bambini con depressione moderata o grave sopra gli 8 anni. I vantaggi sono stati ritenuti superiori ai rischi. Lo psicofarmaco dovrà essere prescritto solo dopo aver verificato l’inefficacia della psicoterapia. Due anni fa negli Usa era stata autorizzata la prescrizione sopra i 6 anni.

ROMA - La barriera cade anche in Europa. L’agenzia comunitaria del farmaco, l’Emea, ha approvato l’uso del Prozac nei bambini con depressione moderata o grave sopra gli 8 anni. I vantaggi sono stati ritenuti superiori ai rischi. Lo psicofarmaco dovrà esere prescritto però in seconda battuta, solo dopo aver verificato l’inefficacia della psicoterapia che resta l’intervento di prima scelta. L’iniziativa arriva a distanza di due anni da quella quasi sovrapponibile dell’agenzia americana Food and drug administration (Fda) che aveva autorizzato la prescrizione di quelle pillole dai 7 anni. Non che l’impiego pediatrico dei cosiddetti Srri (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina), categoria di antidepressivi ai quali appartiene la fluoxetina (nome chimico del Prozac) non fosse già diffuso. La novità rispetto al passato è che i nuovi foglietti illustrativi conterranno l’indicazione per pazienti di età superiore a 8 anni. Finora invece si parlava di prescrizioni out of label , fuori etichetta, su iniziativa individuale del medico.
L’Emea ha raccomandato alla società Eli Lilly di condurre studi clinici più approfonditi. Sarebbe stata proprio l’azienda, su spinta della Gran Bretagna, a chiedere all’agenzia europea di aggiungere alle indicazioni per la fluoxetina anche la depressione infantile. Informazione smentita dal produttore della molecola più nota nel mondo, 56 milioni di consumatori: «Non l’abbiamo mai promossa né intendiamo farlo in Italia - dice Grazia Dell’Agnello, responsabile area sistema nervoso centrale della Eli Lilly Italia - L’intervento di Emea e Fda americana è giustificato solo dal fatto che ne è stata riconosciuta l’efficacia sulla base di evidenze scientifiche. Ci muoviamo con estrema cautela».
Da noi l’antidepressivo più prescritto ai minori sotto i 18 anni non è la fluoxetina ma la paroxetina, finita sul banco degli imputati per aver causato una più alta incidenza di suicidi. Lo fa notare Maurizio Bonati, responsabile del dipartimento materno infantile dell’istituto Mario Negri di Milano: «Il punto debole della decisione è che si fonda su pochi studi relativi ad un numero basso di pazienti. Direi però che si tratta di un provvedimento positivo. Adesso dovremo monitorare attentamente le conseguenze nei bambini depressi. Soprattutto bisognerà fare attenzione alla correttezza della diagnosi. Il rischio è che il Prozac venga impiegato senza necessità». Bonati insiste sul fatto che la precedenza venga data alle terapie comportamentali-cognitive, quindi non farmacologiche. La stima è che l’1% delle adolescenti sopra i 14 anni prendano psicofarmaci, fra i maschi la percentuale è più bassa.
L’Emea ha posto condizioni molto stringenti: il Prozac andrà prescritto solo in caso di fallimento di cure psicologiche (4-6 sedute di analisi), se dopo 9 settimane non ci sono segni di miglioramento, occorre sospenderlo.
mdebac@corriere.it Margherita De Bac

giovedì 8 giugno 2006



opere di Michele Ranchetti

ricerca effettuata nell'OPAC della BNCF

Michele Ranchetti è nato a Milano nel 1925 e vive a Firenze dal 1967. Dopo essere stato segretario personale di Adriano Olivetti, ha lavorato come consulente editoriale per Feltrinelli, Adelphi, Boringhieri ed è stato docente di Storia della Chiesa.

La psicoanalisi e l'antisemitismo / [scritti di] Freud ... [et al.] ; a cura di Mauro Bertani e Michele Ranchetti M 1999

Psicoanalisi e storia delle scienze : atti del Convegno : Firenze, 26-27-28 giugno 1981 / a cura di Michele Ranchetti M 1983

Bibbia La Sacra Bibbia / tradotta in lingua italiana e commentata da Giovanni Diodati ; a cura di Michele Ranchetti e Milka Ventura Avanzinelli M 1999

Balbo, Aimone Dentro le mura spagnole / Aimone Balbo. La mente musicale / Michele Ranchetti M 1981

Balzac, Honoré : de Storia imparziale dei Gesuiti / Honoré de Balzac ; prefazione di Michele Ranchetti M 2002

Benjamin, Walter Sul concetto di storia / Walter Benjamin ; a cura di Gianfranco Bonola e Michele Ranchetti M 1997

Celan, Paul Conseguito silenzio / Paul Celan ; traduzione di Michele Ranchetti e Jutta Leskien M 1998

Celan, Paul Sotto il tiro di presagi : poesie inedite 1948-1969 / Paul Celan ; traduzione e cura di Michele Ranchetti e Jutta Leskien M 2001

Fishbane, Michael Il bacio di Dio : morte spirituale e morte mistica nella tradizione ebraica / Michael Fishbane ; traduzione di Milka Ventura ; postfazione di Michele Ranchetti M 2002

Freud, Sigmund Casi clinici, 3 : Dora : frammento di un'analisi d'isteria : 1901 / Sigmund Freud M 1976

Freud, Sigmund Scritti di metapsicologia (1915-1917) / Sigmund Freud ; a cura di Michele Ranchetti M 2005

Ibba, Giovanni Il dubbio di Dio : racconti / Giovanni Ibba ; prefazione di Michele Ranchetti M 2002

Klemperer, Victor LTI : la lingua del Terzo Reich : taccuino di un filologo / Victor Klemperer ; prefazione di Michele Ranchetti ; traduzione di Paola Buscaglione M 1998

Mehta, Ved Teologi senza Dio / Ved Mehta ; edizione italiana a cura di Michele Ranchetti M 1968

Ottino Della Chiesa, Angela L'altare d'oro di s. Ambrogio e la Pace di ariberto : Due capolavori di oreficeria Milanese. A cura di Michele Ranchetti. Fotografie di Carlo cisventi M 1955

Pascal, Blaise Compendio della vita di Gesù Cristo / Blaise Pascal ; a cura di Michele Ranchetti M 2004

Ranchetti, Michele Chiesa cattolica ed esperienza religiosa / Michele Ranchetti M 1999

Ranchetti, Michele Cultura e riforma religiosa nella storia del modernismo / Michele Ranchetti M 1963

Ranchetti, Michele Etica del testo / Michele Ranchetti M 1999

Ranchetti, Michele La mente musicale / Michele Ranchetti M 1988

Ranchetti, Michele Non c'è più religione : istituzione e verità nel cattolicesimo italiano del Novecento / Michele Ranchetti M 2003

Ranchetti, Michele Scritti diversi / Michele Ranchetti ; a cura di Fabio Milana M

Ranchetti, Michele Scritti in figure / Michele Ranchetti M 2002

Ranchetti, Michele Lo spettro della psicoanalisi / Michele Ranchetti M 2000

Ranchetti, Michele Gli ultimi preti : figure del cattolicesimo contemporaneo / Michele Ranchetti M 1997

Ranchetti, Michele Verbale / Michele Ranchetti M 2001

Shmueli, Ilana Di' che Gerusalemme è : su Paul Celan: ottobre 1969-aprile 1970 / Ilana Shmueli ; a cura di Jutta Leskien e Michele Ranchetti M 2002

Taubes, Jacob Escatologia occidentale / Jacob Taubes ; prefazione di Michele Ranchetti M 1997

Wittgenstein, Ludwig Lezioni e conversazioni : sull'etica, l'estetica, la psicologia e la credenza religiosa / Ludwig Wittgenstein ; a cura di Michele Ranchetti ; nota biobibliografica di Fabio Polidori M 1987

Wittgenstein, Ludwig Lezioni e conversazioni sull'etica, l'estetica, la psicologia e la credenza religiosa / Ludwig Wittgenstein ; a cura di Michele Ranchetti M 1967

Wittgenstein, Ludwig Lezioni e conversazioni sull'etica, l'estetica, la psicologia e la credenza religiosa / Ludwig Wittgenstein ; a cura di Michele Ranchetti M 1982

Wittgenstein, Ludwig Movimenti del pensiero : diari 1930-1932/1936-1937 / Ludwig Wittgenstein ; edizione originale e commento a cura di Ilse Somavilla ; edizione italiana a cura di Michele Ranchetti e Francesca Tognina ; introduzione di Michele Ranchetti M 1999

Wittgenstein, Ludwig Pensieri diversi / Ludwig Wittgenstein ; a cura di Georg Henrik von Wright ; con la collaborazione di Heikki Nyman ; edizione italiana a cura di Michele Ranchetti M 1980

Wittgenstein, Ludwig Pensieri diversi / Ludwig Wittgenstein ; a cura di Georg Henrik von Wright ; con la collaborazione di Heikki Nyman M 1981

Wittgenstein, Ludwig Pensieri diversi / Ludwig Wittgenstein ; a cura di Georg Henrik von Wright, con la collaborazione di Heikki Nyman ; edizione italiana a cura di Michele Ranchetti M 1988

articoli di Michele Ranchetti apparsi su "Psicoterapia e Scienze Umane":

Freud in Italia (1/1980), Osservazioni sulla storia (della psicoanalisi) (3/1986), A proposito di religione e psicoanalisi (2/1990), Storia e metodo storico in psicoanalisi (4/1991), Freud: doppio contesto (2/1994), Osservazioni sull'olocausto nucleare (4/1994), Il taccuino di Martin Heidegger (4/1996), Editoriale (3/1997), Un questionario e due interviste inedite di Freud (1/2002),
Le difficili origini della psicoanalisi (2/2002), Male: soggetto o aggettivo? (1/2004), Gli italiani da Lacan (1/2005), Nota introduttiva a Un frammento inedito di Freud del 1931 - con la Presentazione di Paul Roazen - (4/2005)

Sul numero 2/2006 della medesima rivista si trova anche:
Antonella Mancini, Recensione di: Sigmund Freud, Testi e contesti. Volume 3: Scritti di metapsicologia (1915-1917). A cura di Michele Ranchetti. Traduzioni di Alessandro Cecchi, Stefano Franchini, Roberto Righi e Vivetta Vivarelli (Opera in 10 volumi a cura di Michele Ranchetti). Torino: Bollati Boringhieri, 2005, pp. XXIV+534, € 30,00
Sigmund Freud, Testi e contesti. Volume 5: Sulla storia della psicoanalisi (Per la storia del movimento psicoanalitico. La questione dell'analisi laica). A cura di Martin Dehli. Traduzioni di Stefano Franchini e Vivetta Vivarelli (Opera in 10 volumi a cura di Michele Ranchetti). Torino: Bollati Boringhieri, 2005, pp. XX+324, € 22,00 (pp. 233-237)

mercoledì 7 giugno 2006

Liberazione 7 giugno 2006 Lettere
Psichiatria
Io difendo la 180


Caro direttore, gli articoli di Massimo Fagioli e Luigi Attenasio apparsi sulla rivista “Left” e le successive lettere di commento pubblicate sul suo giornale mi hanno indotto a pensare che la psichiatria e tutta la problematica che la investe producono tuttora un dibattito vivace ma anche contraddittorio. Ho lavorato quasi trent’anni in ospedale psichiatrico e nei servizi territoriali di Mantova, pertanto posso, data la mia formazione ed esperienza, esprimere un parere. Sostengo la posizione di Luigi Attenasio, condivido il suo “pensiero”, la sua “azione” volta a modificare (mai a stravolgere) a fini etici la realtà psichiatrica; inoltre difendo la legge 180 senza se e senza ma come conquista; sollecitiamo piuttosto i politici a sostenerla e gli operatori ad applicarla. Detto questo, l’articolo di Massimo Fagioli mi è parso un po’ confuso per l’alternarsi di stati d’animo personali e di riflessioni di studioso, molte delle quali non le ho comprese. Molto chiaro il suo tono come di chi ha mal digerito il “grosso” articolo di Attenasio pubblicato su “Liberazione”. Ho la presunzione, data la mia più che provata formazione sul lettino e pratica in trincea più tardi, di aver percepito un senso di... insight? Infine un commento all’insegna della leggerezza: si dice comunemente “folle d’amore”, ma anche “pazzo d’amore”, “pazzo di gioia”, “quell’uomo mi piace da impazzire”; e la canzone “Pazzo di lei”?. A Valentino suggerisco che dal lettino si deve passare al letto di contenzione per distruggere i legacci che si chiamano povertà, intolleranza, pregiudizio, isolamento, indifferenza, ecc.
Tina Lanfredini via e-mail
(la scansione è di Giorgio Valentini)

martedì 6 giugno 2006

Rainews24.it 6 giugno 2006
per la trasmissione TEMPI DISPARI

OGGI in onda in diretta dalle 21.15 alle 22.30 su Rainews24, sul satellite. conduce in studio Carlo de Blasio

http://www.rainews24.it/ran24/magazine/tempi-dispari/

sul tema:

Madri assassine
In studio Adriana Pannitteri, giornalista Tg1 e Annelore Homberg, psichiatra psicoterapeuta

una intervista sul sito di rainews24 (qui):

Madri assassine
ROMA - 02/06/2006
Le donne rinchiuse nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere sono solo madri cattive o nessuno ha saputo comprendere la loro sofferenza? Cosa si nasconde dietro quella che gli psichiatri chiamano la «follia mostruosa della normalità»?
Per la prima volta hanno accettato di rivelare ad un'altra donna, una madre come loro, la loro storia di solitudine e malattia. Quella che molti di noi, sfogliando le pagine di cronaca, hanno evitato di leggere per non correre il rischio di riconoscere condizioni e atteggiamenti che hanno determinato il loro gesto fatale.
L'intervista di Mariella Zezza

Perché queste donne hanno ucciso i loro figli?
Credo che la ragione profonda dell'omicidio di un figlio sia fondamentalmente l'annullamento di se stessi. Quasi sempre la madre uccide e tenta di togliersi la vita. Cancella e annulla in ogni caso la parte di sé che rappresenta la nascita. A volte uccidere il proprio figlio sembra il solo modo per salvarlo. Per difenderlo da un nemico cattivo, immaginario, per non lasciarlo solo al mondo e indifeso. Per proteggerlo. E' un delirio... Portare il proprio figlio con sé sembra l'unica via di uscita dal tunnel della depressione. Queste madri vivono un disagio profondo. Sono malate. Non sono cattive.

Chi avrebbe potuto impedire il loro gesto?
A volte l'indifferenza di fronte alle malattie mentali è disastrosa. Se una donna manifesta un disagio si tende comunque a sottovalutare. I familiari dicono 'passerà'. La donna viene lasciata sola. Si preferisce volgere lo sguardo altrove. Esiste una grande solidarietà rispetto a chi si ammala di tumore. Ma se una persona si ammala di depressione la gente non capisce o non vuole capire. Scatta la vergogna forse perché si pensa che le malattie mentali siano incurabili. Al massimo si accetta di prendere una pasticca per dormire. Il resto è tabù... E di fatto, anche dai colloqui con queste madri, è emersa una carenza di ricerca scientifica sull'argomento. Forse azzardo un po' nell'arrogarmi il diritto di dire che non tutte le cure sono uguali... Sono donne che hanno bisogno di ricostruire la loro capacità di amare in modo sano.

C'è stata una storia che l'ha fatta particolarmente riflettere?
Sono tutte storie che lasciano senza respiro perché ogni donna mi ha accompagnata nel suo dramma con un passo diverso. Penso a Manuela che ha ucciso la sua bambina di quattro anni a coltellate. Voleva proteggerla da un 'lupo cattivo' che era solo frutto della sua mente malata. L'ha stretta tutta la notte a sé nel lettone come in un estenuante addio. Le ha fatto il bagnetto. Le ha preparato la colazione. Ripenso spesso a Simona che ha annegato i suoi bambini di quattro anni e ventuno giorni in un laghetto e che è stata tratta in salvo da un uomo che portava a spasso il suo cane. Simona, una giovane madre del Nord, bionda, con gli occhi verdi. All'apparenza una donna dura come una quercia. Ma - in verità - fragilissima... Non è stato facile per loro parlare con me e le ringrazio.

Quanta consapevolezza hanno dei loro delitti?
La consapevolezza del gesto compiuto è il momento più difficile per una donna che ha ucciso il proprio figlio. Alcune arrivano ad ammettere il loro gesto dopo messinscene che sono armi di difesa del tutto inconscie. Gli psichiatri spiegano che la consapevolezza è un passaggio fondamentale ma anche tragico. Ci vuole tempo e ci vogliono cure.

La loro vita potrà mai riprendere i binari della normalità?
La parola normalità è una sfida. Quando sono tornata a Castiglione la seconda volta mi sono resa conto che alcune di queste donne stavano affrontando con dignità il percorso della terapia riprendendo il contatto con la realtà. Ritengo che debbano poter accettare di aver compiuto quel gesto terribile perché erano malate. Non erano madri incapaci o cattive.

Ha anche cercato di immaginare la condizione della vittima...
La difficoltà più grande è stata per me quella di entrare nel racconto della loro sofferenza senza giudicare. Ho cercato di utilizzare le risorse che ha una cronista, ascoltando e cercando di cogliere ogni particolare, annotandolo nella mia mente. Ma le emozioni erano troppo forti. Ho sentito un dolore quasi fisico. Ho provato una tristezza infinita per quei bambini che non sono stati salvati. Ho avuto rabbia nei confronti di chi è rimasto solo a guardare e alla fine ho capito che l'unico modo per vivere il mio rapporto con queste madri era non avere paura della follia.

Madri assassine
«La pazzia non è espressione di malvagità, neppure quando porta a compiere il più inconcepibile dei delitti. L’uccisione dei propri figli piccoli. E’ malattia. Sappiamo come sono fatti gli anelli di Saturno e il Grand Canyon, ma non c’è informazione sulle malattie della mente, tranne i soliti luoghi comuni: ‘il raptus’ o ‘era in cura per depressione’. Il racconto di Adriana è anche un tentativo rispettoso, mi pare, di sapere come si origina questa malattia che è psicosi gravissima» (dalla postfazione di Annelore Homberg)

Adriana Pannitteri, Madri assassine, Gaffi 2006 http://www.gaffi.it/

Agi 05/06/2006
Pannitteri sull'AGI
L'Agenzia Giornalistica Italia ha diramato l'anticipazione di "Madri assassine" in libreria dal 6 giugno.


Nell'essere umano non alberga il Male ma la malattia mentale che non si crea da un giorno all'altro e che comporta la perdita totale del rapporto con la realtà non tanto quella del supermercato e dell'orario dei treni quanto la perdita del senso della vita, del valore della vita umana. È la forte e chiara tesi che la psichiatra Annelore Homberg espone nel libro di Adriana Pannitteri 'Madri assassine', diario di viaggio da Castiglione delle Stiviere. "Volevo capire cos'è, cosa c'è dietro la malattia mentale, perchè una madre arriva a sopprimere il proprio figlio: non mi bastavano le solite spiegazioni", ha detto la Pannitteri il cui viaggio nell'ospedale psichiatrico dove sono ricoverate le madri, anche giovani, che hanno ucciso il proprio o i propri figli, mira a ricostruire le loro storie ma, "da una visuale profondamente diversa".
E così parole vuote e senza senso come Male, malvagità e raptus, lasciano il posto a nomi con tanto di senso ed oggetto: malattia mentale, psicosi gravissima, dissociazione, perdita del rapporto con la realtà umana. "Grazie alla televisione sappiamo come sono fatti gli anelli di Saturno, il Grand Canyon: non c'è informazione sulle malattie mentali tranne i soliti luoghi comuni, il 'raptus' o 'era in cura per depressione'", spiega la Homberg. "Tra gli addetti ai lavori c'è poi una strana scissione: ci sono quelli che dicono chiaro e tondo angosciando tutti che c'è, in ognuno di noi, un assassino potenziale: il Male, appunto, è dentro di noi e non c'è niente da fare. Altri - prosegue la Homberg - sostengono che la pazzia non c'è, al massimo c'è una stranezza e, comunque, i matti non sono pericolosi: i delitti per psicosi accadono e la gente non si capacita: come può accadere che?...".
Manuela si alza una mattina ed annega i suoi due bambini in un laghetto, Simona uccide a coltellate il figlio di quattro anni e si potrebbe continuare con l'omicidio di Samuele a Cogne o con la piccola neonata messa dalla madre in lavatrice. "La malattia mentale non si crea da un giorno all'altro", ripete la Homberg, per la quale, "la parola chiave, che può aprire le porte ad una ricerca (come si origina la malattia mentale) che non ha bisogno di postulare malattie geneticamente determinate, è l'assenza". Ossia il 'non esserci' nel rapporto, non ascoltare l'altro, non comprendere il senso della comunicazione. Ed è assente anche chi materialmente c'è? "Questo accade quando non dà le risposte giuste o quando non coglie le esigenze del bambino che non vuole solo pasti nutrienti e tutine morbide - osserva la Homberg - ma pretende lo spessore umano degli altri. E quando questo spessore non c'è, negli altri attorno, nella società, nel pensiero dominante, noi psichiatri parliamo di anaffettività e dissociazione nascoste in persone perfettamente funzionanti". Qui la confusione: una persona funzionante ma dissociata fa ammalare chi gli sta vicino ma non se ne accorge. "È lì che nasce la malattia mentale, quando il bambino - conclude la Homberg - per difendersi dal disumano s'annulla dentro, ossia fa buio, vuoto e cocci scomposti". Si realizza così vuoto, senza affetti, solo ragione. "Poi una volta grandi non sarà facile affrontare i propri figli che chiedono a loro volta un'umanità perduta nel tempo - conclude la Homberg - Ma se presa in tempo la malattia mentale si può affrontare e curare".

Carlo Patrignani (redazione cultura AGI)

lunedì 5 giugno 2006

Repubblica 5.6.06
Va in tv "Buongiorno, notte" sul sequestro Moro, il regista risponde alle accuse di Giuseppe Ferrara
Bellocchio: "Il mio film ha aperto gli occhi alla sinistra"
di Paolo D'Agostini


"I fatti sono quelli, c'è da capire la miscela tra fanatismo religioso e razionalità delirante"
"Tenero con i Br? Ma è vero che nacque un sentimento di umanità verso la vittima"

ROMA - Dopodomani Buongiorno, notte, il film dedicato tre anni fa da Marco Bellocchio al sequestro di Aldo Moro, viene trasmesso in televisione (RaiTre, ore 21). Neanche a farlo apposta in un'intervista uscita su Repubblica di venerdì il regista Giuseppe Ferrara, parlando del suo nuovo film sull'assassinio del sindacalista Guido Rossa da parte delle Br a Genova nel '79, ed evocando quella stagione ma anche il racconto che il cinema ne ha fatto, polemizza di brutto e attacca violentemente il film di Bellocchio. Accusandolo di essere «reazionario, ingiusto, antistorico, falso, omertoso». Bello, sì, ma come erano belli anche i film di propaganda nazista di Leni Riefenstahl. In sostanza troppo tenero con i carcerieri, con le Brigate Rosse.
Buongiorno, notte traeva (libero) spunto dal libro "Il prigioniero" di Anna Laura Braghetti. La brigatista che condivise con Mario Moretti, Prospero Gallinari e Germano Maccari i 55 giorni di via Montalcini: era stata lei ad affittare la casa che sarebbe diventata la prigione del presidente della Dc e per metà giornata era una regolare impiegata. Bellocchio ci aspetta a casa sua, sul piede di guerra e con sul tavolo (accanto a una copia del libro di Aldo Grandi "La generazione degli anni perduti" sulla storia di Potere Operaio) un foglio fittamente appuntato, di risposte punto su punto al collega.
«Un intervento vecchio e sconclusionato», dice Bellocchio dell'intervista. E comincia con il cogliere in contraddizione l'accusatore. «Dice che le intenzioni di partenza dei brigatisti erano buone. Quali? Quelle di instaurare la dittatura del proletariato?». Poi si riferisce all'insofferenza di Ferrara verso chi vuole farla finita con la dietrologia, perché secondo Ferrara "dietro" continuano ad esserci verità scomode e non rivelate: «Invece io sono d'accordo con chi vuole chiudere con il dietrismo. I fatti sono quelli. Ma è l'interpretazione dei fatti che è ancora povera. Sul perché uomini normali uccidevano in nome di un'idea e di un principio. Sulla loro combinazione di fanatismo religioso e razionalità delirante».
Terza questione che a Bellocchio non va giù. Il suo detrattore si scandalizza perché davanti a Buongiorno, notte tutta la sinistra sarebbe scattata in piedi: «non è vero, sono stato apprezzato ma anche attaccato. Da chi ha visto i "miei" terroristi come troppo buoni, da chi viceversa ha visto il "mio" Moro troppo buono, da chi ha considerato il mio film dalla parte della trattativa». Quarto punto: «Ferrara mi rimprovera di aver ignorato la strage della scorta ed è falso perché vi è dedicata un'intera sequenza del film». L'indignazione di Ferrara si soffermava poi sul fatto che i brigatisti rappresentati da Bellocchio sembravano quasi pentiti di quello che avevano fatto, dice che nel film sembra quasi che si domandino "che cosa l'abbiamo rapito a fare?". Bellocchio: «È la verità che in quelle settimane nacque tra di loro un sentimento di umanità verso la vittima. Mi riferisco al racconto di Germano Maccari riferito da Lanfranco Pace sulle reazioni e i comportamenti, in particolare finali cioè al momento della "esecuzione"».
E sul passaggio in cui Ferrara accusa il film di soffermarsi sull'episodio dei canarini fuggiti dalla gabbia, Bellocchio risponde: «Lo testimonia Anna Laura Braghetti che Prospero Gallinari era affezionato a quei canarini. Una semplice verità, un elemento del panorama umano che avevo scelto di raccontare decidendo di impostare il film sul punto di vista dei carcerieri nella loro chiusa quotidianità». Bellocchio liquida come pittoreschi sia il coinvolgerlo tra i colpevoli del tradimento del Neorealismo («è finito con Miracolo a Milano, Cronaca di un amore di Antonioni, La dolce vita»), sia il paragone con il "bello ma non buono" di Leni Riefenstahl: «concezione rozza e scolastica, lei faceva documentari io faccio il contrario, una libera e legittima interpretazione di un fatto storico. È il momento di interpretare, non solo documentare, le tragedie della sinistra». Dulcis in fundo quella sfilza di improperi. Dice solo: «Non mi pare che abbia le prove, ma rispetto la libertà di giudizio». Ferrara, chiude Bellocchio, «ricorda con Sciascia la "micidiale imbecillità" delle Br, io aggiungo con Lussu la loro "mediocrità senza scampo". Forse non è un problema di imbecillità né di mediocrità. Ma di una tale miseria affettiva che li ha portati a perdere il più elementare senso della realtà».

Corriere della Sera 5.6.06
Interventi e repliche
Jean Meslier, il curato ateo


Jean Meslier, il curato ateo Nell’articolo dal titolo «Macché Platone, leggete Aristippo e Cerinto» (Corriere del 29 maggio) Armando Torno cita Jean Meslier, il curato ateo morto nel 1729 che anticipò Marx nel definire la religione come uno strumento utile per tenere a bada il popolo. Devo confessare che, per quante ricerche abbia fatto sia nei siti di libri fuori catalogo presenti su Internet sia nelle librerie, non ho trovato nemmeno un opuscolo che parli o riporti le opere di questo singolare personaggio. Pur avendo fatto il classico, non l’ho mai sentito citare, né mi era capitato di leggerne notizia prima di questo articolo. Dove posso trovare qualche informazione?
Federico Toni, Milano

Le opere di Meslier sono difficilissime da reperire (del resto i francesi non hanno più disponibile da anni nemmeno tutto Voltaire), così come d’altra parte è arduo in Italia trovare l’opera completa di Leopardi o di Vico, di Petrarca o di Lorenzo Valla, di troppi altri. Meslier, in particolare, circolò soprattutto manoscritto e soltanto nel 1864 fu stampato ad Amsterdam il suo «Testament», vale a dire l’opera che ha compilato sera dopo sera contro la religione che di giorno serviva (una copia di questa edizione è presente nella biblioteca di Stalin). Gli scritti completi del curato ateo si ebbero soltanto nel 1970-72, allorché le edizioni Anthropos di Parigi li pubblicarono in 3 volumi. Da tempo esauriti, sono diventati rarissimi e molto costosi. In Italia uscì un’antologia del «Testament» da Guaraldi nel 1972. Qualcosa su questa figura singolare si può trovare nel sito www.alateus.it e qualcosa vicino a tali questioni potrà scoprirla nella collana «Libre pensée et litterature clandestine», diretta da Antony McKenna e pubblicata dall’editore parigino Honoré Champion. Sino ad ora sono usciti una trentina di titoli, tra i quali va ricordato «Philosophes sans Dieu», che anticipa di qualche anno la nascita dell’ateismo moderno e contemporaneo. Comunque, a mio giudizio, il genere di critiche mosse al cristianesimo e alla religione da Meslier non regge più: è soltanto un documento con il quale è utile confrontarsi e dibattere.
Armando Torno

domenica 4 giugno 2006

Left n°20 26 maggio/1 giugno 2006, pag. 78
cultura&scienza
Filosofia
Matrimonio di convenienza
di Carlo Patrignani


Freud in aiuto a Marx. Così negli anni 60 si coprì un fallimento
In “Laici in ginocchio”, Viano indaga le trasformazioni culturali della sinistra

«Per chi non ha padri da rispettare, patrie da onorare e si sente apolide in casa sua, sono prive di spessore culturale le celebrazioni riservate al padre della psicoanalisi, Sigmund Freud». Si presenta così Carlo Augusto Viano, un distinto signore di 77 anni, filosofo di professione, antifascista e “azionista” di sentimenti.
«Non è casuale - dice il docente di storia della filosofia all’Università di Torino, autore di Laici in ginocchio (Laterza) - che certi mass media siano tornati a celebrare Freud: in prossimità del ‘68 si fece quell’operazione culturale, che si vorrebbe far vivere ancora, di sostituire pezzi non più utilizzabili delle teorie economiche di Marx con assunti del freudismo per poter fornire una lettura della società che doveva esser dominata come prima. Lo sfruttamento, formulato da Marx come appropriazione o plusvalore, fu sostituito da dominio o repressione». Un maquillage, insomma. «La psicoanalisi di Freud, un tentativo di estendere la spiegazione scientifica ai fenomeni psichici, poi divenne un ingrediente fondamentale della cultura antiscientifica - chiarisce Viano - che trova spazio nelle pagine culturali di certi mass media ed è ampiamente accolta dall’intellighenzia della sinistra radical chic». De resto il freudismo «è stato più un fatto letterario, un poema autobiografico, che non terapeutico in senso stretto, e lo si sapeva: servì e serve per tenere in piedi ancora quel che resta del marxismo».
Epicentro dell’operazione la Francia di Foucault e Sartre e l’esistenzialismo e la Germania di Adorno e Marcuse, la Scuola di Francoforte. «In Italia quel fervore culturale agì su Franco Basaglia e sulla chiusura dei manicomi in nome della malattia mentale come fatto sociale e non per una terapia scientifica - prosegue -. Quell’operazione fu possibile, e non lo si dice mai, perché erano arrivati i farmaci». Tra gli anni 50 e 60 ci si accorse del fallimento del marxismo. «Era a tutti evidente il fallimento delle teorie economiche di Marx: di fronte all’adesione delle masse alla società capitalistica che portava benessere economico e miglioramento delle condizioni di vita, lo sfruttamento come appropriazione o plusvalore non stava più in piedi e fu sostituito da dominio o repressione interiorizzate: il lavoratore non è più sfruttato ma dominato».
Altra teoria di Marx fallita? «La crisi, la catastrofe del capitalismo - risponde il filosofo -; da una parte l’incapacità di fronteggiare le sue crisi interne e dall’altra l’inevitabile catastrofe. Queste previsioni non si erano avverate e ci si servì del freudismo per poter dire: non c’è benessere ma disagio e malessere profondo e interiorizzazione.
Insomma, il fallimento di Marx fu risolto con Freud. «Su queste basi si fece il ‘68 in Italia, in Francia, negli Usa e non fu affatto esaltante visti i risultati - precisa -. Per arrivare ai giorni nostri continuando, più o meno sempre la stessa area culturale, a celebrare una psicoanalisi antiquata e vecchia e tacendone i limiti terapeutici e scientifici: i fenomeni psichici sono molto più complessi e complicati di quelli descritti da Freud: si pensi alle novità emerse con la mappatura del Dna o con le neuroscienze. C’è molto da acquisire in termini di conoscenza che non va nella direzione del freudismo». Saremmo di fronte ad un inganno? «Sì - è la risposta secca di Viano -. Senza trascurare che le religioni ben si sposano, al di là delle apparenze, con il marxismo-freudismo». Una pausa, poi il filosofo continua: «Intellettuali, preti e filosofi predicano contro ogni innovazione per tener lontani culti e cibi dei vicini, sorvegliare le donne perché in fondo è la solita storia del serpente che tenta le donne, le vere contrabbandiere delle merci proibite». Una via d’uscita, professor Viano? «Spirito critico verso le ideologie e laicismo verso le religioni per coltivare ogni giorno la pratica paziente dell’irriverenza e la fiducia nel sorriso delle donne»