domenica 2 luglio 2017

Internazionale 30.6.17
Storia di un dissidente cinese
Le Monde, Francia

È una storia come ne esistono altre nella Cina del ventunesimo secolo, un paese che sta ritrovando il suo posto tra le potenze mondiali. Storie che di solito sono subito dimenticate dalla stampa cinese e occidentale. Eppure questa non è senza importanza. L'8 ottobre del 2010 il premio Nobel per la pace è stato attribuito a Liu Xiaobo, un intellettuale cinese di 55 anni che scontava una pena di undici anni di carcere comminata nel 2009. Il suo reato? Essere uno degli autori di un documento chiamato Charta 08, scritto nel 2008 da trecento intellettuali che chiedevano al regime comunista più democrazia, cioè di rispettare la legge. A Liu Xiaobo è stato impedito di andare a Oslo per ricevere il premio da una giuria che aveva detto di voler onorare "una lunga lotta non violenta a favore dei diritti fondamentali". La notizia è stata di fatto censurata in Cina. Ma almeno quel giorno il nome di Liu Xiaobo ha avuto una certa fama, e il coraggio di un uomo solo di fronte alla macchina repressiva del sistema è stato celebrato. Poi il professore è tornato al suo anonimato, in una prigione nella provincia di Liaoning. Qualche giorno fa Liu è stato fatto uscire di prigione ed è stato ricoverato in ospedale. Il motivo? Secondo suo fratello un cancro al fegato in stato avanzato, diagnosticato a fine maggio. La sua pena non è stata commutata. Sua moglie non ha potuto fargli visita: dal giorno della condanna, Liu Xia vive di fatto in libertà vigilata nel suo appartamento di Pechino ed è sprofondata nella depressione. Da anni Liu Xiaobo è malato d'epatite, probabilmente contratta durante i precedenti soggiorni in prigione o nei campi di lavoro. Alla vigilia del diciannovesimo congresso del Partito comunista cinese, Pechino vuole evitare che un noto dissidente politico muoia in carcere. Non è un fatto importante, rispetto al pil cinese, ai grandi traguardi economici, sociali, scientifici e artistici raggiunti dal paese, ma si tratta comunque di cattiva pubblicità. Perché dimostra la chiusura e la brutalità del sistema, ulteriormente inasprite da quando è arrivato al potere Xi Jinping nel 2012. E dimostra che Pechino vuole rendere più aperta l'economia cinese, ma non tollera la minima manifestazione di dissidenza politica o intellettuale. Come quella di Liu Xiaobo, o come quella delle decine o centinaia di avvocati rinchiusi in carcere, "scomparsi" per giorni o mesi, e condannati a lunghe pene detentive per aver chiesto di rispettare la legge. In autunno il congresso dovrebbe rafforzare il già enorme potere personale del presidente Xi. Il cuore del partito, cioè i sette componenti del comitato permanente dell'ufficio politico, sarà rinnovato. Saranno sicuramente nominate persone sagge. Lo saranno ancora di più se si prenderanno la briga di ascoltare un intellettuale pieno di ambizioni per il suo paese. Ma quando questo accadrà, il professor Liu Xiaobo potrebbe essere già morto. uf