il manifesto 2.10.18
La notte del sabba va al museo
Mostre.
«Arte e magia. Il fascino dell'esoterismo in Europa», una rassegna a
Palazzo Roverella di Rovigo a cura di Francesco Parisi
Paul Sérusier, «L’Incantation», 1891-92 Quimper, Musée des Beaux-Arts
di Arianna Di Genova
ROVIGO
Si entra in silenzio, seguendo l’invito del gesto iniziatico di
accattivanti fanciulle rappresentate in grandi quadri: un dito sulla
bocca a significare che i mondi occulti si attraversano con la coscienza
allargata ma con il segreto nel cuore, permettendo a pochi individui di
percorrere i sentieri dell’illuminazione, magari scalando gli scalini
di un tempio.
Ma la mostra presso Palazzo Roverella di Rovigo Arte
e magia. Il fascino dell’esoterismo in Europa, a cura di Francesco
Parisi (la rassegna è visitabile fino al 27 gennaio 2019 ed è corredata
da un catalogo ricco di contributi edito da Silvana) procede in una
vertigine spiraliforme. Come se fossimo in gironi, non infernali ma
sotterranei, ci si immerge al centro fino a che si è rapiti
dall’opera-cardine: quell’acquerello potentissimo che va sotto il nome
di L’enlèvement (siamo nel 1882) di Félicien Rops, assaggio di un
satanismo improntato a eros dissoluto e stregoneria, che sfonda il cielo
rassicurante per popolarlo di demoni predatori. Lo fa in
un’accelerazione avvitante, un po’ come ci aveva abituati Luca
Signorelli nella sua Cappella di san Brizio, dentro al duomo di Orvieto.
L’ARTISTA
BELGA, d’altronde, era considerato un maestro, un apripista di
quell’universo inquieto, esoterico e anche spiritista che si era andato
raggruppando intorno alla libreria /galleria nonché casa editrice
parigina di Edmond Bailly, presto trasformatasi in un luogo magnetico
per quel revival dell’occultismo fin de siècle. Fu proprio Rops a
inventarne il logo: una sirena alata con denti aguzzi, da fiera
selvatica. Indomabile come l’inconscio.
Intorno agli scritti di
Eliphas Lévi e alla figura carismatica di Joséphin Péladan, nato a Lione
città magica per eccellenza (insieme a Praga), scrittore e guru
identificato con i re assiri, come documenta l’acconciatura della sua
barba nel disegno di Alexander Seon esposto in mostra. Fu Péladan a
istituire i Salon dei Rosacroce (a quel momento storico-mistico è stata
dedicata, l’anno scorso, l’esposizione veneziana al Peggy Guggenheim),
rifondando l’ordine secondo il suo pensiero e spingendolo a diventare
territorio sconfinato per il pascolo dell’immaginario dei pittori
simbolisti.
A Rovigo si è scelta una finestra temporale nel
tentativo di maneggiare un tema vastissimo e molto insidioso – dalla
fine dell’Ottocento agli anni Venti del Novecento – e la rassegna, con
le sue oltre duecento opere e alcune prime edizioni di testi storici, è
debitrice alla passione del curatore che attraverso le vie misteriose
del Simbolismo ha incontrato il pullulare magico di quell’epoca
indefinibile, stretta tra l’insorgere dell’industrializzazione con il
conseguente abbandono della natura in favore di alienanti città e i
venti di guerra che, nel giro di una manciata di anni, avrebbero
travolto l’Europa.
NATURALMENTE non tutti gli artisti sono
indimenticabili; molti sono presenti in veste di «testimoni» di quel
percorso spirituale e poco terreno cui si erano affidati, sondando
macabre visioni, notti di sabba e cascate di luce dall’aldilà.
Félicien Rops, L’enlèvement, 1882
FRA
I TOPOS dell’esoterismo c’è sempre un luogo impenetrabile come la
foresta, abitata da esseri inconoscibili, fedeli accompagnatori di
streghe quali lupi, rospi o pipistrelli. Paul Elie Ranson, tra i
fondatori dei Nabis, sfoggiava nella sua biblioteca personale un testo
come Le traité élementaire de science occulte di Papus e Palazzo
Roverella ospita la sua Strega nuda e il gatto. Fra i suoi compagni di
iniziazione c’era anche Paul Sérusier, qui ricordato con Le bois sacré,
opera che sottintende un sentimento panico della natura e un incontro
con forze misteriche, primitive, antidoto al logos e alla scienza
positivista.
CI SONO ANCHE GLI ALBERI tra i soggetti «animati»: il
tronco rosso fiamma, minaccioso e rivelatore di Odilon Redon e il
filare più accondiscendente di pioppi di Piet Mondrian, i cui tronchi
però si spogliano via via delle maglie figurative per addentrarsi nei
territori sospesi della teosofia attraverso le suggestioni di Édouard
Schuré ma soprattutto di Rudolf Steiner che nel 1909 approdò a Amsterdam
con una conferenza che destò scalpore. L’influenza per Mondrian non
sarà effimera: anni dopo, nel 1920, il pittore gli chiederà in una
lettera di esprimere un giudizio sul suo testo del Neoplasticismo. Per
Mondrian, la teosofia era «un agente potente per presagire la
liberazione dei cuori oppressi». Duchamp invece avvicinerà l’esoterismo
grazie alla lezione del grande artista ceco Kupka, sodale di tutta la
famiglia e attento lettore di Edgar Allan Poe, i cui paesaggi invasi da
spiriti trasponeva nelle sue incisioni (L’idolo nero).
Lo stesso
norvegese Munch non rimase immune dalla semina «occulta» che attraversò
la sua epoca. Nella sua permanenza parigina, e in quella berlinese per
tramite del teorico dell’«anima nuda» Przybyszewski, venne catturato –
per sua sensibilità e angoscia personale – da quella temperie. Vampiri e
donne fatalmente maligne, fantasmi che si presentano in notti da incubo
saranno le sue versioni horror di una interiorità dissestata, in cerca
di luce spirituale.
A RACCONTARE qualche altro filamento e
fuoriuscita del tema principale di Arte e magia, Francesco Parisi ha
inserito anche un gruppo di artisti italiani. Ci sono così le fotografie
dell’invisibile (non spiritiche però!) di Anton Giulio Bragaglia, le
diavolesse dal turbolento eros di Alberto Martini, il gufo decadente del
livornese Gabriele Gabrielli (che molto lavorò intorno ai Fiori del
male di Baudelaire). Ma il più aderente alla cultura esoterica, per una
reale attitudine misterica e per lo spiritismo che ha intriso il suo
studio romano sulle Mura (nella famiglia si contavano diversi medium), è
senz’altro il ceramista Francesco Randone. Con il Ricordo del rogo
recupera la forma delle urne cinerarie romane, convinto che la cottura
rigeneri la materia a nuova vita. Adotterà il nome di Maestro delle
Mura, firmando le sue opere con «Pater» mentre le figlie verranno
ribattezzate «vestali». Nel suo atelier insegnava gratuitamente ai
giovani allievi (ancora oggi esiste. dentro quelle Mura Aureliane che
lui abitò, una scuola tenuta in vita dai nipoti) e lì riceveva gli
amici, tra gli altri Giacomo Balla e Duilio Cambellotti.