il manifesto 2.10.18
Macedonia, smacco per la Nato (e per la Ue)
Lontani
dal quorum. Bassa l'affluenza, ferma al 37%. Ma sarà il parlamento a
decidere se ratificare lo storico accordo con la Grecia sul cambio del
nome, e il premier Zaev non ha la maggioranza
di Tommaso Di Francesco
Che
smacco. È fallito in Macedonia il referendum sul nome del Paese tanto
voluto dal premier socialdemocratico Zoran Zaev per ratificare l’accordo
storico sancito con la Grecia di Alexis Tsipras per la nuova
denominazione di «Macedonia del nord» dell’ex Stato jugoslavo che ancora
internazionalmente si chiamava, e a questo punto si chiama ancora, con
l’acronimo Fyrom.
È infatti accaduto che semplicemente i macedoni
non sono andati a votare, la partecipazione è stata solo del 37% degli
aventi diritto, mentre il referendum per esser valido avrebbe dovuto
ottenere almeno il 50% più uno. Già è in campo una lettura politica che
punta a “far finta di niente”: in fondo il 90% di quelli che hanno
votato è per il sì e, ora lo si sottolinea mentre prima quasi lo si
nascondeva, il referendum era solo consultivo, quindi sarà il parlamento
macedone a decidere.
E PROBABILMENTE anche quello della Grecia
dove l’accordo storico di Prespa – voluto da Tsipras per liberarsi della
palla al piede del nazionalismo greco anti-macedone e per ingraziarsi
governi e organismi internazionali di fronte ai nuovi problemi della
crisi interna – ha suscitato di fatto, insieme a contraddizioni anche a
sinistra, una crisi della coalizione che sostiene il governo a guida
Syriza ma con la partecipazione di minoranza della destra nazionalista
di Anel, il partito dei Greci indipendenti che in parlamento conferma
che voterà no mettendo così in forse la tenuta della maggioranza. Ma
anche a Skopje Zaev non ha la maggioranza parlamentare e difficilmente
si accorderà con i nazionalisti slavo-macedoni del Vrmo-Dpmne, tantopiù
che emerge rafforzato il protagonismo del presidente della repubblica
Gjorge Ivanov che in campagna elettorale e addirittura prendendo la
parola all’Onu, ha apertamente invitato i macedoni a boicottare il voto.
Non a caso si parla di elezioni anticipate.
Dunque hanno vinto i
conservatori nazionalisti e si allontana la prospettiva
“progressista”dell’Unione europea e della Nato? È la tesi ricattatoria,
dei media e degli organismi internazionali e che torna a pesare sui
macedoni che di fronte al voto non avevano poi tante scelte nella
formulazione che chiedeva se erano o no d’accordo all’ingresso nell’Ue e
nella Nato attraverso un sì all’accordo con la Grecia sul nuovo nome
del Paese – dove l’adesione al Patto atlantico, è messa sullo stesso
piano di quella all’Unione europea e viene presentata come discrimine di
democrazia mentre è solo annuncio di nuove subalternità, a partire
dall’aggravio dei costi della difesa.
Ma le cose non stanno
proprio così. In primo luogo va osservato che le forze della destra
macedone sono assolutamente d’accordo all’adesione all’Ue e,
figuriamoci, a spada tratta anche alla Nato. Ora, senza vedere le
responsabilità in casa europea, si preferisce attribuire responsabilità
alla Russia – invece piuttosto isolata e perfino in difficoltà nel
patrocinio della sola Serbia – e ai siti online che pure una influenza
hanno avuto sulla non partecipazione al voto; certo Putin se la ride, ma
rilanciare il Russiagate a questa latitudine, nei Balcani, è perlomeno
altrettanto risibile. Perché qui la Nato, più dell’Europa, gioca in casa
e l’ha fatta e la fa da padrone su tutto il sud-est europeo, almeno a
partire dalla guerra “umanitaria” per il Kosovo indipendente nel 1999,
dove ha fatto valere non le ragioni della democrazia ma i rapporti di
forza dei bombardamenti aerei; e dove controlla praticamente tutto, i
governi e un territorio disseminato di basi militari, mentre la sua
ombra armata si allunga ora sul Montenegro a proteggere l’aspirazione di
“zona franca” di uno staterello corrotto, come il Kosovo, e apposta
filo-occidentale.
LO SMACCO è infatti proprio dell’Occidente
atlantico. Qui, nei Balcani come in Europa, non vincono i nazionalisti
per la loro intrinseca forza politica ma per la debolezza e l’ambiguità
della proposta internazionale.
A proposito di ingerenze, lo smacco
è per Angela Merkel corsa a Skopje a sostenere il referendum come hanno
fatto Federica Mogherini, il leader austriaco Sebastian Kurz, il
segretario della Nato Jens Soltenberg e il capo del Pentagono James
Mattis.
TORNA NEI BALCANI il nodo del ruolo della Nato. E ci si
chiede: come poteva essere convincente un referendum per l’ingresso
nella Nato con un premier che rivendicava la validità di questo
obiettivo riconducendola alle promesse da confermare del primo
referendum del 1993? Chi scrive intervistò a più riprese il padre
dell’indipendenza macedone Kiro Gligorov, una figura mitica che come
presidente riuscì a trattare con Milosevic e a portare fuori dalla
guerra il Paese, rivendicandone l’indipendenza anche da trattati che
l’avrebbero coinvolta in nuovi conflitti; e che infatti si oppose al
ruolo della Nato nella guerra contro l’ex Jugoslavia. Non a caso il
parlamento dovrebbe correggere quella costituzione primaria che ha fin
qui salvato il Paese che Kiro Gligorov considerava una “piccola
Jugoslavia”, da proteggere e garantire contro tutti nelle sue diversità
etniche e linguistiche. Non a caso subì un criminale attentato nel 1994
che lo menomò. Come potevano inoltre essere convincenti un accordo e un
referendum che tacciono l’iniziativa programmatica dell’unico
nazionalismo davvero attivo nell’area, non più quello slavo sconfitto,
ma quello albanese? L’ALBANIA È IN LIZZA proprio con la Macedonia per
l’ingresso nel Patto Atlantico; e la Macedonia, culla a Tetovo e
Gostivar dell’Uck e dell’irredentismo grande-albanese nell’area, ha
visto la guerra civile insanguinare il Paese fino al 2002 con strascichi
anche più recenti fino al 2015. Un irredentismo che si è irradiato
nell’area anche grazie all’intervento militare della Nato del 1999 in
appoggio all’Uck in Kosovo.
Anche nei Balcani, che qualcuno pensa
pacificati e dove la storia non passa, nell’azzeramento di ogni proposta
di eguaglianza di diritti sociali e di comunanza vera di interessi
economici e politici internazionali, il nazionalismo – la follia che ha
devastato, con l’aiuto dell’Europa, la Federazione jugoslava – si
propone come l’ultima memoria residuale di fronte ad una proposta
internazionale ricattatoria che conferma la subalternità e la
sottomissione del Sud-Est europeo. Insomma, prima l’Unione europea si
libera dell’apparentamento con la Nato, e meglio è. Ora il rischio,
indubbio, è che l’evidenza di questa condizione ispiri gli istinti
peggiori e una nuova, perdente quanto infinita contrapposizione.