Repubblica 1.7.17
DAI VACCINI A CHARLIE
Ma sui minori nessuno abbia potere assoluto
CHIARA SARACENO
IL
CASO del piccolo Charlie, il bimbo inglese di 10 mesi nato con una
malattia genetica incurabile che non gli consentiva neppure di respirare
autonomamente e progressivamente gli atrofizzava il cervello, che ha
visto i genitori combattere contro i medici ed essere sconfitti dai
tribunali, porta ancora una volta alla ribalta la questione di chi
abbia, in ultima istanza, il diritto di decidere in nome del bene di un
bambino: i genitori, i giudici, i medici o altri ancora?
Nella sua
tragicità estrema, perché si tratta di un neonato condannato fin dalla
nascita a sofferenze e del dolore di genitori che hanno continuato a
sperare sino all’ultimo che ci potesse essere una possibilità di cura,
richiama altri casi.
SEGUE A PAGINA 23
ALTRI casi in cui il
conflitto tra genitori e, a seconda delle situazioni, medici, giudici o
assistenti sociali è insanabile e ciascun soggetto tenta di prevalere in
nome delle proprie buone ragioni, o anche solo della superiorità —
morale, scientifica o giuridica — del proprio diritto a decidere su
quale sia il bene del bambino.
Lo vediamo ogni volta che un
bambino è sottratto alla potestà di genitori giudicati incapaci di
provvedere al suo bene, ma anche quando questa sottrazione non avviene, e
assistenti sociali e giudici vengono accusati di non aver agito per
tempo. Lo stiamo vedendo in questi mesi nei conflitti sulle
vaccinazioni, con genitori che proclamano il proprio intoccabile diritto
a proteggere la salute dei propri figli non facendoli vaccinare, ma, di
conseguenza, anche a far loro correre altri, statisticamente più certi,
rischi.
C’è un confine al potere di decisione dei genitori sui
propri figli? E quali sono i rischi di uno Stato o di una magistratura
che espropriano i genitori della capacità di decidere sui rischi da far
correre ai figli, sulla loro vita e sulla loro morte? Viceversa, quali
sono i rischi, per i bambini innanzitutto, dell’essere lasciati
esclusivamente al potere di decisione, e al discernimento, dei genitori?
In
realtà nelle società democratiche i diritti, e le responsabilità, nei
confronti dei bambini sono condivisi tra diversi soggetti e nessuno ha
un potere assoluto. Accanto al diritto e dovere dei genitori di allevare
e crescere i figli ci sono le norme sull’obbligo scolastico e il dovere
della collettività a garantire l’accesso all’istruzione e alle cure
sanitarie. I tribunali minorili e l’assistenza sociale rivolta ai minori
sono nati storicamente non, o non solo, per sorvegliare e punire i
minori devianti, ma per proteggerli da adulti irresponsabili o abusanti.
I bambini e in generale i minorenni sono divenuti progressivamente
titolari di diritti propri, che i genitori, ma anche le istituzioni
pubbliche, sono tenuti a salvaguardare. Tra questi c’è, come per gli
adulti, il diritto alla salute, quindi alla prevenzione e alle cure
quando necessarie e appropriate, alla dignità, al non essere sottoposti a
sofferenze inutili.
Di solito i diversi soggetti che hanno la
responsabilità del benessere di un bambino si affidano l’uno all’altro
in una sorta di divisione delle competenze. È agli insegnanti che tocca
insegnare le varie materie, anche se possono esserci conflitti ai
margini sugli stili educativi e relazionali. È ai medici che tocca
decidere come affrontare una malattia o indicare le misure di
prevenzione necessarie, anche se si può discutere ed eventualmente
cambiare il medico che non convince.
Il problema sorge quando i
diversi soggetti che hanno responsabilità per il bene del bambino
entrano in radicale conflitto proprio sull’identificazione di questo
“bene”, come nel caso del piccolo Charlie. È in questi casi che
interviene la magistratura. Perché un adulto può decidere per sé e ha il
diritto sia di chiedere il proseguimento a oltranza delle cure, anche
contro ogni ragionevole speranza, sia quello di rifiutarle. Il dibattito
sul testamento biologico riguarda precisamente l’esercizio di questo
diritto anche quando non si è più in grado di farlo autonomamente. Si
discute anche dell’età in cui un minore ha diritto di esprimere la
propria volontà in questo campo, come già avviene per altre questioni.
Ma un bambino piccolissimo, un neonato, non può parlare per se stesso.
Qualcun altro deve parlare per lui.
Nel caso del piccolo Charlie,
genitori e medici hanno valutato diversamente che cosa fosse meglio per
lui: essere tenuto in vita artificialmente soffrendo, con una situazione
già fortemente e irreversibilmente compromessa, per provare una cura
sperimentale, o invece essere lasciato morire cessando la respirazione
artificiale. Tre livelli di giudizio in Inghilterra hanno valutato che
la posizione dei medici era più aderente al bene del bambino, più
rispettosa del suo diritto a non soffrire inutilmente e a morire
dignitosamente di quella dei genitori, pur motivata da un enorme e
straziante amore. La Corte Europea dei diritti umani, interpellata, ha
dichiarato la propria incompetenza, di fatto avallando il giudizio delle
Corti inglesi.
Una decisione emotivamente difficile da accettare,
imperfetta come tutte le decisioni che hanno a che fare con la vita, la
morte, gli affetti. Che tuttavia va letta nell’ottica di un conflitto
sull’obiettivo condiviso di fare la cosa migliore per un piccolo, non di
una lotta di potere tra giudici, medici, genitori e neppure di una
negazione del diritto alla vita di chi ha una disabilità grave.
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“ Nel caso di Charlie genitori e medici hanno valutato diversamente il suo bene”