Corriere 1.7.17
Bombardare i Lager? Polemica inutile
di Simone Veil
Gli
Alleati avrebbero dovuto bombardare i campi? Alla fine delle ostilità,
si è discusso molto su questo problema. A volte ho avuto l’impressione
che alcuni intellettuali si impegnassero più ad additare l’astensione
«colpevole» di Roosevelt e Churchill che a denunciare gli orrori dei
campi di concentramento nazisti.
Nel criticare le scelte
strategiche degli Alleati è preferibile impiegare una certa
ponderatezza, piuttosto che giudizi perentori. Malgrado i numerosi
argomenti avanzati in favore dei bombardamenti che avrebbero dovuto
distruggere le camere a gas, non posso fare a meno di nutrire delle
riserve. Quando gli Alleati tentarono un’operazione del genere, ad
Auschwitz, non ottennero granché. Mia sorella Denise, otto giorni prima
della fine dei combattimenti, a Mauthausen si trovò coinvolta in un
attacco aereo a sorpresa. Quel giorno, insieme ad altre sette compagne,
stava sgomberando le rotaie del treno, devastate da un bombardamento
precedente. Non avendo avuto il tempo di mettersi al riparo, cinque di
loro morirono. Quei bombardamenti, dunque, hanno avuto il doppio
svantaggio di essere inefficaci e crudeli. Inefficaci perché non hanno
mai spaventato i responsabili dei campi, crudeli perché alla fine hanno
ucciso più deportati che nazisti. In conclusione, mi sembra che le
polemiche su questo argomento servano solo a nutrire i falsi dibattiti
di cui tante persone si mostrano avide quando gli eventi sono passati,
la discussione non costa niente ed è priva di rischi.
Per quanto
mi riguarda, penso che gli Alleati abbiano fatto bene ad avere come
priorità assoluta la conclusione delle ostilità. Se si fossero diffuse
le notizie riguardo ai campi, l’opinione pubblica avrebbe esercitato una
tale pressione per farli liberare che l’avanzata degli eserciti sugli
altri fronti, già difficile, avrebbe rischiato di esserne ritardata. I
servizi segreti erano informati delle ricerche tedesche in materia di
nuove armi. Nessuno stato maggiore poteva rischiare di far differire il
crollo del Reich. Le autorità alleate optarono dunque per il silenzio e
l’efficacia. Comunque ciò non toglie che negli Stati Uniti i più
informati sapevano cosa stava accadendo nei campi, e che la comunità
ebraica americana non disse una parola, senza dubbio nel timore di un
afflusso smisurato di rifugiati.
Come non condivido i giudizi
negativi sul silenzio colpevole degli Alleati, non condivido il
masochismo di alcuni intellettuali, come Hannah Arendt, sulla
responsabilità collettiva e la banalità del male. Un tale pessimismo non
mi piace. Anzi, sarei portata a vederci un comodo gioco di prestigio:
dire che tutti sono colpevoli equivale a dire che non lo è nessuno.
(traduzione di Francesca Minutiello )