il manifesto 2.7.17
Renzi contro i “nostalgici”, dentro e fuori il Pd
Il
segretario a Milano prova a rubare la scena alla piazza di Pisapia:
"Guardiamo al futuro, non a un passato meraviglioso che non è mai
esistito". E manda un messaggio a Franceschini: rispondo agli elettori
delle primarie non ai capi corrente. Contro le "polemicucce" anticipa la
direzione
di Andrea Fabozzi
Vincere
non gli riesce, ma di agonismo è pieno. Matteo Renzi è già in campagna
elettorale anche se il voto – lo ha appena certificato Mattarella – è
distante almeno otto mesi. Dall’assemblea dei circoli di Milano al tour
per la presentazione del libro (in uscita), dalla festa nazionale di
Imola al viaggio in treno «con la carrozza social», il segretario del Pd
reagisce alle critiche e alle difficoltà della sua leadership
nell’unico modo che conosce: la sfida. Sfida agli avversari interni, ai
quali dice che risponderà al «popolo delle primarie» e non «ai
caminetti» e ai «capi corrente». Sfida a quelli che sono già fuori o
ancora sulla soglia, ieri simbolicamente concentrati a Roma; per loro il
messaggio è «nessuna nostalgia dei tavoloni con dodici sigle che si
chiamavano Unione, con loro l’Italia si è fermata».
Alla sfida del
«campo largo» che rilancia Pisapia nella piazza (ristretta) che fu la
sede dell’Ulivo, Renzi risponde immaginando il Pd come il centrosinistra
in una sola lista, anche in funzione del rientrante Consultellum come
sistema elettorale. Per questo fa sfilare nella due giorni milanese un
po’ di società civile potenzialmente ospitabile sotto le insegne del
partito: i citatissimi Mauro Berruto, allenatore e motivatore, Roberto
Burioni, difensore dei vaccini, e Lucia Annibali, avvocata contro la
violenza di genere. Tutto già visto all’epoca della prima «vocazione
maggioritaria» e delle liste «aperte» di Veltroni (i candidati si
chiamavano allora Calearo, Colaninno, Binetti…), e infatti il primo
segretario del Pd è l’unico citato indirettamente da Renzi: «Ho
nostalgia del Lingotto». Tutti gli altri ex leader che in queste
settimane ne hanno smontato la linea, invece, sono accusati di
passatismo: Prodi, D’Alema, Bersani «si occupano di riscrivere il
passato mentre noi ci dedichiamo al futuro».
«Chi parla di
centrosinistra senza il Pd vince il premio Nobel della fantasia», dice.
Ma al ripetuto invito di essere più inclusivo – il famoso «passare
dall’io al noi» – Renzi risponde sostanzialmente picche. L’inclusione la
farà girando il paese con il suo libro – o il suo treno – e poi «noi
senza io non funziona, se non comanda nessuno è l’inizio dell’anarchia».
Chi comanda è già deciso: «Non possiamo fare le primarie ogni
settimana, io rispondo a quei due milioni che nessuno aspettava» (in
realtà un milione e ottocentomila, un milione e duecentomila per lui).
Il messaggio per i «capi corrente» inquieti, primo fra tutti Dario
Franceschini, non potrebbe essere più chiaro. Non bastasse, eccone un
altro: «Volete la garanzia di andare in parlamento? Mettetevi in gioco,
lavorate». Caduto l’incostituzionale premio di maggioranza, la corsa
sarà per tutti più dura.
Intanto il «popolo delle primarie» e poi i
regolamenti del Pd hanno regalato al segretario una maggioranza
autosufficiente nell’assemblea nazionale e anche nella direzione, che
adesso anticipa al prossimo 6 luglio non certo per l’analisi del voto
sulla sconfitta alle amministrative – «vogliamo ancora parlarne?» – ma
per chiudere con le «polemicucce».
Il riflesso, anche per il
«rottamatore», è quello del centralismo contro le quinte colonne. Se non
le elezioni vere, «nei sondaggi stavamo andando bene, arrivavamo al
32%» quando «è scattato il virus dell’autodistruzione a sinistra,
attaccano me per attaccare il Pd». Mano tesa a Gentiloni, per reagire
alla manovra di chi lavora sulle loro differenze: «Sta andando
benissimo». Eppure solo «adesso», annuncia, «si parte sul serio».
Condannato all’eterna ripartenza, giura: «Non mi faccio fermare da
nessuno». Non certo dai «nostalgici di un passato meraviglioso che non è
mai esistito». Ed è nella logica della «competition» che Renzi ha
scambiato il posto con il suo secondo Martina e ha deciso di parlare
ieri invece che venerdì, in modo da sovrapporsi nelle cronache a
Pisapia.
«Ragioniamo con tutti», dice nel rispetto delle forme,
però il «ragionamento» è sempre quello dei non trionfali mille giorni.
Le «magliette gialle» che «adesso sono diventate un brand», il «non mi
interessano i posti in parlamento ma i posti di lavoro», l’impegno a
«ascoltare la gente e non la politica politicante romana», e persino la
promessa di «lasciare l’aria condizionata e l’atmosfera ovattata dei
palazzi» nel prossimo viaggio (in terza classe?) sui binari della
penisola. Tutto questo perché, dice Renzi, «il Pd è l’unica diga contro i
populisti»