Il Fatto 2.7.16
La politica che ignora l’astensione
Cosa ci insegnano i ballottaggi - Con i seggi deserti, crescono la protesta, il cinismo e il degrado sociale
La politica che ignora l’astensione
di Salvatore Settis
Per
tutti è difficile capire dove la nave va, ma per gli apparati di
partito, estirpata con apposita lobotomia ogni capacità di autocritica,
pare addirittura impossibile. In casa Pd, il risultato delle Comunali
viene letto dai più come se fosse possibile retrodatarlo di dieci o
vent’anni, misurando sul bilancino quanto cresce “la destra” o cala “la
sinistra”.
Ma due fattori-chiave condannano tali analisi: primo,
queste Comunali sono una tappa intermedia fra il rovinoso referendum del
4 dicembre e le Politiche di chissaquando; e per quanto Renzi abbia
cercato di defilarsi sono state determinate, come già il referendum e le
Politiche, dall’ingombrante personalismo del segretario del Pd.
Secondo, il macrofenomeno che segna questa sequenza di tre appuntamenti
elettorali è la crisi irreversibile di quella che fu la Sinistra: il
fallimento del progetto-Pd, formazione ibrida che per governare ha
adottato in gran parte le politiche della destra innescando la reazione a
catena delle scissioni, frantumazioni, correnti, dissensi e altri
sgretolamenti e voragini. Anche se svuotato delle ragioni storiche della
Sinistra, il Pd ne ha ereditato qualche residua pattuglia di
irriducibili fedeli al partito-che-non-c’è-più. Fedeli, è vero, al verbo
del Nazareno quale che esso sia, ma vecchi dentro e comunque in via
d’estinzione. La decomposizione del Pd è la causa principale del
crescente astensionismo, che inquina e falsifica qualsiasi risultato
elettorale, quando si rifletta che si può esser sindaco di una città
importante con il 18% dell’elettorato reale. Su questo sfondo, il
conclamato successo di Berlusconi (ma anche la relativa tenuta dei
Cinque Stelle) sono epifenomeni, che si scioglierebbero come neve al
sole se in luogo del Pd vi fosse un partito di sinistra capace di
lanciare un serio progetto per l’Italia e riportare gli elettori alle
urne.
Insistendo su una voglia di rivalsa sempre più sfocata e
patetica, Renzi si autodenuncia come responsabile dei rovesci passati e
futuri di un partito che a quel che pare non sa disfarsene. Ma sarebbe
ingiusto considerarlo l’unico colpevole. L’elenco dei complici è lungo,
anche se molti trovano solo ora il coraggio di parlare, magari a fior di
labbra. Dov’erano i nemici dell’astensionismo, quando alle Europee 2014
Renzi sbandierò il prodigioso 40,81% del Pd? Perché non hanno detto
subito con altrettanta forza che, poiché i voti espressi coprivano solo
il 50,58% dell’elettorato, quel 40,81% valeva in realtà solo 20,64% ? E
perché l’astensionismo era un tema di cui tacere (come di sesso in un
salotto vittoriano) finché si credeva potesse avvantaggiare il Pd con un
(finto) 40%, e ora che gioca a favore delle destre e dei Cinque Stelle è
giusto parlarne? Da che parte stanno i parlamentari che prima hanno
votato in aula per una riforma costituzionale davvero infelice, e poi al
referendum hanno fatto campagna per il No? Che idea d’Italia hanno in
testa ministri e deputati che si sdegnavano davanti a norme di
devastazione dell’ambiente “modello Maurizio Lupi” finché a proporle era
la destra, e le hanno disciplinatamente votate quando l’identico testo
veniva sottoscritto dal Pd?
Perché una nuova legge elettorale era
suprema urgenza purché subito dopo si sciogliessero le Camere, ed è
stata messa in soffitta una volta allontanatasi questa prospettiva? Come
mai si parla tanto di possibili alleanze a valle delle Politiche, e
tanto poco di idee e di programmi? Riconquistare alle urne i cittadini
che le evitano (oltre metà dell’elettorato) dovrebbe essere il primo
punto all’ordine del giorno, se la parola “democrazia” è qualcosa di più
che un flatus vocis
. Tanto più che con la crescita
dell’astensionismo avanzano la protesta, il cinismo, il disagio sociale,
la disoccupazione giovanile, le nuove povertà, il degrado delle
coscienze. Riportare alle urne chi se ne sta allontanando non è
impossibile: lo si è visto il 4 dicembre, quando al referendum
costituzionale hanno votato oltre 33 milioni di italiani (il 66%).
Ripartire dalla Costituzione per rilanciare la democrazia
rappresentativa, far leva sui diritti (e non sugli schieramenti) per
progettare il futuro, ripensare la forma-partito come luogo di
riflessione e di ricerca, e non cassa di risonanza di un qualsiasi capo
(che si chiami Renzi, Berlusconi o Grillo). Imparare ora senza aspettare
dalle Politiche una lezione ancor più dura. Ma i nostri Soloni sapranno
capire che l’autocritica è il prerequisito indispensabile di ogni
capacità progettuale? Come diceva Croce, c’è sempre qualcuno che, posto
al bivio fra capire e morire, senza esitazione sceglie il martirio.