sabato 1 luglio 2017

Corriere 1.7.17
UNO SCONTRO TRA LE SINISTRE CHE NON SARÀ INDOLORE
di Massimo Franco

La competizione a sinistra avrà il battesimo ufficiale e simbolico. La scelta del segretario del Pd, Matteo Renzi, di parlare oggi ai circoli del suo partito a Milano, sembra fatta apposta per oscurare la manifestazione romana del movimento di Giuliano Pisapia. L’ex premier doveva intervenire ieri. Poi il programma è stato cambiato. Così, mentre nella piazza Santi Apostoli della Capitale l’ex sindaco di Milano lancerà il suo «Campo progressista», attorniato da scissionisti dem e da esponenti critici del Pd, Renzi rivendicherà la propria leadership. E sembra intenzionato a opporla a quelle che definisce «formule della politica del passato».
È possibile che le distanze tra le «due sinistre» possano rivelarsi siderali; che qualunque ipotesi di un’alleanza tra Renzi e Pisapia si confermi più problematica di qualunque volontà di saldare i tronconi della sinistra. L’insistenza con la quale i fedeli del segretario affermano che è pienamente legittimato dal congresso, ribadisce la volontà di respingere qualsiasi critica, percepita come un tentativo di rimettere in discussione il suo ruolo. I renziani sentono l’accerchiamento, e intuiscono che il primo obiettivo degli avversari è impedire la ricandidatura del loro leader a Palazzo Chigi. Si tratta di una partita che non prevede pareggi.
Cedere significherebbe dare ragione agli oppositori interni e esterni; e ammettere che rispetto a appena due mesi fa, dopo le Comunali, è tutto cambiato. Un Renzi trionfatore al congresso adesso dovrebbe accettare le stimmate del perdente, cucitegli addosso anche da chi fino a poche settimane fa lo appoggiava. La resistenza è comprensibile, così come la volontà di dettare lui le condizioni di un eventuale accordo con Pisapia. Ma il vertice dem sa bene quanto sia forte l’antirenzismo di chi è appena uscito dal Pd, e anche di una parte di chi ci è rimasto.
Per questo, finora la mediazione paziente dell’ex presidente della Commissione europea, Romano Prodi, non ha fatto breccia. Invece di accoglierla come l’unico modo per uscire da una contrapposizione sterile e potenzialmente suicida, è stata vista dai renziani come qualcosa che porterebbe a un passo indietro del leader; e dai suoi nemici, come una mano troppo tesa nei confronti di un Renzi che si vorrebbe umiliare. Eppure, il rischio che comunque la scissione del Pd non si fermi, è palpabile.
Come lo è la spinta a puntare sul premier Paolo Gentiloni anche dopo le elezioni. Ieri lo ha chiesto l’ex presidente della Camera, Luciano Violante. Ma simili uscite sono viste solo come tentativi surrettizi di staccare Gentiloni da Renzi per indebolirlo. E l’operazione difficilmente può riuscire, nonostante una situazione in evoluzione. Non a caso, Renzi risponde lodando i «mille giorni» del proprio governo. E si prepara a uno scontro che non sarà indolore nemmeno per lui.