Ridere ridere ridere!
Il Fatto 11.6.17
La dottrina della Trinità si può spiegare con una parola: amore
di Mons. Marcello Semeraro
Otto
giorni dopo Pentecoste, la Chiesa cattolica celebra la festa della
Santissima Trinità. Per la Chiesa, in realtà, ogni liturgia è sempre
lode al Padre mediante il suo Figlio Gesù nella comunione dello Spirito e
pure invocazione di ogni dono dalla stessa Trinità. Tutto è
sinteticamente evocato da quanto si legge nella II lettera di san Paolo
ai Corinti e costituisce oramai il saluto abituale con il quale si apre
ogni celebrazione liturgica: “La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore
del Padre e la comunione dello Spirito Santo”. La sequenza di
grazia/amore/comunione non è ispirata da una teoria astratta, bensì
dalla storia evocata da quel che leggiamo nel Vangelo: “Dio ha tanto
amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in
lui non vada perduto… perché il mondo sia salvato per mezzo di lui”.
Ecco,
questo evento dell’avere “donato” il proprio unico Figlio e, come si
legge subito dopo, di avere “mandato” il Figlio nel mondo, insieme con
quanto similmente è detto dello Spirito (ad esempio, nella lettera ai
Galati 4,6: “Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio”) …
proprio questo è il punto di partenza, la categoria fondamentale della
dottrina cristiana della Trinità. Convinzione che nasce da
un’esperienza, che è specificità assoluta della fede cristiana così da
offrire la possibilità di distinguere ciò che è cristiano, da ciò che
non lo è. La confessione trinitaria è la forma cristiana del monoteismo.
A chi domandasse dove sia il tema unificante le tre letture bibliche
indicate dal lezionario per la Messa di questa Domenica, dovremmo
rispondere che sta nella parola amore! Consideriamo
l’autoidentificazione di Dio a Mosè: “Il Signore, il Signore, Dio
misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà”
(Esodo 34,6). Paolo scrive: “Dio dell’amore”. Abbiamo qui una chiave per
intuire qualcosa del mistero della Trinità: nell’amore tutto è
unificato. Annotava Pascal: “La moltitudine che non si riduce all’unità è
confusione; l’unità che non dipende dalla moltitudine è tirannia”
(Pens. 871). In Dio è l’amore a mediare l’unità e la molteplicità. Nella
tradizione dell’Oriente cristiano l’icona principe di questo mistero è
quella di Rublev, al punto che Pavel Florenski ha potuto esclamare:
“Esiste la Trinità di Rublev, dunque Dio esiste”! L’icona evoca la
visita ad Abramo di tre pellegrini narrata nel libro della Genesi (cap.
18). Il mistero che da lì traluce è una comunione di amore. In tale
prospettiva, alla domanda ‘chi è il cristiano?’ la risposta non potrà
che essere la seguente: uno che ha creduto all’amore. Esattamente in
questo senso nella sua prima lettera enciclica Benedetto XVI ha
sottolineato che all’inizio dell’essere cristiano non c’è né una grande
idea, né una decisione etica, ma l’incontro con una Persona che dà alla
vita un nuovo orizzonte e una direzione decisiva.
Papa Ratzinger
citava poi il passo del Vangelo: “Dio ha tanto amato il mondo…” e lo
commentava così: “Con la centralità dell’amore, la fede cristiana ha
accolto quello che era il nucleo della fede d’Israele e al contempo ha
dato a questo nucleo una nuova profondità e ampiezza. Gesù ha unito,
facendone un unico precetto, il comandamento dell’amore di Dio con
quello dell’amore del prossimo contenuto nel Levitico. Siccome Dio ci ha
amati per primo, l’amore adesso non è più solo un ‘comandamento’, ma la
risposta al dono dell’amore col quale Dio ci viene incontro”.
Importante è pure come egli conclude: “In un mondo in cui al nome di Dio
viene a volte collegata la vendetta o perfino il dovere dell’odio e
della violenza, questo è un messaggio di grande attualità e di
significato molto concreto” (Deus caritas est n. 1).
di Mons. Marcello Semeraro Vescovo di Albano