Repubblica 9.6.17
Il 9 giugno 1937 venivano uccisi dai
fascisti in Normandia Carlo e Nello, che influenzarono, non solo in
Italia, il pensiero democratico
I fratelli Rosselli
Così la loro eredità politica vive ancora negli ideali di Giustizia e libertà
Eugenio Scalfari
Carlo
e Nello Rosselli furono uccisi in Normandia nei pressi della casa di
campagna di Carlo che da qualche anno viveva in Francia per sottrarsi
alle soperchierie del fascismo imperante. La squadra degli assassini era
composta da elementi appartenenti alla Cagoule, una setta spietata e
neofascista collegata con i servizi segreti italiani (Ovra) e della
Spagna franchista.
Questo terribile fatto di sangue avvenne il 9
giugno del 1937. L’Italia aveva celebrato la fondazione dell’Impero
(“Sui Colli fatali di Roma”, come cantavano i giovani fascisti) e il
nostro Vittorio Emanuele III aveva ormai il titolo
di Re d’Italia e
imperatore d’Etiopia. Ma c’era il Duce che era il vero capo del
suddetto Impero. I controlli sugli antifascisti e sui comunisti
staliniani erano aumentati. A quelli già emigrati ci pensava il ministro
degli Esteri Galeazzo Ciano, genero di Mussolini e infatti
all’uccisione dei Rosselli ci pensò lui.
Ma chi erano in realtà
questi due fratelli che sono diventati così importanti nella storia
dell’antifascismo italiano e nella cultura politica del nostro Paese?
I
due fratelli erano molto legati tra loro, entrambi presi dagli studi di
storia e filosofia. Nello si occupava del tema della politica
soprattutto attraverso la filosofia; dall’Evo medio fino a Machiavelli e
Guicciardini. Carlo, anche lui attraverso la storia, si occupava dello
spirito della democrazia, del popolo sovrano che era cosa distinta dalle
plebi e stimolò in tal modo la cultura attraverso quel tema. Il suo
lavoro arrivava fino a Mazzini, Garibaldi, Cavour e la Destra storica.
Aveva
anche cominciato, insieme al fratello, a raccogliere dei giovani amici
che spesso arrivavano a Parigi in viaggi in parte turistici, ma in parte
per conoscere il mondo a cominciare dalla Francia. Alcuni di questi
erano di provenienza antifascista e venivano indirizzati a Carlo, il
quale aveva coniato il motto che da quel momento in poi cominciò a
distinguere il suo pensiero e la sua azione: “Giustizia e Libertà”. Dopo
la loro uccisione i parenti li seppellirono al cimitero parigino di
Père Lachaise, ma nel 1951 fu deciso il loro trasferimento in una
frazione di Firenze, al Cimitero monumentale di Trespiano. La cerimonia
avvenne il 9 giugno di quell’anno; le due salme arrivarono a Firenze di
buon mattino e sfilarono dalla stazione a Palazzo Vecchio e quindi
attraversando il centro di tutta la città. I marciapiedi erano gremiti
di folla e la manifestazione si concluse a Palazzo Vecchio, nell’aula
magna destinata a questo tipo di conferenze e di celebrazioni. Il
discorso lo fece Gaetano Salvemini alla presenza del presidente della
Repubblica Luigi Einaudi. Poi le salme furono portate a Trespiano e lì
sepolte. Sulla tomba c’era la scritta “Giustizia e Libertà” e poi la
frase coniata da Salvemini: “Per questo morirono / per questo vivono”.
***
A
quel corteo dalla stazione di Firenze a Palazzo Vecchio io partecipai.
Avevo ventisette anni e vivevo e lavoravo a Milano. Di lì partii per
partecipare a questa celebrazione insieme a un gruppo di antifascisti e
molto affezionati al pensiero manifestato dalle due parole di Giustizia e
Libertà. Io ero insieme a Mario Paggi e a Francesco Cingano. Paggi era
notevolmente più avanti negli anni, ne aveva a dir poco una cinquantina,
era un avvocato molto noto a Milano ed era anche stato pochi anni prima
il capo dei partigiani che operavano nella città. Successivamente aveva
fondato e diretto una rivista politica e aveva iniziato una frequente e
importante collaborazione con il settimanale
Il Mondo, fondato e
diretto da Mario Pannunzio. Cingano lavorava già alla Banca commerciale
dove poi fece una splendida carriera e diventò molti anni dopo
presidente della suddetta banca e poi presidente di Mediobanca. Siamo
stati amici per tutta la vita.
Paggi invece era molto apprezzato
professionalmente e politicamente anche perché i suoi articoli sul Mondo
circolavano nella élite milanese liberale e aperta al socialismo. Ogni
mattina della domenica c’era una riunione nello studio di Paggi dove il
meglio dell’intellettualità milanese confluiva. Erano una ventina o
anche un po’ più di persone in una grande sala dello studio. Poi
andavamo in corteo a prenderci l’aperitivo al Cova che a quell’epoca
stava in via Verdi all’angolo con piazza della Scala.
Quanto al
cimitero di Trespiano, in esso sono sepolti, oltre ai Rosselli, anche
Gaetano Salvemini, Ernesto Rossi, Piero Calamandrei e Spartaco
Lavagnini. Tutti nomi che fanno parte della storia culturale democratica
del nostro Paese.
***
I Rosselli, la loro storia, i loro
studi, le loro idee sono stati e sono tuttora seguiti da quel settore
dell’intellettualità italiana che è particolarmente sensibile alla
storia della democrazia. Ma è accaduta qualche cosa di più di questo che
ci riguarda personalmente. È accaduto che il Partito d’Azione, nato
quando i Rosselli erano già morti ma imperniato sulla frase Giustizia e
Libertà, abbia avuto una sua storia e mi permetto di dire che questa
storia coincide in gran parte con quella del nostro gruppo editoriale e
quindi di noi che lo fondammo. Quando parlo del gruppo editoriale metto
d’apertura Il Mondo di Mario Pannunzio, poi l’Espresso, che Arrigo
Benedetti ed io fondammo nell’ottobre del 1955, e infine la Repubblica,
fondata il 14 gennaio del 1976. Non sono questi i soli giornali del
nostro gruppo perché ce ne sono alcuni locali ed infine è stato concluso
un accordo con Fca/Exor della famiglia Agnelli che ha ceduto al nostro
gruppo la società editrice della Stampa di Torino e del Secolo XIX di
Genova a fronte di un ingresso nella nostra compagine azionaria. Il
gruppo è presieduto da Carlo De Benedetti e dalla Cir, a sua volta
presieduta dal figlio Rodolfo; entrambi sono amministrati da Monica
Mondardini.
Faccio qui un’affermazione che non teme smentite: noi
siamo un gruppo molto democratico e particolarmente vicino al pensiero
dei Rosselli e al Partito d’Azione che fu fondato durante la Resistenza
fregiandosi del motto di combattimento che fu appunto Giustizia e
Libertà.
Purtroppo il Partito d’Azione durò poco: all’assemblea
costituente mandò quattro o cinque deputati i quali a lavori finiti
sciolsero il partito, alcuni dei loro dirigenti passarono al Partito
socialista ed erano Riccardo Lombardi e De Martino. Un altro dei
dirigenti, Ugo La Malfa, passò alla guida del Partito repubblicano.
Non
ebbe molta fortuna anzi pochissima il Partito d’Azione, ma attraverso
di esso le dottrine dei Rosselli transitarono nell’opinione pubblica
democratica e assunsero la forma cosiddetta del liberal- socialismo che
coniugava le due essenze fondamentali di una democrazia. Del resto i
colori della bandiera tricolore, che furono il simbolo della Rivoluzione
francese e furono anche adottati con qualche leggero mutamento di
colore, dal Regno d’Italia e poi dalla Repubblica che ne è seguita,
rappresentano tre valori che sono o dovrebbero essere universali e cioè
appunto libertà, giustizia, fraternità. Giustizia nel concreto significa
eguaglianza e il liberal- socialismo ha come spirito politico quello
della coesistenza di libertà e eguaglianza. Talvolta la prima è la
libertà che peraltro non potrebbe sussistere se non fosse moderata
dall’eguaglianza e viceversa, l’eguaglianza diventerebbe una caserma per
chi l’adotta se non ci fosse costantemente la libertà. Questo è il
liberal- socialismo e questo è stato dal Mondo attraverso l’Espresso
fino ai nostri quotidiani il centro della nostra educazione politica che
ha avuto modo di diffondersi tra milioni di persone.
Qualcuno
contesta che il Mondo appartenesse a questo modo di vedere la democrazia
italiana, ma sbaglia. Pannunzio era un liberale di sinistra e come tale
insieme al suo gruppo composto da Nicolò Carandini, Ennio Flaiano, Enzo
Forcella, Storoni, Renato Giordano e soprattutto Ernesto Rossi,
condivideva pienamente lo slogan Giustizia e Libertà. Aveva affidato ad
Ernesto Rossi (che aveva fatto parte dei dirigenti del Partito d’Azione
dopo aver scontato anni ed anni di galera e di confino durante i quali
scrisse insieme a Spinelli e Colorni il Manifesto di Ventotene per gli
Stati Uniti d’Europa), le materie dell’economia politica e
dell’assistenza al sociale. Conobbi bene Ernesto perché fu lui il
maestro che mi insegnò a scrivere nei modi dovuti su questi argomenti
essenziali. Il tandem Pannunzio-Rossi fu dunque la realizzazione
completa del liberal-socialismo al quale diedero un contributo
fondamentale sul piano politico Ugo La Malfa ed anche Francesco
Compagna. A livello superiore di questo tandem c’erano Benedetto Croce e
Gaetano Salvemini.
L’Espresso dal 1955 proseguì su basi
editorialmente più ampie questa linea, arrivando nel 1970 a trecentomila
copie di vendita, cosa del tutto insolita per un settimanale di
qualità. Da lì partì l’idea di avere anche un quotidiano. Ci volle un
po’ di tempo per pensarlo e per trovare un editore che lo finanziasse.
La soluzione finale fu l’accordo fifty- fifty tra la nostra società
editoriale e la Mondadori. Dopo i primi anni abbastanza duri
editorialmente, anche Repubblica prese il via arrivando a settecentomila
copie di vendita giornaliere e in certe occasioni superandole. Parlo di
questa diffusione perché i valori che queste testate hanno diffuso
hanno lasciato una traccia notevole nella società italiana che poi
sboccò nell’Ulivo di Romano Prodi, nei Ds di D’Alema e Fassino e nei
popolari cattolici e laici organizzati da Rutelli. Infine la fusione dei
due raggruppamenti portò alla nascita del Partito democratico che ha
tuttora la maggioranza parlamentare, nonostante errori e scissioni. Il
partito fu fondato da Veltroni e poi proseguì con Enrico Letta e Matteo
Renzi.
Non entro nel discorso attuale del quale è mio compito
occuparmi la domenica. Quello che però debbo dire per concludere questo
discorso, che parte dall’uccisione dei Rosselli esattamente il 9 giugno
del ’37, consiste nella maturità politica di chi ha condiviso il loro
insegnamento, i loro valori e lo slogan che tutti ci accomuna: ancora
una volta Giustizia e Libertà.
Con il Partito d’Azione le dottrine
dei due intellettuali arrivarono all’opinione pubblica e assunsero la
forma del liberal-socialismo Quella tradizione fu portata avanti dalla
rivista “Il Mondo” di Pannunzio e ispirò poi la fondazione
dell’“Espresso”
LA FOTO, 1925
I redattori di Non Mollare da
sinistra Nello Traquandi, Tommaso Ramorino, Carlo Rosselli, Ernesto
Rossi, Luigi Emery, Nello Rosselli