Repubblica 8.6.17
Thoreau
A duecento anni dalla nascita New York celebra l’autore di “Walden” con una mostra ricca di oggetti e manoscritti
L’America riscopre i diari dello scrittore solitario schierato dalla parte degli ultimi
Holland Cotter
Quando
frequentava il liceo, mio padre tutte le estati lavorava come bagnino
al lago Walden. Da bambino andavo spesso lì a fare birdwatching, a
leggere i diari di Henry David Thoreau e ad assorbire vibrazioni
trascendentaliste da quel lago glaciale di acqua limpida contornato di
abeti e sentieri. Non ero mai solo, neanche in bassa stagione. Venivano
continuamente pellegrini sulle tracce di Thoreau. La piccola baita – lui
la chiamava casa – che aveva costruito qui nel 1845, che aveva
ammobiliato con una ribaltina in legno di pino dipinta di verde e dove
aveva vissuto per due anni, era scomparsa da tempo, ma un tumulo di
pietre sparse segnava il punto in cui sorgeva e ogni visitatore gettava
una pietra nuova sul mucchio. Era un assaggio di Thoreau: una lezione
mora
le (dare, non prendere) e la sensazione di aggiungere
qualcosa alla storia. Gli stessi risultati, più o meno, si possono
ottenere visitando fino al 10 settembre la mostra This Ever New Self:
Thoreau and His Journal alla Biblioteca- museo Morgan di New York.
Materialmente, c’è tantissimo Thoreau qui, più di quello che potete
trovare a Walden. E guardando la mostra si capisce quanto sia importante
averlo qui con noi in questo momento: non solo perché il 2017 è il
bicentenario della sua morte, ma perché rappresenta un modello di
resistenza in una fase politica lacerante, autodistruttiva e demagogica.
Sono
tre gli oggetti centrali della mostra, e due di questi sono fotografie
di Thoreau, i soli documenti concreti che possediamo sul suo aspetto.
L’immagine più vecchia è un minuscolo dagherrotipo scattato nel 1856,
quando aveva 39 anni. Quasi nessuno lo definiva bello (Nathaniel
Hawthorne, suo amico e vicino, diceva che era «brutto come il peccato
»). Ma molti ricordavano i suoi occhi chiari grigio-azzurri, ed eccoli
qui, immortalati in uno sguardo trattenuto, indagatore, che vediamo di
nuovo nelle sue fattezze di cinque anni dopo, quando, segnato dalla
tubercolosi, aveva ancora solo pochi mesi di vita davanti a sé.
Il
cuore dell’installazione è la scrivania a ribaltina di Walden, in
prestito dal museo di Concord, Massachusetts. In un certo senso si può
dire che l’intera mostra si irradia da questo mobile. Thoreau lo comprò
poco dopo essersi laureato a Harvard, quando lui e suo fratello
maggiore, John, aprirono una scuola vicino a casa loro, a Concord
appunto. Quando la scuola fu chiusa all’improvviso – John morì di tetano
a 26 anni dopo essersi tagliato con un rasoio – Thoreau tenne la
scrivania. Probabilmente la usò come tavolo da disegno quando cominciò a
lavorare come agrimensore (il suo goniometro e il suo compasso sono in
mostra). Quasi certamente servì come postazione di lettura per il
Thoreau eterno studente, che passava al setaccio testi sacri induisti,
guide ornitologiche e trattati filosofici del suo vicino, mentore e
amico-nemico Ralph Waldo Emerson. E fu un equipaggiamento fondamentale
per lo scrittore a tempo pieno che diventò, privatamente (con il suo
diario aggiornato tutti i giorni) e pubblicamente (come conferenziere e
saggista). La mostra, organizzata da Christine Nelson della Morgan e
David Wood del Concord, è divisa in sezioni corrispondenti alle diverse
sfaccettature dell’identità di Thoreau – studente, lavoratore, lettore,
scrittore – che usano il diario come filo conduttore: e questo nessuno
può farlo meglio della Morgan considerando che quasi tutti i diari
sopravvissuti, circa 40 volumi scritti a mano, sono conservati nella sua
collezione. Rappresentano uno dei grandi tesori manoscritti di New York
e sono il modo più diretto e coinvolgente per avvicinarsi a Thoreau.
Nella mostra sono esposti diversi volumi aperti. Attraverso le loro
parole prende forma un dramma ed emerge una personalità,
sorprendentemente differente dal Thoreau antisociale e frugale della
leggenda moderna. Lungi dall’essere un recluso, Thoreau passava gran
parte del suo tempo con le persone. Con certe tipologie non si trovava
proprio: le autorità presuntuose, quelli che facevano di tutto per
mettersi in vista (un breve soggiorno a Manhattan per cercare di entrare
nel mondo dell’editoria fu un disastro) e gli ingessati esponenti della
borghesia di Concord. Si paralizzava quando si trattava di fare
conversazione spicciola e prolungare la socializzazione con una
compagnia che non era di suo gradimento lo lasciava sfibrato. Ma era un
familiare devoto, un amico coscienzioso e un beniamino dei bambini. Le
sue simpatie andavano agli emarginati, agli oppressi: i braccianti
irlandesi scaricati nei sobborghi di Concord, i nativi americani
espropriati che incontrava nei suoi viaggi. Sua madre era stata una
delle fondatrici della Società femminile antischiavista di Concord, sua
sorella Helen era un’amica di Frederick Douglass (il celebre
intellettuale abolizionista afroamericano) e la sua casa di famiglia era
una delle “stazioni” dell’Underground Railroad, la rete clandestina di
itinerari e rifugi sicuri messa in piedi dagli abolizionisti per
garantire agli schiavi fuggitivi il passaggio verso il Canada.
Considerando questo contesto, la notte che passò in prigione, nel 1846,
per essersi rifiutato di pagare le tasse a un governo che sosteneva la
schiavitù fu un evento meno sensazionale di quello che la storia cerca
di far credere. Le azioni più rischiose vennero dopo, quando nel 1854
pronunciò un discorso furiosamente antischiavista sotto una bandiera
americana rovesciata e listata a lutto, su un palco accanto a Sojourner
Truth, ex schiava e paladina della lotta abolizionista e dei diritti
delle donne. E colpì ancora più forte quando prese le difese
dell’abolizionista radicale John Brown nel 1859. In entrambi i casi,
estrapolò idee e parole dal diario, l’unico luogo in cui si concedeva di
parlare in modo libero.
«Quando ieri io e Sophia siamo passati in
barca attraverso le terre del signor Prichard, dove il fiume è
costeggiato da una lunga fila di olmi e salici bassi, alle sei del
pomeriggio, abbiamo sentito una singolare nota di angoscia». Thoreau,
pensando che un uccello fosse nei guai, remò fino a riva per aiutarlo,
poi vide «un animaletto nero che veniva frettolosamente incontro alla
barca. Un piccolo topo muschiato? Un visone? No, era un gattino
minuscolo. Abbandonando i suoi miagolii, venne scompostamente sopra le
pietre, con tutta la velocità che gli consentivano le sue deboli zampe,
dritto verso di me. Lo presi e lo depositai nella barca, ma mentre la
spingevo via dalla riva lui la attraversò di corsa tutta quanta fino a
Sophia, che lo tenne in braccio mentre remavamo verso casa ». Questa
annotazione del diario risale al maggio del 1853, molto avanti nell’arco
cronologico che circonda la ribaltina verde nella mostra. A quel punto
sarete già passati attraverso la gran parte di una vita istruttiva e
generosa. E semplicemente per il fatto di avervi dedicato attenzione
avrete aggiunto, come quelli che lasciano una pietra a Walden, qualcosa
alla storia: la vostra.