Repubblica 8.6.17
Boccassini: “Riina resti in cella non è vendetta, solo giustizia”
La
pm antimafia difende la scelta del tribunale di sorveglianza
“L’apertura di Albamonte? Non è la linea di chi lotta contro i clan”
Piero Colaprico
MILANO.
Anche Ilda Boccassini si schiera contro la possibilità che il capo dei
capi di Cosa Nostra, responsabile di stragi e di centinaia di omicidi
tra cosche, possa tornare a casa per ragioni umanitarie. Magistrato
impegnato da decenni nell’antimafia che porta in carcere, e con condanne
definitive, i criminali di peso, Boccassini affida a
Repubblica
il
suo pensiero: «Il provvedimento dei giudici di sorveglianza di Bologna è
stato un atto di giustizia e non di vendetta nei confronti del
pluriergastolano Salvatore Riina. Ho percepito, al contrario, come
inappropriate e per nulla condivisibili le dichiarazioni del presidente
dell’Associazione magistrati. Mi auguro che, in questo caso, le sue
parole non rappresentino il pensiero della maggioranza dei colleghi.
Soprattutto — mi pare doveroso sottolinearlo — di quanti, in silenzio e
rifuggendo la luce dei riflettori, ogni giorno si adoperano nel
contrasto al crimine organizzato, e in generale per garantire ai
cittadini una giustizia giusta».
Boccassini non nomina mai la
Cassazione, ma difende la linea del tribunale di sorveglianza di
Bologna, competente sul carcere di Parma. Qui Riina è attualmente
detenuto, dopo la cattura nel 1993 e una lunga permanenza nel carcere
milanese di Opera, dov’era stato intercettato mentre si vantava con un
altro detenuto del suo potere mafioso. Per i giudici bolognesi, spiega
un’ordinanza del maggio 2016, le sue condizioni di salute, «pur gravi»,
sono curabili in carcere, non sono stati mai superati i «limiti» del
rispetto dell’umanità ed è la «notevole pericolosità» a imporre la
«detenzione inframuraria». Ma nei giorni scorsi la prima sezione penale
della Cassazione ha bollato quell’ordinanza come «carente e
contraddittoria». Ha ricordato «l’esistenza di un diritto a morire
dignitosamente » e rimandato gli atti nel capoluogo emiliano, dove si
deciderà il 7 luglio.
Per Eugenio Albamonte, presidente dell’Anm,
la Cassazione con i suoi distinguo «dimostra che lo Stato è più forte
della mafia»; di più, «una giustizia che ragiona in termini di diritti
nei confronti di una persona che li ha negati dovrebbe renderci
orgogliosi». Ma proprio queste parole, dette da Albamonte a Repubblica
tv, non sono piaciute a Ilda Boccassini. A lei, procuratore aggiunto a
Milano, guardano molti di quei magistrati e detective che «si adoperano
per garantire ai cittadini una giustizia giusta». E tra loro non sono
pochi quelli che, come ha spiegato ieri “Omar”, uno dei carabinieri che
catturarono nel 1993 il capo dei capi, si aspettano la certezza della
pena.
Va ricordato che sia Bernardo Provenzano, sia Luciano
Liggio, boss paragonabili a Riina, nonostante fosser in condizioni di
salute peggiori (ieri è comparso in teleconferenza al processo d’appello
per la strage del Rapido 904, che risale al 1984, mostrandosi in
barella) sono morti senza poter tornare a casa.