Repubblica 6.6.17
Gli interessi di bottega
di Gustavo Zagrebelsky
CHI
sa perché si debba chiudere la legislatura qualche mese prima della
normale scadenza e votare in autunno? Se ce lo chiediamo, non sappiamo
rispondere. Se lo chiedessimo, non avremmo chiare risposte. Infatti, non
ci sono ragioni evidenti e, in mancanza, la stragrande maggioranza dei
cittadini interpellati è per la prosecuzione fino alla scadenza
naturale: c’è un governo, ci sono leggi importanti da approvare
definitivamente, ci sono scadenze legislative importantissime da
rispettare in materia finanziaria, ci sono rischi per la tenuta dei
conti pubblici, ci sono apprensioni per le conseguenze di possibili
violazioni dei parametri europei di stabilità finanziaria, per non
parlare dei rischi della speculazione internazionale.
Vorremmo una
risposta che riguardi non gli interessi di questo o quel partito in
Parlamento e nemmeno di tutti o della maggior parte dei partiti, ma il
bene del nostro Paese, quello che si chiama il “bene comune”. Nel nostro
sistema costituzionale, a differenza di altri, non è previsto
l’auto-scioglimento deciso dai partiti per propri interessi o timori. La
durata prefissata e normale della legislatura (cinque anni) è una
garanzia di ordinato e stabile sviluppo della vita politica.
LA
“STABILITÀ” è stato il Leitmotiv invocato quando faceva comodo, anche
quando si sono rese evidenti ragioni oggettive di scioglimento delle
Camere, come dopo la dichiarazione d’incostituzionalità della legge
elettorale, all’inizio dell’anno 2014.
Una risposta istituzionale
non c’è. Ci sono anzi molta ipocrisia e reticenza che nascondono ragioni
che sono, infatti, di mero interesse partitico. Da parte del maggior
partito di maggioranza, il Partito democratico, si dice che votare in
autunno o alla scadenza normale nella primavera dell’anno venturo non fa
una grande differenza, ma poi si lavora forsennatamente a una legge
elettorale nuova per andare al voto il più presto possibile. Lo muove il
desiderio del suo segretario e della cerchia che gli sta intorno di una
rivincita dopo la sconfitta nel referendum del 4 dicembre? Oppure, il
desiderio di fare piazza pulita degli oppositori interni, privandoli
della candidatura alle elezioni? Oppure, la volontà di ostacolare,
strozzando i tempi, l’organizzazione di forze concorrenziali a sinistra?
Oppure, il timore di dover sostenere misure impopolari da “lacrime e
sangue” in autunno, che farebbero perdere consenso e voti alle elezioni a
scadenza normale? Oppure, perfino la volontà di non dover sostenere
riforme importanti e da lungo tempo attese su diritti fondamentali, come
quelle che questo giornale ha segnalato e continua a segnalare, riforme
che potrebbero essere in dirittura d’arrivo ma col rischio di far
perdere consensi tra porzioni dei suoi elettori (misure antimafia,
riforme della giustizia, lo
ius soli al posto dello ius sanguinis
per la cittadinanza, il cosiddetto testamento biologico, il delitto di
tortura, ecc.)? Dal Pd viene la spinta e gli altri partiti pro-elezioni
anticipate si accodano per loro ragioni: chi perché pensa di poter
subito incassare successi (M5Stelle, Lega), chi per rientrare in gioco
(Forza Italia).
C’è pervicacia, ma se le ragioni sono quelle
anzidette le si dovrebbe definire “interessi di bottega”. Al di sopra,
ci dovrebbe essere l’interesse nazionale di cui custodi sono il
Presidente del Consiglio e il Presidente della Repubblica. Né l’uno né
l’altro hanno il potere di costringere qualcuno, se non vuole più, a
sostenere il governo in carica, ma entrambi hanno almeno il potere di
promuovere un chiarimento in Parlamento, prima di qualunque crisi di
governo e di scioglimento delle Camere, e di chiamare i partiti ad
assumere esplicitamente le loro responsabilità di fronte al Paese:
“esplicitamente”, cosa in questa fase non facile per assenza di
argomenti degni della posta in gioco ma, proprio per questo, doverosa.
Il
voto anticipato s’intreccia con la nuova legge elettorale senza la
quale, si dice, non si può votare. Poiché il voto è urgente, la legge è
urgentissima. Tralascio le assurdità contenute nel testo iniziale,
spiegabili in parte col voler continuare con i “nominati” e non con gli
“eletti”, in parte con la cementificazione degli oligarchi di partito,
in parte con la sfrenata fantasia creativa degli autori. Di questo s’è
ampiamente scritto e detto e, del resto, ad alcuni dei macroscopici
abusi sembra che qualche volenteroso voglia porre rimedio. Ciò che
colpisce, sopra tutto, è che, pur di avere una legge, si rinnegano tante
cose dette centinaia di volte nel passato recente: che non ci sarebbero
più stati compromessi dopo le elezioni (gli “inciuci”); che “la sera
stessa” si sarebbe saputo chi avrebbe vinto e governato per cinque anni,
che il bipolarismo e l’alternanza erano dati acquisiti e che mai e poi
mai si sarebbe ritornati agli obbrobri della prima repubblica. Tutto
questo era diventato quasi una questione di fede, ma in un lampo s’è
dileguato. Anzi, si sente il contrario. Certo, proporzionale o
maggioritario è questione opinabile e, infatti, le opinioni divergono.
Ma, che si sia passati da un momento all’altro, senza una riflessione di
merito, da ballottaggi e premi di maggioranza, cioè dalla logica
maggioritaria, alla proporzionale, questo è piuttosto sconcertante e si
spiega con la voglia di voto anticipato. Che cosa potrà accadere, se si
potranno formare maggioranze e quali, se si dovrà tornare a rivotare, se
si dovrà rimettere mano, ancora una volta, alla legge elettorale, tutto
questo sembra interessare poco o nulla i partiti che chiedono elezioni
subito. Vogliono cogliere il loro frutto. Poi si vedrà.
E pure, la
legge elettorale non è solo un mezzo di realizzazione d’interessi
immediati, ma è una prefigurazione del sistema delle relazioni politiche
a venire e di questo si tace. Che cosa s’immagina? Di poter governare
da soli? Se non da soli, con chi? Il dopo, naturalmente, è nelle mani
degli elettori, ma questi avranno pure il diritto di sapere prima come
sarà poi utilizzato il loro voto! Ma, sul dopo esistono sospetti,
reticenze e, sulle ipotesi meno presentabili ai propri elettori, silenzi
o tiepide smentite. Come potranno orientarsi gli elettori? Non è la
stessa cosa se il Pd si prepara a una coalizione con Forza Italia,
oppure con una qualche formazione alla sua sinistra; non è la stessa
cosa se il M5Stelle è o non è disposto a collaborare con la Lega. Non si
può trattare gli elettori come burini e considerare i loro voti come
“bottino” o massa di manovra. Meritano altro. L’astensione diffusa
dovrebbe essere presa in considerazione come un segnale di secessione
interiore: un segnale ancora più forte a sentire i tanti, sempre di più,
che dicono che a queste condizioni non sono disposti a votare ancora.
Sia
consentito un accenno personale, che forse rispecchia uno stato d’animo
anche d’altri. Guardo le convulsioni di questa fine-legislatura e non
posso fare a meno di pensare alla Nave dei folli, la Stultifera navis di
Sebastian Brant. Potrebbe essere istruttiva l’immagine che ne diede
Albrecht Dürer per l’edizione del 1494. Sono stipati in uno spazio
stretto, non sanno dove vanno; chi indica avanti, chi guarda indietro e
chi a destra o a sinistra; altri sono inebetiti; uno è colpito da un
pugno e cade in mare. Tutti hanno le classiche orecchie d’asino. Non c’è
allegria. È un triste carnevale. L’unico che sembra divertirsi sta
attaccato alla fiaschetta. La pazzia, però, è generale. Nessuno si
preoccupa di dirigere la nave. Non c’è segno di consapevolezza del
pericolo che incombe. Che un minuto dopo si possa affondare tutti
insieme, non interessa a nessuno. Questa è la pazzia: stare o agitarsi
ciascuno per proprio conto, girare in tondo, ciechi, senza connessioni,
senza futuro. Credere di poter sopravvivere solo sopravvivendo.
S’avvicinano le elezioni e la frenesia sulla nave impazza. Nella poesia
di Rimbaud, il Bateau ivre danza sui flutti, leggero come un tappo, ed è
abbandonato alle correnti. Noi, invece, l’abbiamo tra noi e danziamo
con lui.