venerdì 2 giugno 2017

Repubblica 2.6.17
Il reportage.
Nella città più colta e tollerante d’Inghilterra si spera in un patto tra Corbyn e lib-dem per cacciare May
Cambridge, l’isola di sinistra che fa il tifo per il trionfo di una coalizione anti-Brexit
Enrico Franceschini


CAMBRIDGE. «Teniamo il razzismo fuori dalle elezioni! Votiamo contro l’islamofobia! Viva l’Europa e la libertà di immigrazione! ». I dimostranti formano un picchetto all’ingresso della Cambridge Union, l’associazione studentesca dell’omonima università, più famosa palestra di dibattiti al mondo. Dentro si sta svolgendo uno dei consueti duelli verbali fra gli studenti e un personaggio celebre: l’ospite di turno è Katie Hopkins, ex-concorrente del reality show inglese “The apprentice” (L’apprendista), personalità televisiva nota per le sue posizioni provocatorie contro musulmani e immigrati, denunciata dopo l’attentato di Manchester per un tweet in cui proponeva una “soluzione finale” per l’-I-slam. «In nome della libertà di espressione è giusto invitarla e contrastarla nel dibattito in aula », afferma Jeff, 22enne leader dei manifestanti. «Ma in nome della medesima libertà è nostro diritto gridare qui fuori che esiste un’altra Gran Bretagna, diversa, tollerante, senza frontiere».
Per vederla, quest’altra Gran Bretagna, non c’è posto migliore di Cambridge. Nel referendum dell’anno scorso, è stata l’area più anti-Brexit dell’intero Regno Unito: l’88 per cento ha votato per rimanere nell’Unione Europea. Il centro di questa antica cittadella universitaria (anno di fondazione: 1209) è lo spicchio più progressista di tutta la nazione. Qui l’attacco terroristico di Manchester non scatena pregiudizi anti- islamici: casomai il contrario, uno sforzo a mantenere l’identità multiculturale britannica degli ultimi venticinque anni. Le elezioni dell’8 giugno rappresentano l’opportunità per riaffermarla. Ma votando per chi? «Se c’è una cosa che rimprovero a Jeremy Corbyn è di non essersi battuto abbastanza contro la Brexit», dice Sam Owens, commerciante e attivista dei diritti civili, criticando il leader laburista. «Meglio che dai laburisti, oggi chi ha votato contro la Brexit è rappresentato dai liberaldemocratici », concorda Arieh Iserles, professore emerito di matematica. In effetti i lib-dem sono l’unico partito apertamente schierato per indire un nuovo referendum sulla Ue: «Il nostro voto va a loro», scrive l’Economist di questa settimana, «come investimento per la costruzione di un futuro vasto partito di centro».
Beninteso, alle elezioni della prossima settimana si prevede che i liberaldemocratici prenderanno al massimo una dozzina di seggi. Sono un piccolo partito. Ma potrebbero egualmente finire per governare come si augura l’Economist: l’ultimo sondaggio di YouGov assegna al Labour appena 3 punti di distacco dai Tories (42-39 per cento), alcuni esperti calcolano che i conservatori conquisteranno la maggioranza relativa ma non quella assoluta, dunque teoricamente Corbyn potrebbe formare un governo di coalizione appoggiato appunto da lib-dem, verdi, indipendentisti scozzesi e nord-irlandesi. «Non perdono a Corbyn il suo tiepido europeismo, ma una grande alleanza fra tutte le forze di opposizione mi pare l’unica chance per farci rimanere nella Ue o almeno non uscirne del tutto», auspica Robert Gordon, docente di italianistica.
«La Brexit ha tirato fuori il peggio dagli inglesi, come fece Berlusconi con gli italiani», osserva sua moglie Barbara, avvocatessa, «e una vittoria di Theresa May non farebbe altro che dare legittimità a quei peggiori istinti». Il peggio, per Cambridge, ha anche conseguenze materiali. «Siamo preoccupati di non poter più attirare studenti europei, che con la Brexit dovranno pagare il doppio delle attuali rette d’iscrizione» (9 mila sterline l’anno, 11 mila euro, per tutti i cittadini della Ue), avverte il rettore Leszek Borysiewicz. Per di più, grazie ai fondi della Ue e agli stretti rapporti con scienziati del continente, l’università è oggi un centro di ricerca all’avanguardia mondiale, attorno a cui sorge una Silicon Valley di start-up ad alta tecnologia e uno dei maggiori laboratori internazionali di ricerca biomedica. «La Brexit costerà 100 milioni di sterline l’anno all’economia della contea », ammonisce Ross Anderson, un consigliere d’amministrazione della Cambridge University.
Certo, quella vista dalla privilegiata cittadella di Cambridge può essere una visione parziale della Gran Bretagna. L’agenzia
Bloomberg, facendo la somma di tutti i sondaggi, continua ad aspettarsi che Theresa May vinca le elezioni, aumentando a 40 o più deputati la maggioranza ricevuta in eredità da David Cameron; e il Financial Times, pur turandosi il naso sulla Brexit, le dà il suo “endorsement”, il tradizionale editoriale di sostegno prima delle elezioni. Ma la squillante vittoria che le veniva pronosticata un mese o due fa sembra improbabile. «Una grande coalizione contro i conservatori è l’unica speranza per continuare a credere in un’Inghilterra che non si chiuda su se stessa», insiste Albert, studente di ingegneria all’Emmanuel College, tra i dimostranti filo-europei al picchetto davanti alla Cambridge Union. «Non so in che modo possa accadere », taglia corto Hanna, sua compagna di studi, «ma sarebbe bello svegliarsi il 9 giugno e pensare che la Brexit è stata solo un brutto sogno lungo un anno».