La Stampa 2.6.17
Lotta contro l’inquinamento
e spinta all’occupazione
Ecco la strategia verde di Xi
La svolta anche per consolidare il ruolo tra i Grandi
Francesco Radicioni
«La
Cina continuerà ad applicare gli impegni presi con gli accordi di
Parigi», ha assicurato ieri a Berlino il primo ministro cinese, Li
Keqiang, nel corso di una conferenza stampa con Angela Merkel.
«Ovviamente ci auguriamo di farlo in cooperazione con altri».
Probabilmente con l’Europa. Il surriscaldamento globale è infatti uno
dei dossier in agenda al summit annuale tra Cina e Unione europea che si
tiene oggi a Bruxelles e che si dovrebbe concludere con una
dichiarazione congiunta a sostegno della lotta ai cambiamenti climatici.
«Una volta che la Cina ha raggiunto un certo livello di sviluppo, si è
mossa verso un modello più sostenibile, il che significa che
continueremo a spingere sullo sviluppo verde». Nonostante la Cina sia
dal 2007 il primo Paese al mondo per emissioni di gas serra, Li Keqiang
ha chiarito che l’impegno sul clima rientra negli interessi della
Repubblica Popolare.
Abituati alla coltre d’inquinamento che
avvolge Pechino è difficile immaginare la Cina prendere la guida della
lotta ai cambiamenti climatici. Però nell’ultimo decennio la posizione
della leadership cinese in materia di surriscaldamento globale è
profondamente cambiata. Nel 2009 la Cina aveva contributo al fallimento
della conferenza di Copenaghen, nel corso della quale Pechino non aveva
fatto mistero di voler continuare a dare precedenza allo sviluppo
economico rispetto alla tutela ambientale. Poi a Parigi, nel 2015, la
Repubblica Popolare aveva fatto alcune aperture. Ma è stato solo con
l’inizio della presidenza Trump che Pechino si è messa alla guida della
lotta ai cambiamenti climatici.
Intervenendo al World Economic
Forum di Davos, il presidente cinese Xi Jinping aveva definito gli
impegni contenuti negli accordi di Parigi come «una responsabilità che
dobbiamo assumerci per le future generazioni». Mentre all’indomani della
firma di Trump che sanciva la fine del Clean Power Plan, Pechino aveva
ribadito che «come grande Paese responsabile la Cina non cambierà i
propri impegni, obiettivi e politiche». In linea con l’azione
diplomatica di Xi Jinping, anche in materia di clima Pechino vuole
presentarsi sulla scena internazionale come un attore affidabile. Non è
un caso che la Cina abbia scelto di ratificare l’accordo di Parigi alla
vigilia del G20 di Hangzhou e di farlo insieme agli Stati Uniti di
Barack Obama. Con quel gesto la leadership cinese rivendicava il proprio
ruolo di «grande potenza», impegnato come l’America negli affari del
mondo.
Ma a spingere Pechino verso una maggiore attenzione
all’ambiente sono state anche questioni interne. In una manciata di anni
le questioni ambientali si sono trasformate dall’«ossessione» di
qualche ambientalista cinese a motivo di diffusa preoccupazione tra la
classe media delle grandi città visti gli effetti che l’inquinamento
dell’aria, dell’acqua e dei suoli ha sulla salute. Inoltre, a differenza
dell’amministrazione Trump, la leadership cinese ha visto negli accordi
di Parigi anche uno strumento per rendere più sostenibile il proprio
modello economico e puntare su innovazione e ricerca. Ieri il ministero
degli Esteri assicurava che Pechino «continuerà il suo piano di
innovazione, coordinamento e sviluppo verde». A partire dal 2013 è
iniziata una lenta – ma costante – riduzione della dipendenza dal
carbone, mentre aumentano gli investimenti in energie rinnovabili. La
leadership di Pechino punta, entro il 2030, ad aumentare del 20% la
quota dell’energia prodotta da fonti rinnovabili. Eolico e solare:
settori dove l’anno scorso sono stati investiti 32 miliardi di dollari.
Ma anche come occasione per f