mercoledì 21 giugno 2017

Repubblica 21.6.17
Il retroscena.
Il capo del governo “sconcertato” dagli attacchi dei bersaniani soprattutto in vista della Finanziaria. Tra gli uomini di Renzi la convinzione che i fuoriusciti li vogliano costringere alle larghe intese: “Separiamoli da Pisapia”
L’ira di Gentiloni e il sospetto dem “Vogliono consegnarci a Silvio”
Goffredo De Marchis

ROMA. Paolo Gentiloni è «irritato » e «sconcertato» per l’attacco violento di Mdp, il movimento dei bersaniani contro Luca Lotti e quindi contro il suo governo. Non sfugge neanche al premier la dose di «ambiguità» di una forza politica che dice di voler sostenere l’esecutivo a tutti i costi ma si smarca ogni volta che può. In questo caso quello che brucia sono i toni e le parole usati da Miguel Gotor, che hanno indotto il renziano Andrea Marcucci a chiedere una verifica politica a Palazzo Chigi. In sostanza, a constatare se una maggioranza c’è ancora. Richiesta smorzata da Largo del Nazareno e dallo stesso Matteo Renzi ma che apre alcuni scenari per il futuro.
Il premier ha dimostrato di avere una sua forza e di essere un valido incassatore. Ma intravede i pericoli all’orizzonte, soprattutto sulla scadenza più importante dell’anno: la legge di bilancio. Il voto su quel provvedimento incrocerà la chiusura definitiva di qualsiasi finestra per le elezioni anticipate. L’esame infatti comincerà a fine ottobre, al Senato, dove i numeri del governo sono fragili. Come si comporterà a quel punto Articolo 1? A Palazzo Chigi non escludono affatto una mossa del cavallo: sfilarsi ufficialmente dalla maggioranza e costringere il governo a votare la manovra insieme con Forza Italia, «per il bene del Paese». In fondo, è quello che è plasticamente visto a Palazzo Madama sulle mozioni della vicenda Consip. «Un’ipotesi che sta in piedi, la verificheremo a tempo debito », dicono gli uomini del premier, come al solito prudenti e attenti ai dossier più immediati, a partire dal salvataggio delle banche. «Un’ipotesi che il Pd non potrà mai accettare - mette le mani avanti Marcucci -. Mai. Ci vogliono costringere alla larghe intese prima del voto. Non succederà».
Effettivamente, la grande ossessione di Pier Luigi Bersani, dai tempi delle elezioni non vinte nel 2013, è la Grande coalizione. L’ex segretario confessò che il brutto risultato del Pd in quelle elezioni fu dovuto al governo Monti, appoggiato con Forza Italia (che si sfilò per prima) e i centristi. Oggi quindi non è fantascienza immaginare che il sogno della sinistra-sinistra sia rovesciare la frittata all’ultimo e scaricare su Renzi il peso di un’alleanza controproducente.
Per questo i renziani, senza insistere, considerano una mossa del premier, adesso, quasi necessaria, una garanzia per il futuro, un modo per fare chiarezza oggi per domani. L’appello alla verifica, smorzato in serata, ha questo significato. Gentiloni però propende per l’attesa, pur non nascondendosi che il momento della verità arriverà. Alla fine di ottobre il governo sarà chiamato a condurre in porto la Finanziaria con voti di chi ci sta per evitare l’esercizio provvisorio. E senza alternative. Ma il partito di Renzi, principale sostenitore dell’esecutivo, deve evitare la gabbia di un patto con Berlusconi, in vista del voto nel 2018.
L’evocazione della verifica serve anche ad allargare le distanze già enormi tra il Pd e i bersaniani. Come dire: l’alleanza elettorale di centrosinistra, se mai si realizzerà, non potrà essere con Gotor, Bersani, D’Alema e con l’associazione di Tomaso Montanari. Il ministro dello Sport Luca Lotti è furibondo e amareggiato per gli attacchi di ieri. Ma l’esito del voto lo soddisfa e non vede scossoni per l’esecutivo. I renziani invece attaccano: «Quello che valeva per Errani, non vale per Lotti - dicono riferendosi a uno dei bersaniani più in vista coinvolto in una vecchia inchiesta -. Sono imbarazzanti e ridicoli».
Bisogna dunque battere sul ferro caldo dell’inaffidabilità a sinistra. E separare Giuliano Pisapia e il suo progetto dall’abbraccio con gli scissionisti. Secondo i renziani è anche l’unico modo per evitare pasticci sulla legge di bilancio, alleanze spurie e perdenti in termini elettorali. Perchè i giochi sono ancora tutti da fare. Non è detto che tutta la sinistra accetterà di buon grado uno strappo con il Pd e con Gentiloni sulla legge fondamentale dello Stato. E non è detto che lo faccia l’ex sindaco di Milano. Questo pensano al Pd. E anche a Palazzo Chigi.