Repubblica 17.6.17
Al di là del giallo sulla fine del suo leader, l’Isis ha già cambiato strategia. E tornerà organizzazione “agile”
Ma sulle ceneri del Califfato si prepara un nuovo Stato in quel che resta tra Siria e Iraq
Giampaolo Cadalanu
LA
RICONQUISTA totale di Mosul è ormai a portata di mano: l’Isis controlla
pochi isolati attorno alla moschea di Al Nuri, mentre i soldati
iracheni continuano ad avanzare. In Siria l’offensiva per Raqqa sembra
entrata nella fase finale, e i primi quartieri periferici sono già in
mano alle truppe della coalizione Sdf, in prevalenza combattenti curdi,
affiancate da forze speciali occidentali, soprattutto statunitensi. Ma
se in Iraq il capoluogo di Ninive è una metropoli, con oltre un milione e
mezzo di persone, la capitale siriana del Califfato è solo una città di
provincia, che prima della guerra contava 220mila abitanti. E questo
lascia prevedere che la battaglia per riprendere Raqqa ai jihadisti non
sarà lunghissima.
Il radicamento territoriale dell’Isis è sempre
più ridotto: il sedicente Stato islamico, in quanto tale, si sta
liquefacendo. È una notizia positiva? In realtà no. Per niente. Privo
del suo “stato”, l’Isis si prepara a tornare un’organizzazione più
agile, di natura puramente terroristica, pronta a colpire nei Paesi
arabi come in Occidente, facilitando le operazioni degli integralisti
solitari ma anche pianificando militarmente attacchi complessi. E
l’Europa è un obiettivo relativamente facile, per la distanza più
ridotta, per la geografia, per la tradizionale apertura alle migrazioni.
Ci
sono persino analisti propensi a credere che i comandi dell’Isis
abbiano coscientemente rinunciato a difendersi usando gli strumenti più
letali, che pure possedevano: armi chimiche, eredità di Saddam, di
Gheddafi o dello stesso governo siriano, ma anche bombe “sporche”,
capaci di spargere materiale radioattivo. Perché questa rinuncia? Per
usare l’arsenale in un modo che per gli integralisti appare più
produttivo: colpendo il nemico in casa sua.
In questo senso per
l’Europa ha un’importanza da non sopravvalutare anche la morte, vera o
presunta, di Abubakr Al Baghdadi. L’uomo che ha voltato le spalle ad
Ayman Al Zawahiri, arrivando all’oltraggio di chiedere un impegno di
sottomissione all’erede di Osama Bin Laden, potrebbe non essere più
indispensabile ai fondamentalisti. Il suo messaggio è stato distribuito,
la strategia di “amministrazione della ferocia” ispirata dal teorico
egiziano Abubakr al Naji è stata propagata e assorbita. Persino i
tentativi di Hamza Bin Laden, figlio di Osama, di riportare ad Al Qaeda
la leadership del fronte jihadista, non ne possono prescindere: lo
conferma l’appello con cui il giovane nelle scorse settimane ha chiesto
non più attacchi su obiettivi d’alto livello, scelti con logica
militare, come progettava suo padre, ma assalto contro «ebrei e
crociati», da condurre nel modo più devastante possibile, con «armi che
non devono per forza essere strumenti militari».
L’Isis che
risorgerà sulle ceneri dello Stato islamico potrà approfittare delle
rivalità settarie che dividono Siria e Iraq. Nel primo caso, la
situazione militare sembra legittimare una prosecuzione dell’attuale
leadership alauita, magari in una entità territoriale ridotta, ma con la
protezione dell’Iran e soprattutto gli aiuti militari della Russia. La
presenza sul terreno di truppe speciali Usa (ma anche britanniche e
norvegesi) a fianco dei ribelli dell’Esercito libero siriano può essere
letta anche come una scelta di campo che imporrà un cambiamento nel
ruolo di Bashar Assad. Meno chiaro è il destino che attende la zona di
Raqqa, vista l’opposizione radicale di Ankara a qualsiasi forma di
territorio curdo indipendente.
Anche in Iraq, l’autonomia del
Kurdistan potrebbe diventare qualcos’altro: il presidente Massoud
Barzani ha indetto unilateralmente per il 25 settembre un referendum che
dovrebbe sancire la secessione da Bagdad. Ma il governo iracheno non è
d’accordo, e la lentezza delle ultime settimane nell’offensiva su Mosul
potrebbe essere un segno del disaccordo. Ancora più inquietanti sono le
domande sul futuro dei sunniti: se a governare le zone liberate
torneranno gli sciiti, con la vecchia corruzione e in più le
rappresaglie sui civili accusati di complicità con l’Isis, le condizioni
che hanno aperto la strada agli integralisti resteranno, per offrire a
chi vorrà nuove opportunità di terrore.