Repubblica 17.6.17
Lo storico Heinz Schilling spiega la modernità della Riforma protestante avviata nel 1517
“L’Europa? L’ha unita più Lutero di Merkel”
Alberto Melloni
Nell’ultimo
centenario della morte di Martin Lutero (1546), una settantina di anni
fa, né Horst Kasner, pastore luterano della DDR, né Rosa Vassallo, pia
piemontese cattolica emigrata in Argentina, avrebbero mai immaginato che
per il giubileo delle tesi – affisse sul portale della cattedrale di
Wittenberg il 31 ottobre 1517 – con cui iniziò
la Riforma
protestante, la figlia del pastore – la cancelliera della Germania unita
Angela Merkel – e il nipote di nonna Rosa – papa Francesco – si
sarebbero incontrati come accade oggi per parlare di politica e di pace
in un mondo che sembra avere reso la fede di Lutero non più un punto di
divisione, ma un punto di contatto. Opera dello Spirito che ha svelenito
la violenza confessionale? Prova della banalità di una società percorsa
da un devastante analfabetismo religioso? Per capirlo bisogna ritornare
al Lutero della storia. Una delle cose che farà la European Academy of
Religion: una piattaforma di ricerca fra Europa, Mediterraneo Medio
Oriente e Russia che si riunisce a Bologna da domani al 22 giugno per la
“conferenza zero”. Ci saranno 500 istituzioni aderenti, 1000 studiosi
di 46 Paesi, 140 panel, 600 papers, 15 lezioni: e fra queste
l’intervento di Heinz Schilling, il grande storico tedesco, autore di
una monumentale biografia di Lutero (uscita in Italia da Claudiana, a
cura di Roberto Tresoldi), in cui ha riversato decenni di studi.
«Lo
storico deve prendere decisamente posizione e resistere alle tentazioni
e alle pretese della politica e soprattutto delle Chiese, che
dichiarano: “Non vogliamo avere nulla a che fare con la storia” – dice
Schilling –. Il dovere dello storico è mostrare cosa Lutero e tutti gli
altri protagonisti del tempo fecero in un mondo estraneo, che non è il
nostro. E chiedersi quali sono quegli elementi che hanno influenzato la
vita degli europei nel corso degli ultimi 500 anni, non solo dalla
prospettiva della Riforma protestante, ma anche da quella delle altre
Chiese, soprattutto della cattolica».
Il “suo” Lutero viene liberato dalla caricatura del monaco modernizzatore lanciato contro un papato medievale.
«La
campagna per le indulgenze, a mio parere, fu uno strumento moderno
nelle mani del papato per raccogliere denaro per un fine importantissimo
come la costruzione della più grande Chiesa della cristianità. Il Papa
fu il primo tra gli uomini di Stato e i principi dell’età moderna a
sviluppare qualcosa come uno Stato sovrano. Addirittura la politica
militare della Chiesa – si pensi a quella di papa Giulio II – era la
migliore del tempo. Insomma, il papato non era – come hanno affermato i
protestanti guardando Roma con gli occhi di Lutero – ai margini del
processo di modernizzazione. Era all’avanguardia come la Spagna. Tutto
questo, però, per Lutero non contava».
Cosa contava per Lutero?
«Il
suo interesse era profondamente religioso: per lui Roma tradiva la fede
proprio perché si stava incamminando verso la modernità. Lutero non era
interessato agli sviluppi della sua epoca. Era alla ricerca di un Dio
misericordioso. La sua domanda non poteva essere nel cuore del papato e
della curia di allora, che lo affrontarono con la bolla di scomunica.
Lutero si trovò davanti a un dilemma. Si domandò: “Torno alla sicurezza
della vita monastica, sapendo di raggiungere la salvezza eterna, oppure
affronto il Papa e mostro ai miei contemporanei che la strada della
Chiesa romana porta alla rovina, rischiando così la mia vita?”. Alla
fine decise di affrontare Roma e il Papa in persona, insultandolo e
chiamandolo Anticristo».
Perché quella scelta oggi può ancora risultare interessante?
«Quello
che stupisce le persone, almeno in Germania, è scoprire che le cose che
oggi ci preoccupano sono già accadute 500 anni fa, quando gli uomini
facevano esperienza di un’insicurezza religiosa e intellettuale, quando
si svilupparono dei conflitti tra potenze mondiali di allora come gli
Ottomani e gli Asburgo. E quando si scatenarono guerre in territori dove
si combatte anche oggi come la Siria e l’Iraq, dove furono prese delle
decisioni che cambiarono il corso della storia del califfato, che passò
dalla predominanza araba a quella ottomana. Grazie a Lutero e alla
Riforma, ma anche a causa dell’incertezza di oggi, è diventato chiaro
come sia importante studiare e prendere in considerazione un ampio
periodo storico per comprendere gli sviluppi del presente. In Germania
si era finito per non insegnare più la storia precedente al XX secolo: è
un errore pericoloso».
Cosa dovrebbero fare le Chiese?
«Dobbiamo
stare attenti a non perdere interesse per le differenze storiche e
teologiche. Non ci si può limitare a dire: “In fondo siamo tutti
cristiani e prima o poi torneremo uniti”. Questo punto di vista è
pericoloso perché rischia di far perdere la sostanza delle singole
culture confessionali che alla fine non riconoscono più il nocciolo
della loro fede. Certo, non ci si può non rallegrare – e questo vale
naturalmente anche per papa Francesco – che si ascolti e accetti l’altro
in amicizia».
A cosa dovrebbe portare allora questo giubileo della Riforma protestante?
«Dovrebbe
spingere a rafforzare l’amicizia e l’accettazione reciproca da un lato.
E dall’altro provocare anche l’elaborazione in prospettiva storica di
quello che è stato il nostro sviluppo teologico. Dobbiamo essere
finalmente consapevoli di quanto si sia diversificata la cultura
religiosa europea, nella consapevolezza che siamo tutti parte di una
famiglia che segue riti differenti senza combattersi l’un l’altro».
Già senza combattersi.