il manifesto 17.6.17
Una moschea dove le donne possono predicare
di Sebastiano Canetta
BERLINO
L’integrazione con le donne “svelate” nella prima moschea «liberale» di
Berlino, e l’apartheid della più grande associazione islamica della
Germania che a Colonia si smarca dalla manifestazione contro il
terrorismo. Due mezzelune diametralmente opposte, distanti poche
centinaia di chilometri quanto teologicamente inconciliabili. Due parti
comunque dell’Islam che – secondo la cancelliera Angela Merkel –
«appartiene alla Germania» e che proprio secondo le regole del
federalismo, comincia a governarsi da sé.
Così, sospesi fra
rivoluzione e restaurazione, diritti civili e doveri religiosi,
cittadinanza attiva e sudditanza passiva i musulmani tedeschi cominciano
a ripensare al loro ruolo nella Bundesrepublik. Indicando, nel bene e
nel male, quale sarà il futuro con cui fare i conti. Ieri a Berlino nel
quartiere di Moabit è stata inaugurata la prima moschea «paritaria»
della Germania. Dedicata al filosofo medievale andaluso Ibn-Rushd
(Averroè) e al padre della letteratura tedesca Wolfgang Goethe, messi
uno accanto all’altro non solo sulla targhetta di ottone.
Da oggi
tra le mura del centro di preghiera le donne possono tenere prediche
esattamente come gli imam maschi e il velo non è obbligatorio. Una
rivoluzione copernicana, per di più a pochi metri dall’altro centro
religioso del quartiere, considerato tra i centri di appoggio al
terrorista del mercatino di Natale di Charlottenburg Anis Amri.
Tutto
merito della forza di volontà di Seyran Ates, 54 anni, avvocata e
attivista per i diritti delle donne di origine turca, che aveva
denunciato pubblicamente la «discriminazione sessista» nei centri di
preghiera. «Abbiamo bisogno di una lettura storico-critica del Corano:
una scrittura del settimo secolo non si può certo prendere alla lettera.
Noi siamo per una lettura del libro sacro – che è molto concentrato
sulla misericordia e l’amore di dio – prima di tutto per la pace. Così
si cambia l’immagine pubblica dell’Islam».
Davvero un altro
pianeta rispetto a Colonia, capitale tedesca dell’Islam «integrale» dove
invece si consuma la guerra (non più sotterranea) tra il Consiglio
centrale dei musulmani e la potentissima associazione Ditib, prima
organizzazione islamica in Germania e mecca di chi segue il pensiero
ortodosso. I suoi imam hanno deciso di non partecipare alla protesta
contro il terrorismo e Daesh fissata per il fine-settimana a Colonia in
nome della «non-ingerenza». L’esatto contrario di quanto prova a
spiegare Lamya Kaddor, organizzatore della manifestazione, convinto che
«bisogna prendere posizione, perché nelle nostre città sta succedendo
qualcosa». Parole chiare, che piacciono anche alla cancelliera Merkel:
attraverso il portavoce del governo Steffen Seibert ha fatto sapere di
«apprezzare molto la manifestazione contro la violenza e il terrore».
L’esclusione dell’associazione Ditib secondo lei «è semplicemente un
peccato».