Repubblica 17.6.17
Caos scioperi se basta un annuncio
Marco Ruffolo
QUANDO
il sacrosanto diritto di sciopero diventa l’arma odiosa con cui una
miriade di piccole sigle sindacali mette in ginocchio un’intera nazione,
ci si deve interrogare sulla tenuta di una legge che evidentemente non
riesce, così come non è mai riuscita, a tutelare gli interessi della
collettività. A impedire che si rimanga intrappolati in ambulanza nel
traffico cittadino, che si resti abbandonati senza notizie in stazioni
ferroviarie e aeroporti, o in piedi per ore sotto il sole a sperare
nell’arrivo di un bus. A impedire che saltino appuntamenti, lavori,
contratti, visite mediche. Un nutrito coro politico grida ora che la
misura è colma e che bisogna rimetter mano alla legge che regolamenta lo
sciopero nel trasporto pubblico. In realtà è da quindici anni che se ne
parla e almeno tre proposte legislative giacciono nei cassetti di
Palazzo Madama. Circa un anno fa il governo Renzi sembrò voler sbloccare
l’impasse, ma alla fine non se ne fece nulla.
Già, ma che cosa si
può fare? Come si fa a togliere ai piccoli sindacati il potere di
bloccare città, stazioni e aeroporti? Proviamo a capovolgere la domanda:
come fanno Cub-Sgb, Usi-Ait e Cobas Lavoro privato (le sigle che hanno
indetto lo sciopero di ieri) a creare il caos in tutta Italia pur non
rappresentando la maggioranza dei lavoratori? Questi sindacati contano
in realtà sul fatto che le aziende dei trasporti, non sapendo quanti
dipendenti aderiranno allo sciopero, non potranno informare
adeguatamente gli utenti sui servizi garantiti e non (a parte quelli
essenziali). A questo punto basterà l’annuncio stesso dello sciopero a
creare il blocco totale o comunque a massimizzare il disservizio. Una
delle soluzioni, proposta dal presidente della commissione Lavoro del
Senato Maurizio Sacconi, è quella di prevedere che ciascun lavoratore
comunichi all’azienda 24 ore prima dello sciopero la propria eventuale
adesione individuale. In questo modo, l’azienda stessa avrà subito un
quadro preciso dei servizi che potrà o non potrà garantire.
Una
seconda proposta cerca invece di impedire un altro barbaro rituale messo
in pratica non di rado dalle piccole sigle sindacali: quello di
convocare lo sciopero, attendere che la notizia venga annunciata da
radio e tv e poi revocarlo all’ultimo momento. Lo stipendio si prende lo
stesso ma il caos è comunque assicurato perché molti treni e voli
resteranno cancellati e perché molti viaggiatori avranno già rinunciato
loro malgrado al servizio pubblico. Per evitare questo scempio — ecco la
proposta — basterebbe imporre che la revoca fosse comunicata con largo
anticipo.
Si spera che il governo trovi finalmente la forza di far proprie queste proposte.
E
tuttavia, al di là dei rimedi parziali che possono essere trovati,
resta sullo sfondo una domanda che sono in pochi a porsi tra i sindacati
e tra gli stessi politici: è possibile garantire il diritto allo
sciopero dei lavoratori del trasporto pubblico senza interrompere il
servizio stesso, senza cioè calpestare un diritto altrettanto
costituzionale della collettività? La risposta in realtà esiste già e
sta in due parole: “sciopero virtuale”. I dipendenti lavorano lo stesso e
il loro monte stipendi di quel giorno viene versato a un fondo nel
quale finisce anche un prelevamento operato ai danni dell’azienda, una
specie di penale (doppia o tripla rispetto agli stipendi a cui
rinunciano i lavoratori). L’idea, caldeggiata già anni fa dal senatore
del Pd, Pietro Ichino, garantirebbe il servizio pubblico e consentirebbe
attraverso il fondo (gestito da azienda e sindacati) di finanziare
opere di pubblica utilità oltre a una campagna di informazione sulle
ragioni dello sciopero. Ma siamo pronti per questo salto di civiltà?