Repubblica 16.6.17
L’addio di Zoro alla Rai “Mi aspettavo una difesa dagli attacchi di Alfano”
di Concetto Vecchio
ROMA.
Diego Bianchi, il padre di Gazebo, ieri pomeriggio ha rinnovato
l’abbonamento in Curva Sud al Roma store di piazza Colonna. «È l’unica
tessera che mi è rimasta», dice, e la infila nel portafoglio.
Bianchi, perché ha lasciato la Rai per La 7?
«È
stato inevitabile seguire Andrea Salerno: lavoriamo insieme da dieci
anni, è sempre stato parte della squadra. Non farlo avrebbe significato
disperdere un patrimonio».
Rai3 quest’anno non l’aveva valorizzata abbastanza?
«Devo
tutto a Rai3, li ringrazio per le opportunità che ho avuto. Ma ogni
anno abbiamo dovuto guadagnarci il nostro spazio. Cinque edizioni,
cinque cambi di palinsesto, a Natale non sapevamo se proseguivamo o
meno. A un certo punto abbiamo condiviso la striscia con Pif e il nostro
spazio si è ridotto. La stagione è finita a metà maggio, sarei andato
volentieri fino alle elezioni».
Quanto ha pesato il caso Alfano?
«Non
ci ha cacciato lui dalla Rai. Ma si sa che l’ha chiesto. Ha minacciato
una causa civile e penale, sostenendo che lo abbiamo diffamato per tre
anni, la Rai ha retto, ma ci sarebbe piaciuta una protezione maggiore
nei nostri confronti».
Ovvero?
«Ci sono stati due episodi
molto gravi. Nel primo Alfano ha fatto marcare a uomo un nostro
operatore che lo seguiva per un servizio, nel secondo caso ci ha negato
l’accredito. Una mossa poco furba, perché alla fine nessuno ha parlato
della conferenza stampa sulla legge elettorale e tutti solo della nostra
esclusione».
Però la Rai non l’ha difesa?
«Definì l’episodio “spiacevole”. Ma quando ha minacciato la causa la Rai ha taciuto del tutto. Lì l’azienda è mancata».
Non lo avevate preso troppo di mira?
«Ma
Alfano è un potente. Nessuno della sua generazione può vantare di
essere stato ministro della Giustizia, dell’Interno e degli Esteri,
anche se è a capo di un partito che è durato meno di Gazebo. Lui non ha
mai digerito il video con cui dimostravano che la polizia aveva dato
l’ordine di caricare gli operai della Acciaierie di Terni che
protestavano in piazza Indipendenza. Alfano lo negò in Parlamento: ma il
servizio provava invece il contrario».
Pensa che a La 7 avrebbe avuto più sostegno?
«Conosco bene il direttore de La7, con Andrea Salerno mi sento molto tutelato».
Ha conosciuto Cairo?
«Ci siamo visti una volta. Un uomo concreto, conosceva benissimo Gazebo, mi ha colpito».
Quindi Cairo seguiva Gazebo?
«Sì, al punto che se l’è preso».
Si chiamerà ancora Gazebo?
«No, perché la testata è in comproprietà tra Rai e Fandango».
Cosa farà a La 7?
«Abbiamo
ancora voglia di raccontare il Paese, probabilmente andremo in prima
serata. Vorrei tornare a fare le cose che mi sono venute meglio in
questi anni: i reportage, le inchieste sul campo. Non vorrei limitarmi a
fare quello che legge i tweet. La striscia quotidiana mi stava stretta,
m’imponeva di stare a Roma cinque giorni su sette».
Guadagnerà molto di più?
«Come in tutti i passaggi d’azienda, ma le assicuro che il tetto dei 240mila euro non mi ha mai riguardato».
La sinistra italiana è più divisa che mai. Lei è disorientato?
«Sì,
ma sono fiducioso, perché avrà presto l’obbligo di trovare un minimo
comun denominatore. La destra l’ha fatto. Sul sovranismo, sugli
immigrati. Ed è più forte che mai. Va dai Cinquestelle a Forza Nuova,
che ha appena aperto una sede dietro casa mia».
Cioè lei spera in un’alleanza che va da Renzi a Bersani?
«È
molto ingenua, detta così. Ma abbiamo alternative? Poi, certo, molto
dipenderà dalla legge elettorale, ma uno del Pd e uno di Civati hanno
più cose in comune di un elettore Pd e di uno M5S».
Questo sforzo spetta a Renzi?
«Sì, è il segretario del partito più grande, ma mi rendo conto che lui e D’Alema sono tutto fuorché inclusivi».
Pisapia lo è?
«Sì, ma non vedo mia figlia che attacca il suo poster nella cameretta ».
Su quali temi il centrosinistra dovrebbe ritrovare l’unità?
«Accoglienza, diritti civili, cultura, lavoro. Non possiamo permettere che la classe operaia voti a destra».