mercoledì 14 giugno 2017

Repubblica 14.6.17
Renzi: “Sì alleanze ma non rifarò l’Unione di Prodi”
L’ex premier: “I Cinque Stelle non sono finiti Elezioni anticipate? Non le ho mai chieste”
di Massimo Giannini


ROMA. «Se guardo alla nostra tradizione, finora una cosa veramente di sinistra l’ho fatta: ho perso il referendum costituzionale. Ma adesso dico basta: voglio portare il Pd a vincere davvero, per la prima volta nella sua storia... ». Le amministrative non sono state un trionfo. Matteo Renzi ha perso addirittura nel suo Paese, Rignano sull’Arno. Colpa di papà Tiziano e del caso Consip? «Ma si, ci siamo messaggiati stanotte: babbo, che avete combinato? Mi mandi i numeri? Ma io lo sapevo che finiva così, il sindaco uscente è uno troppo smagato, viene da Forza Italia». Eppure, nonostante questo, il segretario del Pd alle undici del mattino si presenta a
Repubblica in tenuta da “combattimento”. Tirato, e in camicia d’ordinanza, rigorosamente bianca. È un fiume in piena. Dice cose vere: «Sto bene, adesso: dopo il voto del 4 dicembre ho passato una settimana a mangiare di tutto. Ora mi sono rimesso in forma, ho perso 5 chili, mi alleno per il triathlon». Dice cose verosimili: «Avete visto la May, che botta? Si era capito che non era la Thatcher. D’altra parte i politici non sono mai quello che sembrano. Prendete Hollande: pare un uomo grigio e dimesso, e invece è il più simpatico che abbia mai conosciuto... ». Dice anche cose false: «Dopo la sconfitta ho lasciato Palazzo Chigi e il Nazareno, e mi ero rotto le scatole, non volevo tornare, lo giuro! Poi gli amici mi hanno dato una scossa: Matteo, non mollare, puoi dimetterti da tutto, ma non da cittadino...». Ma accetta lo “scontro”, e parla di tutto.
Partiamo dal risultato delle amministrative. Qual è il suo bilancio?
«Se c’è un partito non andato bene, sono i 5 Stelle: vanno al ballottaggio solo in 8 comuni. Il Pd manda molti dei propri candidati al secondo turno e in alcuni casi lo fa con espressioni civiche».
Si dice che vi nascondiate dietro le liste civiche, che i grandi partiti in crisi non hanno il coraggio di metterci la faccia.
«Quando vai a votare per il sindaco se ci sono candidature che vengono dal mondo civico perché non accoglierle? Questa storia che i grandi partiti sono in crisi non la condivido: guardo i sondaggi e vedo il Pd intorno al 30. Eviterei di fare tutta l’erba un fascio. Il punto politico è uno solo: al ballottaggio c’è soprattutto centrosinistra contro centrodestra».
Stavolta col centrodestra in vantaggio.
«La volta scorsa partivamo in testa noi però perdemmo».
È contento di questo risultato?
«Sì. È sostanzialmente un pareggio tra centrosinistra e centrodestra. Si va alla lotteria dei rigori. È difficile capire come andrà a finire. Le elezioni politiche, però, sono un’altra roba e le dico una cosa: non diamo per morto Grillo».
Mart Twain diceva: “La notizia della mia morte è largamente esagerata”. Possiamo dire la stessa cosa dei 5 Stelle?
«L’M5s esiste, è una forza politica. Non so quanta vita abbia davanti.
Non sono morti ma sono un po’ ammaccati: lei sta gongolando come dice Grillo.
«Per me “Gongolo” può essere uno dei 7 nani ».
Parliamo del suo paese. A Rignano sull’Arno è andata male: che segnale è per lei?
C’è dentro qualcosa che la riguarda familiarmente o è stato un caso?
«L’anno scorso per dire che avevamo perso ci ponevano davanti i casi di Roma e Torino. Quest’anno parlano di Rignano, un bel salto di qualità per il mio comune. I lettori di Repubblica ricorderanno un’intervista in cui si parlava di una cena in una bettola segreta tra mio padre e un imprenditore. Non è mai esistita. È una fake news. Si è scoperto poi che pezzi di un nucleo particolare dell’arma dei carabinieri sono indagati perché inventavano prove contro mio padre e contro di me».
Un’altra anomalia del caso Consip è la posizione del suo amministratore delegato, Luigi Marroni. Ha detto ai magistrati che ha subito pressioni, che ha avuto notizia dell’inchiesta da un generale dei carabinieri, da Lotti, eppure sta ancora al suo posto. Chi ha mentito?
«Sarà un giudice a dire chi ha ragione».
Ma non trova strano che Marroni stia ancora al suo posto?
«Questo è un problema che riguarda Consip, io non ci metto bocca. Invece sono certo del comportamento di Luca Lotti perché ci ho lavorato insieme».
Parliamo di legge elettorale. Voi avete provato a fare quello che Napolitano ha chiamato “patto extracostituzionale”: riforma elettorale in senso proporzionale in cambio di elezioni anticipate. Lo schema è saltato: ora che succede? È ancora possibile riproporre sistema maggioritario?
«Io ho perso la poltrona per difendere il ballottaggio e un sistema di democrazia decidente ».
Perché il proporzionale, allora? È democrazia decidente? O non è invece che ci sia l’idea di un accordo con Berlusconi anche per il dopo?
«Berlusconi ha fatto di tutto per far fallire il referendum. Non è propriamente il mio migliore amico. Ma Berlusconi rappresenta Forza Italia, uno dei partiti fondamentali di questo paese. Se dobbiamo fare un accordo Berlusconi, Grillo e Salvini li voglio tutti al tavolo. Possibilmente anche la sinistra radicale. Questo non è patto “extracostituzionale”».
Napolitano alludeva al fatto che dentro questo accordo c’è una convergenza su reciproche convenienze. Lei accetta un modello elettorale che non è il suo e in cambio ottiene elezioni anticipate.
«Non mi metto a fare interpretazioni. Se ci sono quattro leader di partito che si mettono d’accordo per scegliere quali sono le regole del gioco, lo ritengo un patto pienamente parlamentare che ha un suo valore».
Al Messaggero prima che il patto saltasse lei disse: “Merkel corre per vincere da sola. Poi dipende dai numeri: se non ci sono è ovvio che debba fare accordi con gli altri partiti. Per noi sarà lo stesso”.
«Lo ribadisco: questo potrà accadere comunque. Se uno non ha numeri in parlamento li deve trovare. E il sistema proporzionale va in questa direzione: gli accordi li fai in parlamento. Ma io rivendico che le regole si scrivono con gli altri. Continuare a gridare “al lupo, al lupo” per la presenza di Berlusconi dentro il patto istituzionale a mio giudizio è un errore ».
Lei però così rinuncia a un suo principio fondativo: bisogna sapere la sera delle elezioni chi ha vinto.
«Rinunciare a quel principio mi fa male ma ci ho rinunciato il 4 dicembre. In parlamento non ci sono i numeri per una legge maggioritaria. Ma neanche il maggioritario garantisce la sera di sapere chi ha vinto. La verità è che il tema della legge ha funzionato da arma di distrazione di massa: non potete pensare che siamo noi quelli delle larghe intese. Ma se vogliamo fare un accordo con tutti i partiti, ciascuno deve cedere qualcosa».
Lega e Grillo chiedevano di votare subito, lei no?
«Non solo non l’ho chiesto ma ho detto che questo tema sarebbe stato oggetto di discussione prima con Gentiloni. E poi è una prerogativa del presidente della Repubblica».
E adesso che succede?
«Si vota a scadenza naturale. Gentiloni va avanti».
Parliamo del centrosinistra. C’è stato un cambio di strategia: fallito il sistema tedesco, lei ha riaperto il fronte con Pisapia, e con la sinistra del Pd. È questa la linea? E con che credibilità passa da Berlusconi a Pisapia dalla sera alla mattina?
«Non c’è un cambio di strategia. Ho sempre detto che un Pd largo può fare il 40%. Penso che il Pd sia una diga e chi spara contro il Pd spara contro la diga del populismo.
Pensavo facesse un bell’appello a Pisapia.
«Uno gli appelli li fa telefonandosi. Col passaggio politico che si apre avremo di fonte due populismi. Grillo e Salvini. Poi avremo centrodestra e chi lo sottovaluta sbaglia».
E a sinistra?
«Un centrosinistra europeo è disponibilissimo a dialogare con Pisapia, Boldrini, o metta tutti i nomi che vuole».
Anche D’Alema?
«Mi sembra un’ipotesi negata dalla realtà. Quelli che se ne sono andati hanno fatto una scelta, loro. Nessuno li ha cacciati».
Veltroni e Prodi l’hanno criticata recentemente. Cosa dice a due padri nobili del Pd?
«Dico che il Pd è casa loro. Su Prodi: condivido quello che dice. Ben venga tutto ciò che rafforza il centrosinistra purché non si realizzi un’Unione bis che tenga insieme da Mastella a Turigliatto e la sinistra antagonista. Alla fine vince le elezioni, forse, ma non governa».