Repubblica 12.6.17
Nell’anniversario della
pubblicazione de “Il giocatore” una riflessione matematica sulla
“ludopatia letteraria” del grande scrittore russo
Il romanzo d’azzardo e l’errore di Dostoevskij
Piergiorgio Odifreddi
Fëdor
Dostoevskij soffriva di epilessia. Si racconta che abbia avuto il primo
attacco l’8 giugno 1839, a diciott’anni, quando ricevette la notizia
che il padre era stato ucciso dai propri contadini, esasperati dai suoi
maltrattamenti. Non ci sono testimonianze serie al proposito, ma questo
non impedì
a Sigmund Freud di ricamarci sopra comunque, alla sua
solita maniera, nel saggio Dostoevskij e il parricidio (1927). Le prime
crisi accertate di epilessia lo scrittore le ebbe in seguito al trauma
di una finta fucilazione, alla quale fu sottoposto il 23 dicembre 1849.
La pena capitale per sedizione era infatti stata commutata dallo Zar nei
lavori forzati, poi descritti nelle Memorie dalla casa dei morti
(1862), ma la notizia venne comunicata ai condannati solo dopo una
macabra messinscena, che lasciò un segno indelebile su molti di loro.
Nonostante
la rimozione di Freud, che declassava l’epilessia di Dostoevskij a un
sintomo isterico, la malattia era non solo fisiologica, ma ereditaria:
l’aveva anche il figlio Aleksej, che ne morì a soli tre anni. Ma lo
scrittore non viveva le crisi in maniera puramente negativa: al
contrario, le paragonava a esperienze mistiche, e dichiarò che non le
avrebbe scambiate per nessun’altra gioia al mondo. Oltre che in questa
prima malattia, fisiologica, Dostoevskij sperimentò il doppio vincolo
dell’esaltazione mista al dolore anche in una seconda malattia,
psicologica: il vizio del gioco, al quale egli dedicò il romanzo Il
giocatore, e Freud la seconda parte del proprio saggio. In Dostoevskij
mio marito (1916) la moglie Anna descrive con molta comprensione lo
stress materiale che il gioco causava al marito e alla famiglia, ma
anche lo stimolo intellettuale che egli sapeva trarre dall’indigenza e
dalla sofferenza per scrivere le sue “opere malate”, come le definì
Tolstoj.
D’altronde, la signora Dostoevskaja sapeva fin dagli
inizi che razza di uomo il destino le aveva assegnato come compagno di
vita. Era stata infatti assunta il 3 ottobre 1866 come stenografa per lo
scrittore, che doveva immediatamente consegnare un nuovo romanzo a un
editore che gli aveva anticipato dei soldi per pagare i debiti,
ipotecando i diritti delle sue opere passate e future. Il 4 ottobre la
ventenne ragazza entrò in servizio, alla fine del mese il libro era
finito, nei primi giorni del 1867 era in libreria e il 15 febbraio i due
erano già sposati.
Manco a dirlo, l’instant book era
l’autobiografico Il giocatore. La storia si svolgeva in una fittizia
Roulettenburg, ispirata alle reali Wiesbaden e Baden-Baden: due città di
terme e casinò, per il risanamento del corpo e la perdizione dell’anima
del jet-set ottocentesco. Il Dostoevskij scapolo c’era andato
nell’autunno del 1863, dilapidando quasi tutto il suo patrimonio: ad
accompagnarlo c’era allora la studentessa Apollinaria Suslova, che
divenne la Polina del Giocatore (oltre che Katerina di Delitto e
castigo, Nastasja dell’Idiota, Lizaveta dei Demoni e Grushenka dei
Fratelli Karamazov). Il Dostoevskij sposato tornò a Wiesbaden e
Baden-Baden con la moglie nell’estate del 1867, perdendo di nuovo alla
grande, come racconta Leonid Cypkin in Estate a Baden- Baden (1982). Il
viaggio di nozze dello scrittore e della stenografa durò quattro anni,
durante i quali lui scrisse due libri, L’idiota (1869) e I demoni
(1871), e lei partorì due figlie, la prima morta a soli tre mesi. Ma,
almeno stando ai ricordi della moglie, dopo la folle estate del 1867
Dostoevskij giocò solo sporadicamente, e smise del tutto quando essi
tornarono in Russia nel 1871. Certo era destinato a indebitarsi,
giocando, visto che credeva in un metodo infallibile per vincere: lo
scrive lui nel Giocatore, e lo conferma la moglie nei ricordi,
precisando entrambi che il metodo richiedeva però il possesso di un
grosso capitale. Ma un ingegnere come Dostoesvkij, laureato nel 1843
alla Scuola Militare del Genio di San Pietroburgo, avrebbe dovuto sapere
che “grosso” significa in realtà “illimitato”, e che nemmeno l’uomo più
ricco del mondo ha un tale capitale a disposizione.
Il metodo è
semplicemente la cosiddetta martingala: un termine introdotto in Francia
nel Settecento, per indicare il tentativo di battere la fortuna in un
gioco d’azzardo sfruttando le regole a proprio vantaggio. Ad esempio,
poiché giocando “rouge et noir” alla roulette si vince il doppio della
posta quando esce ciò su cui si è puntato, e si perde la posta
altrimenti, il trucco consiste nel raddoppiare a ogni tiro la posta fino
a quando si vince. Lo stesso succede giocando “manque et passe”, cioè
la prima o la seconda metà dei numeri da 1 a 36. Naturalmente, in
entrambi i casi si può essere sicuri di vincere solo avendo a
disposizione un capitale e un tempo infiniti. I giocatori del Giocatore
puntano affannosamente in entrambe, ma non possono evitare di notare che
a volte esce anche lo zero. Le regole del casinò sono dunque truccate a
favore del banco, perché le probabilità nel “rouge et noir”, così come
nel “manque et passe”, non sono 18/36 ma 18/37 (e 18/38 con il doppio
zero). In un gioco onesto la vincita dovrebbe essere un po’ più del
doppio, perché la probabilità di vincere è un po’ meno di metà, e una
strategia ideale di vincita dovrebbe prevedere un po’ più del raddoppio
della posta a ogni tiro.
In ogni caso Aleksej, l’autobiografico
protagonista del romanzo, ammette apertamente di non calcolare quando
gioca, ma spesso si abbandona alla tipica superstizione dei giocatori
d’azzardo: di credere, cioè, che la storia delle puntate precedenti
abbia un effetto sul seguito, come accade appunto nei romanzi o nelle
telenovele. Nella realtà, invece, ogni puntata è una storia a sé stante,
che segue le leggi della probabilità senza preoccuparsi di ciò che è
già successo. Ad esempio, anche se uscisse il rosso cento volte di
seguito, non per questo la probabilità che esca il nero la centounesima
sarebbe maggiore di quanto è stata in ciascuna puntata precedente. Si sa
comunque che i giochi d’azzardo costituiscono una tassazione sulla
stupidità, e i protagonisti del Giocatore sono effettivamente uno più
stupido dell’altro: primo fra tutti Aleksej, che sperpera la sua grossa
vincita finale facendosi spennare a Parigi in poche settimane dalla
escort Blanche. Ma almeno lui non ha rimorsi, a differenza dei
protagonisti dei romanzi poliziesco-esistenzialisti di Dostoevskij, così
poco considerati dai grandi scrittori russi, da Tolstoj a Bunin a
Nabokov. Quest’ultimo, in particolare, insegnava a non prendere sul
serio le opinioni espresse nei romanzi, meno che mai dai predicatori
come Dostoevskij, e a concentrarsi sui fatti descritti. Avrebbe dunque
apprezzato di sapere che vari indizi del Giocatore permettono di
ricostruire i cambi delle varie monete europee citate nel romanzo. Il
generale, la nonna e Aleksej cambiano infatti 120 rubli con 100 talleri,
4 federici e 3 fiorini, 13.000 fiorini con 8.000 rubli, 420 federici
con 4.000 fiorini e 20 federici, e 25.000 fiorini con 50.000 franchi. Il
sistema di quattro equazioni e cinque incognite permette di ricavare i
cambi di quattro delle monete in funzione della quinta, scoprendo ad
esempio che il fiorino valeva 2 franchi, il tallero 3,04 franchi, il
rublo 3,25 franchi e il federico d’oro 20 franchi. Il che dimostra che
persino in un romanzo di Dostoevskij a volte si può trovare almeno un
fatto.
Un ingegnere come lui doveva sapere che il metodo della martingala presuppone capitali illimitati
Scrisse
il libro in un mese poi andò in viaggio di nozze a Baden-Baden Una
puntata non ha effetto sulle successive: sarebbe letteratura
Disegno di Tullio Pericoli