lunedì 12 giugno 2017

Repubblica 12.6.17
Uno studio dell’Università di Siena su 13 città. Gli incassi vanno soprattutto alle grosse agenzie di intermediazione
Case in centro ma ricavi per pochi così Airbnb ha invaso l’Italia
Ernesto Ferrara


CONDIVISIONE SÌ, ma non dei guadagni. I centri storici delle principali città italiane sono ormai diventati un gigantesco Airbnb: a Firenze quasi il 20% delle case dentro le mura medievali è in affitto sulla piattaforma turistica, a Matera addirittura il 25%, a Roma l’8%, a Venezia il 9 e le percentuali sono in crescita dappertutto, da Catania a Milano. A dispetto del concetto di “sharing economy” però su Airbnb i grossi guadagni sono ben poco “shared”, condivisi. Anzi si concentrano sempre più nelle mani di pochi. A Milano ad esempio un unico soggetto ha accumulato più di 520 mila euro solo nel 2016 mentre il 75% degli host ha guadagnato meno di 5.000 euro in un anno. A Roma il 48% dei proprietari è sotto 5.000 euro e un fortunato 0,6% sta sopra 100 mila euro mentre a Firenze, dove l’incasso medio per gli oltre 8 mila host di Airbnb l’anno scorso è stato di 5.300 euro, uno solo è arrivato a incassare la bellezza di 700 mila euro.
È una ricerca del laboratorio Ladest della facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Siena a fare luce, forse per la prima volta in maniera analitica, sull’altra faccia di Airbnb. Uno studio durato due anni su 13 città italiane — sarà presentato a Lisbona a fine mese — esplora le dinamiche spaziali ed economiche del fenomeno delle locazioni turistiche. Il boom delle offerte, la crescita degli host che sono ormai 121 mila in Italia e tutto quello che c’è dietro un mercato dal valore enorme: da una parte quella che i ricercatori Antonello Romano e Stefano Picascia chiamano “airification” delle città, la progressiva “hotelizzazione” degli immobili dei centri storici, dove la residenza è in calo; dall’altra la disuguaglianza crescente tra chi guadagna moltissimo e chi quasi nulla sulla piattaforma.
Grosse agenzie di intermediazione, “super host” che gestiscono per conto terzi decine se non centinaia di appartamenti a scopo turistico, specialmente nei centri storici, da Firenze a Catania, finiscono per accaparrarsi la fetta più grossa di una torta milionaria, lasciando le briciole a una massa di proprietari sedotti e abbandonati dal mito della sharing economy. Per la prima volta lo studio di Siena ha calcolato gli squilibri dei ricavi da Airbnb nelle città, arrivando a stabilire che le distanze tra i top host e la massa sono in crescita: l’indice “Gini”, quello che gli economisti usano per calcolare le disuguaglianze e che nella popolazione italiana è poco sopra lo 0,3, su Airbnb è al doppio: 0,7 a Milano, 0,67 a Catania, 0,66 a Firenze. Su una scala da 0 a 1 sono dati elevatissimi. E in crescita quasi ovunque. Secondo Romano e Picascia anche l’idea di una tassazione non progressiva — la cedolare secca al 21% decisa dal governo — applicata ad un sistema con molte disuguaglianze, finirebbe per produrre effetti distorsivi.
Ormai decine di migliaia le case disponibili: nel 2016, 13.159 a Milano, 21.687 a Roma, 8.193 a Firenze, 5.637 a Venezia, 4.058 a Napoli, 2.577 a Bologna. Dappertutto le case in offerta sono in grande aumento tra 2015 e 2016, addirittura +135% a Bologna in un anno, +219% a Napoli. Crescono soprattutto le case “intere”, gli appartamenti piuttosto che le stanze: a Firenze oltre 18% dell’intero patrimonio immobiliare del centro storico è un Airbnb, come dire una casa su 5, il 25% a Matera, un appartamento su 4 tra i sassi è in affitto on line. A Matera l’80% delle offerte totali sono case intere, il 72% a Firenze, il 74 a Venezia, il 69 a Milano. A Firenze la stragrande maggioranza dell’offerta è concentrata sul centro storico, circa l’80%, ma ci sono città come Roma, Bologna e Siena dove le case intere in affitto su Airbnb aumentano anche fuori dal centro.