Repubblica 11.6.17
Bologna.
Cinquemila respinti agli scritti per elementari e materne
Ma la colpa non è solo loro
E l’Italia scopre di avere un esercito di maestri incapaci di insegnare
di Mariapia Veladiano
LA
NOTIZIA è che in Emilia Romagna solo il 24% dei candidati al concorso
per entrare di ruolo nella scuola primaria e il 16,5% dei candidati alla
scuola d’infanzia ha superato le prove scritte. Il rigoroso meccanismo
dei concorsi che ha letteralmente strizzato le possibilità organizzative
dell’amministrazione scolastica (banditi in tempi strettissimi, in
corso d’anno scolastico, le commissioni nominate e rinominate
vorticosamente, senza esonero dalle lezioni e pagate un nulla) non
porterà a coprire i posti disponibili. La stragrande maggioranza delle
cattedre non andrà a ruolo. Il Direttore dell’Ufficio scolastico
regionale Stefano Versari dice che per la scuola d’infanzia il problema è
stato il livello culturale basso, mentre per la scuola primaria mancava
la preparazione didattica.
Si trattava di candidati laureati, la
maggior parte di loro già in cattedra da anni. La prova scritta prevede 6
domande, tutte legate a situazioni concrete che richiedono da un lato
la conoscenza della normativa e dall’altro la capacità di giocarla
creativamente in situazioni concrete di scuola. Il presidente
coordinatore delle commissioni alla scuola d’infanzia Emilio Porcaro
parla di gravi incompetenze ortografiche, sintattiche e didattiche.
Mancava l’abc del buon docente, insomma.
Se il livello è questo,
giocare la carta del discredito sulle commissioni esaminatrici non ha
senso. Qualsiasi candidato che non sappia scrivere in italiano corretto
non può fare il docente e va fermato. E anche se non ha idea di come
trasferire nella classe le sue conoscenze. In questo senso il concorso,
previsto dalla Costituzione come modalità di reclutamento, fa
esattamente il suo dovere. Solo che arriva alla fine di una serie di
errori e inadempienze e allora appare ingiusto e scandaloso.
La
vicenda del concorso in Emilia Romagna racconta un pezzo della nostra
storia. La scuola come lavoro-rifugio. Chiunque pensa di poter insegnare
e invece non è vero. Ma lo si pensa perché negli ultimi trent’anni, in
mancanza di un sistema regolare di reclutamento, tanti hanno potuto
insegnare di fatto, senza concorsi e selezione, per accumulo di
punteggio di servizio e titoli i studio, anno dopo anno, con meccanismi
di salvaguardia per cui alla fine in qualche modo nella scuola si entra e
soprattutto si resta. Inamovibili. Provi un preside a fare una
contestazione a un docente, di ruolo o no. Un calvario.
Racconta
anche la storia di una mortificazione sistematica delle competenze
linguistiche che è comodo ma sbagliato imputare alla scuola. Non è la
scuola di massa il problema. È l’ignoranza di massa accettata ed
esibita. Si impara la lingua per esposizione, esposizione alla buona
lingua, e se la società non legge, non sa parlare e pensare e di questo
non si preoccupa e per questo non sente vergogna, se anche la politica
esibisce la sciatteria del linguaggio e del pensiero, non c’è scuola che
possa trovare un rimedio.
Racconta anche la storia di un Paese
confuso, che da un lato vuole giustamente mandare in cattedra chi sa
insegnare bene e dall’altro continua ad offrire pochissimo agli
insegnanti davvero bravi: scuole con pochi mezzi, stipendi che dicono
“il tuo lavoro non vale niente”. I candidati bocciati continueranno ad
insegnare da precari, perché i posti ci sono e le cattedre vanno
coperte. Il concorso ci rivela un bel po’ di mali della nostra società
più che della nostra scuola.