La Stampa 11.6.17
Arabia-Qatar, il duello che ci riguarda
di Maurizio Molinari
Pollo
con il riso, fagioli e tè. Poco dopo le 21 la cena dell’Iftar segna il
Ramadan nella grande moschea di Monte Antenne, a Roma, con i fedeli
intenti a discutere il tema che più li inquieta: la disputa nel Golfo
determinata dalla decisione dell’Arabia Saudita di rompere ogni legame
con il Qatar accusandolo di «sostenere i terroristi». Per comprendere
perché in quest’angolo di Europa, il Qatar conti più del Russiagate,
della Brexit e del populismo bisogna ascoltare immigrati, piccoli
commercianti e fedeli in arrivo da Maghreb e Sahel che in modi diversi
ma con pari enfasi affermano un concetto: «In gioco c’è l’identità
dell’Islam, lo scontro può innescare una guerra».
La contesa
sull’identità dell’Islam si deve al fatto che Arabia Saudita e Qatar
incarnano correnti rivali dei sunniti - ovvero l’80 per cento dei
musulmani - perché i salafiti si riconoscono in Riad e i Fratelli
musulmani in Doha. Tanto gli uni quanto gli altri si richiamano alle
origini dell’Islam ma con intenzioni opposte: i salafiti per rafforzare
la fede preservando gli Stati arabi formatisi negli ultimi cento anni, i
Fratelli musulmani per abbatterli unificando l’intero Islam. Lo scontro
è sull’assetto politico del mondo sunnita: Riad è il simbolo di chi
vuole conservare quello esistente, Doha di chi punta a rivoluzionarlo.
L’ideologia dei Fratelli musulmani, fondati da Hassan el-Banna nel 1928,
è considerata da grande parte degli Stati arabi la fonte della
deviazione teologica che ha portato a generare Al Qaeda, lo Stato
Islamico (Isis) e la galassia dei gruppi jihadisti che praticano e si
identificano nelle forme più efferate di violenza.
Se
a ciò aggiungiamo che Riad guida l’Opec del greggio in affanno e Doha
possiede il più grande giacimento di gas naturale, che gli Abdulaziz
sauditi e gli al-Thani qatarini sono da sempre tribù rivali nella
Penisola arabica nonché in conflitto sulla discendenza da Muhammad ibn
Abd al-Wahhab, fondatore nel XVIII secolo del moderno fondamentalismo,
non è difficile concludere che la disputa investe ogni tassello del
mosaico sunnita.
Se tutto ciò comporta il pericolo di un conflitto
regionale è per la composizione degli opposti schieramenti. L’Arabia
Saudita ha tagliato ogni collegamento terrestre, aereo e marittimo con
Doha, creando una coalizione anti-Qatar a cui aderiscono Emirati Arabi
Uniti, Bahrein, Egitto, Giordania e Yemen mentre sul fronte opposto gli
al-Thani hanno ricevuto l’immediato sostegno dell’Iran degli ayatollah,
che gli ha offerto tre porti sul Golfo per continuare a commerciare con
il resto del mondo, e della Turchia di Recep Tayyp Erdogan, che ha
promesso l’invio di contingenti militari a difesa dell’Emiro. Se il
legame del Qatar con l’Iran è cementato dallo sviluppo degli stessi
giacimenti di gas naturale nel Golfo, con la Turchia invece la
convergenza è sul sostegno ai Fratelli musulmani testimoniata dal comune
impegno a favore di Hamas a Gaza come dell’ex presidente Mohammed Morsi
in Egitto.
Al momento Riad punta a piegare Doha chiedendo
l’«espulsione di 12 gruppi e 59 individui terroristi», ovvero legati ai
Fratelli musulmani, e ciò può innescare confronti militari per procura
fra i due Paesi lì dove sostengono milizie rivali: in Siria e Libia. Ma
il pericolo maggiore riguarda il coinvolgimento dell’Iran: i sauditi
accusano le unità speciali della «Forza Al Qods» dei pasdaran di Teheran
di difendere il palazzo dell’Emiro ovvero di essersi insediati a
ridosso delle loro frontiere. E ancora Abu Dhabi e Riad accusano
al-Thani di aver versato in aprile 700 milioni di dollari agli hezbollah
sciiti iracheni e 300 milioni a gruppi jihadisti siriani - in entrambi i
casi consegnati in dozzine di valigette portatili - con l’intento
apparente di ottenere la liberazione di 50 ostaggi e quello reale di
finanziare in segreto «chi persegue la demolizione degli Stati arabi».
Le
scintille fra Riad e Doha minacciano di incendiare il Golfo, ma
investono anche l’Occidente, per tre motivi. Primo: il Qatar ha forti
legami tanto con gli Stati Uniti - ospita dal 2002 ad Udeir la più
grande base militare Usa in Medio Oriente - che con l’Europa, a causa
degli ingenti investimenti economici e finanziari. Secondo: in Europa
esistono network di istituzioni religiose - moschee e scuole coraniche -
tanto dei salafiti quanto dei Fratelli musulmani riproponendo nelle
singole nazioni le aspre rivalità che si originano dalla Penisola
arabica. Terzo: i Fratelli musulmani ottennero in Egitto con la
presidenza Morsi un riconoscimento da parte dell’amministrazione Obama
che gli ha consentito di legittimarsi e rafforzarsi presso alcuni
governi.
Sono tali ragioni a spiegare perché i venti di guerra che
spazzano il Golfo ci riguardano: la sfida per la supremazia politica
nell’Islam può avere ripercussioni immediate in casa nostra.