La Stampa 11.6.17
La politica perde il suo potere
di Giovanni Orsina
La
vicenda grottesca della riforma elettorale ci ha dato un ricco
antipasto di quel che, con ogni probabilità, ci attende nella prossima
legislatura. E il sapore è disgustoso.
Il progetto di legge uscito
dalla commissione Affari costituzionali della Camera non era esente da
difetti. Soprattutto perché, dati gli attuali rapporti di forza fra i
partiti, non avrebbe saputo generare una maggioranza. Un sistema capace
di creare una maggioranza, però, non avrebbe alcuna chance di essere
approvato dalle camere attuali. E quello in discussione, con la soglia
del cinque per cento, aveva per lo meno il pregio di ridurre il tasso di
frammentazione parlamentare.
Ma quel che importava ancor di più
era il fatto che almeno una volta, almeno sulle regole del gioco, il Pd,
il M5S, Forza Italia e la Lega erano riusciti a mettersi d’accordo. Su
un minimo comun denominatore tutt’altro che perfetto, e immaginando un
voto anticipato che non si sa quanto convenga al Paese, certo. Ma di
questi tempi non è il caso di esser schizzinosi: che si formasse
un’ampia convergenza era un passo in avanti del quale ci si poteva
accontentare.
L’incapacità delle forze politiche di condurre in
porto la riforma - e nonostante si trattasse d’un sistema elettorale che
le garantiva tutte! - è un segnale drammatico dello stato di
dissoluzione terminale cui è giunta la politica italiana. Segnale
mitigato tutt’al più dalla tenue speranza che il dialogo riprenda dopo
il voto amministrativo. Viene da chiedersi che cosa avesse in mente chi,
opponendosi alla riforma costituzionale di Renzi, sosteneva che dopo la
bocciatura del 4 dicembre si sarebbero aperti chissà quali mirabolanti
processi riformistici. O di quanto ottimismo ci sia bisogno per sognare
che la prossima legislatura svolga un’opera costituente.
Ci sono
tante ragioni, naturalmente, per le quali ci siamo ridotti in questo
stato. Due ordini di motivi, però, mi paiono particolarmente rilevanti.
Il primo è la presenza, sia fra gli eletti sia fra gli elettori, di due
fratture «assolute». Una recente, figlia delle elezioni del 2013, in
nome della quale il Movimento 5 stelle finisce invariabilmente per
cedere al richiamo della purezza e a rifiutare qualsivoglia compromesso
col «sistema». L’altra più antica, risalente al 1994, per la quale una
parte non piccola della sinistra non può mai e in nessun caso convergere
con Berlusconi.
Ora, bastano delle nozioni basilari di aritmetica
per vedere come, a meno di grosse sorprese, o dopo le prossime elezioni
una di queste due faglie «assolute» diverrà negoziabile, oppure avremo
un parlamento del tutto ingestibile. Si guardi alla Francia e alla Gran
Bretagna, del resto. Se riusciranno a trovare una loro stabilità
politica, magari precaria, è sì a motivo della loro maggiore solidità
istituzionale, ma è pure dovuto all’attenuarsi di una delle due
divisioni: in Francia quella fra destra e sinistra, in Gran Bretagna
quella fra i partiti tradizionali e le forze di protesta.
La
seconda causa di paralisi politica è la debolezza dei leader, e in
particolare di Renzi e Berlusconi. Berlusconi conta ancora, sembra
vedere più lontano degli altri, e non è impossibile che alle prossime
elezioni Forza Italia vada ancora una volta meglio di quanto non si
pensi. Ciò nonostante, resta un leader residuale. E si è rassegnato alla
sua nuova condizione, per altro - a tal punto da rinunciare al
maggioritario che ha fatto la sua fortuna per vent’anni. Dopo il 4
dicembre anche Renzi è un leader residuale. Ma il suo ostinato rifiuto
di prenderne atto fa di lui un elemento ulteriore di destabilizzazione.
È
dal 1994 che, collassato il sistema dei partiti, falliti tutti i
tentativi di riforma delle istituzioni, la politica italiana si
struttura intorno a un leader. Fino al 2011 è stato Berlusconi. Dal 2014
al 2016 è stato Renzi. Gli oppositori dell’«uomo solo al comando» li
hanno combattuti ferocemente, e alla fine hanno vinto. Buon per loro.
Quel che il Paese ne ha ottenuto, però, non è un sistema stabile,
equilibrato, pluralistico. È una palude mefitica dalla quale nessuno sa
davvero come si possa uscire.