domenica 11 giugno 2017

Repubblica 11.6.17
Biotestamento
Bellocchio, il regista che narrò Eluana “Dire stop al dolore è una libertà giusta”
“Bella addormentata” portò nei cinema i 17 anni di coma della ragazza simbolo del dilemma sulla fine della vita
di Arianna Finos

Il 31 maggio “Repubblica” ha avviato un’iniziativa perchè arrivino in porto, prima che il Parlamento venga sciolto, sei leggi molte delle quali riconoscono nuovi diritti alle persone - che hanno già ottenuto il sì di una delle Camere. Hanno espresso il loro sostegno, tra gli altri, i presidenti della Camera Laura Boldrini e del Senato Pietro Grasso. Una di queste leggi, la riforma del processo penale, sta per affrontare un passaggio decisivo: martedì alla Camera è previsto l’esame degli emendamenti e il governo ha intenzione di porre la fiducia per accelerare l’approvazione.
La prima delle sei “leggi da non tradire” potrebbe quindi arrivare al traguardo.
ROMA.
«Mi sembra che molti dei punti della legge sul biotestamento siano condivisibili», dice Marco Bellocchio, che nel 2012 ha girato “Bella addormentata”, film ispirato al caso di Eluana Englaro, 17 anni in coma irreversibile dopo un incidente. «Non sarà una legge perfetta, come per molti versi non lo è stata quella sulle unioni civili, ma è tuttavia qualcosa più di prima. Come diceva quel poeta, “oggi è meglio di ieri, se non la felicità”. L’età mi rende forse moderato e pragmatico. Fare le cose è comunque un passo avanti».
Quali sono i punti importanti e condivisibili?
«Il principio della libertà di decidere riconosciuta al paziente e non al medico, che possono pensarla in modo totalmente diverso. Sia in un senso che nell’altro, paradossalmente. E anche il fatto che la persona sana, era questo il principio di Peppino Englaro riferito alla figlia Eluana, possa decidere per il futuro. Ecco, questo è un punto che spero sia accettato da tutti».
Perché fece “Bella addormentata”?
«Fui spinto dalla sincera ammirazione per l’eroismo discreto di Englaro, proprio perché io non credo di essere così coraggioso. Non sono esperto di modalità tecniche, quello che posso dire è che trovo giusto che una persona possa dire “signori, se dovessi trovarmi in quelle condizioni, in coma irreversibile per diciassette anni, vorrei poter chiudere prima”. Ci sono stati papi (Wojtyla-ndr) che sono diventati santi che hanno chiesto prima di tutto di non continuare più con terapie che ormai erano del tutto inefficaci. Lo stesso cardinal Martini diceva di non voler morire in modo atroce, perché a causa del suo male doveva finire con un soffocamento. In questa nostra società io credo che l’individuo possa decidere, sia libero di decidere soprattutto in condizioni …e qui bisogna discutere quali sono queste condizioni».
Quali sono?
«Credo che libertà non è intesa nel senso “io sono libero di buttarmi dalla finestra”, quello è un altro discorso. C’è una grande differenza di situazioni. Quella del grande intellettuale profondamente depresso che pur non avendo malattie incurabili decide di andare in Svizzera, come è capitato a Lucio Magri che ha scelto il suicidio assistito in piena coscienza. E poi c’è la situazione molto diversa di un malato terminale che chiede di finire dignitosamente la propria vita. Se un giovane mi dicesse “voglio ammazzarmi” io cercherei in tutti i modi di impedirglielo».
C’è chi contesta alla legge il fatto che trasforma il medico in mero esecutore.
«Qui si entra in un discorso ideologico, di principio. Come gli obiettori di coscienza per l’aborto. La coscienza va rispettata ma io metterei al primo posto il soggetto, che non è tanto il medico. E che quindi non può diventare un comandante, qualcuno che decide per un altro. Ovviamente entrano in campo le diverse posizioni, quella laica e quella dei credenti ».