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Sii
radicale piacerai ai giovani
Consenso
| Da noi i 5 Stelle e poi la Lega. All’estero Bernie Sanders, Mélenchon e Le
Pen, Corbyn... Per sedurre le nuove generazioni è necessario essere “estremi”
di
Flavia Guidi
È ormai
un vecchio adagio entrato nell’opinione comune. I giovani non hanno chiare e
precise preferenze politiche, sono apatici, sono sempre più distanti dalla
politica. Mentre i partiti di massa risultano incapaci di coinvolgere la loro
generazione, disabituata a votare e lontana dalle istituzioni e dalle classiche
categorie di destra e sinistra.
Certo,
in parte è vero. E si tratta di una tendenza diffusa in Italia così come in
tutte le democrazie occidentali. Ma lo scenario è più complesso di quel che
potrebbe apparentemente sembrare. Prendiamo per esempio il caso italiano. E in
particolare la proposta di legge, depositata lo scorso marzo dal Movimento 5
Stelle alla Camera, che ufficializzava una posizione che il partito di Grillo
sostiene già da tempo: estendere il diritto di voto ai 16enni. La proposta è
figlia di un preciso calcolo politico. Fra le preferenze dei giovani infatti da
qualche anno il Movimento 5 Stelle appare il vincitore indiscusso, seguito
dalla Lega Nord. In uno scenario in cui tre forze politiche si spartiscono in
modo eguale la quasi totalità dei voti, mobilitare i giovani appare perciò
un’operazione fondamentale. Seppur non semplicissima. Come spiega Nicola
Maggini, ricercatore di scienza della politica all’Università di Firenze e
autore del libro Young People’s Voting Behaviour in Europe (Palgrave Macmillan,
2017), a determinare il voto dei giovani intervengono due componenti. «Uno è
l’effetto età, ovvero la mera età anagrafica che incide sulle proprie scelte;
l’altro è l’effetto generazione, quindi il fatto di essere giovane e formarsi
politicamente in un determinato contesto storico», dice Maggini a pagina99. Se
quindi la generazione che era giovane durante gli anni Sessanta e Settanta è
tutt’oggi incline ad avere un’idea politica strutturata e determinata, per le
persone cresciute negli anni Novanta e Duemila, in un’epoca di radicata
“depoliticizzazione”, partecipare alla vita politica è più difficile, e questo
spiega il vasto astensionismo. Eppure c’è un’altra faccia della medaglia, che
rende questa narrativa corretta solo in parte. Le ultime elezioni ci insegnano
infatti che i giovani si recano alle urne, anche in massa, nel caso in cui si
presenti un candidato capace di coinvolgerli. Questo presenta tassativamente
determinate caratteristiche. «I giovani tendono sempre, per loro natura, a
essere attratti da candidati estremi. Candidati con piattaforme e profili forti
e ben riconoscibili», continua Maggini. Non a caso, in Italia, l’ultima volta
che si è registrata una larga partecipazione dei giovani è stato in occasione
delle Europee del 2014, quando Matteo Renzi si presentava con il brand
riconoscibile di rottamatore e riscuoteva i risultati della novità che
incarnava. Ma tutte le elezioni recenti confermano questa tendenza. Nel Regno
Unito, con un programma riconducibile alla sinistra laburista degli anni Settanta,
privo quindi di effetto novità ma forte di una sua chiarezza, Jeremy Corbyn è
riuscito a portare alle urne un numero di giovani che trova pochi precedenti
nella storia inglese, e che in massa lo ha scelto. Quanto avvenuto in
quell’occasione è anche il risultato di quello che Maggini definisce un
«collettive learning» o, in altre parole, la conseguenza della lezione
impartita in occasione della consultazione per la Brexit. In quel caso, il voto
per il Remain era stato preponderante tra i giovani, fatto che aveva dato adito
ad analisi che raffiguravano un Paese diviso nettamente per età anagrafica.
Poco dopo però era emerso un problema: i giovani che avevano votato avevano sì
optato in massa per il Remain, ma la stragrande maggioranza di loro non si era
recata alle urne – lasciando la scelta in mano agli over 65. In occasione delle
ultime elezioni, invece, seppur incapaci di portare Corbyn alla vittoria, sono
riusciti a influenzarne in modo determinante il risultato. Esattamente quello
che non è avvenuto negli Stati Uniti, quando Hillary Clinton si era dimostrata
incapace di far breccia su quella fascia anagrafica. Nonostante anche in quel
caso i giovani si fossero espressi in maniera maggioritaria a suo favore, la
candidata democratica, con il suo profilo moderato e centrista, non era
riuscita a ottenere una mobilitazione giovanile di massa. A lei, i millenial
preferivano nettamente Bernie Sanders. Ma il successo di personaggi come Corbyn
e Sanders, marcatamente di sinistra, non ci dice tutto del comportamento dei
giovani alle urne. Nel caso delle elezioni francesi, caratterizzate dalla
vastissima astensione, Macron ha sì conquistato la maggioranza al secondo
turno, ma non era il candidato con il profilo più giovanile. Come dimostrato
durante le primarie, i giovani preferivano in prima istanza Jean-Luc Mélanchon,
seguito subito dopo da Marine Le Pen: due candidati, seppur posizionati agli
estremi opposti dello spettro politico, accomunati da idee radicali. In uno
scenario in cui tutte le parti politiche in gioco sembrano sacrificare prese di
posizione nette per conquistare un elettorato il più trasversale possibile, al
di là della destra e della sinistra, i giovani dimostrano di premiare posizioni
chiare e radicali. Con una precisazione fondamentale: la storia recente ci
insegna che dove la politica funziona, populismi e destre estreme hanno meno
possibilità di affermarsi. Per il resto, giustificare l’astensione dei giovani
con il fatto che sono irreversibilmente disinteressati alla politica è soltanto
un vecchio adagio.