Pagina 99 3.6.17
le ragazze del fumetto in fuga dalla realtà
Graphic | Verdad di Lorena Canottiere, Misdirection di Lucia Biagi, In silenzio di Audrey Spiry.
... Giovani illustratrici visionarie sperimentano un immaginario audace che punta tutto su un incredibile uso del colore
di Ferruccio Giromini
Segnali di fuga –o perlomeno di allontanamento – dal realismo si fanno sempre più frequenti nel campo ormai sterminato della letteratura disegnata. Non tanto, e non solo, nei contenuti nelle storie raccontate, quanto proprio nelle forme esteriori della narrazione: nei disegni, nei colori. E, particolare interessante, ai pennelli le mani femminili si direbbero più audaci e innovative di quelle maschili. Un pugno di libri di recente uscita invita a considerare innegabile questa nuova realtà. Si può cominciare con Verdad, intenso romanzo grafico incentrato sulla figura di una giovane donna catalana che cresce e matura nella Spagna degli anni ’20e ’30, prima, durante e dopo la grande tragedia europea della Guerra Civile.Il titolo è il nome della protagonista – che è stata concepita durante un breve soggiorno della madre nella storica e pionieristica comune libertaria di Monte Verità ad Ascona sul Lago Maggiore, breve esperimento di dissidenza intellettuale alto borghese ispirata ai principi del naturismo, della libertà sessuale e del vegetarianesimo – ma è anche chiaramente una metafora del ragionamento sulla e dell’insegui - mento della Verità per antonomasia. Quella utopica, che sempre si rincorre ma mai si trova. Il dramma esistenziale della giovane Verdad si situa propriamente nella sua caparbia volontà di rifiutare ideologie monche e castranti, e il suo magnifico fallimento si esplicherà anche, per dispettosa ma chirurgica ironia della sorte, nella perdita del braccio destro durante un’azione partigiana: monca resterà lei, Verdad, volpe per sempre fuggiasca e indomita, fino all’ultimo atto della sua vita orgogliosamente e ostinatamente antagonista.
• La perdente bellezza dell’anarchia
Il libro, celebrazione dolorosa della perdente bellezza degli ideali anarchici quanto della bellezza muta della natura che a tutto assiste indifferente, è molto particolare. Ne è autrice la torinese Lorena Canottiere, illustratrice e fumettista che alla spalle ha già un ventennio di onorata carriera nell’editoria libraria e periodica; in particolare, come autrice delle strisce di successo internazionale Marmocchi, dedicate al sempre sorprendente immaginario linguistico dei bambini tra i tre e i nove anni, ha dimostrato una profondissima capacità di osservazione del mondo infantile. Ma la capacità di osservazione in generale è la virtù massima di chi sceglie di raccontare per immagini: meglio guardi, meglio vedi e meglio riproduci la realtà, no? Ebbene, il suo stile di ri-creazione di quanto vede, sempre stilizzato originalmente, in questo caso si è mostrato ancor più particolare e inatteso. Le immagini prendono forma da una accorta sovrapposizione di tre strati di colore: rosso, giallo e azzurro, le cui combinazioni in semitrasparenza producono anche un rosso più intenso, un verde, una sorta di scuro violaceo. Ne sortisce una tricromia brillante, del tutto antirealistica ma efficace, suscitatrice di atmosfere sottese di bizzarra eccitazione retinica. Benché in questo caso realizzata tra manuale e digitale, tale colorazione rimanda a un’altra tecnica cara alle attuali autoproduzioni editoriali artistiche internazionali, quella che fa ricorso alla stampante Risograph. Vale la pena di soffermarsi brevemente su questo procedimento di stampa, moderno ed evoluto erede del vecchio ciclostile (mimeograph) perché, a metà strada fra serigrafia e stampa offset, oggi è un mezzo espressivo sì di nicchia ma di crescente tendenza tra i creativi dell’immagine, e non solo per la sua economicità. Permette infatti di sperimentare accostamenti cromatici inediti e creare pertanto inaspettati contrasti percettivi. È un po’ un rinnovamento della ormai storica cromia “psichedelica”, aggiornata tra grezza immediatezza neo-punk e spettacolare esuberanza neo-pop. In realtà gli albi spiattellati con metodo risograph non sono che uno dei sintomi della sensibilità estetica che sta prendendo sempre più piede nella stampa fumettistica, e non solo in quella semplicemente underground. Ecco spuntare un altro volume a conferma: Misdirection di Lucia Biagi. Il titolo forse non è felicissimo: l’espressione inglese, poco nota ai più, fa riferimento a quell’accorgimento tipico dei prestidigitatori di distogliere l’attenzione del pubblico indirizzandola altrove per poter intanto mettere in atto uno dei loro trucchi; ma poi il rapporto della parola con la trama risulta ancor meno chiaro. In ogni caso, motivi di interesse il libro ne presenta diversi. La storia vede una ragazzina quattordicenne vagare per la località sciistica alpina di Sestriere in estate, quando appare contenitore un po’ spettrale di un vuoto quasi pneumatico di villeggianti, disseminata com’è di negozi chiusi e cartelli affittasi e vendesi. Accompagnata da un sagace amichetto affetto da alopecia, la preadolescente è ansiosamente alla ricerca della sua fin troppo disinvolta amica diciassettenne, non una villeggiante come lei ma residente in paese, d’un tratto scomparsa.A malincuore, la trepida fanciullina verrà man mano scoprendo dei retroscena poco gradevoli della realtà locale.
• Bicromia in violetto e verde acido
Pure qui l’autrice –pisana, laureata in Ingegneria informatica ma gerente una fumetteria a Torino – inquadra il tutto in una prospettiva spiccatamente femminile. Anzitutto appare molto interessante il rapporto quantomai stretto e simbiotico delle giovanissime generazioni con le varie tecnologie connesse allo smartphone e l’uso modulato che riescono a trarne, tanto da non poter concepire affatto di potersene separare nemmeno per qualche ora. Anche ciò è descritto con il prevedibile ed empatico acume di donna, che si prende il tempo di dilatare i tempi e divagare negli spazi della narrazione per meglio raggiungere i propri scopi. Ma se il disegno si confessa funzionale e nulla più al lento dipanamento della matassa interrogativa, la colorazione invece non può non fare colpo. Una violenta bicromia in violetto e verde acido che quasi ti ferisce l’occhio. Come mai?, ti chiedi. E ti rispondi che forse se il volume fosse stato in bianco e nero o colorato più tradizionalmente non ti avrebbe incuriosito al punto di invogliarti a leggerlo; e invece così non solo lo hai fatto, ma ti è pure sembrato che ne valesse davvero la pena. La confezione più “massimalista” di un prodotto anche minimalista spettacolarizza, è più appagante e pagante. Discorso in parte simile può applicarsi ai primi due albi di una serie autoprodotta ancor più fuori norma: Millennials - Born To Be Heroes, scritta da Lorenzo Ghetti e disegnata da Claudia “Nuke” Razzoli, che nasce come costola dell’intelligente webcomic To Be Continued (cercatelo in Rete, se vi interessano gli esperimenti intriganti), ma che in questo caso si sviluppa più tradizionalmente in versione cartacea. Qui l’universo di riferimento è post-supereroistico, quindi più attuale, insieme più pop americano e più shojo manga giapponese. Si tratta di un’operazione culturale piuttosto complessa, che dietro il divertimento citazionistico nasconde numerosi lampi di genio narrativi, sia testuali sia figurativi. La storia, vivace e godibile, prende le mosse da un talent show per mettere assieme una supersquadra sportiva femminile e prosegue con gli allenamenti che vedono le interazioni tutt’altro che facili tra le diverse forti personalità delle giovani supereroine componenti il gruppo. I dialoghi sono spassosi ma densi, e altrettanto i disegni della talentuosa trentatreenne “Nuke”, nuova bomba atomica del fumetto italiano. Questi, in realtà, forniscono alla serie il richiamo più appariscente: contorni a tratto forte, squadratura rigorosa della pagina, in ogni vignetta un delirio curvilineo, recitazione espressivissima e soprattutto–e tre! –colori incredibili. Tinte piatte, ma inattese. E inattendibili: mai un colore primario, mai nemmeno un secondario; invece tutti giallini, rosellini, verdolini, azzurrini, marroncini. Ma, attenzione, non si tratta dei colori pastello che l’ottica maschilista attribuirebbe preventivamente alla più tipica espressività muliebre; invece gli accostamenti azzardati, il taglio geometrizzante, la libertà di attribuzione a cose e persone, le scelte registiche di speciali velature d’atmosfera alle scene ora d’interni e ora d’esterni ne fanno un risultato mosso, inopinato, bizzarro, del tutto anticonvenzionale. E a ulteriore e decisiva dimostrazione che le ragazze non sono più quelle di una volta, e lo sanno fare anche molto strano, voilà Audrey Spiry, giovanissima illustratrice e fumettista e animatrice francese, con il suo primo romanzo grafico: In silenzio, animato da un notevolissimo talento pittorico. Lo percorre da capo a fondo, e anzi proprio a capofitto, la venticinquenne Juliette, che col compagno passa una giornata avventurosa nel sud dellaFrancia cimentandosi nel canyoning. La coppia, insieme con una famigliola entusiasta per gli sport estremi, si tuffa nelle acque di un fiume che, ora turbinosamente e ora in strana tranquillità, tutti li spinge e li trascina in un’impresa psicofisica molto coinvolgente, a tratti difficile e pericolosa.
• Un libro, un fiume
Juliette ne approfitterà, come nella migliore tradizione, per mettersi alla prova, fare il punto sulla propria vita, capire qualcosa di nuovo su di sé e sugli altri, forse avere infine il coraggio di ricominciare da zero. E un ruolo non indifferente in questa sua totale immersione e revisione esistenziale lo avrà Léna, la vitalissima bambinetta con cui dovrà condividere i momenti più segreti e importanti dell’emozionante giornata. Ma in realtà il ruolo davvero principale lo ha il fiume, l’acqua che la accoglie, la circonda, la inghiotte, la risputa, la culla, la strapazza, l’addormenta, la risveglia, la uccide, la fa rinascere. Il libro è come il fiume: ci prende, c’immerge e non ci molla sino al mare, dove arriviamo un po’sfiniti. È una esperienza quasi psicofisica anche per noi, soprattutto per merito delle immagini: fortissime, purissime, altissime. I colori, liquefacendosi come tempere, si muovono e giocano tra loro, si allargano in onde e si avvitano in mulinelli, che la tavolozza policromatica dell’artista distribuisce e governa con invidiabile creatività e dinamismo. I contrasti sono molto forti, a volte ricordano il Doganiere Rousseau, ma sono tutt’altro che naïf. L’autrice realizza tutto in digitale, con Photoshop, magli effetti sono pittorici al massimo, e mandano in deliquio gli amanti della pittura europea post- impressionista, fauve, espressionista, fino all’astrazione. Un ipnotico pozzo liquido in cui ci si lascia annegare con entusiasmo