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Se la Cina ruba l’acqua al Tibet
Fiumi | L’altopiano può produrre un quarto del fabbisogno energetico nazionale
Forse il paradosso meno noto dell’altopiano tibetano consiste nel fatto che oggi almeno venti aziende cinesi imbottigliano l’acqua in Tibet per poi trasportarla via treno e rivenderla sul resto del territorio mentre se i nomadi autoctoni non hanno mai comprato una bottiglia d’acqua. Ma non è solo così che la Repubblica popolare sfrutta l’acqua del Tibet. I progetti di mega dighe si moltiplicano, tanto che ad oggi c’è un solo fiume che è rimasto “inviolato”: il Salween. E non lo sarà ancora a lungo. Tra gli obiettivi dell’ultimo piano quinquennale cinese, risparmio energetico e energie rinnovabili sono ai primi posti. Nonostante questo sono stati approvate dighe e infrastrutture sul «tetto del mondo» che, seppure non definite nello specifico, apriranno la regione a «una nuova era industriale». Ma i timori sono che i progetti approvati avranno ripercussioni internazionali. Le sorgenti del territorio tibetano infatti, confluiscono nei fiumi che irrigano più di una decina di nazioni asiatiche. Tra questi corsi d’acqua fondamentali come l’Indo, il Gange, il Mekong, il fiume Azzurro e quello Giallo. Ma il «terzo polo», come viene chiamato proprio per la grande quantità di acqua che ghiacci e nevi perenni contengono, potrebbe diventare anche la più grande fonte di energia idroelettrica della Repubblica popolare. Il governo vuole che arrivi a produrre 140 gigawatt, circa un quarto del fabbisogno nazionale. Ma secondo l’Accademia delle scienze sociali, il più grande think thank del paese, il piano del governo rischia di distruggere irrimediabilmente il già fragile ecosistema dell’altopiano. Bisogna considerare che il permafrost è già seriamente minacciato dalle tante miniere aperte sul territorio e che il riscaldamento globale produce il progressivo scioglimento dei ghiacciai.