giovedì 8 giugno 2017

L'egemonia cattolica
La Stampa 8.6.17
Gian Enrico Rusconi
Bergoglio, quel che resta della dottrina
Papa della rivoluzione incompiuta, enigma teologico e culturale
Il libro di un laico che prende sul serio la fede, “per capire criticamente”
di Cesare Martinetti


Un uomo solo nella sua avventura pastorale e dottrinale. Un enigma teologico e culturale. Un Papa che ha avviato una «rivoluzione» tuttora «incompiuta» e che non siamo in grado di dire oggi se mai si compirà. Così appare Jorge Maria Bergoglio a Gian Enrico Rusconi, storico, politologo e germanista, intellettuale appassionato di vita culturale e civile. Arriva oggi in libreria il suo nuovo libro, La teologia narrativa di papa Francesco (Laterza, pp. 153, € 16) che rappresenta uno sforzo originale rispetto alla sterminata pubblicistica dei commentatori «zelanti» o quella - ridotta - dei combattivi avversari. È un laico che prende sul serio credenze religiose e uomini di fede, che analizza il discorso religioso per comprendere il nostro tempo. Il suo libro - avverte - non è per atei militanti né agnostici intransigenti. Lo ha scritto «per capire criticamente quel che accade».
Però, professor Rusconi, quell’aggettivo «narrativa», appiccicato alla teologia di Francesco, sembra già un giudizio: divulgazione da grande comunicatore, ma scarso rigore dottrinale. Voleva dire questo?
«È una teologia ambivalente: è un tentativo di ritornare alle origini di Bibbia e Vangelo, di cui si parla come se raccontassero eventi del quotidiano. Non mira a riformare la dottrina, sta reinventando una teologia, credo non intenzionalmente. La verità è che la Chiesa non è capace di trovare la dimensione dottrinale e culturale di una volta. Ma è un problema generale: anche la filosofia è diventata conversazione. Ecco, con Bergoglio la teologia è diventata conversazione, reinvenzione semantica, espressività emotiva, flessibilità concettuale».
Mi faccia un esempio.
«Lui parla spesso della Genesi, di Adamo ed Eva, ma dal suo racconto quasi scompare la dimensione drammatica del peccato originale e “narra” altri motivi come quello della scoperta della nudità a cui segue un’azione misericordiosa di Dio che dà alla coppia delle tuniche per ripararsi. Dio è buono, è amore, ha avuto compassione di loro. E manderà suo figlio a riparare ogni cosa. Ma se non c’è il peccato originale, se non c’è la collera di Dio, cosa dovrebbe mai riparare Gesù? Per un laico come me, educato nella religione tradizionale, questo è difficile da capire. La misericordia vince un peccato di cui non si parla. Il nesso offesa-punizione-espiazione viene del tutto sdrammatizzato».
Perché lo fa?
«Perché oggi abbiamo tutti la sensazione di avere molto da farci perdonare. Ma penso anche che il destino della religione sia l’abbandono delle forme dogmatiche. Lui sa che siamo a un punto critico per l’istituzione religiosa, non vuole mettere in discussione il sistema dogmatico, solleva i punti critici, li risolve con il ricorso continuo all’infinita misericordia di Dio e cioè con una risposta emotiva, narrativa, senza esprimere mai la presunzione di innovare, ma di rinnovare».
Ci sono stati però momenti che toccano il vivo dell’esperienza di vita che Francesco ha affrontato apertamente. Nel caso della comunione ai divorziati separati o sulla comprensione dell’omosessualità c’è stata vera innovazione. Non crede?
«C’è un adattamento ai tempi. Il matrimonio resta indissolubile, ma lui è comprensivo, capisce che può finire, che l’amore può fallire. Però proprio questo caso mi sembra esemplare dell’impasse dottrinale e pastorale della Chiesa di Bergoglio. In Amoris laetitia si afferma che il divorziato soggettivamente incolpevole può essere considerato “senza colpa” o più perdonabile rispetto a uno “oggettivamente colpevole”. Chi decide? Sempre il confessore, l’accesso all’eucarestia non è un diritto. Gli avversari vedono tutto questo come confusione; i favorevoli come una grande innovazione».
Da molto tempo i sacerdoti si trovano ad affrontare una dimensione quotidiana di società che è difficile far rientrare nei canoni della dottrina. Lei pensa che il Papa arriverà a modifiche importanti e attese, per esempio nel ruolo della donna?
«Non è un Papa che nasconde le profonde incongruenze della dottrina tradizionale, tuttavia non cerca soluzioni, lascia le cose come stanno. Dice che le donne sono le più coraggiose, intelligenti, anzi che la Chiesa è donna. Ma nessuna sacerdotessa e, al momento, nemmeno diaconessa».
Che cosa pensa della sua celebrata battuta «chi sono io per giudicare un omosessuale che cerca Dio»? Ha cambiato l’atteggiamento della Chiesa nei confronti dei gay.
«È un’innovazione, certo, va riconosciuto l’abbandono delle espressioni più brutali, però resta un percorso incompiuto che si scontra con la realtà. Prendiamo per esempio il caso di questi giorni del capo scout di Monfalcone che si è “sposato” civilmente con il suo compagno. Il parroco lo ha condannato e gli ha chiesto di non occuparsi più di bambini; il viceparroco, un prete operaio, ha partecipato alla cerimonia come sacerdote e amico; il vescovo è in imbarazzo. Che dirà il Papa? Ma sono situazioni inevitabili: se si esprime comprensione, c’è chi ne trae le conclusioni. E invece, per le unioni civili, l’atteggiamento resta critico nei confronti di un diritto che lo Stato laico non può disconoscere nella sua legittima sovranità. Come la rivendicazione dell’obiezione di coscienza nei riguardi di leggi sgradite alla Chiesa».
È un punto cruciale: il rapporto con lo Stato laico che dovrebbe decidere «come se Dio non ci fosse» e il capo della Chiesa cattolica che invece in Italia ha sempre enormemente pesato sulle scelte politiche. Molti laici italiani sono entusiasti o addirittura sedotti da Bergoglio e lei sottolinea nel libro la «fragilità» della laicità italiana. Che rapporto ha Bergoglio con loro?
«Francesco ha una grande potenza mediatica e predilige quelli che contano mediaticamente. Però io credo che lui non li capisca e non li ami, pensa che siano un retaggio del vecchio illuminismo, dimenticando che i diritti dell’uomo di cui oggi la Chiesa si fa portavoce per i migranti nascono con gli illuministi. Il teologo luterano Dietrich Bonhoeffer parlava della società secolarizzata come di “età matura dell’uomo”. Bergoglio certamente non la pensa così. La reciprocità cognitiva tra laicità e religione, auspicata anche da Ratzinger in un incontro con filosofo tedesco Habermas, resta per il momento irraggiungibile».