La Stampa 19.6.17
La linea del Pd: disinnescare le mozioni per evitare nuovi imbarazzi su Lotti
I timori dei dem sull’ipotesi di rivelazioni dell’ad Marroni
di Fabio Martini
Con un’abile operazione a tenaglia
il Pd è riuscito per qualche ora a spegnere i riflettori che stavano
per riaccendersi sul filone «Consip-fuga di notizie» che chiama in causa
l’entourage di Matteo Renzi, ma nei prossimi giorni il leader
democratico sarà egualmente chiamato a gestire una vicenda che rischia
di creargli nuovi grattacapi in termini di immagine. Per tre motivi. Il
primo: una volta decaduti i vertici della Consip, teoricamente dovrebbe
cadere qualsiasi ulteriore discussione parlamentare su tutta la vicenda,
ma le opposizioni non sono di questo avviso e domani al Senato ci sarà
bagarre sul caso.
Secondo: l’oscurissima vicenda della quasi certa
falsificazione di prove a carico del padre di Matteo Renzi sembrava
avesse distolto centralità a un altro filone dell’inchiesta Consip,
quella sulla fuga di notizie sull’indagine a suo tempo avviata da parte
della magistratura. Un’attenzione che invece si è ora riaccesa, in
particolare attorno all’enigma più insidioso: qualcuno dentro il governo
sapeva dell’indagine sulla Consip e come ha fatto a saperlo? Oppure si è
inventato tutto l’ad di Consip Luigi Marroni, che lo ha rivelato? E il
terzo grattacapo che incombe sul Pd riguarda proprio Marroni,
super-manager un tempo vicino a Renzi e ora costretto a dimettersi
dall’azione concentrica del Pd e del ministero dell’Economia: prima o
poi potrebbe rendere pubblico, almeno in parte, ciò che ha detto in un
interrogatorio ai magistrati – di Napoli e di Roma - come persona
informata dei fatti?
A riaccendere i riflettori sulla vicenda
Consip-fuga di notizie è stato un ordine del giorno presentato al Senato
su iniziativa di Gaetano Quagliariello, il «dottor Sottile» del
centrodestra, col quale si chiedeva il rinnovo dei vertici della
centrale degli acquisti della Pa. Con una domanda di fondo: il governo
crede all’ad Consip Marroni, che ha raccontato di essere stato informato
dell’indagine tra gli altri dal sottosegretario Luca Lotti, braccio
destro di Renzi? Oppure crede a Lotti, che nega? Un’ambivalenza sulla
quale il governo è riuscito a galleggiare per mesi: da una parte il
ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan che ha rinnovato due volte la
fiducia a Marroni e dall’altro Luca Lotti, che ha fornito ai magistrati
un versione opposta a quella dell’ad di Consip. Davanti all’iniziativa
di Quagliariello, il gruppo Pd del Senato ha subito presentato una
mozione dal contenuto simile. Come ha spiegato il senatore del Pd, il
renziano Andrea Marcucci, «Consip ha bisogno di una governance
rinnovata, autorevole». Ma sotto la guida di Marroni, Consip ha
risparmiato in un anno la cifra ragguardevole di 3 miliardi e mezzo
(l’entità dell’ultima manovrina) e dunque la mozione Pd equivaleva ad un
messaggio: caro Marroni, non hai più la nostra fiducia, dimettiti prima
di martedì, quando si discutono le mozioni parlamentari. Poiché Marroni
non si dimetteva, le contestuali dimissioni del presidente Ferrara e
della funzionaria del Tesoro hanno di fatto sciolto il Cda, costringendo
Marroni a lasciare prima del fatidico martedì. Dice Gaetano
Quagliariello: «Noi chiederemo che la questione sia discussa egualmente
dall’aula del Senato». Il presidente dell’assemblea, Pietro Grasso,
interpellato, ha risposto: «Ne discuteremo martedì alle 11…». Dal Pd
trapela l’orientamento: le mozioni, una volta decaduti i vertici di
Consip, non potranno essere votate. È questo il vero obiettivo del Pd,
evitare qualsiasi votazione che chiami in causa indirettamente Matteo
Renzi. Per i suoi avversari la battaglia regolamentare si concentrerà su
questo punto: votare qualsiasi cosa pur di mettere in difficoltà l’ex
premier. Ma Renzi lo sa e proverà a disinnescare la mina.