La Stampa 17.6.17
Province fantasma, nessuno ripara strade e scuole
Ecco il conto dell’abolizione a metà “Tagliati i fondi, non le competenze”
di Paolo Baroni
Le
Province con le casse vuote chiudono le strade colabrodo per evitare le
cause per danni. L’Unione delle Province: «Senza soldi non possiamo
garantire i servizi essenziali». Il paradosso della Sicilia: l’ente
cambia nome e i costi legali volano alle stelle.
«Non
abbiamo più voce per fare appelli: sono due anni che gridiamo più o meno
nel deserto» protesta Achille Variati, sindaco di Vicenza e presidente
dell’Unione delle province italiane. L’Upi ha manifestato a Roma a metà
maggio, poi a ridosso della festa della Repubblica ha scritto al
presidente Mattarella. Messaggio semplice e chiaro: senza le risorse
necessarie a breve non saremo più in grado di garantire i servizi
essenziali che ci competono come scuole, strade e ambiente. I numeri
parlano chiaro: alle Province è stato tolto un miliardo di euro nel 2015
ed un altro miliardo nel 2016. Per il 2017, visto che la loro
abolizione col no al referendum alla fine non è andata in porto, il
taglio è stato azzerato, ma all’appello mancano almeno 650 milioni per
la sola copertura della spesa corrente delle funzioni fondamentali.
Degli oltre 2 miliardi di euro di tasse automobilistiche appena 360
milioni tornano ai territori e non parliamo poi degli investimenti,
scesi del 62% tra il 2013 e il 2016 a un miliardo e poco più.
Fotografia dello sfascio
Eppure
a carico delle Province, che nel frattempo han perso 20mila dipendenti,
sono rimasti pur sempre 5.179 edifici scolastici (70% senza certificato
di prevenzione incendi), ben 130mila chilometri di strade e almeno
30mila tra ponti, viadotti e gallerie. In base alle rilevazioni dell’Upi
già oggi circa 5.000 chilometri di arterie sono chiuse per frane,
crolli o smottamenti e su almeno il 52% della rete gli enti sono stati
costretti ad inserire un limite di velocità di 30 o 50 chilometri
all’ora motivando ragioni di sicurezza. Interventi disperati che in
alcuni casi adesso sono impediti perché le amministrazioni non sono
nemmeno più in grado di sostenere i costi della segnaletica che si
renderebbe necessaria.
L’ultima manovrina ha concesso alle
Province 100 milioni di euro da destinare alle strade, poi saliti a 170.
Ovviamente questi fondi non bastano, perché anche dopo questo
contributo c’è ancora un mezzo miliardo da coprire. «Abbiamo strade
talmente disastrate che sembrano quelle di Kabul - spiega Variati -.
Credo che il Paese meriti qualcosa di più e la politica, quella grande,
deve rendersi conto che se non riesce a dare risposte è come se
costruisse l’autostrada dell’antipolitica».
Sviluppi possibili? Se
a breve non accadrà nulla e non arriveranno rapidamente nuovi fondi
secondo il presidente dell’Upi «molte altre strade che non presenteranno
più condizioni minime di sicurezza verranno chiuse». Intanto, a scopo
cautelativo, tutti i presidenti di Provincia hanno consegnato un mese e
mezzo fa un esposto alla rispettiva procura illustrando il dettaglio la
situazione che si è creata, i pochi fondi disponibili e l’elenco infinto
delle spese che dovrebbero invece sostenere.
Più buche, più cause
«Più
buche nelle strade significa più danni e di conseguenza molte più
cause», avverte la presidente dell’Unione delle Camere Civili, Laura
Jannotta. In realtà molte richieste di risarcimento, quelle dove in
ballo ci sono cifre più contenute, vengono risolte attraverso tavoli di
conciliazione e solo una minima parte finisce in tribunale. Dove però,
segnala un esperto di infortunistica stradale come l’avvocato romano
Settimio Catalisano, «da un po’ di tempo a questa parte i giudici
tendono a tutelare più gli enti, visto che sono in difficoltà coi
bilanci, che gli utenti della strada. Che in caso di insuccesso, poi si
ritrovano a pagare tutte le spese legali. Per cui ora molti ci pensano
due volte prima di intentare causa».
Roma caso limite
A
Roma, da mesi, la situazione ha superato ogni limite. Secondo i dati
diffusi nei mesi scorsi dal Codacons sino a tutto il 2016 erano oltre
5.000 le cause per danni intentate contro il Comune di Roma. In
particolare risultavano 3.239 sinistri «non in causa», più altri 1.949
incidenti determinanti da buche o scarsa manutenzione del manto stradale
approdati invece in tribunale con tempi medi di indennizzo di 6 anni e
mezzo e punte che però arrivano anche a 13. «Cinquemila cause - ha
commentato il presidente del Codacons, Carlo Rienzi - rappresentano una
spesa immensa per l’amministrazione tra costi legali e indennizzi da
riconoscere. Se si provvedesse a rifare le strade a regola d’arte senza
ricorrere a rattoppi dell’asfalto, il Comune potrebbe risparmiare
centinaia di migliaia di euro l’anno». L’ultimo allarme del Codacons
risale oramai a poco più di tre mesi fa. Successo qualcosa nel
frattempo? No, anzi sì. «La giunta Raggi ha pensato bene di abbassare a
50, 30 ed in alcuni casi anche 10 km l’ora il limite di velocità lungo
le direttrici più critiche, l’Aurelia, la Salaria e la Cristoforo
Colombo. In questo modo il Comune si tutela ma questa non può essere la
soluzione al problema buche - lamentano i consumatori -. È solo una
resa».