La Stampa 17.6.16
Le fondazioni socialiste europee scaricano il presidente D’Alema
La motivazione: “Ha sostenuto la scissione dei democratici”
di Francesca Schianchi
Cari
amici, è con «profondo senso di responsabilità» che condividiamo le
nostre preoccupazioni: Massimo D’Alema, che in Italia ha sostenuto la
scissione dal Pd, non può più essere il presidente della Feps, la
Foundation for European Progressive Studies. Firmato, sette fondazioni
europee di primo piano.
Il preavviso di licenziamento del nostro
ex premier è stato recapitato via lettera nei giorni scorsi a tutti i
vertici dell’organizzazione che, a Bruxelles, riunisce le fondazioni
vicine ai partiti socialisti del continente. Incluso lui, che la
presiede con un certo compiacimento dal 2010 («mi occupo quasi
esclusivamente di questioni europee e internazionali», ripete sovente),
riconfermato all’unanimità un anno fa: il 28 di questo mese si terrà
l’Assemblea generale che dovrà rinnovare gli organi ma, stavolta, è a un
passo dal benservito. Ieri, la fondazione portoghese Res Publica ha
avanzato una candidatura alternativa, già sostenuta da molte altre
firmatarie della missiva contro di lui: l’europarlamentare di Lisbona
Maria João Rodrigues.
D’Alema, scrivono le sette fondazioni, è
«figura chiave di un nuovo movimento politico che competerà con entrambi
i partiti membri del Pse in Italia: il Pd e il Psi. Riteniamo questa
azione incompatibile con il mandato di guida e rappresentante della
Feps». I vertici della grande organizzazione europea devono «agire con
saggezza, mostrare solidarietà, preservare l’unità e promuovere lealtà
ai nostri valori fondamentali»: se non fosse chiaro, aggiungono che
«noi, membri della Feps, meritiamo una leadership rinnovata». A firmare
le due secche paginette, oltre a Res Publica, la Friedrich Ebert
Stiftung tedesca, la francese Jean Jaurès, la spagnola Pablo Iglesias,
la svedese Olof Palme International Center, la ceca Masarykova
Demokraticka Akademie e la maltese Ideat.
I rapporti tra il
promotore di Articolo 1 e il Pse sono burrascosi dai tempi della sua
campagna per il no al referendum del 4 dicembre: con il segretario, il
bulgaro Sergei Stanishev, c’è stato un fitto carteggio dopo che D’Alema
in tv consigliò anche al Pse, schierato per il sì in linea col partito
affiliato Pd, oltre a Merkel e Jp Morgan, di «farsi i fatti loro».
Peggio ancora dopo la scissione dai dem: «Un errore storico, una totale
mancanza di lealtà verso il Pd e verso il Pse», la bollò Stanishev.
Tanto che, da quelle parti, si aspettavano spontanee dimissioni del
leader di Italianieuropei dalla presidenza della Feps. Non sono
arrivate: ora sono alcuni importanti membri a chiederle. Sette
fondazioni italiane fanno parte della Feps, quella che rappresenta il Pd
è la Eyu, presieduta dal renzianissimo Francesco Bonifazi:
ufficialmente non si sono schierati, ma si può intuire come la pensino.
Ancora una decina di giorni e si arriverà al voto. E chissà che non sia
lo stesso D’Alema, annusata l’aria, a fare un passo indietro: in fondo,
ha già dichiarato che «se i pugliesi lo chiedessero in massa» gli
toccherebbe fare il sacrificio di ricandidarsi in Parlamento.