Il Sole Domenica 11.6.17
Tra filosofia e filologia
Eraclito era un riccio o una volpe?
di Armando Massarenti
Tra
i molti, meravigliosi giochi che si possono fare avendo tra le mani i
nove volumi della nuova e innovativa edizione dei frammenti dei
cosiddetti Presocratici curata da Glenn Most e André Laks, uno potrebbe
essere quello di provare a verificare quanto fosse giustificata l’idea
di Karl Popper secondo cui i primi filosofi greci - Parmenide compreso -
furono gli inventori del pensiero critico e della discussione
razionale, salvo scoprire quanto sia raro trovare testimonianze dirette
che corroborino la sua tesi. Soprattutto nell’ambito a lui più caro,
quello della filosofia della natura e della cosmologia, mentre qualche
“prova” la si può trovare tra i medici di quel periodo. Ma anche se non
erano dei falsificazionisti ante litteram come li sognava Popper, i
primissimi pensatori greci restano una palestra in cui è possibile
allenarsi per infiniti giochi intellettuali. Compreso quello principale
che ha ispirato i curatori nel costruire un’edizione - presentata qui in
un articolo scritto espressamente per la Domenica - frutto di anni di
lavoro e che ha tutte le caratteristiche per imporsi come quella di
riferimento. Se la natura tende a nascondersi, come dice Eraclito, tra i
suoi nascondigli migliori ci sono sicuramente le varie stratificazioni
del linguaggio. Most e Laks vi si immergono in una autentica caccia al
tesoro per farci scoprire, tra le altre cose, che Eraclito era insieme
una volpe e un riccio, dal punto di vista del linguaggio (ma non solo).
Ricordando il celeberrimo verso di Archiloco, «La volpe sa molte cose,
ma il riccio ne sa una grande», possiamo apprezzare infatti la struttura
assolutamente chiara e al contempo profondamente complessa delle frasi
di Eraclito, dove una singola espressione di grande potenza espressiva
(riccio-friendly, si potrebbe dire, come è tendenzialmente interpretata)
può prestarsi a molti, volpini, significati. Ma dove è in questo la
novità? Si prenda proprio la frase sulla natura. Con mossa innovativa e
sapienza volpina, Most e Laks ne inseguono le varie ramificazioni non
solo all’interno dei testi tradizionalmente utilizzati come
testimonianze del pensiero di Eraclito, ma anche nel corpus degli autori
vissuti nei secoli successivi, fino alla fine dell’antichità. Per
scoprire (come rileva Most in un saggio uscito nel volume Riccio o
volpe? a cura di Vanna Maraglino, Cacucci editore) «che una singola
espressione perfettamente composta da Eraclito può prestarsi a
molteplici paradossali significati. In altre parole, sul piano della
performance testuale, Eraclito si rivela essere un riccio nei suoi
significanti, ma una volpe nei suoi significati». Significati che si
moltiplicano e arricchiscono (senza mai smettere di giocare a nascondino
col filologo) se ricostruiti attraverso l’interpretazione di filosofi
successivi, come Filone alessandrino. Le edizioni precedenti di Eraclito
sono edizioni “ricce”, perché lo presentano nella forma di espressioni
perfette, indiscutibili e lapidarie, laddove invece questa edizione
volpina - e il metodo è applicato anche agli altri pensatori - tiene
conto, e mette in scena, le difficoltà di stabilire il testo esatto di
molti aforismi di Eraclito, difficoltà «causate in parte dal loro enorme
successo tra i lettori antichi, che spesso li citarono, parafrasarono e
fecero allusioni ad essi, senza preoccuparsi molto di fornire le esatte
parole dell’originale».
Dal metodo volpino emerge dunque
un’immagine ricca e sfumata del filosofo. Per Eraclito la maggior parte
degli uomini è pigra, vuole vivere tranquilla evitando la fatica di
comprendere la vera natura delle cose e le loro ragioni nascoste. Se le
cose a una prima occhiata non rivelano la loro vera natura, è necessario
studiarle con cura e a lungo per comprenderle. E ciò vale persino per
la cosa a noi più vicina: noi stessi. «Ho cercato me stesso», dice
Eraclito, che, se alla luce di uno dei suoi aforismi più famosi - «Dopo
che hai ascoltato non me ma il logos, è saggio riconoscere che tutto è
uno» - appare più che mai riccio, si rivela mano a mano sempre più volpe
fino ad affermare che «gli uomini che amano la sapienza devono indagare
molte cose». E se è vero che «quelli che cercano l’oro scavano molta
terra e ne trovano poco» ciò significa solo che devono continuare a
scavare. La caccia al tesoro continua, anche perché - popperianamente -
la ricerca non ha fine.