Il Sole 8.6.17
Legge elettorale. Nel primo scrutinio segreto mancati 66 voti - Il termine slitta a martedì
Franchi tiratori e voto online M5S minano l’accordo sul «tedesco»
I grillini insistono su voto disgiunto e preferenze. Pesano anche i «no» tra i Dem
di Barbara Fiammeri
Roma
Sulla legge elettorale Grillo tentenna. Il M5s ha chiesto di far
slittare il voto finale della Camera, che la Capigruppo ha fissato per
martedì, per consentire un nuovo referendum tra gli iscritti. Il
risultato arriverà in concomitanza con quello del primo turno delle
amministrative. Una sovrapposizione che per più di qualcuno non è
affatto casuale. Anche nel Pd però la situazione è tutt’altro che
tranquilla. Il gruppo apparentemente tiene ma le critiche giunte dai
padri fondatori del Pd (Walter Veltroni e Romano Prodi) e dal presidente
emerito della Repubblica Giorgio Napolitano pesano non poco. Lo si è
visto ieri in occasione dell’assemblea dei deputati dove la minoranza
guidata da Andrea Orlando ha annunciato di voler mantenere i propri
emendamenti: «Noi ritireremo i nostri se i 5 stelle faranno
altrettanto», ha confermato il Guardasigilli.
Renzi sposta sui
grillini l’attenzione («Dopo due giorni hanno già cambiato idea»). Ma al
di là delle sensazioni sono i primi voti segreti a confermare che
l’alleanza traballa. Sulle pregiudiziali di costituzionalità sono venuti
a mancare un centinaio di voti, rispetto alla somma dei quattro partiti
sottoscrittori dell’intesa sulla legge elettorale. «Vi ricordo cosa
accadde quando furono 101», chiosa il capogruppo dem Ettore Rosato con
riferimento alla bocciatura di Prodi nella corsa al Quirinale. In realtà
a conti fatti i franchi tiratori sono stati 66, visto che una trentina
di deputati dei vari gruppi erano in missione. Ma la situazione resta in
bilico. Anche perché ci sono un centinaio di voti segreti da superare.
Un primo banco di prova c’è già stato ieri. L’emendamento presentato dai
bersaniani di Mdp è stato bocciato con 317 voti, nonostante l’assenza
dei 5 Stelle che hanno optato per l’astensione. Una scelta, quella dei
grillini, che è servita anche a evitare di essere ascritti tra i franchi
tiratori nella prima vera prova. Luigi Di Maio e Danilo Toninelli
continuano a sostenere che l’accordo tiene. Anzi, agli ambasciatori del
Pd, preoccupati per il nuovo referendum annunciato dai pentastellati,
hanno spiegato che si tratta di un modo per «ratificare» l’intesa. E il
post con cui si indice la consultazione degli iscritti lo conferma:
«Cercheremo in tutti i modi di ottenere nuovi miglioramenti. Non
sappiamo se ce la faremo perché non dipende solo da noi. Ma abbiamo già
ottenuto importanti risultati». Insomma, un modo per dire noi le nostre
battaglie - a partire da quella sulle preferenze - le abbiamo portate ma
il principale obiettivo, come ha assicurato poco dopo Grillo, per il
M5s è «la legge e il voto».
Nel Pd però non ne sono così convinti.
Anzi, cresce la convinzione che alla fine Grillo si sfili. In realtà,
quello che potrebbe accadere, ancor prima del referendum tra i 5 stelle,
è che su un voto segreto salti l’intesa. I grillini hanno già
annunciato che voteranno a favore dei loro emendamenti per il voto
disgiunto e le preferenze. Il pallottoliere dice che sulla carta il loro
voto non è decisivo, che Pd Fi e Lega hanno i numeri per mantenere la
maggioranza. Ma come si è già intravisto ieri, il voto segreto potrebbe
aiutare quanti, all’interno delle stesse forze politiche, sono critici
verso l’accordo. È evidente che in questo caso a pagare il prezzo più
alto sarebbe il Pd e non solo perché è il principale gruppo parlamentare
(282 deputati) ma perché pubbliche sono state le prese di posizione
contro la nuova legge elettorale con tanto di emendamenti depositati.
Chissà che non sia proprio questa la strategia di Grillo. In
commissione, infatti, i deputati del M5s avevano evitato di votare gli
emendamenti. Così invece non avverrà in aula. Oltre a voto disgiunto e
preferenze c’è anche un altro punto particolarmente a rischio:
l’alternanza di genere. La nuova legge impone che uomini e donne siano
rappresentati in modo analogo attraverso l’alternanza nel listino
proporzionale e che la percentuale non superiore al 60% nei collegi. Non
è da escludere che più di qualcuno tra i parlamentari uomini, che sono
la maggioranza, possa segretamente votare per mantenere più alte le
percentuali di una sua futura candidatura.