Il Sole 2.6.17
Elezioni e priorità
La grande corsa al voto, ma per fare che cosa?
di Guido Gentili
Voto
subito, ma per fare cosa? Un’unica certezza - la corsa alle urne -
s’accompagna a una pioggia battente di domande in attesa di risposte.
Per ora sappiamo solo che, in un battibaleno, il sistema elettorale
maggioritario introdotto nei primi anni Novanta del secolo scorso
lascerà il passo a un sistema proporzionale (un “tedesco” all’italiana,
sembra di capire) che era stato protagonista dal 1948 al 1992. Un grande
salto all’indietro, con tanto di addio al declamato principio che
saranno gli elettori a decidere chi governa il giorno dopo le elezioni.
Stabilità e governabilità saranno tutte da conquistare, perché è molto
probabile che in Parlamento si dovranno trovare accordi di coalizione
tra forze politiche che fino al giorno prima, come ha detto Matteo
Renzi, «se le sono date di santa ragione» per conquistare i voti.
Ma
si voterà presto, perché così hanno deciso partiti e movimenti, a
partire dal Pd di Matteo Renzi, da Forza Italia di Silvio Berlusconi,
dalla Lega di Matteo Salvini. E dal Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo,
sempre che la fronda interna non blocchi l’accordo. Quando si voterà?
Già a settembre o ai primi di ottobre, al termine di una campagna
elettorale balneare, questa sì una novità assoluta. Al tempo dei governi
(balneari) della Prima repubblica avevano un certo successo di pubblico
le interviste dei politici in vacanza “sotto l’ombrellone”. Nell’estate
2017 vedremo i politici e la politica al lavoro tra gli ombrelloni o
sui sentieri di montagna, alla ricerca del consenso dei cittadini e
contribuenti. Alla campagna elettorale permanente caratteristica della
politica italiana mancava l’apertura di questa finestra temporale. Ora
si cambia, nessuna tregua. Per mari e per monti.
Resta la domanda:
per fare che cosa? La prima evidenza che verrebbe in mente è la messa
in sicurezza dei conti pubblici di un Paese su cui grava un debito pari a
circa il 133% del Pil, fattore di indiscutibile vulnerabilità. L’altro
ieri, di fronte al Presidente della Bce Mario Draghi, il Governatore di
Bankitalia Ignazio Visco ha parlato di «sforzo eccezionale» per superare
definitivamente la crisi e della necessità di perseguire un avanzo
primario al 4% del Pil per far sì che il debito scenda, in dieci anni,
sotto il 100% del Prodotto. Si tratta di un percorso molto impegnativo,
che richiama a scelte di politica economica coerenti con l’obiettivo che
si intende perseguire. E non minore, ha aggiunto Visco, è l’impegno
necessario per ritrovare un sentiero di crescita stabile ed elevata.
Questa, come è noto, è tra le più basse in Europa.
Ieri l’Istat ha
rivisto al rialzo la crescita del Pil (+0,4%) del primo trimestre 2017 e
si prevede ora che l’obiettivo stimato dal Governo per fine anno
(+1,1%) possa essere centrato e, forse, anche superato. Buona notizia,
anche se «l’impegno continua» ha specificato il premier Paolo Gentiloni.
Ma non solo: il ministro dell’Economia ha scritto alla Commissione
europea che il Governo italiano punta per il 2018 a una correzione dei
conti inferiore a quella prevista e prospetta a Bruxelles uno «sconto»
di circa 9 miliardi su cui il governo europeo dovrà esprimersi.
Improvvisamente, il barometro sembra indicare una stagione a venire più
facile e, in controluce, più agevole per la corsa alle elezioni.
Peccato
manchi al momento – oltre un percorso condiviso in vista della nuova
legge di bilancio - qualsivoglia indicazione, da parte dei partiti e
movimenti che puntano al voto nel più breve tempo possibile, su cosa
fare per ridurre il debito e rilanciare la crescita. Si vogliono ridurre
le tasse? Su quale terreno (Irpef, cuneo fiscale per i giovani, cuneo
fiscale in generale) e con quali risorse? Si vogliono tagliare le spese?
Dove, e in che misura? Si vogliono rilanciare il lavoro e gli
investimenti pubblici e privati? Come? Privatizzazioni?
Liberalizzazioni? E resterà in agenda il piano sui superammortamenti,
per stare a un provvedimento di cui si parla troppo poco a dispetto dei
buoni risultati che ha già dato? Quali posizioni si vogliono assumere al
tavolo dell’Europa, atteso che (per fortuna, rispondendo se non altro a
un esercizio minimo di realismo) nessuno si pone più come obiettivo
politico la fuoriuscita dall’euro?
Di questi temi, accanto alla
definitiva messa in sicurezza dei conti pubblici, occorre discutere
subito. Perché fare della data per le elezioni una variabile
indipendente addirittura dalla nuova legge elettorale, che nel migliore
dei casi arriverà a luglio, potrebbe avere conseguenze gravi. Tanto più
in un contesto dove l’incertezza e un calo di fiducia si possono
scaricare sui mercati finanziari – dove si compra, si vende e si
scommette - in una spirale che non vorremmo neanche immaginare. Voto
subito, ma per fare cosa?